Vi lascio alla mia prima storia decente, da
cui si riesce finalmente a intravedere un miglioramento nel mio stile! Si può
dire che questa storia sia carina, dai, sarò magnanima con la me
tredicenne per una volta ^^
La storia si riferisce a un qualche testo
che avevamo letto in classe e di cui non ricordo nulla, ma non temete, la trama
sarà facilmente intuibile!
Stavolta penso che non scriverò le NdA
finali, quindi non mi resta che augurarvi una buona lettura e scoprire nelle
recensioni cosa ne pensate!
Esercitazione per casa
Immagina di vivere all'epoca in cui si
svolgono i fatti narrati e di avere come padre quel principe che pretende di
decidere lui la tua vita futura. Tu ti comporteresti:
1) Come vuole
lui, anche se a malincuore;
2) Come vuoi tu,
anche a costo di fartelo nemico.
Scegli una di queste due possibilità e
raccolta cosa succede.
Mio padre aveva già deciso tutto. Mi sarei sposata con il figlio di una
delle famiglie più ricche del paese. E io non volevo.
Mio padre mi aveva impedito di frequentare altri ragazzi e io non ne
potevo più. Mi sentivo come un topo in trappola e guai a me se mi imponevo a
mio padre, non sia mai!
Genoveffa venne ad avvisarmi che era pronto il pranzo.
“Arrivo subito”
Mi confidavo spesso con Genoveffa, perché oltre a fare le pulizie a casa
nostra era l'unica persona che mi ascoltava.
Quando arrivai in sala da pranzo, salutai mio padre e mi accomodai. Non
avevo la minima voglia di mangiare.
“Insomma, ti sbrighi a mangiare?” disse mio padre, dopo dieci minuti che
fissavo il piatto pieno di cibo senza la minima intenzione di toccarlo.
Mi faceva arrabbiare come faceva finta di niente.
Alzai lo sguardo. “Non voglio sposarmi con Alberto, e non mi sposerò.”
affermai duramente.
“Oh, cielo! Ne abbiamo già parlato, smettila di fare la bambina. Questa è
la mia decisione e la rispetterai.” controbatté mio padre quasi gridando.
“Non sono un burattino, non mi muovo in base agli altri. No!” Tirai
indietro la sedia, mi alzai e corsi via con gli occhi pieni di lacrime. Mi
rifugiai nella mia camera con l'intenzione di rimanerci. Ogni volta che mio
padre mi trattava così, era come una pugnalata. Non aveva il diritto di
mettermi i piedi in testa, padre o non padre.
Mi affacciai alla finestra: la strada era deserta. In quel momento vidi
qualcuno girare l'angolo: era un bel ragazzo che passava spesso davanti a casa
mia. I miei singhiozzi si perdevano nel silenzio. Il ragazzo alzò lo sguardo
verso di me.
“Salve. Non vorrei essere invadente ma perché piange, bella ragazza?”
disse con aria preoccupata.
“È molto gentile a preoccuparsi. È una lunga storia.” risposi.
“Capisco, ma se vuole io ho tutto il tempo per ascoltarla.”
“Se ci tiene... Mio padre, per questioni di interesse, vuole farmi
sposare un giovane di una ricca famiglia che io non amo.”
Il ragazzo rimase in silenzio.
In quel momento mi venne un'idea: avrei fatto la cosa più stupida che si
potesse fare.
“Voglio venire via con lei!” feci.
“Cosa? Ne è proprio sicura?”
Mi afferrai al grosso ramo di una quercia che arrivava fino alla finestra
della mia camera e cominciai a scendere sotto gli occhi sgranati del ragazzo.
Scendere da un albero non era un'attività consigliata per le donzelle della mia stima, ma mi sarei
fatta tagliare tre dita pur di ottenere la libertà che tanto desideravo.
Quando arrivai in strada mi avvicinai al giovane. “Molto piacere, Soul.”
“Marco, il piacere è tutto mio.”
“Andiamo, prima che esca Genoveffa e ci veda!” esclamai.
Mi sentivo libera come non mai, e adesso che ero riuscita a evadere da
quella prigione non avevo nessuna voglia di tornarci mai più.
Marco era gentilissimo: mi portò in piazza dove quel giorno c'era il
mercato, e anche se era caro mi comprò un bel cappello abbinato al mio vestito.
Girammo il paese senza una meta e ci divertivamo un mondo.
“Dove andrà a dormire stanotte? Deve tornare a casa.” mi disse Marco,
mentre il cielo cominciava a tingersi di rosso.
“Cosa? No, io non torno in quella specie di casa, piuttosto dormo con i
barboni. Almeno sono più liberi di me e non hanno qualcuno che gli dice con chi
stare”
“Ma io adesso devo rincasare, e non mi piace lasciarla qui da sola al
buio.”
“Suvvia, non si preoccupi. Domani mi ritroverà qui sana e salva, troverò
una soluzione.”
“Se le dovesse succedere qualcosa, mi sentirei in colpa.” insistette.
“Marco, lei così mi offende. Me la caverò, glielo posso assicurare.”
Mentre lo guardavo allontanarsi, pensavo a dove avrei potuto dormire per
quella notte. Mi sedetti su una panchina di pietra improvvisata al ciglio della
strada con il mento poggiato sulle mani e aspettai che facesse notte. Ero
esausta e quando il cielo fu quasi del tutto tinto di nero, mi addormentai.
Il rumore di una carrozza mi risvegliò dal mio sonno: la luna era sospesa
in cielo e illuminava lo scenario davanti a me: mio padre stava scendendo da
una carrozza ferma in cui erano seduti Alberto e suo padre.
Libertà finita.
“Padre...” mormorai ancora stordita dal sonno.
“Ti sei ribellata alla mia parola, mi hai disubbidito! Sciocca! Sei
scappata di casa, e io non so più che cosa fare con te! Le ragazze perbene non
si comportano così!” gridò mio padre dandomi uno schiaffo.
Le lacrime tornarono a inondare i miei occhi.
“E adesso alzati, non farmi perdere tempo!”
Mi alzai e mio padre mi spinse fino alla carrozza.
Mentre tornavamo a casa, ero accecata dall'ira.
Se non sarei sfuggita a quel maledetto matrimonio da viva, ci sarei
sfuggita da morta.
Avevo deciso: il giorno del mio matrimonio sarebbe stato anche il giorno
del mio funerale.