Film > Pirati dei caraibi
Segui la storia  |       
Autore: Minga Donquixote    25/06/2019    2 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
--------------------------------------------------------------------------------------------
Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 13. Danse Macabre
 
«Finalmente ci rivediamo, fratellino»
Eris alzò un sopracciglio. “Fratellino?”
«E’ Lord Beckett, a te.» rispose con nonchalance il più basso, torcendo il busto per osservare l’uomo più in là.
La ragazza era alquanto confusa. Non si sarebbe mai aspettata di incontrare uno dei fratelli di Cutler ad un evento come quello. Non erano loro a detenere il comando della Beckett Trading Company?
Poteva avvertire una pesante sensazione di pressione mentre si trovava nel mezzo di quegli sguardi pieni di fuoco e rancore.
Ma a spezzare il momento, fu proprio l’ultimo arrivato, che avanzò con sicurezza verso la giovane. Si piegò leggermente in avanti con la schiena, mimando un inchino, e le prese una delle mani abbandonate lungo i fianchi, portandosela alle labbra.
Non ne toccò la superficie, per qualche motivo, ma accennò solo un sorrisetto prima di lasciarla andare.
«Che scortese, non ho avuto l’ardire di presentarmi in quella scomoda occasione, questo pomeriggio.» la guardò con quegli occhi grigi e, da quella vicinanza, Eris poté osservare che erano di un colore più scuro rispetto a quelli del Lord accanto a lei. «Io sono Jonathan Beckett Jr., non sono certo che Lord Beckett vi abbia parlato di me.»
Il modo viscido con cui sibilò fuori l’onorificenza di Cutler le fece accapponare la pelle. Quella famiglia sembrava essere fatta con lo stampino. Sarcasmo e cattiveria sembravano non bastare mai.
«Si, certamente. Ma solo cose belle.» rispose con lo stesso tono lei. Se voleva giocare, potevano giocare in due. Non si sarebbe mai tirata indietro ad uno scontro indiretto come quello.
Fortunatamente la sala non sembrava curarsi più di tanto del dialogo con cui i tre si stavano dilettando. Avevano molti sguardi puntati contro ma era altamente probabile, data la musica e le loro maschere amichevoli, che non avvertissero nulla di strano.
Cutler si era fatto inavvertitamente più teso e aggressivo, come a difendersi da un attacco troppo diretto e Mercer era arrivato silenzioso alle sue spalle come un gatto.
Jonathan non sembrava curarsi dell’assassino, tuttavia. Sembrava concentrato su qualcosa che Eris non riusciva a captare. Era difficile leggere quell’uomo e la cosa non le andò a genio neanche un po’.
«Lei invece è mia moglie, Lady Diana, figlia di Charles Spencer, conte di Sunderland.» e si scostò.
Nascosta alle sue spalle, una giovane ragazza dai lineamenti spigolosi ma armoniosi e dai capelli biondi raccolti in una crocchia si fece avanti con un sorriso sereno. Il vestito pieno di fronzoli, molto simile a tutti quelli che indossavano le donne nella sala, verde acqua le metteva in risalto gli occhi chiari.
Jonathan la accompagnò avanti ponendole una mano dietro la schiena, a cui lei sobbalzò vistosamente, e si pose davanti a Cutler.
Eris concluse che quella ragazza doveva avere almeno 4 o 5 anni meno di lei e la metteva essenzialmente molto a disagio anche se provava un forte senso di attaccamento e comprensione verso la sua persona.
«Piacere, io mi chiamo Eris!» e prese la mano che la giovane stava porgendo al Beckett più piccolo.
Cutler sgranò gli occhi contemporaneamente alla Lady davanti a lui, sorpresi dal gesto e dalla presentazione grossolana della Gallese. Lei non aveva onorificenze da mettere prima o dopo il suo nome ma nemmeno le importava molto. Al contrario del Lord al suo fianco che la stava tranciando in due.
«M-Molto piacere» balbettò Diana, lasciandole agitare la mano su e giù nella consueta, ma non molto consueta, stretta di mano.
Jonathan nascose una risata dietro il palmo della mano ma che Cutler avvertì comunque, guardandolo con un cipiglio irritato. Ma prima che potesse aprire bocca due trombe annunciarono l’arrivo del re e della regina d’Inghilterra.
Eris guardò la coppia scendere di scalino in scalino, con molta più autorità e sicurezza rispetto a lei e notò come la musica si fosse subito soffocata alla loro entrata.
