Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: DarkDemon    25/06/2019    1 recensioni
[Titolo mooolto provvisorio]
|INTERATTIVA|POSTI FINITI|NON TIENE CONTO DE "LE SFIDE DI APOLLO"
- - - -
–Non scapperai facilmente piccola Dea...–
[...]
Vedeva il lontananza una piccola sagoma avvolta in vesti marroni correre nella leggera nebbia mattutina che avvolgeva le colline e il bosco, mentre una grossa sagoma umanoide la sovrastava, dando l'idea di quello che era un vicolo ceco.
[...]
Felix avanzò ancora qualche passo cauto, un tuffo al cuore lo fece però bloccare sul posto, capiva finalmente la causa del dolore della donna [...]
–Salvala... fallo per me... fallo per noi...– Disse con un tono che mai aveva udito, il tono di una madre, dolcezza e risolutezza, ora spezzate dall'infrenabile pianto che solo una madre può versare sulla salma della figlia, andatasene dal mondo.
- - - -
Sono oramai passati cinquant'anni dalla battaglia con Gea, la pace che ha avvolto il campo, come sempre, non è destinata a durare. Il sottile equilibrio si sta per incrinare, come la liscia superficie dell'acqua sotto un lieve sospiro.
Genere: Avventura, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I got guns in my head and they won't go 
Spirits in my head and they won't

I been looking at the stars tonight 
And I think oh, how I miss that bright sun 
I'll be a dreamer 'til the day I die 
But they say oh, how the good die young 
But we're all strange 
And maybe we don't wanna change


The Strumbellas - Spirits


 Harsha aveva sempre fatto brutti sogni, come ogni semidio che si rispetti, dopo tutto. Solo da quattro anni, però sapeva a cosa erano dovuti, solo da quattro anni sapeva che suo padre era niente meno che il dio greco della guerra. Tuttavia c'era una cosa che la distingueva da tutti glia altri: Hasha non sapeva che non era l'unica, che come lei ce ne erano altri, non sapeva ci fosse un intero campo, li, nello stato in cui era immigrata clandestinamente con sua madre, quando ancora era una bambina.
 
Lì, in America, c'era quello che per lei sarebbe stato il posto più sicuro del mondo, di certo più piacevole delle case d'accoglienza in cui era costretta a stare.
 Era la terza casa d'accoglienza che cambiavano, in due anni: Detroit, Atalanta, Philadelphia e ora New York. Erano state spostate inizialmente per 'motivi logistici', poi in quella di Atalanta era stato scoperto un qualche giro losco che non aveva completamente capito e che non voleva capire, forse facevano prostituire alcune ragazzine, o forse droga... mafia? Chi lo sa, non c'erano rimaste più di due mesi, non le importava.
 
A Philadelphia si stava bene, anche se le sembrava che la concentrazione di mostri fosse infinitamente maggiore a quella che aveva avvertito da altre parti. Ci rimasero per tredici mesi tondi tondi, era quasi riuscita a fasi persino degli amici. Quando in maggio era arrivata la proposta di trasferimento, tuttavia, ad Amira erano brillati gli occhi: un nuovo centro, appena aperto, nella sfavillante New York, certo non Manatthan, ma Brooklyn aveva comunque il suo fascino. Questo voleva dire edificio nuovo di pacca, o per lo meno appena restaurato, inoltre offrivano alle persone anche piccoli lavori legali, risolvendo l'enorme fatica di cercare lavoro in una città completamente nuova.
 
