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Autore: milla4    20/05/2019    3 recensioni
Albert"Smoothie" Jay Andersen è l'uomo che ognuno vorrebbe essere ma che nessuno raggiungerà mai. Non è perfetto, anzi, ma era un esempio di bontà e a questo mondo è difficile trovarne uno vero da seguire. Forse quasi impossibile.
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Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Capitolo 2 - L’inizio*
 
 
 
Lui era Albert “Smoothie” Jay Andersen figlio di una matura ragazza texana e di un padre che aveva deciso di scappare poco dopo la sua nascita. Di lui nessuno seppe più nulla e, nel tempo, Smoothie smise di anche di chiedere.
Aubrey Andersen aveva scovato il suo affascinante irlandese quando aveva già quarantuno anni e la sua famiglia già l’aveva annoverata tra le innumerevoli zitelle di quella generazione. Quando era tornata a casa da Boston con la pancia già grande di sei mesi, la famiglia si era chiesta se fosse un tumore quello che cresceva prepotentemente nella non più giovane Aubrey e che quell’irlandese che tanto declamava, e che non si era mai mostrato, fosse soltanto una foto presa da qualche parte. Ed invece solo tre mesi dopo era nato Smoothie e le chiacchiere in famiglia finirono all’istante. Quel bambino infatti era ciò che ogni madre voleva: era buono, non piangeva mai se non per fame, cosa più che accettabile, e si divertiva a giocare con quel poco che Aubrey si ricordava di comprargli. Sembrava poco sveglio ma era soltanto goffaggine la sua, amava aiutare il prossimo e non era raro vederlo tornare a casa con labbra spaccate o occhi neri.
Altro e allampanato, con i capelli radi e biondicci presi dalla madre e il naso schiacciato forse del padre irlandese, non era un ragazzo attraente né lui si considerava tale, ma non gli importava: era pieno di amici con cui divertirsi e… parlare.

«Claire, ti presento Smoothie Jay» la ragazza sorrise a Cole «È un tuo amico?», il ragazzo annuì «Che tenero!» esclamò la bionda cheerleader, fossilizzando il sorriso forzato che era noto sul viso di Albert. Non era la prima volta che le persone scambiavano la sua gentilezza per docilità o tenerezza: era nella natura delle cose, lui era l’amico con cui confidarsi e non quello con cui divertirsi.

Finite le superiori decise di non iscriversi ad un college; non amava studiare e l’ambizione non era qualcosa che facesse parte di lui. Passava le sue giornate tra il lavoro e il volontariato in varie associazioni della città.
«Non sarai mai qualcuno, morirai qui, in questa piccola cittadina, solo.»

«Nessuno vuole una persona senza ambizione, nessuno AMA una persona come te».
Sentiva quelle parole ripetersi giornalmente da almeno quindici anni, sua madre gli voleva bene e lui lo sapeva, solo che non trovava le parole giuste per dimostrarlo. Non era colpa sua.
Contrariamente a quanto prognosticato, Albert Jay Andersen si sposò con una graziosa cameriera del South Dakota, Emily O’Brien; erano una coppia felice gli Andersen, si erano conosciuti mentre lui lavorava nel negozio di antiquariato dello zio di lei. In realtà, voci insistenti mormoravano che lei avesse dei problemi legati ad un passato non proprio limpido, ma nessuna di esse venne mai confermata, né Emily diede mai prove per un dubbio.

Emily O’ Brian era una tipica ragazza del North del paese trapiantata al Sud, il suo accento, i suoi vestiti appariscenti; il suo essere espansiva e chiusa allo stesso tempo avevano subito colpito il commesso di Zio Arnie. Emily non lo conosceva, non sapeva chi fosse e non lo giudicava un perfetto amico, solo un ragazzo imbranato e, per lui, questo era un passo avanti. Fu lei a iniziare il corteggiamento fatto di battutine allusive volte a scalfire la timidezza del buon Smoothie, non ci volle molto tempo prima che lui le cedesse e dopo solo sei mesi divennero i signori Andersen.
Era felice Smoothie, aveva trovato una persona che lo capisse, con cui avrebbe formato una famiglia: sapeva che avrebbe avuto tre figli, non di più per non affaticare la sua giovane sposa. Sapeva che dovevano comprare casa perché il piccolo appartamento in affitto dove lui abitava non andava bene per una coppia sposata. Sapeva che doveva lavorare duramente e forse cercare un altro lavoro se voleva mantenere la sua futura famiglia.