Poi, con la coda dell’occhio, osservò come i palmi delle mani della giovane Diana si fossero improvvisamente chiusi in due pugni stretti e tremanti. In viso, un’espressione ferma che cozzava tremendamente con quei gesti adirati.
Il nome della nobildonna doveva dirle qualcosa ma, non preparata abbastanza per quel periodo storico, non le venne in mente nulla.
Quando tornò a dare la sua attenzione ai nuovi, li trovò con le maschere già incollate sul viso e, senza aggiungere niente, entrarono al centro della pista posizionandosi l’uno di fronte all’altra.
Poi, la musica tornò a risuonare. La sinfonia era veloce ma chiaramente di un percorso temporale che la giovane non riconosceva a fondo.
Il re, seppur buffo nelle sue movenze goffe, riuscì a simulare un ottimo minuetto e Eris non poté trattenere un sorriso di meraviglia quando altre coppie si unirono alla danza tutte intorno.
I movimenti sembravano essere studiati per essere perfettamente riprodotti contemporaneamente da tutti. Erano leggiadri e molto semplici.
Guardò tutti con estrema invidia. Conosceva il minuetto ma non l’avrebbe mai ballato così bene.
Una mano bianca si tese alla sua sinistra, sorprendendola e trovò un Cutler Beckett con la maschera dorata ben salda sugli occhi.
«Hai memorizzato i passi?» la guardò con un sorrisetto storto che fece divertire la ragazza.
I passi erano pochi e semplici quindi non avrebbe dovuto riscontrare problemi nel ripeterli nel mezzo della baraonda.
Si sistemò la maschera tutta ghirigori sul viso e poggiò la mano nuda e abbronzata su quella del compagno che la sorreggeva con leggerezza.
Quando ormai erano a pochi centimetri da tutti loro, il cuore di Eris perse un battito e strinse spasmodicamente la mano di Beckett. E se si fosse persa? E se rischiasse di inciampare?
«Segui me.»
In un certo senso, nonostante la vicinanza ad altri nobili che erano a portata di orecchio, Eris apprezzò il gesto di Cutler di darle del tu per tranquillizzarla.
La interpose tra una coppia di donne nel momento esatto ma non le lasciò mai la mano durante l’accompagnamento, nonostante molti non fossero in contatto diretto.
Non si era mai sentita tanto sicura come in quel momento. Gli occhi di Cutler, la mano di Cutler, il sorriso di Cutler le davano una certezza assoluta.
Pian piano, il coraggio e la scorrevolezza cominciarono a prendere possesso del suo corpo e fu lei stessa, seppur mal volentieri, a sfilare la mano da quella di Beckett per godersi meglio il ballo.
«Non era poi così tremendo, non è vero?» la rimbeccò mentre la affiancava per scambiarsi di postazione, sfiorandosi solo con una spalla.
«No, sono costretta a darti ragione, questa volta» rise lei, tornado a stringergli la mano per fare una piroetta intorno a lui.
«Io ho sempre ragione»
Eris alzò gli occhi al cielo, dandogli una giocosa spinta nascosta e tornando alla sua postazione iniziale.
Poi si avvicinarono quasi per ballare un valzer ma a estrema distanza, unico collegamento le mani unite tra loro. E volteggiarono.
Volteggiarono, volteggiarono e poi…
Senza sapere come, ci fu un cambio di coppie. La giovane non contò di quante persone si era spostata. Sentiva solo dei risolini di donne fin troppo evidenti alle sue orecchie e spinte forzose.
E finalmente si fermò. Tra le braccia della persona meno indicata della serata.
Jonathan Beckett la guidò nello stesso modo di Cutler, girando in tondo con le mani serrate. Tuttavia, quella fu una sensazione sgradevole. Era un bell’uomo, nessuno lo avrebbe negato. Aveva fascino e quel tocco di malizia nei modi e nella voce ma tutto era estremamente sbagliato con la persona che rappresentava.
Con la coda dell’occhio vide Cutler assottigliare lo sguardo verso suo fratello, mentre danzava con un’altra donna ma non si mosse dalla sua postazione.
«Sapete, ero troppo curioso di parlarvi.» le disse, torcendo il collo così che il minore non potesse leggergli le labbra mentre parlava con la moretta.
