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Autore: DanieldervUniverse    04/05/2019    1 recensioni
Sei giovani figli di una generazione perduta, soli, spaventati, isolati, senza che nessuno gli spieghi perché e come mai non possono sapere...
Genere: Dark, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dissidia - Kingdom of Light Fantasy'
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Ceodore si accostò alla parete di roccia il più possibile, cercando di non precipitare nel vuoto. Golbez non gli dava un attimo di respiro. Il ragazzo non si fece sfuggire neanche un sospiro e rimase immobile, aspettando. Poi la roccia su cui si trovava venne scossa da una forza invisibile, e lui cadde. Pensò di essere prossimo a morire, fu colto da un improvviso terrore che lo fece gridare, gli fece perdere il controllo, finché non atterrò dolorosamente su una superficie irregolare e ruvida. Schiacciò il gomito sinistro sotto il suo corpo e gemette di dolore, rotolando da parte nel tentativo di rimettersi in piedi. Incespicò sforzando le gambe al massimo, per poi iniziare a zoppicare velocemente verso il masso successivo, che si stava avvicinando a tutta forza. Riuscì a saltare per un pelo, mentre i due massi collidevano spargendo detriti tutt’attorno; Ceodore sfruttò la situazione a suo vantaggio, usando la nube di polvere come copertura per nascondersi tra le rocce vaganti.
“Andiamo, almeno una volta…” pensò, ansimando. Digrignò i denti mentre controllava che il braccio non fosse rotto: per fortuna era solo indolenzito. Non era neanche riuscito a capire dove fosse Golbez. Si sporse furtivamente dal sua nascondiglio, ma non vide niente librarsi in nell’aria se non le gigantesche pietre su cui avevano duellato. Ceodore si ritrasse, non ritenendo saggio restare allo scoperto, e per poco non cadde di nuovo dalla roccia dalla sorpresa: Golbez volteggiava di fronte a lui. La sua posa esprimeva tranquillità, controllo, predominio, e potenza.
-Ma perché non mi dai un attimo di respiro!?- esclamò Ceodore, esasperato. Golbez non rispose, limitandosi a sollevare la mano sinistra. Ceodore saltò da parte, riuscendo a raggiungere una piattaforma vicina, ma l’attimo successivo venne scagliato in avanti dallo schiocco di una saetta. Riuscì ad estrarre la spada con il braccio buono e si volse verso lo stregone. Venne nuovamente abbattuto a terra da un'esplosione di fiamme prima ancora di capire cosa l’aveva colpito. L’attimo successivo si riprese e scagliò una lama sacra contro Golbez, ma l’avversario non era più lì per riceverla. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo colto da un improvviso timore, e vide un macigno grosso quanto lui fermarsi a pochi palmi dalla sua fronte, lasciandolo a rimirare la sua condanna.
-Cosa ti ho sempre detto?- chiese suo zio, alzando la pietra per fissarlo dritto negli occhi. Ceodore non replicò, mentre Golbez andava a posarsi davanti a lui: era alto quasi il doppio di lui e largo una volta e mezza.
-Non devi mai perdere il contatto visivo con l’avversario, è la regola del combattimento- continuò a rimproverarlo l’uomo, mentre i detriti lunari tornavano a posarsi sulla superficie della luna.
-S-sì zio- balbettò con poca convinzione il ragazzo, intimorito.
-Perché allora non lo fai mai?- insisté l’altro, incrociando le braccia con fare inquisitorio.
-M-ma p-p-perché… non è facile con te- provò a giustificarsi il ragazzo, alzando le braccia. Si pentì di quella risposta quando avvertì lo sguardo di rimprovero dello zio fissarsi su di lui. Forse l’avrebbe messo a combattere con il suo drago dell’ombra per punizione, di nuovo. Più ci pensava più gli sembrava impossibile: gli ci erano voluti sette anni solo per riuscire a scalfire le scaglie del drago, figurarsi quanti gliene sarebbero serviti per penetrare l’armatura dello zio.
-Ti sto allenando a combattere proprio perché non sarà mai facile, e sicuramente questo non è niente di paragonabile a combattere dei veri nemici- lo rimproverò seccamente Golbez.
-C-chiedo scusa- balbettò, inchinandosi con rispetto, e non osò spostarsi da quella posizione finché il suo sensei non glielo concesse.
-Andiamo, finiscila di fare il ragazzino. Hai quasi diciotto anni, ormai sei un uomo- gli disse lo zio, appoggiandogli una gigantesca mano sulla spalla.
