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Autore: heliodor    16/05/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Al Puledro Morto
 
Joyce cominciava ad averne abbastanza di quel panorama monotono e ripetitivo. Da tredici giorni si muoveva lungo una pianura punteggiata da piccole fattorie e boschi e torrenti.
La via costiera era più interessante di quella interna. L'unico vantaggio erano le montagne sulla destra che la proteggevano da Orfar. Proseguendo lungo quella via, le aveva assicurato Kallia, le pattuglie di Skeli non l'avrebbero trovata mai.
Per sette giorni aveva proseguito fermandosi solo quando era certa che non ci fosse nessuno in giro.
Era diventata brava a bivaccare all'aperto e dormire sull'erba non le dava più tanti problemi come all'inizio.
Inoltre aveva con sé il compendio e poteva riprendere a tradurre le pagine che aveva lasciato indietro.
"Vadar Takiri" disse ad alta voce, i palmi delle mani vicini come quando doveva evocare una palla di fuoco.
Un oggetto brillò tra le dita. L'aria divenne fredda, come se qualcosa ne stesse risucchiando il calore.
In uno dei palmi prese forma un oggetto appuntito dalla forma di una freccia. Lo esaminò da vicino. Era traslucido e sfiorandolo si accorse che era freddo. Ghiacciato.
Un dardo di ghiaccio, pensò. A cosa potrebbe mai servirmi? Il ghiaccio non può certo sfondare un'armatura. Me ne servirebbe uno davvero grosso.
Decise di fare una prova. Raccolse una pietra e la strinse nel palmo chiuso.
“Vadar Takiri” momorò.
Quando aprì la mano, il ghiaccio aveva avvolto la pietra, coprendolo con un sottile strato.
Ancora iù inutile, si disse. Come faccio a usare questo incantesimo?
Provò con una pozzanghera che si era formata ai piedi di un albero. Vi appoggiò dentro la mano, appena sotto il pelo dell’acqua.
“Vadar Takiri.”
L’acqua della pozzanghera congelò davanti ai suoi occhi intrappolandole la mano.
Cercò di tirarla fuori con sgomento. Avere un arto congelato non era una buona idea.
La mano tuttavia non venne fuori e dovette attendere che l’acqua scongelasse da sola. Non provò dolore né disagio e quando la riuscì a liberare, la esaminò con cura.
La mano era fredda ma la pelle era integra, come se l’incantesimo l’avesse protetta dal ghiaccio che si era formato attorno a essa.
Per oggi basta con le prove, si disse risalendo in sella.
Barakzah era un agglomerato di case che sorgeva a ridosso di un bosco. La città sembrava essere stata costruita abbattendo gli alberi e sostituendoli con case di legno e pietra.
Non vide mura di protezione né palizzate. Solo un paio di soldati all'ingresso della via principale.
Da lontano vide ergersi la guglia di un campanile e sulla destra il tetto di un edificio di pietra grigia, forse un vecchio castello.
I soldati all'ingresso le gettarono un'occhiata distratta.
"Ecco che ne arriva un'altra" disse il più giovane. Aveva la barba incolta e sopracciglia grosse e spesse da coprirgli la parte basse della fronte.
L'altro doveva avere qualche anno in più visti i capelli grigi e la pelle del viso piena di rughe.
Joyce si schiarì la voce. "Questa è Barakzah?" chiese con tono gentile.
"Questo è l'ultimo nome che gli hanno dato" disse il giovane. "Quando avevo più o meno la tua età si chiamava Delve."
"E prima ancora l'Avamposto di Karak" disse l'anziano. "E mio nonno diceva che ai suoi tempi si chiamasse Fosso di Eanswith, ma non ne era sicuro."
Joyce si accigliò. "Come mai tanti nomi?"
"Ai Berryn piace cambiare, ogni tanto" disse il giovane divertito.
"Chi sono i Berryn?"
"I padroni di tutte le terre che vedi lì fuori" disse indicando le pianure a meridione. "Comprese le fattorie, i granai, i cavalli e i maiali."
"Sì, anche i maiali, certo" gli fece eco il vecchio.
"Sono molto ricchi?"
"Più di quanto dovrebbero, meno di quanto vorrebbero" rispose il giovane. "Anche tu sei qui per la caccia?"
"Quale caccia?" chiese Joyce.
I due si scambiarono un'occhiata perplessa. "Non sei qui per la caccia?"
"In verità passavo di qui per caso" disse Joyce. Durante il viaggio non era riuscita a pensare a una scusa migliore di quella. "Di che caccia parli?"
"Questa sì che è bella" disse il giovane soldato. "Nessuno passa di qui per caso. Siamo lontani da tutte le strade principali, sai. Chi vuole andare da Berger ad Azgamoor prende la nave o segue la via costiera, mentre se vuoi andare verso Kharkad prendi la via dell'Altopiano che è più sicura."
"Credo di essermi persa" disse Joyce sperando di apparire solo ingenua e non stupida.
"Allora ti sei persa nel posto giusto" disse il soldato giovane. "Come ti dicevo, sta per avvenire una caccia e cercano guerrieri e stregoni. Pagano bene da quanto ho saputo."