«Quindi hai pensato di sequestrarmi senza dare possibilità a Cutler di intervenire in pubblico.» e strinse i denti. «Si, li conosco questi giochetti, Beckett»
Si sentiva tremendamente a disagio ad apostrofarlo con il cognome di Cutler, ma non avrebbe dato riverenza, affabilità e rispetto ad un soggetto che non lo meritava affatto.
«Non immaginavo foste persino astuta.»
Eris rabbrividì quando l’uomo le dovette girare intorno, arrivando a pochi centimetri dal suo orecchio destro. Stava chiaramente cercando di intimorirla ma non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
«Non sai nulla di me.» lo aggredì, senza curarsi di abbassare la voce o mutare il tono di disapprovazione.
Decise tuttavia di continuare a ballare. Non avrebbe permesso a Jonathan di rovinare tutto ciò che Cutler aveva cercato di costruire nei suoi anni. E non a causa di un imprevisto qual’era lei.
Jonathan indossava una maschera nera con un naso a becchino che sembrava quasi perfettamente arredato con il suo personaggio inquietante e subdolo. Le prese nuovamente le mani, vincolandole ancor più ferocemente, quasi preparandosi ad una sua reazione esagerata alle sue prossime parole.
«Quanto vi ha promesso?»
Eris impallidì, quasi rischiando di inciampare sui propri piedi e sgranò gli occhi da cerbiatta.
«Denaro, un titolo, una dimora…?» continuò compiaciuto, non preoccupandosi della leggera perdita di equilibrio di lei. Si stava beando in una finta vittoria.
La ventiduenne, ormai quasi ventitreenne, aveva capito cosa voleva fare. Voleva umiliarla, calpestando e distruggendo tutta la sua immagine e dignità, costringendola ad una rivelazione fasulla  e offensiva.
Cercò di mantenere la voce più ferma possibile quando gli si rivolse con uno sguardo fermo e freddo come il ghiaccio che lui aveva negli occhi.
«Sono certa che Lord Beckett non perderebbe tempo con me, in tal caso. Ci sono sicuramente faccini migliori del mio in giro per il mondo desiderosi anche solo di un pezzo di pane.»
Quello rimase colpito dalla risposta schietta ma si riprese subito dopo con un ghigno significativo.
«Si, avete assolutamente ragione» le piroettò intorno un’ultima volta, sfiorandole la spalla coperta dai risvolti dorati e sorridendole. «Voi non siete nulla.»
Eris rimase a fissarlo per qualche attimo, dimenticando che la musica si fosse fermata lasciando solo che i boati di applausi riempissero il vuoto. Poi girò su se stessa e avanzò verso le scale.
Prima che potesse raggiungere la rampa, Cutler le bloccò il braccio in una morsa costringendola a voltarsi e guardarlo.
«Va tutto bene? Che cosa-»
«Si, Cutler, è tutto ok!» lo fermò, facendo un respiro profondo.
Il Lord era chiaramente scosso e irritato da tutto quello che era avvenuto a distanza di pochi istanti e metri e, perché no, sembrava anche preoccupato. La Gallese non sapeva definire se per se stesso e la sua immagine o per lei (pensiero che la scosse ancor di più), ma decise di tranquillizzarlo con un sorriso tenue.
«Vado un attimo a rinfrescarmi. Torno subito, va bene?»
Beckett lasciò cadere la mano lungo il fianco mentre con l’altra si tolse via la maschera. Non era molto convinto ma non aveva la facoltà di negarle nulla, era stata fin troppo accondiscendente quella sera.
Annuì, seppur titubante, e la ragazza salì il più velocemente le scale.
«Datemi un solo motivo per non farvi scortare fuori, vi prego.» sibilò il più basso, ponendo uno sguardo di fuoco verso l’unica ragione che stimolasse il suo odio quella sera.

Eris filò dritta dritta verso la sua lussuosa camera. Non aveva tempo di pensare o lasciarsi buttare giù da delle parole prive di senso e significato. Aveva lasciato Cutler in fretta e furia e nulla le assicurava che l’uomo non avesse pensato che fosse scappata a causa dell’altro fratello cattivo.
Ma sincera verità era che le stavano sanguinando i piedi per quelle maledette scarpe di cuoio duro come la pietra. Chiunque le avesse inventate avrebbe certamente avuto un proprio girone all’inferno.
Non impiegò molto ad attraversare il solito caratteristico corridoio e a farsi un altro paio di rampe di scale. Se le saliva non aveva alcun problema, a scendere ci aveva impiegato un po’ all’andata ma trovandosi in posti appartati e non trafficati, l’umiliazione post caduta non era presa in considerazione.