-Ma perché non funziona mai? Non riesco a capire come fare!- esclamò Ceodore, lamentandosi a pieni polmoni per la frustrazione.
-Devi continuare a combattere ancora e ancora, finché troverai il modo- ribadì Golbez -Non ti sarà data una seconda opportunità in battaglia.
Ceodore crollò in ginocchio, sfinito e dolorante.
-Per oggi basta, sei abbastanza lesionato da non meritare altre torture- continuò suo zio, prendendolo letteralmente in braccio.
-Perché non posso imparare la magia come te?- chiese.
-Ho perso le speranza con te.
-Ma riesco a difendermi un poco.
-Non puoi affidarti alla magia in combattimento. Sei troppo poco dotato- replicò il gigante, chiudendo la questione.
-Ma potrei se tu ti impegnassi di più come insegnate.
-Fidati ragazzo, devo impegnarmi più di te per insegnarti.
-Ma perché?
-Perché, Ceodore. Ho promesso che ti avrei spiegato più in dettaglio il giorno del tuo diciottesimo compleanno. Manca ancora un po’ di tempo, cerca di prepararti quante più domande possibili per quel giorno.
Il ragazzo lasciò perdere la cosa con uno sbuffo. Alzò lo sguardo verso la terra, l’enorme sfera azzurra e grigia, misteriosa e irraggiungibile per loro che vivevano in esilio sulla Luna.


Aeis poteva sentire il pianeta attraverso le sue mani e i suoi piedi: la terra era porosa, parlava con voce propria, si insinuava tra le pieghe della sua pelle, accarezzandola dolcemente. Il Lifestream scorreva silenzioso poco sotto la superficie, rassicurante e calmo. Grazie ad esso la consapevolezza di Aeis poteva spingersi oltre i limiti del suo corpo, assaporare quella sensazione di libertà che la portava a volare sopra le nuvole o strisciare nella profondità della terra. Almeno fino ai confini della sua casa: oltre il Lifestream era come inerte.
Nemmeno gli animali andavano oltre. Aeis sperava di farcela un giorno, tutto il suo corpo gemeva per lasciare quei confini, di ricongiungersi al grande flusso e trovare la pace. D’improvviso il Lifestream venne scosso da un’onda, diventando silenzioso. Aeis sentì il pericolo avvicinarsi a passi decisi, l’aura di morte che lo circondava terrorizzava il pianeta stesso. Ma Aeis non si fece intimorire, e la forza della sua discendenza risuonò attraverso le sue mani, scatenando la sua piena potenza: la terra stessa si sollevò attorno a lui, circondandolo, avvinghiandosi alle sue gambe e le sue braccia. Poi Aeis piroettò in aria con una spinta sovrumana e atterrò lontano, dove le lame argentee non potevano ferirla. Il suo potere, la eredità, graffiava alla porta, così lei lo liberò: piume si diffusero sulla sua pelle, le unghie divennero artigli, i denti zanne, tutto venne allo scoperto.
L’angelo della morte la fissava immobile a pochi metri di distanza, con la terrificante lama che dondolava dalle sue mani e aspettava di colpirla. Pochi attimi dopo la raggiunse, accarezzando la sua guancia. Aeis rispose con una colonna di fuoco. Lui ci passò attraverso senza timore, e in un attimo le fu addosso. Era veloce, forte, esperto. Ad ogni attacco lo respingeva, e sembrava prevedere ogni sua mossa. Quando i suoi artigli riuscivano a scalfirgli la carne, essa guariva. Era una nemico invincibile, ma Aeis l’aveva fatto altre volte, è tutta la vita che lo combatteva, e mai era riuscito a sopraffarla. Anche quella volta sarebbe finito allo stesso modo.
Di colpo l’angelo si piegò in due, gemente: il suo corpo parve prosciugarsi, le sue vene si gonfiarono abbastanza da risaltare sulla sua pelle pallida, risplendendo di pura energia verde, e lui sarebbe svenuto se lei non l’avesse preso al volo.
Aeis usò i poteri lenitivi del Lifestream per dargli energia ed aiutarlo ad uscire dalla crisi.
-Stai sempre peggio- gli disse, mentre il suo mentore si riprendeva.
-Tu diventi sempre più brava- replicò Sephiroth, mettendole una mano sulla spalla -Sono fiero di te.
-Non scherzare così- lo rimproverò Aeis, aiutandolo a rimettersi in piedi -Così non può continuare.
-Coraggio ragazza, non può andare peggio di così- replicò lui, incrociando il suo sguardo. Aeis vide tutta la sua sofferenza trasparire dai suoi occhi stanchi.
