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Autore: heliodor    21/06/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Con te ha funzionato
 
Joyce scattò in piedi, pronta a colpire e difendersi. Guardò Kalaak, il cui sguardo era rivolto a nord, dove il cielo scuro era rischiarato dai bagliori.
"A quanto pare mi sbagliavo" disse l'urgar con tono sommesso. "Non siamo tanto a bravi a nasconderci. Siamo stati scoperti."
"Da chi?" domandò Joyce.
"Da quelli che hanno posto l'assedio alla città" rispose l'uomo. "Devi andare via."
"Credevo di essere prigioniera."
"Ospite" la corresse lui. "Ma devi andare lo stesso."
"Posso aiutarvi."
Kalaak si accigliò. "A fare cosa?"
"A difendervi. Combattere."
"Non mi hai ascoltato prima. Noi urgar siamo maestri nel nasconderci. Lo faremo anche adesso e sopravvivremo."
"Almeno per un po'."
Kalaak ghignò. "Lo facciamo da migliaia di anni. Siamo diventati molto bravi." Le indicò la macchia di alberi alle sue spalle. "Vai da quella parte e segui il sentiero. Sei capace di vedere al buio, non avrai problemi."
Joyce annuì.
"Bene. Non fidarti di quel potere. Gli esploratori avranno disseminato delle trappole per colpire gli stregoni che si avvicinano usando la vista speciale. Procedi dritta verso le mura e ignora tutto il resto. E per tutto intendo rumori, ombre che potrebbero muoversi accanto a te e i richiami degli animali. Tutto può essere una trappola."
Joyce cominciava a sentirsi agitata. "Prima devi dirmi una cosa."
"Non c'è tempo."
"Invece sì" disse con tono perentorio.
Kalaak la guardò con disappunto. "Avanti."
"Nella battaglia di domani con vi schiererete?"
"Noi urgar non ci schieriamo."
"Ma dovete farlo."
"Non lo faremo" disse lui ostinato.
La mente di Joyce lavorò a tutta velocità. Aveva pensato alle parole da usare e sapeva di correre un rischio a pronunciarlo, ma doveva farlo se voleva strappare almeno la promessa che gli urgar avrebbero riflettuto sulla proposta di Kallia.
"Noi abbiamo Lilie" disse fissando Kalaak dritto negli occhi.
L'urgar ghignò. "Non giocare con me, ragazzina. Non sei brava."
"Eppure dovete pensare a questo prima di prendere una decisione."
"È una tua idea o ti è stato detto di dire così?"
"Ha importanza?"
"Ne parlerò con i capi tribù, ma non ti assicuro niente."
"Avete percorso centinaia di miglia per riprendervi la ragazza. Non tornerete indietro senza averla ripresa con voi."
"O esserci vendicati di chi le ha fatto del male."
Joyce resse l'occhiata ostile dell'urgar.
"Ora vai, sul serio" disse Kalaak.
"Cosa devo dire a Kallia?"
"Che ci penseremo" rispose l'uomo.
Joyce prese la sua borsa e la mise a tracolla. Fece un cenno di assenso all'urgar e corse verso gli alberi.
Prima di infilarsi nella macchia, sentì alle sue spalle l'eco di un'esplosione e le grida concitate degli urgar.
Appena oltre, il silenzio l'avvolse come ovatta. Gli echi dello scontro le giungevano attutiti dagli alberi fitti, come se tutto stesse avvenendo da un'altra parte, lontana nel tempo e nello spazio.
Invece succede qui, si disse. E adesso. E io sono nel bel mezzo di un'altra battaglia, l'ennesima.
Ormai era una veterana.
Non devo avere paura, si disse.
Eppure non riusciva a ricacciare indietro il lieve disagio che avvertiva al basso ventre. Le capitava ogni volta che stava per buttarsi in un combattimento.
"Frenesia da strega" le aveva detto una volta Elvana. "Col tempo imparerai a dominarla e farla tua alleata. Fino a quel giorno, assaggerai le mie bastonate quando ti distrai."
Elvana le mancava. Solo qualche Luna prima le sarebbe sembrato assurdo pensare una cosa del genere, ma in quel momento rimpiangeva la pacata sicurezza della strega, il suo modo di affrontare con mente lucida ogni problema e anche il suo modo di parlare provocatorio ma sincero.
Era la migliore amica di Bryce e adesso Joyce gliela invidiava.
Ci mancava solo questa, si disse.
Si mosse con cautela misurando ogni passo prima di fare quello successivo. Sotto i suoi piedi sentiva l'erba resa secca dalle giornate sempre più calde e prive di pioggia. A Valonde le sarebbe sembrato meraviglioso addentrarsi da sola in un bosco. Le sarebbe sembrato di vivere un'avventura, come la principessa Hanse quando nel Canto della Luna si perdeva nella foresta e dopo varie peripezie incontrava il principe Guilhartz.