Quando erano arrivate era come essere in una reggia, almeno da fuori, l'edificio era intonacato di fresco, senza una singola scritta o un ammaccatura, rifletteva il sole di tarda primavera accecando gli occhi verdi della figlia di Ares. Anche adesso, a distanza di due mesi, la sua camera profumava ancora di vernice, i mobili erano scarsi ed in alcune stanze letti ed armadi erano totalmente smontati. Più che uno scenario desolato, ad Harsha, faceva molto ridere. Pezzi sparpagliati per tutto il pavimento, eccetto per viti e bulloni, riposti con religiosa cura, assieme al manuale di istruzioni, in un angolo della stanza. Ogni tanto veniva chiesto ai ragazzi di montare qualcosina, gli lasciavano la libertà di mettere la musica e giocare, inoltre concedevano ai volontari una serata cinema in più a settimana, abbastanza per qualche oretta ad insultare Ikea.
 
Tuttavia quella mattina, Harsha, si stava pentendo amaramente di aver accettato di montare l'ennesima libreria “Billy” solo perché gli altri volevano andare a vedere l'ultimo film horror, che a quanto parte era veramente da urlo.
 
Non che avesse particolari problemi, aveva visto e combattuto mostri ben peggiori, ma conoscendo i sogli che la sua mente semidivina partoriva, avere il proprio cervello a metabolizzare anche carilon assatanati e pupazzi di pezza ripieni di interiora umane, non aveva reso il suo sogno più soave.
 
Il cielo era ancora scuro, tranne in un angolino a sinistra in cui iniziava a schiarirsi, l'intero centro era avvolto nel silenzio più totale. Si passò una mano tra i capelli sudati e fissò l'unica fonte di luce della stanza: la piccola spia verde del caricabatterie di sua madre, troppo spaventata da guardare l'oscurità.

Si trovava in un corridoio di pietra, stretto e claustrofobico, probabilmente erano sottoterra, ma l'aria era insolitamente calda e secca. Davanti a lei si scorgeva un bagliore caldo, mentre alle sue spalle vigeva l'oscurità più totale.
 
Voci diverse urlavano nella sua testa frasi indistinte, in lingue che non conosceva o che non comprendeva. Di colpo le sue gambe si fecero molli e il terreno iniziò a vibrare, le sembrava di essere su una gelatina mentre tutto attorno a lei ondeggiava con una mollezza innaturale. Un vento gelato le arrivò alle spalle, spingendola a proseguire, malferma sulle gambe, tanto da doversi sorreggere ai muri della galleria. Il corridoio sembrava allungarsi ed accorciarsi come una molla, le voci nella sua testa erano sempre più insistenti mentre la sua vista si annebbiava e tornava normale.
 
Si piegò in due, le mani sulle pareti, aspettando che la cena risalisse completamente il suo esofago. In quel momento dal terreno, un orsetto di pezza emerse come se fosse un fantasma e le afferrò la gamba. Percepì prima il tessuto, morbido, poi il giocattolo divenne umidiccio e caldo, con orrore si rese conto che l'animale stava trasudando sangue. Altri giocattoli e peluches iniziarono a comparire dal terreno, dai muri o persino dal soffitto, avvinghiandosi a lei. Con un urlo provò a scansarli e malferma sulle gambe cominciò a correre. La luce era sempre più vicina, non si fermò, non riusciva più a fermarsi, provò a fare attrito con le mani sui muri di roccia, trovandosi solo profondi tagli. Il gelido vento la soffiò fuori dal tunnel.  Stava cadendo: un gigantesco cratere circolare, sopra di lei le stelle, sotto il fuoco. Al centro un isola di ossidiana, c'era qualcuno, una donna, no una bambina incatenata. Si scambiarono uno sguardo di terrore prima che Harsha cadesse nelle fiamme. L'ultima cosa che sentì fu una voce, vecchia come il mondo
 
Non potete sconfiggermi, sono ovunque, sono eterno. Esistevo, esisto ed esisterò per sempre.–”

 

<°>


 A Miles non piaceva il Giovedì mattina.
 