Sapeva tante cose Smoothie.

Fu il 3 aprile quando uno strano odore entrò nella casa de Reverendo Thompson; erano le undici di sera e stava preparando il sermone per la domenica successiva quando delle urla inumane lo spenderò fuori di casa. Quello che vide sembrò preso direttamente dalle sue descrizioni dell’Inferno. La città, l’intera città stava bruciando; intere abitazioni erano state invase dalle fiamme e dal fumo, famiglie smembrate attendevano i propri cari sul ciglio della strada. Tra essi vi era la famiglia Andersen; Smoothie aspettava davanti la sua casa, le mani nei capelli, il fumo negli occhi, il puzzo nei capelli. Era lì davanti aspettando che i vigili del fuoco arrivassero mentre invocava il nome della sua novella sposa. Ma nulla.

Quella sera quel povero ragazzo perse una madre e una moglie durante la cena per il compleanno di quest’ultima ma acquistò una fama che gli sarebbe rimasta appiccicata per il resto della vita. Si stimava che con quel gesto avesse guadagnato almeno cinquecento mila dollari e che ne avrebbe guadagnati ancora se non avesse smesso con le ospitate televisive e se non fosse ritirato in un una modesta casa di una cittadina di periferia. Voleva ricostruirsi una vita, diceva, restare nell’anonimato.
Eppure qualche voce di sottofondo girava su alcune strane manie per il comando dell’Eroe Texano, soprattutto nel campo più intimo e privato e, che forse le voci di un presunto tradimento della moglie erano la causa dell’incendio della sua casa e, successivamente, dell’intera città. Ma come per la compianta Emily, voci di corridoio non potevano turbare l’aura di innocenza intorno a quel grande uomo che Smoothie era. La sua bontà commuoveva, i suoi continui guai attiravano: era più facile vederlo riverso sui gradini, o con un gelato colato sulla maglietta che su una comoda sedia a parlare. Le televisioni avevano fatto a gara per averlo. Era un ragazzo d’oro, quello che però nessuno voleva immaginare era che di quel ragazzo vi fosse soltanto una facciata. Perché di esso ormai non era rimasto nulla.

Se fuori sorrideva ai piccoli dell’asilo, dentro provava odio e astio per essere stato ingannato da quella puttana di Emily: non gli avrebbe dato mai dei figli perché non gli si era mai concessa. Il suo, come da lei ammesso dopo nemmeno un mese di matrimonio, era stato un qualcosa di facciata, per risollevare la sua reputazione; potevano fare vita separata, lei non avrebbe protestato se lui avesse avuto delle “amiche” come lui non avrebbe dovuto dire niente dei suoi. L’avrebbe potuta lasciare, certo, ma chi avrebbe perso la faccia, lei o lui? La degenerazione da uomo giusto a perdente era sempre in agguato.  E allora Albert aveva capito che nella vita, da quel momento in poi, avrebbe avuto il controllo su ogni cosa volesse. Aveva elimianto una madre sempre ubriaca e una moglie fedifraga in una sola volta; poi, aveva sfruttato il suo momento di gloria fino all’estremo atto. L’atto che avrebbe sancito la sua supremazia sulle ragazze che lo trattavano come un tenero cucciolo, sulla fiducia zuccherosa della gente, sul mondo che aveva soppresso per tanti anni la sua anima più nera.

Avrebbe comandato lui sulla vita e sulla morte, lui sarebbe stato un re, un carnefice, un giudice e aveva folle di vittime sacrificali che si buttavano ai suoi piedi quotidianamente. Ma il momento opportuno arrivò soltanto quando un suo ennesimo fan gli chiese di vedersi per chiedere qualche consiglio su come essere un corretto essere umano.
 
 
Dei due ragazzi di nessuno seppe più nulla.
   
 
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