Entrò nella camera facendo scattare la chiave che si era allacciata vicino al fianco e corse a mettersi quel bel paio di Nike.
Non seppe perché non aveva optato subito per la scelta. Aveva veneficamente sperato che le scarpe del diavolo non le facessero poi così tanto male…
Lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando i suoi piedi furono liberi di respirare e si stiracchiò come un gatto, scivolando con la schiena sull’ampio letto a baldacchino che quella notte li avrebbe ospitati entrambi.
Jonathan Beckett. Non era stato affatto carino. Forse avrebbe dovuto trovare una giusta vendetta, qualcosa che lo umiliasse al punto giusto ma senza risultare troppo cattiva.
Si, l’avrebbe fatto, decise. Gliel’avrebbe fatta pagare.
I suoi genitori le avevano sempre insegnato che si ricorreva alla violenza e ai tiri mancini solo quando non si avevano buone argomentazioni con cui combattere una discussione… ma questa volta decise che avrebbe agito da stupida.
In ogni caso, lei non poteva dire tutta la verità quindi un confronto aperto era da escludere per evitare un disastro.
Si alzò a sedere e si infilò le scarpe in fretta e furia.
La corsa al pian terreno fu molto più agile e veloce. Si pestò qualche volta l’estremità del vestito bianco ma riuscì a ristabilirsi in tempo per non sbattere il viso a terra.
Prima di tutto, doveva chiedere ad un cameriere che serviva quei favolosi calici dove avrebbe potuto trovare la cucina e poi avrebbe cercato i classici uova e farina.
Oh, si. Si sarebbe divertita.
Svoltò l’angolo.
«Questo non estirperà le tue colpe! E’ morta a causa tua!»
L’intera sala era nel bel mezzo dell’era glaciale. Nessuno parlava, nessuno si muoveva, i musicisti sembravano pietrificati come i camerieri nel mezzo della stanza.
Eris guardò giù dal muro di pietra dove si poggiavano e cominciavano a scendere le scale e si trovò esattamente sopra i due protagonisti dell’attenzione.
Il maggiore dei Beckett aveva le mani serrate contro i fianchi e sembrava tremare impercettibilmente di rabbia repressa. Dal canto suo, Cutler era una maschera di emozioni, gli occhi opachi e la sua piccola figura stoica nella sua posizione.
«Jonathan…ti stai rendendo ridicolo…» farfugliò un giovane che la Gallese non aveva mai visto prima al fianco dell’uomo arrabbiato.
Nonostante la stanza fosse grandissima e la distanza la separasse dal resto, poteva avvertire addirittura il respiro affannoso del moro.
«Ho letto le lettere! La tua ambizione era più importante di nostra sorella!» continuò, non curandosi della persona che si trovava al suo fianco o della cara moglie che si guardava intorno, imbarazzata dagli sguardi puntati su di loro.
«Hai letto…le lettere che indirizzavo chiaramente e solamente a Jane?!» c’era tanto rancore e dolore nella voce strozzata di Cutler e spaventò terribilmente Eris. Era la prima volta che la sentiva.
«Mentre tu eri impegnato nella scalata al potere, lei moriva credendo alle tue bugie!» lo azzannò Jon, avanzando un passo di troppo che fece tendere Mercer, appoggiato contro la balaustra di marmo che sorreggeva la scalinata.
«Dopo la morte di nostro padre, mai avrei creduto che ti saresti ritirato dal dovere della tua presenza! E per cosa? Quella puttana deve averci giocato bene con la tua testa.»
La saliva in gola le si bloccò, proprio come i sospiri di sorpresa trattenuti simultaneamente da tutta la sala e la vista le si offuscò per un attimo.
Cutler si guardò intorno, come a cercare di individuare la mora ma non la trovò da nessuna parte. Credeva di essere solo.
«Incantevole, davvero. Mi domando cosa tu gli abbia promesso in cambio dei suoi servizi…» la voce gli si era fatta aspra, quasi delirante ma Beckett non apriva bocca. Lo guardava a sua volta, in completo silenzio.
Eris sentì un fruscio dietro di lei e si voltò di scatto. Lì, a pochi centimetri di distanza, verso la svolta del corridoio di destra che prima non aveva notato, un servo stava versando silenziosamente dello champagne in una bacinella di cristallo già semi colma.
Sorrise.
Era sicuramente un segno del destino.
