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Autore: heliodor    03/06/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Schiava
 
Joyce ruotò sul bacino, aspettandosi un attacco da un momento all'altro.
Le tre figure indossavano abiti rozzi che sembravano fatti di vari pezzi. Uno aveva sulle spalle un mantello ricavato dalla pelliccia di un animale. Un altro indossava come copricapo il teschio allungato di una bestia. Nelle orbite vuote qualcuno vi aveva infilato due pietre di colore scuro.
Due imbracciavano delle lance e il terzo brandiva una spada arrugginita. I loro visi erano severi e mantenevano la distanza da lei, come se aspettassero una sua mossa.
E ora questi che vogliono? Si chiese. Non ho denaro con me, non posso dargli niente. E non credo che si accontenteranno del libro di Hopott. Mi toccherà combattere.
Valutò al volo la distanza che lo separava dai tre guerrieri. Quello più vicino, di fronte a lei, era a una decina di passi. Quello alla sua sinistra distava una quindicina di passi, come quello alla sua destra.
Fu quest'ultimo a parlare.
"Chi sei, straniera?"
Almeno sanno parlare la lingua comune, si disse Joyce.
"Mi chiamo Sibyl."
"Perché sei nelle nostre terre?"
Il suo tono era perentorio ma non aggressivo.
Joyce si rilassò un poco. "Mi sono persa."
"Da dove sei venuta?"
"Dalla palude a nord di qui."
"Ningash" disse l'uomo, come se quello significasse qualcosa per lei. "Se è da lì che vieni, tornaci e prendi un'altra strada."
"Non posso" disse Joyce cercando una risposta migliore.
L'uomo si accigliò. "Non te lo sto chiedendo. Devi andartene e basta."
"Non voglio stare qui" disse Joyce. "Fatemi andare a oriente e non mi vedrete mai più."
"Vai verso il mare" disse l'uomo. "Lì è oltre i nostri confini e troverai la strada marina."
"Devo andare a oriente" ripeté Joyce. "È importante."
L'uomo grugnì. "Parli troppo per una che ha tanta fretta. Tieni di più al tuo viaggio o alla tua vita?"
Mi sta minacciando? Si chiese.
Nell'altra mano evocò un dardo magico. "Vado a oriente" disse con tono perentorio.
L'uomo fece un cenno con la testa. Dall'erba alta emersero altre figure. Tutte indossavano vestiti grossolani e pelli cucite.
Joyce ne contò dodici in tutto.
"Ora vieni con noi" disse l'uomo.
 
La portarono a una collina che sorgeva isolata nella pianura. Lungo il pendio scosceso si aprivano numerose grotte, come le orbite vuote di un gigante.
Guardando meglio, vide delle figure umane sporgersi da dietro gli ingressi protetti da pannelli di legno.
Uomini e donne li scrutarono in silenzio mentre si avvicinavano, rivolgendo loro occhiate piene di diffidenza.
Non a loro, pensò Joyce. E a me che stanno rivolgendo quelle occhiate.
Un uomo dalla corporatura massiccia emerse da una delle grotte alla base della collina e avanzò verso di loro scortato da un gruppo di guerrieri armati di lance e scudi di legno.
Accanto a lui marciava un uomo più giovane, poco più di un ragazzo, meno imponente ma dallo sguardo severo.
Tutti avevano i capelli lunghi e raccolti in numerose trecce. I ragazzi invece portavano i capelli sciolti, come le donne.
Joyce camminava al centro di due ali di guerrieri. Durante la marcia fino al villaggio non avevano parlato molto.
"Dove mi portate?" aveva chiesto col tono più cortese che potesse.
Il guerriero che le aveva parlato sembrava essere il capo di quel gruppo. "A Urgar Vali" aveva risposto.
Per Joyce non cambiava molto. "È lontana da qui?"
"No" aveva risposto l'uomo con tono seccato.
"Posso almeno sapere qual è il tuo nome? Io ti ho detto il mio."
L'uomo aveva grugnito. "Se te lo dico starai zitta?"
Joyce annuì.
"Mi chiamo Iruk."
"Sei tu il capo di questi guerrieri?"
"Devi tacere" disse Iruk con tono perentorio.
Joyce aveva taciuto per il resto del viaggio.
C'erano volute due ore per raggiungere la collina.
"Iruk" disse l'uomo imponente. "Chi è questa ragazza?"
Iruk fece cenno ai guerrieri di fermarsi. "È mia prigioniera. La reclamo come schiava."
Ci mancava solo questa, pensò Joyce. E ora come ne esco?
