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Autore: heliodor    24/05/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Una buona notizia
 
"Fermo" gridò Joyce.
Beric stava caricando un altro dardo nella balestra che reggeva tra le mani.
Joyce evocò il raggio magico e lo lanciò contro il ragazzo, colpendolo al petto. Beric venne scagliato all'indietro e cadde dalla sella battendo con la schiena sul terreno. Il cavallo lo superò. Per fortuna aveva tolto il piede dalla staffa e non venne trascinato via.
Joyce si voltò verso Joane.
La donna era pallida in viso e si teneva il dardo con la mano destra mentre con la sinistra stringeva ancora le redini.
"Non pensare a me" disse con un filo di voce. "Pensa a lui."
Beric si era rimesso in piedi e stava evocando i dadi magici.
Joyce alzò lo scudo per proteggere sia lei che Joane. "Fermati."
"Levati di mezzo" gridò il ragazzo. "Non voglio farti del male, se non mi costringi."
"Sarò io a farti male se non la smetti" lo minacciò Joyce.
Il ragazzo strinse i denti. Aveva un graffio sulla fronte che stillava sangue e il braccio destro era inerme al suo fianco.
"Non puoi colpirmi e usare lo scudo" disse Joyce. "Perderai."
"Non ha importanza. Devo ucciderla."
"Perché?"
"Ha tradito il circolo. È una rinnegata."
"Ma tu volevi andare a cercarla" disse Joyce.
Beric annuì. "Gorgas mi chiese di andare. Disse che per me sarebbe stato facile. Joane si fidava di me e non mi avrebbe ucciso."
"Dovevi cercarla per ucciderla?"
"No" disse il ragazzo. "Credevo che le accuse fossero false" disse con le lacrime agli occhi. "Fino a quando non ha confessato davanti a Kellen che cosa aveva fatto."
"Stupido ragazzino" disse Joane a denti stretti. "Gorgas ti ha usato. Quel vecchio maledetto è furbo."
"Non è vero" piagnucolò Beric.
"Non mi sei molto d'aiuto" si lamentò Joyce senza staccare gli occhi dal ragazzo.
"Uccidilo, che aspetti?" disse Joane.
Joyce la ignorò. "Monta in sella" disse rivolta a Beric.
Il ragazzo la guardò di traverso.
"Sali su quel cavallo" disse Joyce con tono perentorio.
Beric si trascinò fino al suo cavallo. L'animale si era fermato dopo una ventina di passi e stava brucando l'erba. Dopo un paio di tentativi il ragazzo riuscì a mettersi in sella.
"Torna indietro" disse Joyce. "E fatti aiutare da qualcuno col braccio."
"È un'assassina" disse Beric. "Gorgas aveva ragione ma io non volevo credergli."
"Sì, sono un'assassina" disse Joane. "Ma non chiedo certo il tuo perdono, ragazzino. Un giorno anche tu dovrai uccidere, magari per motivi che non condividi e allora capirai."
Beric si morse il labbro inferiore. "Dirò a mio zio dove siete dirette" disse prima di dare uno strattone alle redini e andarsene.
"Colpiscilo adesso" disse Joane. "O dirà a Goffren dove trovaci."
"No" disse Joyce annullando lo scudo magico.
Joane scosse la testa affranta. "Mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere fino a oggi." La spalla era inzuppata di sangue che era colato lungo il braccio fino a raggiungere la mano. "Sto male" disse con un filo di voce.
Joyce l'affiancò. "Dobbiamo trovare un guaritore."
"Il più vicino sarà a cento miglia da qui. E di tornare a Barakzah non ci penso proprio."
"Forse Orfar" suggerì Joyce. Era rischioso andarci, ma se voleva salvare Joane era disposta a correre quel pericolo.
La donna scosse la testa. "Troppo lontano. Dobbiamo fare da sole."
"Come?"
Joane indicò i resti di una fattoria. "Lì. Al riparo. Ti dirò io cosa fare."
La fattoria era in rovina come quelle che si erano lasciate dietro. Qualcosa aveva distrutto uno dei muri aprendo uno squarcio largo abbastanza da poterci entrare.
"Cosa sarà successo qui?" chiese Joyce più a sé stessa che a Joane.
"La guerra" disse la donna a fatica. "Quando Aschan ha attaccato Orfar, ha inviato una parte della sua armata a valle dell'altopiano per tagliare i rifornimenti della federazione."
Joyce l'aiutò a sedersi con la schiena appoggiata al muro.
"Tu combattevi per l'orda?" chiese Joyce.
Joane sospirò. "Possiamo parlarne dopo? Ho bisogno di risparmiare le forze o non potrò dirti cosa fare."
Joyce annuì.
"Ho un coltello nella mia sacca. Prendilo."
Joyce prese la sacca e la frugò fino a trovare l'arma. La lama era lunga un palmo e affilata solo da un lato. La punta era ricurva e seghettata.