"Di che cosa si va a caccia? Orsi, lupi? Troll?"
Il soldato rise. "Troll? No, accidenti, no. Questa è una caccia vera. Dicono che si tratti di una banda di predoni. Gente davvero pessima che ha depredato parecchie fattorie e villaggi. I Berryn hanno messo una taglia sulle loro teste e quella del comandante, la strega chiamata la Stella del Mattino."
Una caccia all'uomo, come in Turryk Cuore Selvaggio, pensò Joyce. Solo che lì era il protagonista a venire inseguito dai paladini cattivi di sir Dryde Elvas. E riusciva a ingannare i suoi inseguitori con un incantesimo di invisibilità.
"Sto cercando una strega" disse Joyce. "Mi hanno detto che fa parte del circolo di Barakzah."
"Strega, dici?" fece il soldato anziano. "Dovresti chiedere al circolo. È in fondo a questa strada. Cerca l'edificio più vecchio, non ti puoi sbagliare."
"Grazie" disse Joyce. Valutò se fosse il caso di allungare una moneta ai due, ma per una volta che poteva risparmiare decise di tirare dritto.
Kallia le aveva dato un sacchetto con un centinaio di monete e non voleva sprecare il denaro altrui.
Sulla strada principale affacciavano la maggior parte degli edifici in pietra della città. Quasi tutti avevano due piani, uno dei quali in legno. Dalle ampie finestre aperte poteva vedere donne e ragazzi affacciati a godersi il sole della primavera.
Dei bambini giocavano a rincorrersi vicino a delle pozzanghere, incuranti degli animali e di chi passava di lì.
Due uomini col petto scoperto stavano scaricando sacchi e barili da un carro fermo davanti a un emporio.
Una donna trascinava via per il braccio un ragazzino sudicio che doveva aver fatto il bagno in una delle pozzanghere.
Dalla bottega di un fabbro proveniva un martellio incessante e il rumore di un mantice che aspirava l'aria.
Un uomo esponeva su di un carretto delle pagnotte di pane dall'odore fresco e fragrante. Joyce fu tentata di fermarsi e comprarne un paio, ma decise di proseguire.
Poco più avanti uomini in armatura camminavano in file di tre per la strada discutendo tra loro.
"Se i Berryn pagano davvero tanto..."
"Finalmente potrò pagare quel debito con mio cugino..."
"Devo far affilare la spada a quel fabbro."
Joyce li ignorò e proseguì. In fondo alla strada si ergeva un edificio a tre piani tutto di pietra.
Un arco circolare delimitava l'entrata. Il portone di legno rinforzato era spalancato e uno dei cardini aveva ceduto, facendolo inclinare di lato.
Oltre l'arco vide un cortile invaso dalle erbacce che crescevano attorno ad alberi dalle chiome rigogliose. Sui tre lati opposti all'entrata correva un colonnato.
Joyce smontò e si avvicinò all'entrata. Si era aspettata di dover rispondere a delle domande e al probabile rifiuto di farla entrare, non a quello che vedeva.
Il giardino sembrava deserto, fatta eccezione per un ragazzo disteso sotto uno degli alberi. Mentre Joyce lo fissava girò una pagina del libro che aveva tra le mani.
Non vide nessun altro nelle vicinanze.
Joyce si fece coraggio e superò l'ingresso. "Chiedo scusa."
Il ragazzo sollevò gli occhi dal libro. "Per cosa?"
"Sto cercando una persona."
Il ragazzo mise via il libro e si alzò, permettendole di studiarne l'aspetto. Indossava dei pantaloni scuri e una camicia bianca, sopra la quale portava un giacchetto di cotone. Non sembrava avere più di tredici o quattordici anni a giudicare dai lineamenti del viso. I capelli erano scuri e folti. "Vado a chiamare Gorgas. È lui che si occupa di queste cose."
Joyce lo guardò correre verso il colonnato e scomparire sotto di esso. Sospirò e attese.
Qualche minuto dopo, il ragazzo tornò in compagnia di un uomo anziano e curvo con una lunga barba grigia e l'andatura incerta.
"Lui è Gorgas" disse il ragazzo. "È il decano del circolo."
Joyce fece un leggero inchino. "È un onore incontrarla, signore."
Solo allora notò che altri erano usciti dall'edificio e si erano piazzati sotto il colonnato. Ed erano tutti ragazzi molto giovani. Una di essi poteva avere al massimo dodici anni e una figura esile e delicata.
"Sei venuta a portarci le scorte mensili? Sei in anticipo" disse l'anziano con voce gracchiante.
"Mi spiace, non ho con me alcuna scorta" disse Joyce imbarazzata.
Gorgas guardò il ragazzo. "Beric, lo sai che non devi raccontarmi menzogne."
Il ragazzo si strinse nelle spalle. "Eccellenza, qui vengono solo i fornitori. Pensavo che fosse qui per quello."
"In realtà sto cercando una persona" disse Joyce.
"E la cerchi qui?" fece Gorgas.