Dalle nove alle undici aveva due ore di scherma, con uno dei gruppi attività più grandi del campo: Tutta la Cabina di Ermes, metà delle cabine con meno persone e la Cabina di Atena, li probabilmente solo a tenere ordine in quello che arrivava, senza sforzi, ad essere un gruppo di più di 30 persone. Tuttavia a mantenere, o sarebbe più appropriato dire “tenere”, il controllo, se ne occupava niente popò di meno che Isidro Vega.
 
Si trovavano schierati in linee da sei, busto dritto e mani dietro la schiena, a pregare che il figlio di Alalà finisse il suo, inutile, discorso mattutino prima che il sole mandasse definitivamente le cornee di tutti quanti in malora.
 
–... avete sentito ciò che ha detto la Sibilla?! Abbiamo una profezia davanti! Voglio vedervi sudare sangue quest'oggi! E non osate posare i vostri culi pesanti per prendere fiato! Eskere!– Con il suo ennesimo slang imbarazzante sciolse le fila e si avviò correndo verso la sua ascia accuratamente riposta in un angolo.
 
Come ogni giovedì, i semidei si riunirono attorno ai cinque figli di Atena, che avevano imparato a dare quei cinque minuti di palcoscenico ad Isidro prima di organizzare per davvero l'attività. Come ogni giovedì Isidro pestò i piedi e sbuffò, per poi a malincuore pescare uno dei bastoncini che Dawn tendeva a tutti quanti con sguardo annoiato.
 
–Datevi una mossa, su!– Sbuffò la ragazza, agitando i bastoncini sotto il naso dei presenti.
 
–DAWN?! Quando la smetterai di rubarmi le maglie?– Disse una voce irritata dal fondo del gruppo. La figlia di Atena agitò una mano sbuffando –Mai Laurance, mai, mi chiedo quanto tu smetterai di chiedermelo.– Nel frattempo i semidei stavano pescando i bastoncini dalle mani della ragazza, controllando i numeri sul fondo e creando le coppie per l'allenamento.
 
–DICIANNOVE? CHI HA IL DICIANNOVE?– Urlava Infinito, a pochi metri del gruppo, agitando lo stecco per aria.
 
Miles pescò l'ultimo bastoncino, avendo aspettato di proposito che la folla si smaltisse, non era esattamente quello che si definiva un animale sociale. Osservò il numero, scritto con una penna glitterata fuxia, in fondo al, un tempo, stecco del ghiacciolo. Un gemito strozzato gli uscì dalla gola quando lesse le brillanti cifre che componevano niente meno che il tanto ricercato diciannove.
 
–Ho io il diciannove...– Disse a mezza voce dopo essersi avvicinato ad Infinito, che non aveva ancora smesso di urlare.
 
–HA LUI IL DICIANNOVE!– Urlò questo, gettando un braccio sulle spalle al povero figlio di Gelos, che si ritrovò ad avvampare fino alla punta delle orecchie e con un timpano in meno.
 
–Non penso gli interessi.– Borbottò il rosso, provando a scivolare via dal braccio del figlio di Nyx, che non sembrava assolutamente intenzionato a lasciarlo andare.
 
–Ho fatto tanta caciara, mi sembrava giusto chiarire questa causa che di certo avevano tutti quanti preso molto a cuore. Sono solo molto gentile... pensavo fossi rosso di capelli, non di faccia.– Concluse con un ghigno voltandosi verso di lui.
 
–Oh mi stai dicendo che mi è cresciuta di colpo la barba?! Ed io che non ci speravo più!– Rispose Miles, levandosi il suo braccio dalle spalle ed avviandosi a lunghe falcate verso la catasta di armi iniziando a soppesare varie spade in cerca di quella più adatta a lui, prese quella che gli sembrava meno peggio e si diresse verso uno spazio vuoto dell'arena dove il suo fastidioso compagno lo stava aspettando.
 