-Invece sì. Devo trovare il modo di curarti, ormai non hai quasi più forza.
-Tu sei più importante bambina.
Le diede un buffetto, riuscendo poi ad alzarsi da solo. Torreggiava su di lei, ma sapeva essere molto affettuoso nonostante la stazza, e fragile nonostante la forza.
-Come fai a non sporcarti tutta quando lottiamo?- le chiese, riferendosi alla pelle immacolata della ragazza. Aeis allargò le spalle, uscendo dalla Trance e lasciando che i suoi piedi nudi affondassero fin oltre la caviglia.
-Devi ricordarti di indossare abiti ogni tanto- la rimproverò lui, cingendole le spalle.
-Indovina da chi ho preso.
Sephiroth sospirò.
-Tua madre non avrebbe mai approvato.
-E mio padre?
-Quello si è travestito da donna. Lo sfido a rimproverarti per questo.


-A mamma piacevo io?
-Mi fai questa domanda ancora? È da quando eri un poppante che non fai altro che insistere su questa storia- replicò Jecht, ruttando sonoramente. Nonostante l’età era ancora capace di bersi due galloni di birra e sentirsi fresco come una rosa, e questo era l’importante.
-Perché mi piace sentirtelo dire, nonno- rispose il giovane Gaius. Aveva gli occhi di sua madre e la zazzera biondo sporco di suo padre,ma per il resto era alto e muscoloso come Jecht. E altrettanto dotato nel blitzball, a suo giudizio.
-Tuo madre era un angelo- continuò lui -Non chiedermi di parlare di lei ragazzo. Le mie parole non le rendono giustizia.
-E allora raccontami di mio padre.
-Oddio, non hai proprio pietà per questo vecchio- si lamentò, abbandonando la bottiglia a terra -Tuo padre e io non andavamo d’accordo ragazzo, lo sai. Ci sono state parole dure da entrambe le parti, e nessuno di noi era disposto a cedere per amore dell’altro.
-Ma vi volevate bene lo stesso.
-Psss. Non ne hai idea. Avrei smosso le montagne per lui, e lo farei ancora.
-E perché non lo fai allora?
-Mi prendi in giro: senza il mio braccio buono?- replicò Jecht, indicando il moncherino: tutto quello che restava del suo braccio destro dopo la battaglia.
-Ahi ahi ragazzo, i tempi in cui il buon Jecht torreggiava sul campo di battaglia sono finiti.
-Ma ti piace sempre raccontare questa storia, non è vero?
-Assolutamente ragazzo- ghignò l’uomo -La mia voce ha abbastanza forza per riecheggiare fino ai confini del mondo, e lo farà anche quando sarò morto.
-Quando potrò conoscerla tutta?
-Ah, è questo che volevi sapere.
Jecht si alzò e diede una sonora pacca alla spalla del nipote.
-Hai ancora qualche giorno prima che scada il contratto, ragazzo, non barare. Ora finiamo questa birra, domani ci servirà di essere in forze per l’allenamento. Non provare a farmi una faccia delusa, entro pochi giorni ce ne andremo da Besaid. E dovremo farcela tutta a nuoto, quindi risparmia il fiato per allora: non ti permetterò di affogare.


Mikoto sapeva di avere una pazienza sovrumana, per cui non si sorprese che i maghi neri si fossero arresi di nuovo al suo posto.
-Salis- disse con dolcezza, pettinando i capelli scuri della ragazza -Non potresti almeno cercare di essere un poco più comprensiva nei confronti degli altri.
-Io non ho alcun interesse a passare le mie giornate a raccogliere i fiori ed occuparmi degli infermi, zia- sibilò la ragazza. Mikoto non poteva vederla in faccia ma sapeva che stava facendo del suo meglio per venirle incontro. Dopo tutto, era lei che ci teneva che la sua adorata e unica nipotina apparisse elegante nel giorno del suo compleanno.
-Nel villaggio sei al sicuro. Fuori da qui c’è solo morte.
-Mi hai raccontato molte volte questa storia.
-È perché tu insisti a voler uscire?
-Perché voglio andarmene da questo posto!- scattò Salis, facendo per sfuggirgli. Mikoto la lasciò fare, tanto non sarebbe andata lontano nel suo nuovo vestito. Tuttavia la giovane la sorprese andando a sedersi dall’altro lato della stanza, lanciandogli un’occhiata penetrante.
-Hai detto molte volte che mi avresti fatto andare via da qui- sbuffò infine, rompendo il contatto.
-Quando ti avrei ritenuta pronta.