"Mi hanno detto che fa parte di questo circolo."
"Forse posso esserti d'aiuto. Chi stai cercando?"
"Una donna di nome Joane."
Il viso di Gorgas si rabbuiò. "Screanzata" disse agitando minaccioso un pugno. "Vieni a prenderti gioco di noi? Ti sembra divertente?"
Joyce arrossì. "Eccellenza, mi dispiace. Se ho detto qualcosa che l'ha offesa io..."
"Se vuoi trovare Joane, vai alla taverna del Puledro Morto invece di perdere tempo qui." Gorgas scosse la testa e andò via.
"Vi porgo ancora le mie scuse" disse Joyce imbarazzata. "Davvero non pensavo..."
"Hai un bel coraggio" disse Beric voltandosi con sguardo minaccioso. "Ti ha mandato Aghas, vero? O è stato Linerdhir? Quei due sarebbero capaci di tanto. Oppure quello che è appena arrivato in città, lo stregone che chiamano la Tigre Bianca? Vieni per conto suo a cercare informazioni?"
"Non conosco quelle persone" disse Joyce confusa.
Beric scosse la testa e seguì il maestro. "Vattene. Non abbiamo nulla da dirti noi."
Joyce tornò al cavallo e montò in sella.
Non è andata come speravo, si disse. Chissà dov'è la taverna del Puledro Morto.
Le bastò chiedere al primo che incontrò per strada, un uomo di mezza età che sembrava andasse di fretta.
"La taverna di Aghas?" chiese seccato. "La trovi proprio lì, oltre la piazza del mercato. Non ti puoi sbagliare, è una catapecchia che sembra sul punto di crollare da un momento all'altro, ma è pulita, anche se di recente è un po' affollata."
"Ti ringrazio" disse Joyce.
L'uomo ripartì verso la sua destinazione senza rispondere al suo saluto.
Joyce scrollò le spalle e si avviò nella direzione indicatale. Superò la piazza del mercato con le bancarelle piene di merce esposta e intravide il piano superiore della taverna.
Era davvero malmessa come le aveva detto l'uomo. Non c'era una sola trave che non fosse sconnessa. Il legno sembrava marcio e le finestre avevano tutte i vetri sfondati, quando ne avevano.
Davanti all'ingresso c'era una folla di almeno una cinquantina di uomini e donne, la maggior parte in armatura leggera o armato di spada. Vide numerosi sacchi passare di mano. I mercanti sciamavano tra la folla vendendo la loro mercanzia e si sentivano voci concitate.
"A me sette."
"Ti offro dieci monete per quel vino."
"Me ne hanno offerte dodici."
"Dalle a me per quindici."
"Mi servono dardi per la mia balestra. Puoi farmeli avere?"
"Carne essiccata ne avete?"
"Di ottima qualità."
"Portane dieci pietre. Tanto offre Berryn, no?"
Risate sguaiate.
Joyce adocchiò un uomo alto e magro che ciondolava come in attesa davanti alla stalla. "Quanto vuoi per tenerlo mezza giornata?"
"Mazza giornata fa due monete. Una giornata intera tre."
"Vada per un giorno intero" disse Joyce smontando. "Tutta questa gente è qui per la caccia?" chiese.
L'uomo aveva già afferrato le redini. "E per quale altro motivo?"
"Sai per caso se nella taverna alloggia una certa Joane?"
L'uomo scrollò le spalle. "Prova a chiedere ad Aghas. È lui che tiene la lista degli ospiti."
"Come lo riconosco?"
"È quello dietro al bancone."
Joyce annuì e si diresse all'entrata. Si fece strada a spintoni per superare gli uomini e le donne che si accalcavano fuori dalla taverna e quando passò la soglia arricciò il naso.
La puzza di vino, cibo andato a male, vomito e sudore era insopportabile. La sala era così piena che non poteva muovere un passo senza inciampare in uno degli avventori.
Superò un uomo enorme e una donna più grossa di lui che lottavano avvinghiati sul pavimento mentre una dozzina di soldati li incitavano.
Un uomo giaceva a terra con gli occhi chiuie e la bocca aperta e incrostata di liquido verde e giallo.
Joyce distolse gli occhi e lo sguardo le cadde su un gruppetto che stava giocando a dadi. Un uomo le passò accanto gridando e tenendosi una mano con l'altra.
"Maledetto" gridava l'uomo con un misto di dolore e rabbia.
Joyce vide il manico di un pugnale spuntare dal dorso della mano e la lama dal palmo.
Scosse la testa e guardò in direzione del lungo banco in fondo alla sala. C'erano degli avventori seduti sugli sgabelli che bevevano da grosse caraffe ridendo e parlando tra loro.
Dietro al banco c'era una donna corpulenta vestita di un grembiule macchiato, ma non vide nessun uomo accanto a lei.
Forse è una donna, si disse avanzando vero di lei.
Una mano si posò sulla spalla costringendola a voltarsi. "È proprio lei" gridò una voce impastata. "Ryde, che gli inferi ti portino. Avevi proprio ragione tu."

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