«Dì qualcosa, Seppia!»
Poi, in concomitanza del getto, la stanza tornò a riempirsi di un soave GASP.
Dai piani alti, Eris aveva gettato tutta l’intera vaschetta sulla testa e, a quel punto, sui vestiti di Jonathan Beckett Jr.
L’uomo sembrò talmente scosso che non proferì parola né si mosse nemmeno per vedere chi fosse stato l’artefice di un gesto simile.
«Ops, errore mio» la ventiduenne scese le scale velocemente (Mercer non perse tempo a notare il paio di snickers ai piedi di lei e ad alzare gli occhi al cielo) e si avvicinò al signore. Con cautela allungò un dito e lo passò su una spallina impregnata, portandoselo poi alle labbra. «Uhm, lo champagne è duro a togliere. Ti consiglio di spogliarti qui ed ora.»
Se l’era aspettato, non poteva negarlo, ma fu lo stesso uno shock quando la mano del messere incontrò la sua guancia. La diede abbastanza forte da farle voltare il viso verso destra e qualche passettino per ristabilirsi.
Mercer, che era scattato appena la mano dell’uomo si era fatta forza verso l’alto, torse il braccio con cui l’aveva schiaffeggiata dietro la schiena e quello gemette di dolore.
«Ehi, che diavolo credi di fare! Sei solo un cane!»
«State attento ai cani, Mr. Beckett. Non sapete mai quando mordono.» sibilò l’assassino, stringendo ancora più la morsa e venendo ricompensato da un nuovo gemito.
«Guardie! Scortate questo bruto fuori dal palazzo, di grazia» ordinò il Re dal suo alto scranno vicino al gruppo di violinisti sul piccolo rialzo.
Anche il Re e la Regina avevano assistito al brutale scontro e probabilmente si erano intrattenuti più del previsto.
Le giubbe rosse situate ai quattro lati della stanza avanzarono verso Jonathan e lo bloccarono da entrambe le braccia. Diana, fattasi piccola piccola, lo seguì in silenzio mentre lo scortavano verso l’uscita e l’altro baldo giovane che aveva precedentemente avvertito l’uomo uscì di scena insieme a loro.
Cutler si avvicinò a piccoli passi ad Eris che girò la testa a guardarlo. La porzione di guancia abbronzata era più rossa del previsto e sembrava doloroso.
Il Lord si tolse un guanto e lo posò sul segno, un’espressione di rammarico negli occhi grigi che fecero sorridere dolcemente la ragazza.
«Va tutto bene. Non fa male» e scostò la mano, arrossendo di un profondo rosso pomodoro, rendendo più evidente lo schiaffo sul viso. Nella stanza stavano guardando tutti nella loro direzione.
Come un bisogno fisiologico di togliere tutta quella attenzione lontano da sé, prese Beckett per le spalle e lo girò verso l’intera platea.
«Beh, bando alle ciance! Siamo o non siamo qui per celebrare il titolo di Lord Beckett? Brindiamo!» afferrò un calice da un piatto d’argento che sorreggeva un cameriere lì vicino e lo buttò giù tutto d’un fiato.
Nella stanza partirono prima dei borbottii, poi delle risatine più pronunciate mentre delle coppie si avvicinavano e prendevano anche loro dei calici. La musica ricominciò nella sua vivace melodia ad un accenno del capo della regina e ben presto Beckett fu accerchiato da curiosi.
Eris tentò di svanire alla Homer Simpson facendo dei passettini silenziosi a mò di gambero e quando riuscì a raggiungere nuovamente la scalinata, si girò salendola velocemente e indisturbata.
Cutler si accorse della sua ritirata mentre lei aveva già raggiunto metà della rampa tuttavia evitò di riprenderla. Qualche attimo della serata se l’era guadagnato.

Restò sulla loro balconata in camera fino a tarda serata. Era corsa a mettersi un panno bagnato e freddo sulla guancia per alleviare il bruciore e aveva miracolosamente funzionato.
Riuscì a vedere Jonathan venir trascinato nella carrozza nonostante le mille discussioni sia con le guardie che con la moglie, che tentava di sopprimere i suoi ancora bollenti spiriti. Quasi le fece pena.
Notò molte cose nella buia notte.
Come le giubbe rosse si intrattenessero tra loro con delle battute o dei racconti squallidi, non divergendo poi così molto dai pirati, accanto alle molteplici carrozze nere.