-Io sono pronta!
-Non sta a te deciderlo- la interruppe Mikoto -Ho promesso che mi sarei presa cura di te e che ti avrei preparata a questo. Mancano solo due giorni al compleanno, allora potrai sapere tutto quello che ti serve.
-Quindi potrei anche andarmene da qui solo volendolo?
-Difficilmente tesoro- replicò Mikoto -Tu non sai cosa ti aspetta lì fuori.
-Ma hai detto che sono pronta!
-Non lo sei cara- continuò la genoma -Ora vieni, devo finire di pettinarti.
Salis non diede segno di muoversi.
-Salis Tribal Alexandros- insisté Mikoto, senza perdere la calma nemmeno per un istante -Vieni a sederti affianco a me, ora.
Salis sbuffò, ma alla fine cedette.
-Cerca di fare in fretta- protestò. Mikoto sorrise, e si rimise al lavoro. La pazienza alla fine l’aiutava sempre.


-Non pensare di farti scrupoli- ringhiò Seifer, fissando l’allieva con le mani sui fianchi e lo sguardo inquisitorio -Oggi non si fanno sconti!
-Cominciamo?- domandò lei impassibile. Il suo gunblade era già estratto, e lei era pronta alla battaglia. Seifer fece scrocchiare il suo collo, poi si fece avanti nell’anello di addestramento con fare borioso.
-Ricordatevi tutti- disse, rivolgendosi all’auditorium zeppo di studenti del garden -Questa è una battaglia fino alla morte! Nessuno deve interferire!
Quindi volse il capo direttamente verso la sua studentessa -Se il cucciolo sarà indegno affogherà nel suo sangue!
Qualche mormorio preoccupato si sollevò dalle gradinate, ma Seifer lo ignorò: era l’ora della verità.
Estrasse il suo fidato gunblade dal fodero e si fece avanti, camminando in cerchio assieme alla sua avversaria. Si stavano studiando a vicenda come due cani rabbiosi, attendendo che suonasse la campana per iniziare. Seifer voleva sangue quel giorno. Finalmente ne avrebbe avuto un assaggio.
Il gong interruppe i suoi pensieri e l’adrenalina fece il resto. In un lampo furono uno di fronte all’altra, i gunblade incrociati che stridevano a pochi millimetri dei loro volti. Seifer la guardò negli occhi e vide solo la sua disumana determinazione. Poi la spinse via, incalzandola con una serie di ampi fendenti, mirando prima alle gambe. Ma la giovane aveva imparato bene, si sottrasse facilmente ai suoi colpi con dei rapidi saltelli e rispose con un fendente dall’alto mirando alla sua testa. Seifer intercettò l’attacco a poca distanza dal suo volto e lo respinse, concentrandosi di nuovo sull’offensiva. La ragazza resse il confronto non concedendo terreno.
Le loro armi si incrociavano veloci come lampi, lasciando solo rapide scie di scintille nell’aria mentre la danza continuava. Seifer tentò due affondi in rapida successione, ma la giovane schivò il primo e deviò il secondo, piroettando su se stessa e tentando un fendente obliquo alle sue gambe, costringendolo ad indietreggiare. La folla non cercava di trattenersi, ormai grida d’incoraggiamento rimbombavano tutte attorno. La ragazza cercò di mantenere l’offensiva, imitando l’aggressivo assalto di Seifer, ma lui non le concesse terreno, e realizzò presto che l’allieva stava diventando troppo sicura di sé: non si stava concedendo spazio di manovra per controllare lo scontro, presto si sarebbe avvicinata troppo e…
Seifer deviò il suo attacco con una forte torsione con entrambe le braccia, spingendola fuori asse, e la ragazza barcollò. L’istante successivo una linea rossa si formò sul volto della giovane, un taglio obliquo proprio al centro. Grida di sgomento si alzarono tra gli spettatori, ma Seifer le ignorò: la sua allieva lo stava deludendo, dopo anni di addestramento si era fatta fregare dalla sua maledetta arroganza, proprio come suo padre.
Seifer tornò all’attacco, cercando il colpo letale mentre la sua avversaria era ancora disorientata. Lei riuscì a tenersi fuori dalla sua portata, facendo appello alla sua velocità per riuscirci. Seifer calò un colpo dall’alto troppo violento e lo giovane bloccò a terra la punta della lama con il suo stivale. Il guerriero la spinse da parte con una torsione, ma dovette ritrarre la lama in fretta per parare il fendente successivo. Tentò di sfruttare la parata per il contrattacco, mirando al fianco esposto, ma lei schivò di nuovo e riprese incalzarlo con colpi precisi e misurati. Seifer dovette indietreggiare, non riuscendo a spezzare il suo ritmo.