"Gli schiavi appartengono alla tribù" disse l'uomo con lo sguardo severo. "Decideremo con un voto a chi dovrà andare."
"Ma l'ho catturata io. Mia moglie vuole una serva che le dia una mano ad accudire i bambini."
L'uomo indicò i guerrieri alle sue spalle. "L'hai catturata con il loro aiuto. Io vedo guerrieri di almeno sei famiglie. La schiava appartiene a loro quanto a te."
Iruk grugnì e si voltò rivolgendosi ai guerrieri. "Sfiderò chiunque reclami questa schiava."
Nessuno mosse un muscolo.
"Qualcuno si oppone?"
Joyce si fece avanti. "Io mi oppongo."
Iruk sussultò. "Tu non puoi. Sei una schiava."
"Ti sfido per la mia libertà" disse Joyce.
Nei romanzi d'avventura funzionava sempre. Nella Regina dell'Isola Maledetta, l'eroe Lanat veniva catturato dai predoni del Mare Insanguinato e ridotto in catene, ma conquistava la libertà sfidando a duello il suo carceriere, il terribile pirata Giray. La regina Alya assisteva al duello e si innamorava perdutamente di Lanat per poi fuggire con lui per sottrarsi alle mire del vecchio barone Zakrym, che per giunta era anche suo zio. Lanat vinceva il duello con l'astuzia e l'abilità.
Io lo vincerò con la magia, si disse.
Iruk sbuffò. "Non ci sarà nessun duello, ragazzina. Diglielo anche tu, Sirak."
L'uomo imponente fece un passo avanti. "Le nostre leggi sono sacre" disse l'uomo rivolgendosi a Joyce. "Non siamo del tutto selvaggi. Sarai trattata bene e quando avrai l'età giusta, Iruk ti troverà un buon marito e ti darà anche una dote."
"Una piccola dote" disse il guerriero.
"Una dote adeguata al lavoro che la ragazza avrà svolto" disse Sirak. "Come vedi, non è una cosa tanto brutta."
Perché non sei tu a diventare una schiava, pensò Joyce.
Cercò le parole giuste per rispondergli. "Mi spiace, ma proprio non posso accettare, anche se ne sono lusingata. Dico sul serio."
"Non abbiamo chiesto il tuo parere" disse Iruk.
"Ma io ve lo darò lo stesso" disse Joyce spazientita.
Ulan Centa, pensò.
Un formicolio si diffuse nelle braccia e nelle gambe.
Iruk dovette intuire cosa stava per accadere perché le puntò contro la lancia. "Questa ragazza parla troppo."
Joyce afferrò la lancia e gliela strappò di mano. La fece roteare un paio di volte e poi la spezzò in due, lanciandola ai piedi di Iruk.
L'uomo estrasse un corto pugnale e lo fece roteare nella mano destra. "Ti taglierò via un braccio, così imparerai" disse con tono minaccioso.
Joyce evocò lo scudo magico e con l'altra mano preparò un dardo.
"Non ho paura del tuo potere" disse Iruk girandole attorno.
"Dovresti" disse Joyce a denti stretti. Sentiva il sangue pulsarle nelle tempie, come sempre le accadeva quando doveva combattere. "Ho ucciso Rancey, il luogotenente di Malag."
"Mai sentiti nominare" disse Iruk.
"E distrutto i titani di Mar Qwara."
Iruk ghignò. "Ne sai raccontare di storie. Mi diverti."
"Non ti ho detto ancora il meglio."
Iruk si lanciò contro di lei.
Joyce usò le gambe per balzare indietro prima di venire colpita e lanciò il dardo. Il proiettile sfiorò il collo del guerriero e colpì il terreno.
"Mi hai mancato" disse l'uomo.
"L'ho fatto di proposito" rispose Joyce.
"Altre storie" disse il guerriero tornando ad avvicinarsi. "Non sai fare di meglio?"
"So fare molto di più" disse Joyce.
Dalle sue mani scaturì un fascio di energia che colpì Iruk al petto e lo spinse all'indietro, facendolo rotolare per alcuni passi.
Joyce notò un movimento alle sue spalle. I guerrieri si erano spostati e l'avevano circondata, le lance puntate verso di lei.
"Che aspettate?" gridò Iruk. "Fermatela. È pericolosa."
"Tu non sai quanto" disse una voce proveniente dall'alto.
Joyce alzò la testa di scatto e vide un viso familiare sporgersi da una delle grotte.
"Halux" esclamò. "Che cosa ci fai qui?"