–Vediamo come te la cavi!– Sorrise il figlio di Nyx, sollevando la sua spada e concedendo pochi secondi di vantaggio a Miles prima di attaccare con un affondo, che il poverino si ritrovò a deviare con un gridolino di sorpresa. –Ma sei pazzo?! Avresti dovuto...–
 
–Avvertirti?– Concluse Infinito, alzando un sopracciglio ma senza abbandonare la posizione d'attacco. –“Mi scusi signora manticora, potrebbe concedermi cinque minuti che mi preparo?” Cosa credi di essere, una Winx? O una qualche Sailor, che ti puoi prendere venti minuti per trasformarti mentre i cattivoni la fuori ti guardano senza muovere un dito?– Continuò, facendo con il mento un cenno al compagno di mettersi in posizione.
 
–Non nego che abbiano tutte quante delle trasformazioni invidiabili– Disse, mentre goffamente cercava di imitare la posizione assunta dal figlio di Nyx, che con una risata attaccò di nuovo.
 
–Sei simpatico, sai? Sarà divertente andare incontro alla morte con te, spero solo che le tue battute diventino un po' meno autoironiche, prima che tu possa andare nell'Ade.– Ridacchiò, menando un fendente a sinistra. –Oh non fare quella faccia, non serve essere Sherlock per capire che non sei l'individuo con il più alto tasso di autostima qui. Basta guardarti: un fendente a sinistra e... sei a terra. E si che te l'ho anche detto eh...– Guardò con occhio critico, ma pur sempre divertito, il ragazzo che si era sbilanciato dopo la sua ultima mossa e si trovava ora per terra.
 
–Prima che Isidro veda il tuo “culo pesante nella polvere” ti conviene alzarti.– Rise, tendendogli una mano che Mils afferrò infastidito, ma con un piccolo sorriso sulle labbra, dopo l'ultimo commento.
 
–Allora, c'è qualche arma con cui sopravvivi più di due minuti?– Chiese Infinito, scacciandogli una mosca dalla spalla.
 
–Ho un pugnale...–
 
–Hai un pugnale, okay, e lo sai usare questo pugnale?– Domandò roteando gli occhi. Nel vedere l'espressione imbarazzata dell'altro si concesse un piccolo sbuffo.
 
–Oh per gli dei... Ti darò una mano okay? Ora corri a recuperare un pugnale, o non sarò così gentile la prossima volta.–

 

<°>

 

 –Cosa mi vuol dire “Uma ha cagato in doccia”, Gwen?– JP era entrato nelle stalle da nemmeno quindici minuti e già era il panico tutto attorno.
 
Apollo era tra le Cabine con il più alto numero di bambini, Gwen aveva dodici anni, così come altri due ragazzini, e si andava a scendere fino ad arrivare persino a Boniface, un bambino di appena sette anni, trovato da un satiro in un orfanotrofio. Fortunatamente, per ogni bambino c'era almeno un ragazzo più grande di sedici anni, ad assicurarsi che nessuno si facesse del male. Pur non essendo capo cabina, JP era pur sempre il più grande tra di loro, seppur sono venti giorni lo separavano da Bailee.
 
–Vuol dire che attaccato Uma ai venti in doccia perchè nei corridoi non c'era spazio. E ha fatto la cacca.– Spiegò la ragazzina, scostandosi una ciocca, colorata malamente di viola, dal volto.
 
–Lo avevo capito, intendo, cosa me ne frega a me?– Disse, appendendo il nettapiedi ad un box e stirandosi la schiena, dolorante dopo aver pulito i quattro zoccoli del pegaso.
 
–Che mi devi aiutare! La pala è pesante e la cacca puzza!– Sbuffo, pestando un piede per terra.
 
–Perché la vostra profuma, milady?– Ridacchiò scompigliandole i capelli biondi e superandola, diretto alla doccia dove si trovava Uma. Con un sospiro iniziò la spostare gli escrementi dell'animale, che come da etichetta, si preoccupò di non rendere il lavoro più facile, premurandosi di sostare ad intervalli regolari su pezzi diversi.
 