Ma lì non era nella foresta incantata di Erris, non c'erano i folletti degli alberi a indicarle la strada da seguire e nessun principe l'avrebbe baciata al chiaro di luna sotto una cascata scrosciante.
Il meglio che poteva capitarle era di calpestare una trappola lasciata dagli urgar o beccarsi una freccia nel petto.
Con la vista speciale sarebbe tutto più semplice, pensò. Forse potrei usarla per un po', giusto qualche minuto per guardarmi attorno.
I suoi occhi avrebbero brillato come quelli dei gatti. Chissà chi c'era lì attorno che la stava osservando, pronto a colpirla nel timore che li scoprisse con la vista speciale
Scosse la testa con vigore come a voler scacciare quel pensiero.
Kalaak, si disse. È stato lui a mettermi in testa questa paura. Non devo lasciarmi impressionare dalle sue parole. Sono una maga. Una veterana. Ho ucciso un troll da sola.
Quasi da sola.
Ho abbattuto un titano d'acciaio.
Anche se non so come ho fatto.
Ho ucciso Rancey.
Anche se in verità si è ucciso da solo e ha quasi ucciso anche me.
Ho recuperato la mitica spada di Bellir.
Ma è probabile che sia un falso.
Ho combattuto contro un colosso.
Anche se in realtà sono fuggita più che combattere.
Smettila, si disse. Concentrati. Cancella ogni pensiero.
Le parole di Elvana, ancora lei.
"Cancella ogni pensiero" le aveva detto. "Per te dovrebbe essere facile."
Joyce si era accigliata.
Elvana aveva sorriso. Non riso, come faceva quando si prendeva gioco di qualcuno. Quello era un sorriso. Quel giorno non sembrava di cattivo umore come al solito. Era quasi allegra.
Quasi, perché il bastone che usava per punirla picchiava forte come al solito. Anche in quel momento lo stringeva nella mano, in una posizione rilassata, ma Joyce sapeva che in qualsiasi momento poteva scattare rapido come il fulmine e per lei sarebbero stati dolori.
"Mai nella mia vita avrei immaginato di fare da guida a una strega selvaggia" aveva detto con insolito buonumore. "Potresti essere il mio più grande successo o il più spaventoso dei fallimenti. Probabilmente il secondo, ma sai una cosa? Non importa. Tirerò fuori la strega che c'è in te, dovessi aprirti a metà con le mie stesse mani."
Joyce aveva sperato che fosse solo un modo di dire.
Erano passi quelli che aveva sentito? Si fermò e trattenne il respiro per qualche secondo. Il buio le rispose con altro silenzio.
"Devi imparare a respirare" le aveva detto Elvana mentre si allenavano nelle viscere del castello di Malinor.
"Io so respirare" aveva risposto Joyce. Si allenavano da ore e ne aveva abbastanza. Era sudata e sporca e le braccia le facevano male per i lividi.
Elvana aveva scrollato le spalle. "Tu credi di saper respirare, ma non lo sai fare affatto. Io ti insegnerò come si fa."
Aveva aspettato che lei continuasse.
"Tu respiri col tuo petto" aveva detto Elvana. "Devi imparare a farlo con la pancia. Qui." Le aveva colpito il basso ventre.
Joyce si era piegata in avanti. "Non c'era bisogno."
"Su, prova."
"Non ho capito come si fa."
"Prova lo stesso" l'aveva incitata l'altra.
Joyce aveva imparato. Le era costata quasi una frattura al braccio, ma ce l'aveva fatta. Non era difficile e dopo un po' aveva preso a respirare in quel modo prima di lanciare gli incantesimi in allenamento.
Ma lì, fuori dalla fortezza di Malinor, sembrava tutto diverso.
Concentrati e respira, si disse.
Proseguì, gli occhi che si stavano adattando al buio le rivelavano dei particolari che prima non vedeva. Ora poteva scorgere le sagome degli alberi ed evitarle prima di finirci addosso. Era già un bel passo avanti, ma con la vista speciale sarebbe andata più in fretta.
Il tempo era quello che le mancava.
In qualsiasi momento quelli che avevano attaccato gli urgar potevano decidere di dare un'occhiata al bosco e lei si sarebbe trovata in mezzo a una battaglia.
Devo tornare da Kallia e dirle che cosa sta succedendo, pensò. Dobbiamo mettere al sicuro Lilie e Bardhian in modo da assicurarci l'aiuto degli urgar.
O il loro odio eterno.
Concentrati.