"Sirak" disse l'erudito. "Posso parlarti un attimo?"
Sirak guardò prima Halux e poi Joyce. "Conosci questa straniera?"
"Purtroppo sì" disse Halux. "È una che porta guai. Se vuoi un consiglio, cacciala via prima che tu abbia di che pentirtene."
Joyce avvampò, ma rimase in silenzio.
"Vieni su, per favore" disse Halux invitando l'altro con un gesto della mano.
Sirak si rivolse ai guerrieri. "Non perdetela di vista."
Mentre l'uomo raggiungeva Halux, quello che l'accompagnava si avvicinò a Joyce e la scrutò con interesse.
"Una strega" disse l'uomo. "Come hai detto che ti chiami?"
"Sibyl" ripose Joyce.
L'uomo annuì grave. "Qui non abbiamo streghe. Quelli che nascono con i poteri vengono abbandonati nella pianura."
"È crudele" esclamò Joyce. "Perché me lo hai detto?"
"Preferivi non saperlo?"
"Credo di sì" rispose Joyce.
L'uomo ghignò. "Se avessi mostrato prima i tuoi poteri, non avremmo permesso a Iruk di reclamarti come schiava."
"Mi avreste lasciata libera?"
"No" rispose l'uomo. "Gli Urgar odiano la stregoneria in tutte le sue forme. Il potere è una maledizione. Un dono dei vostri falsi Dei o, come voi lo chiamate, dell'Unico."
Joyce si accigliò. "Tu sai molte cose."
L'uomo ghignò. "Non ho sempre vissuto qui. Ho viaggiato per il mondo conosciuto. Ho visto molti luoghi."
"Allora saprai che la stregoneria è potente" disse Joyce con tono di sfida. "E che non ti conviene minacciarmi." Fece un cenno della testa verso Iruk che si stava rialzando da terra.
"Parli con la stessa arroganza dei tuoi simili."
Non sai quanto ti sbagli, pensò Joyce. "Ti ho solo detto la verità."
"La verità" disse l'uomo. "È che la stregoneria sarà la causa della sua stessa fine. Ormai i tempi sono maturi."
Joyce cominciava ad averne abbastanza di quella storia.
"Non starlo a sentire" disse Halux sopraggiungendo con Sirak al suo fianco. "Kalaak è più fanatico dei monaci della cittadella. È impossibile discutere con lui di certe cose."
Così è questo il suo nome, pensò Joyce.
Kalaak fece una smorfia di disgusto e si allontanò di qualche passo. "Ringrazia la benevolenza di Sirak. Ai tempi di suo nonno ti avremmo scorticato vivo, stregone."
Halux abbozzò un sorriso forzato. "È vero. Per fortuna il vecchio Tallik è morto e sepolto. Sibyl, amica mia, cosa ti ha spinta a venire fin qui?"
"È stato un caso" disse Joyce. "Andavo a Nazdur."
"Nazdur?" fece Sirak. "Perché?"
"Sto seguendo una persona. Una donna."
"Chi?" chiese Halux.
"Joane di Barakzah."
Halux sgranò gli occhi. "La stella nera? Perché stai seguendo quella donna terribile?"
"Tu la conosci?"
"Solo di fama, per fortuna." Halux si accigliò. "Cos'è quella roba che hai addosso? E da quanto tempo non fai un bel bagno?"
"È fango" disse Joyce. "E saranno giorni che non mi lavo. Dubito che riuscirei a togliermelo di dosso."
"Non disperare" disse Halux. Guardò Sirak. "Puoi pensare tu alla nostra ospite, amico mio?"
Sirak guardò altrove. "Ci penserà Kalaak."
L'uomo raddrizzò la schiena. "Come tu vuoi, nobile Sirak. Posso chiederti se hai deciso cosa fare con Jakris? Sono giorni che lui ti chiede un'udienza."
"Non è il momento di parlarne."
"Devo ricordarti che la sua promessa sposa, tua figlia, è stata catturata insieme a dieci giovani guerrieri?"
Sirak sospirò. "Non lo fai ogni giorno?"
"E cosa pensi di fare al riguardo?" chiese Kalaak.
"Ti ho detto che non è il momento" rispose Sirak infastidito. "Porta la nostra ospite dalle donne. Sapranno loro che cosa fare."
Kalaak fece un leggero inchino con la testa. "Vieni con me" disse a Joyce.
Lei guardò Halux.
"Vai con lui" disse lo stregone. "Sirak e io dobbiamo parlare di alcune cose."
Mentre si allontanava, li vide parlare tra loro a voce bassa.

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