–Sai cosa vuol dire Uma?– Disse con fatica mentre apriva la pesante botola in mezzo al corridoio e ci scaricava dentro tutto quanto.
 
–Noo!– Cantilenò la bambina, di colpo sorridente ed interessata.
 
–Cavallo, in giapponese. Non so chi abbia avuto l'idea.–
 
–Hahahaha! Divertente!– Gwen rise, riprendendo in mano la striglia e continuando il lavoro da dove lo aveva lasciato. –Non sapevo parlassi giapponese.–
 
–Non lo parlo in fatti, ho solo letto questo da qualche parte–
 
–Sai proprio tante cose, eh?–
 
–Solo tante piccole curiosità, ma questo non ti autorizza a rifilare a me la biancheria di nuovo, so a malapena che forma abbia una lavatrice.– Ridacchiò il ragazzo.
 
–Wopsy, non succederà di nuovo– Gwen gli fece una linguaccia colpevole strizzando un occhio.
 
–Ma una cosa che so è che dubito che i pennarelli ad acqua siano fatti per colorarsi i capelli.– E con questo si dileguò, tornando a sellare il proprio pegaso.
 JP non era un bravo ragazzo, non si riteneva tale, non rientrava nei canoni di figlio di Apollo né fisicamente né caratterialmente. Tuttavia, nonostante il suo pessimismo cosmico, il suo sguardo quasi perennemente annoiato dalla vita, non negava a nessuno qualche gentilezza. Anzi, era sempre pronto ad aiutare chiunque, soprattutto i suoi fratellini. L'idea gli ronzava in testa dalla sera prima, l'aveva presa più in considerazione di quanto avrebbe voluto ammettere, l'aveva soppesata, valutata: i pro e i contro.
Riscatto o morte.
Non cercava la morte, ma una ragione per amare di più se stesso, un'azione buona in quell'infinita lista nera, era qualcosa che gli faceva gola.
 Pur non essendo capo cabina, JP era pur sempre il più grande tra di loro, non disdegnava aiuto a nessuno. Cosa sarebbe successo se fosse partito per la missione?

 

<°>

 

 Dawn stava ancora osservando l'arma mentre scendeva la scala a chiocciola che conduceva alla fucina della cabina di Efesto, seguita da un trotterellante Lorcan.
 
–Ripetimi come hai fatto a piegare letteralmente una spada, te ne prego.– Sospirò la ragazza avviandosi alla propria postazione, mentre con uno schiocco di dita faceva partire il fuoco della fornace.
 
–Io, Noel e qualche altro ragazzo di Ermes volevamo giocare a baseball. Non avevamo il materiale quindi abbiamo optato per spade e sassi– Disse quasi con ingenuità il ragazzo, un sorriso leggero sulle labbra mentre si sedeva su uno degli sgabelli della postazione di Dawn, iniziando a girare sul seggiolino regolabile.
 
–Giocare a baseball con spade e sassi... ma certo... aspetta, Noel non è mica il vostro capo cabina?–
 
–Si! Non è fantastico?! Ci si diverte un sacco da noi altri, sai!? No in realtà non credo tu lo sappia, non ti ho mai visto ad una festa...– Alzò gli occhi con sguardo innocente, come se avesse parlato troppo.
 
–Di cosa stai parlando?– Domandò la ragazza con tono divertito e curioso mentre infilava la spada nella fornace ormai calda.
 
–Oh niente, ma se vuoi sentire il mio parere, ti consiglio di farti amico Noel– E con questo le fece l'occhiolino. Si alzò e saltellò fino all'enorme cesta dei progetti scartati di Dawn; pescò un piccolo robottino con troppe lame per il suoi gusti e l'osservò sbattendo le palpebre.
 
–Sareebbeee?– Chiese lentamente muovendo uno dei minuscoli bracci meccanici.
 