"Cosa ci devo fare?" domandò rigirandosi il coltello tra le mani.
"Te lo dirò dopo" disse Joane. Strappò la tunica dove era inzuppata di sangue rivelando la ferita. Il dardo era penetrato per almeno un palmo di mano nella carne. "Vedi se è uscito dall'altra parte."
Joyce si spostò per guardarle a schiena. "No" disse.
"Peccato, sarebbe stato più semplice. Dovrai lavorare di coltello."
"Io non credo di esserne capace" disse Joyce spaventata al solo pensiero.
"Puoi farcela. Mi fido di te."
"Ti fidi di me?"
Joane annuì. "Cos'altro mi resta da fare? Sono sola in mezzo al nulla. Se non mi estrai il dardo e chiudi la ferita, morirò dissanguata prima di domani."
Joyce sospirò. "Dimmi cosa devo fare" disse cercando di tenere ferma la voce.
Joane indicò la ferita. "Devi incidere la carne vicino ai bordi, con cautela."
Joyce avvicinò la punta del coltello alla spalla di Joane, la mano che le tremava.
"Immagina di tagliare una bella fetta di vitellino" disse la donna ghignando.
"Non ho mai tagliato un vitellino. Vivo, intendo."
"Vivo o morto che differenza fa? Tanto la carne da tagliare non è la tua. Procedi" disse la donna con tono perentorio.
Joyce prese un profondo respiro e affondò la punta del coltello nella carne.
Joane gridò e si tese, spingendo la schiena contro il muro.
Joyce si fermò e ritrasse la mano. "Non posso" disse. Sentiva il bisogno di vomitare e piangere.
"Vai avanti" disse Joane a denti stretti. "Non fermarti."
"Dimmi se ti faccio male."
"Griderò e ti maledirò, piuttosto" disse la donna.
Joyce riprese a tagliare. Usando la punta del coltello e ignorando le grida e i gemiti di Joane, tagliò dei lembi di carne attorno alla ferita frastagliata, il sangue che aveva ripreso a sgorgare copioso. A ogni affondo la sua mano diventava più sicura e le grida della donna diminuivano.
"Basta" disse lei. "Non prenderci gusto" aggiunse ghignando.
Joyce estrasse subito la lama. "E adesso?"
"Devi togliere il dardo."
Joyce represse a stento l'impulso di scappare via. "E se non ci riesco?"
"Finora sei stata brava" disse Joane. Il suo viso era pallido ma il ghigno era ancora lì. "Ma siamo solo a metà. Devi tirare forte e decisa o la punta non verrà via. Hai capito?"
Joyce annuì. "Forte e decisa" ripeté afferrando il dardo con la mano destra. Con l'altra fece leva contro il muro in modo da aumentare la stabilità della presa.
E se provassi con la forza straordinaria? Si chiese. E se la ferissi tirando troppo forte?
"Che aspetti?"
Joyce strinse il dardo e tirò con tutta la forza che poté.
L'urlo di Joane risuonò nella fattoria devastata. La donna si tese come un arco e si rilassò subito dopo, accasciandosi contro il muro.
Joyce quasi venne sbalzata via dalla forza che aveva usato, il dardo ancora nella sua mano. Guardò la punta insanguinata e poi la ferita da cui il sangue sgorgava copioso.
Morirà dissanguata, pensò sgomenta. E l'avrò uccisa io.
Le sollevò la testa. Joane aveva chiuso gli occhi e sembrava svenuta.
"Joane" disse. "Cosa devo fare adesso?"
Nessuna risposta.
"Joane? Joane?"
La scosse con delicatezza. Pensò anche di schiaffeggiarla ma si trattenne temendo di fare un danno peggiore.
"Joane, ti prego, dimmi che cosa devo fare adesso."
Joane mormorò qualcosa.
"Non ho capito."
Altri mormorii.
Joyce avvicinò l'orecchio alla bocca di Joane.
"Devi chiudere la ferita" disse la donna.
"Non ho ago e filo con me" si lamentò Joyce. Aveva visto i guaritori chiudere una ferita prima di allora, sapeva cosa dovesse fare. Lei stessa era stata curata in quel modo almeno un paio di volte.
"Bruciala" disse Joane.
Joyce si accigliò.
"Bruciala, dannazione. Brucia la ferita."
"Come?"
"Sai lanciare le sfere infuocate? Mani brucianti? Persino il raggio magico aiuterebbe."
"Sfere infuocate" disse Joyce. "Quello lo so fare, ma non sono brava a controllarle."
"Non devi lanciarle. Ti basterà evocare l'incantesimo e tenerlo bloccato. Questo lo sai fare, no?"
"Credo di sì."
"Allora fallo."
Tra le sue mani apparve un globo infuocato. Dapprima piccolo e poi più grande a mano a mano che l'incantesimo riceveva vigore dalla sua forza vitale.