Elvana era ancora lì con lei a impedirle di cedere al panico e mettersi a correre per uscire dalla trappola in cui si era cacciata.
Quando non passava interi pomeriggi a bastonarla, Elvana se ne andava in giro da sola per la città o trascorreva il tempo libero con Bryce.
Joyce avrebbe voluto trascorrere lei del tempo con la sorella, ma Bryce sembrava evitarla. Vyncent era sempre occupato con Bardhian, e Bato e Djana stavano per conto loro, ignorandola.
Una volta, durante un allenamento più intenso degli altri, Elvana l'aveva colpita così forte che il bastone si era spezzato in due.
Per fortuna Joyce aveva evocato l'incantesimo che rendeva più resistenti le sue ossa o le avrebbe spezzato un braccio.
Elvana aveva gettato via la parte di bastone che le era rimasta in mano, l'espressione contrariata.
Ora non mi potrai più bastonare, aveva pensato Joyce con esultanza.
Elvana l'aveva fissata con espressione seria. "Non mi aspettavo che succedesse così presto. Eppure non credo di averti colpito abbastanza forte."
"Ho lividi dappertutto" si era lamentata Joyce.
"E allora? Meglio un livido ora che un foro poi." Sospirò e si diresse a un mobile di legno chiuso con un pesante lucchetto. Infilò una chiave nella serratura e la fece scattare. Quando aprì l'anta, l'interno rivelò cinque bastoni allineati. Elvana ne prese uno e richiuse il mobile.
Come uno spadaccino la sua spada aveva saggiato il bastone fendendo l'aria.
Joyce aveva sobbalzato.
Elvana le aveva mostrato un ampio sorriso. "Prima di finire con te conto di spezzarli tutti."
Joyce deglutì a vuoto.
Vyncent si era schiarito la voce. Era in piedi vicino all'ingresso, le braccia incrociate sul petto e un sorriso sardonico sul volto.
Joyce non poté fare a meno di perdersi in quegli occhi azzurri come il cielo. Distolse subito lo sguardo quando vide che lui la stava guardando.
"Non fare quella faccia" aveva detto Elvana rivolgendo a Vyncent una smorfia infastidita. "Dovevi aspettartelo. Non si può andare con la mano leggera con le streghe selvagge."
Vyncent fece spallucce. "Non contesto i tuoi metodi. Sei tu che la addestri e tu decidi come comportarti."
Joyce, che aveva sperato nel suo aiuto, cercò di nascondere la sua contrarietà.
"Non cercare di farti beffe di me, Londolin" l'aveva ammonito Elvana.
Il sorriso di Vyncent si era allargato nonostante la minaccia. "Non mi faccio beffe di te. Dico sul serio."
Elvana l'aveva guardato con espressione stupita.
"In fondo con te ha funzionato" aveva aggiunto lui.
Elvana gli aveva scagliato contro il bastone. Vyncent si era chinato di lato evitandolo d'un soffio.
"Sparisci, idiota" aveva detto Elvana.
Vyncent se n'era andato ridendo.
Elvana aveva raccolto il bastone ed era tornata verso di lei. La sua espressione non le aveva fatto presagire niente di buono.
Bene, è arrabbiata si era detta Joyce. Grazie tante, Vyncent.
"Cosa voleva dire?" aveva chiesto Joyce.
"Niente" aveva risposto Elvana. "Ricominciamo."
Il bosco finì all'improvviso. Un attimo prima era avvolta dagli alberi e quello successivo aveva davanti uno spiazzo libero.
Di fronte a lei si alzavano le mura di Nazdur. Alla fine era riuscita a trovarle nonostante il buio. Corse verso il punto dal quale lei e Caldar erano usciti qualche ora prima.
Lì, nascosta dalle pietre, c'era una porta alta quanto un bambino chiusa da una grata.
Era troppo chiedere che fosse aperta? Si chiese Joyce mentre spostava le pietre.
La grata era al suo posto.
Sbuffò di disappunto.
E ora?
Poteva provare a volare verso la cima delle mura, ma temeva di attirare l'attenzione delle guardie. Bastava poco che uno stregone di guardia decidesse di usarla come bersaglio credendola un invasore.
La strapperò via, si disse all'improvviso.
Evocò la forza straordinaria e si chinò vicino alla grata, afferrandola con entrambe le mani. I cardini di ferro erano infilati nella pietra, ma non sapeva quanto in profondità.
Facendo leva sui piedi tirò con tutta la forza. La grata cedette di schianto e il contraccolpo la fece cadere sulla schiena.
Perfetto, si disse. Ora mi avranno sentita in tutta la città.
Si infilò dentro il passaggio senza attendere oltre.

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