–Un taglia formaggio... è un po' difettoso, non ci giocherei troppo. Ma se vuoi puoi avere il soffia candeline– Ed agitò la mano verso la cesta, come se quello potesse rendere chiaro quale di quei marchingegni demoniaci fosse il soffia candeline, che poi, chi aveva bisogno di un soffia candeline?! Lorcan ripose il taglia-formaggio e sbirciò nella cesta, non troppo fiducioso all'idea di ravanarci dentro.
 
–Allora... ci siamo offerti entrambe eh?– Ridacchiò, voltandosi verso l'amica e rimandando la ricerca del soffia-candeline per un'altra volta.
 
–A quanto pare... Non so molto perché io mi sia offerta, ho solo pensato che forse sarei potuta essere utile, in qualche modo. Estia è pur sempre la dea del focolare, ed io l'unica figlia di Efesto con il potere del fuoco, non saprei sinceramente, ma potrei centrare, non credi?–
 
–Ha senso, ahaha, io non ho ragioni così pensate. Wopsy.– Si grattò il retro del collo con sguardo colpevole. –O meglio, un po' mi sentivo coinvolto, non lo so, un verso mi ha toccato particolarmente, e poi chissà che Ermes decida di riconoscermi una volta che faccio un po' l'eroe della situazione...– Nel frattempo la ragazza aveva estratto la spada dalla fornace e la muoveva con mano esperta sotto l'incudine meccanica che aveva costruito, essendo il suo corpo troppo gracile per sperare di poter forgiare una spada a mano.
 
–Penso che se ne uscirai vivo ti riconoscerà, deve farlo, suvvia. Non so come mai non lo abbia ancora fatto, ma sai come sono gli dei: egocentrici ed orgogliosi; se possono vantare un eroe nella loro sfilza di marmocchi non si fanno di certo scappare l'occasione.–
 
Lorcan risiedeva al campo ormai da ormai quattro anni e da quattro anni passava ogni estate nella cabina di Ermes. C'era solo un minuscolo problema, nonostante tutto il campo desse per scontata la sua discendenza divina, Chirone e Signor D compresi, restava pur sempre un non riconosciuto. La cosa non lo turbava troppo, c'erano problemi ben peggiori nella vita, semplicemente si chiedeva che problemi avesse suo padre, come mai si rifiutasse così categoricamente di riconoscerlo come suo figlio.
 
–Bhe allora speriamo di tornare vivi...– Constatò l'altro alzando le spalle, come se non stesse nemmeno parlando di una missione mortale con tanto di Grande Profezia.
 
–Oh si, assolutamente, facciamo del nostro meglio. Hai qualche idea su dove dovremmo andare? So che le profezie non andrebbero interpretate, e tutto quanto, ma onestamente l'idea di partire alla cieca non mi alletta particolarmente, sai...–
 
Il ragazzo si strinse nelle spalle –Sarà folle ma una parte di me sostiene che andremo in Africa... “andranno verso sud” e “il respiro dell'Africa non dovranno vedere”...–
 
–“Temere”– Lo corresse Dawn ridacchiando.
 
–Oh si, bhe quella roba li, è abbastanza ovvio no? –
 
–Miei dei, spero di no, troppo vicino al Mare Nostrum e quelle robe li. Penso sarebbe veramente pericoloso. Inoltre, penso che sia troppo ovvio. Le profezie non sono mai così chiare, trovo alquanto improbabile che ci venga detto dove andare in modo così chiaro– Un sottile strato di disperazione rimase ad aleggiare nel silenzio, interrotto solo dal ritmico rumore del martello automatico sull'arma.
 
–Speriamo almeno che Alexader, o chi per lui, si faccia venire qualche idea–

 

<°>

 

 Alniyat non stava ascoltando, ma non era una novità.
 