Scambiarono ancora una dozzina di colpi in rapida successione, poi la ragazza superò la sua guardia. Seifer cercò di allontanarla con la mano libera, ma l’istante successivo realizzò il suo errore e vide il suo keyblade venire scagliato fuori dalla sua mano. Poi venne il dolore, gelido e rovente allo stesso tempo, quando la giovane gli impresse sul volto una seconda cicatrice, complementare a quella che già possedeva. Il bruciore della sconfitta gli fece ardere l’orgoglio.
-Basta!- urlò, silenziando la folla e arrestando la ragazza a metà del gesto, un altro affondo dall’altro che probabilmente gli avrebbe aperto il petto come ad un branzino. Seifer fissò la sua allieva, vide il volto attraversato da quella cicatrice, e gli tornò in mente il suo primo duello tanti anni prima… Annui verso di lei, convinto.
-L’allieva ha superato il maestro ah?- bisbigliò, mettendosi le mani sui fianchi.
-Sei degna di tuo padre- le disse -Sei degna del suo rispetto, e sei degna della sua spada.
Le afferrò il polso destro e lo sollevò in aria, con tutto il gunblade stretto nella sua presa.
-Questa lama è stata battezzata con il mio sangue!- gridò, rivolgendosi a tutti -Non sarebbe stata la stessa cosa se fosse successo in altro modo!
Un boato accolse la dichiarazione, mentre l’intera scuola festeggiava il riuscito esame.
-Congratulazioni piccola- aggiunse poi, stringendo la giovane in un caloroso abbraccio -Sei una vera Leonhart.
Rasida restituì la stretta, seppure per un breve periodo.
-Maestro- disse, dopo qualche minuto.
-Non mi chiamare più così!- la seccò lui, allontanandola -Ora hai conquistato la spada di tuo padre. Sei pari a me.
-Va bene- replicò lei -Seifer. Ho mantenuto la mia promessa e ho superato la prova. Ora tocca a te.
-Certamente ragazza- rispose lui, facendole segno di seguirlo -Andiamo nel mio ufficio, ne avremo per un po’. Chiederò a Quistis di prepararci qualcosa da bere.
-Io non bevo.
-Dopo che avrò finito di raccontarti ne avrai bisogno.


Caius attese pazientemente che il ragazzo si sentisse pronto. La verità era fardello pesante, specie per un giovane che aveva speso diciotto anni all’oscuro di tutto. Ma era sicuro che il ragazzo non l’avrebbe deluso. Arain era un giovane forte, disciplinato e ferreo come sua madre, ma anche gentile e responsabile come suo padre. Aveva tutte le migliori qualità di un guerriero e di un leader, avrebbe saputo sopportare il peso della verità e del compito che lo attendeva, e avrebbe aiutato i suoi futuri compagni a sopportare il proprio. Alla fine il ragazzo tornò, armato di tutto punto. Il gunblade di sua madre era legato in vita, lo scudo stretto attorno al braccio sinistro, l’arco e la lancia a tracolla, i pugnali nei gambali e la spada appesa all’altro fianco.
-È tutto vero- disse, sedendosi di fronte a Caius -Ho guardato oltre il portale temporale, ho visto tutto.
Il guerriero annuì. Alla fine Arain aveva fatto la sua scelta, e aveva scelto bene.
-Non si può più tornare indietro ragazzo- gli disse Caius -Non avrai chance di ripensarci.
-Mi hai preparato per diciotto anni a questo- rispose lui. I suoi lunghi capelli rosa chiaro erano tenuti indietro da una bandana, ma alla luce del fuoco sembravano risplendere come braci.
-Sono pronto- continuò Arain, alzandosi in piedi.
Caius lo imitò, afferrando la sua spada e dirigendosi all’ingresso della capanna. Arain lo seguì in silenzio.
-Sono fiero di te ragazzo- gli disse, quando raggiunsero il portale -Fai onore alla tua famiglia.
-Faccio onore al mio maestro- replicò lui, facendogli un rapido inchino. Caius gli mise una mano sulla spalla, in segno di conciliazione, poi lo guidò attraverso il portale


Nota dell’Autore: Questa è una One-Shot di prova, ormai parlando di me sapete di cosa si tratta. Però posso aggiungere che questo è un seguito di Kingom of Light, molti anni e tragedie dopo. Alla prossima. Ciao.

  
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