"Controllalo" disse Joane. "O ti esploderà in faccia."
"Non so se ci riesco" disse Joyce lottando per tenere a bada l'incantesimo.
"Devi domarlo come un cavallo selvaggio e poi mettergli il morso" disse Joane.
"Non ho mai domato un cavallo" si lamentò Joyce.
"Per gli Dei, a quale circolo di incompetenti appartieni?"
"Nazedir" disse Joyce dandole la risposta che le veniva spontanea.
"Lo immaginavo. Incompetenti. Svelta, passa la sfera infocata sulla ferita prima di farci esplodere tutte e due."
Joyce si avvicinò con cautela a Joane cercando di non toccarla. Quando le sfiorò per un attimo la pelle, lei si ritrasse.
"Non voglio anche ustioni" disse la donna. "Cerca di stare attenta."
Joyce fece un profondo respiro e puntò la sfera verso la ferita. La pelle sfrigolò e sembrò avvampare per un istante.
Joane gridò e collassò in avanti.
Joyce si ritrasse al volo facendo un balzo all'indietro.
Aven Ortas pensò.
La sfera infuocata si dissolse nell'aria come era apparsa.
Si chinò su Joane e la girò sulla schiena. La ferita era ancora annerita e dalla carne proveniva un odore disgustoso di bruciato, ma non stava sanguinando più.
Joyce sbuffò e si asciugò il sudore che le era colato sulla fronte fino a inzupparle la camicia, la tunica e persino il mantello.
 
Quando Joane aprì gli occhi, gettò un'occhiata alla fascia che le copriva la spalla. "L'hai fatta tu questa?" chiese con aria disgustata.
Joyce, seduta nell'angolo opposto, annuì. Aveva usato un vecchio lenzuolo trovato in un baule sfuggito all'incendio che aveva distrutto la casa. Dopo averlo ridotto in tante strisce, l'aveva passato attorno alla spalla facendo attenzione a coprire per bene la ferita.
"Davvero un pessimo lavoro" si lamentò Joane. "Mi prenderò sicuramente una bella infezione se non ci penso di persona."
"Avevo solo quello a disposizione."
"Non ti sto rimproverando" disse la dona. "Ma, per gli Dei, che ti hanno insegnato a Nazedir? Non sai nemmeno curare una semplice ferita."
"Mi spiace" disse Joyce con voce roca. Si sentiva stanca e sul punto di crollare, ma non voleva addormentarsi. Per qualche ragione aveva paura di restare sola nelle mani di quella donna.
Joane appoggiò la testa al muro. "Dei, che brutta giornata. Non è che hai del vino o del liquore in quella sacca che ti porti dietro, vero?"
"Libri e carne essiccata" disse Joyce. "E una borraccia mezza vuota."
Joane sospirò. "Beric" disse. "Ti aveva detto cosa voleva fare?"
"No" disse Joyce. "Mi disse che tu eri la sua guida e che voleva trovarti. Pensavo volesse aiutarti."
"Chi aiuterebbe una rinnegata? Gorgas è stato davvero furbo. Dannato vecchiaccio. Spero che muoia quando scoprirà che sono sopravvissuta."
Joyce la fissò in silenzio per qualche istante.
"Capisco i motivi di Beric e Kellen" disse Joane. "Ma non i tuoi, Sibyl. Perché sei venuta a cercarmi? È stato un caso o c'è un motivo preciso?"
"Perché combattevi con l'orda?" chiese Joyce.
"Me lo chiedi perché ti interessa davvero? Secondo te che motivi potrei avere?"
"Non lo so" disse Joyce. "L'orda uccide e distrugge tutto ciò che incontra."
"E l'alleanza agisce in maniera differente per caso?"
Il solito discorso, si disse Joyce. "Qualcuno deve aver pure iniziato per primo. Chi ha ragione? Chi ha cominciato la guerra?"
Joane ghignò. "La guerra di cui parli è iniziata cento anni fa."
"Perché? Cosa vuole Malag da noi? Cosa gli abbiamo fatto di così tanto grave da volerci distruggere?"
"Non lo so, ma potresti anche domandarti perché molti vogliono distruggere l'arcistregone con così tanta convinzione. Credo che le risposte ti sorprenderebbero."
Joyce tacque.
"Ancora non mi hai detto il motivo per cui mi stavi cercando, strega rossa" disse Joane con espressione tronfia.
"Vengo per portarti da tuo figlio Bardhian. Sta molto male e solo tu puoi aiutarlo."
“Quanto male?”
“Molto. Rischia di morire.”
Joane la fissò seria per qualche istante, poi scoppiò a ridere. "Sta morendo, dici? Questa è la migliore notizia in tanti anni. Dico davvero, gli Dei mi hanno ascoltata finalmente."

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