Le lezioni di greco antico erano qualcosa che aveva sempre ritenuto di relativa utilità. Dopo tutto tutti i semidei avevano la capacità di leggerlo e comprenderlo, non vedeva il bisogno di impararne alla perfezione la grammatica. Tuttavia eccolo li, assieme ad uno sproposito di altri semidei, ad ascoltare la noiosissima lezione del Capo Cabina di Atena, attentamente sorvegliata da Chirone.
 
Era perso ad osservare il centauro quando qualcuno gli picchiettò la spalla sinistra. Si voltò lentamente alzando un sopracciglio, trovandosi faccia a faccia con il largo sorriso di Orion: il figlio di Ade più atipico, e quasi fastidioso, gli astri avessero mai visto.
 
–Tu manovri l'ombra, vero?– Chiese in un bisbiglio, gli occhi luccicanti come se avesse appena detto di aver vinto alla lotteria.
 
–Si...– Rispose lentamente in figlio di Nxy osservando dubbioso il ragazzo.
 
–Ti va di offrirti con me? Tu manovri l'ombra, io faccio viaggi ombra, potremmo collaborare bene!– Il ragazzo era decisamente troppo eccitato per i gusti di Alniyat, lo fissava con insistenza e con un sorriso incoraggiante che quasi tradiva una sorta di disperazione, anche se non era certo fosse una caratteristica sola di quella situazione.
 
–Anche mio fratello lo sa fare, e si è offerto– Rispose secco, intenzionato a chiudere li quella discussione, nonostante parlare di probabili ed eventuali strategie lo stesse intrattenendo molto più che la grammatica greca.
 
–Oh si, Infinito... ma lui perde, sono sicuro tu lo sappia, quante volte avete vinto a caccia alla bandiera..?– Inclinò la testa e socchiuse gli occhi, come se cercasse di ricordare il numero esatto, che tuttavia era tanto triste quanto banale: zero.
 
–Se vuoi che collaboriamo lo possiamo fare alla prossima partita.–
 
–Mi dispiace deluderla, milord, ma se moriamo non ci sarà una “prossima partita”–
 
–Come sei tetro...–
 
–È un dono di famiglia.– In quell'istante Chirone li scoccò un occhiata mentre con un sibilo intimava il silenzio. Orion ridacchiò affondando la testa tra le spalle e mordendosi la lingua.
 
–Comunque, mi dispiace ma se vuoi andare buona fortuna, non sono tipo da essere obbligato.– Ed era vero, Alniyat non era certo il genere di ragazzo da sottostare alle idee degli altri. Quella frase fece finalmente tornare il silenzio, che tuttavia durò pochi minuti, poiché un corno in lontananza annunciò la fine dell'attività.
 
–Comunque non ti stavo obbligando, ti stavo chiedendo.– Borbottò Orion con un broncio infantile mentre raccoglieva le proprie cose per poi andarsene a mento alto.



 

Angolo    

Autrice

Ma salve, chi non muore si rivede.
Abbastanza patetico da parte mia ripresentarmi qui dopo penso 9 mesi, con un capitolo che onestamente non mi soddisfa più di tanto.
Non credo che ci siano ancora tante persone a seguire questa ciofeca, ma ormai mi sono rassegnata all'idea, sarà qualcosa di divertente da leggere tra qualche anno.
In ogni caso è certamente una buona palestra per la mia mente ritardata che non ha il coraggio di buttarsi sui propri progetti più seri, quindi per vostra fortuna o sfortuna, con la stessa frequenza delle glaciazioni, avrete degli aggiornamenti.
A quelle settanta persone giunte fino qua, prima di tutto grazie della fiducia, secondo, scrivendo questo capitolo ho un po' capito quali sono i punti che non mi piacciono del mio stile ed in sostanza so cosa sistemare. Non vi dico che dal prossimo capitolo avrete uno stile corposo ed impeccabile, ma diciamo che so da dove cominciare.
Fino alla prossima volta siate sani e godetevi la vita.

ΩEbeΩ

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: DarkDemon