Come l’ampio giardino e i fiori brillassero alla luce delle torce tutte intorno alla zona. Quasi le venne il desiderio di scendere e godersi quell’atmosfera, ma le zanzare e gli insetti non le stavano dando proprio un caldo benvenuto già dalla balconata.
Riuscì perfino a intravedere il suo cagnaccio che si divertiva all’interno di una gabbia mentre mordeva quello che sembrava un osso.
E le stelle. Avrebbe dato qualunque cosa per portare quelle stelle a casa con sé quando fosse tornata indietro.
Al sicuro, sulla terra ferma e senza il rumore del mare che ormai era diventato fastidioso, tutto sembrava essere più magico ed evidente. Miliardi di stelle illuminavano il cielo nero in un modo che non aveva mai visto.
Continuò a bearsi di quella vista fino a quando la porta principale non si spalancò e diverse coppie presero a fare la loro uscita, chiacchierando animatamente.
Li osservò salire a bordo dei loro mezzi privati di trasporto e partire con il loro cocchiere che guidava i cavalli su per il lungo viale di ghiaia.
«Buonanotte.»
La Gallese girò la testa, tendendosi per guardare all’interno della stanza, e trovò Beckett che chiudeva la porta, dirigendosi verso il suo scaffale accanto al letto.
Intravide una medaglia tra le sue mani e la posizionava con cura sulla mensola e la giovane non poté far altro che sorridere a quella visione.
Tornò a dedicarsi allo scrutare tetro dei nobili che andavano via e si lasciò cadere con le braccia sul balcone, non curandosi di mantenere un certo portamento.
«Vi siete persa l’assegnazione del mio titolo.»
Eris sbuffò e alzò un sopracciglio. «Ancora del voi?»
Volse il capo e lo trovò con lo stesso completo ma privo, finalmente, della parrucca bianca. Lasciando i castani capelli ricci al vento fresco della sera.
«L’abitudine…» poi scosse la testa. «O meglio, galateo.»
La mora si fece beffe di lui con una risatina secca e fece spallucce in risposta alla sua provocazione.
Rimasero molto tempo a guardare le persone che pian piano svanivano oltre il muro e si divertirono a osservare come molti alzassero lo sguardo nella loro direzione.
Poi Cutler decise di spezzare il silenzio.
«Quello che Jonathan ha detto…riguardo la morte di mia sorella-»
«Lo so bene. So che non è stata colpa tua.» gli sorrise, benevola. «Non hai ancora il potere di disperdere la febbre, giusto?»
Beckett ridacchiò freddamente. Forse aveva fatto la battuta sbagliata.
«Ho fatto quello che la Compagnia delle Indie si aspettava da me. Anche se questo ha costretto mia sorella al secondo posto.» si voltò verso Eris per guardarla negli occhi, certo che quello che stesse dicendo seppur doloroso e pesante, doveva essere appreso e capito. «Non mi pento di nulla.»
La giovane tornò a posare la sua attenzione sulle stelle e fece un sorriso storto, comprensivo ma non così tanto.
«Probabilmente avrei preso una scelta diversa dalla tua se si fosse trattato di mio fratello…ma il tuo intervento non dava certezza che sarebbe sopravvissuta.»
Cutler la guardò stupefatto.
«Avete-» Eris lo fulminò male. «Hai un fratello?»
«Si, più piccolo di 4 anni. Una vera spina nel fianco.» sbottò ma qualcosa nei suoi occhi brillò come una vaga scintilla di sofferenza. Quanto tempo era trascorso dall’altra parte? Si stavano chiedendo dove fosse finita? Come avrebbero reagito i suoi genitori alla sua scomparsa?
«Non te ne ho mai parlato?» chiese subito dopo, abbandonando quei pensieri per l’ennesima volta.
«Non ne parli mai.» osservò quello, aggrottando le sopracciglia e posando le mani sul balcone. Ora che osservava meglio, Cutler sembrava essersi tolto anche i guanti bianchi.
«La mia famiglia è normale...in realtà, nel mio tempo non ci sono classi sociali così distaccate. Ci sono famiglie facoltose, certo, ma siamo comunque tutti su un pari livello.» si tirò su con la schiena e sospirò al vento che aveva cominciato a scompigliargli un po’ i capelli. Londra tendeva a irrigidirsi di sera, persino in piena estate.
Seguì come la sua mano sfiorò con l’indice sinistro quella del Lord e rimase come fascinata. Le sue dita erano più lunghe di quelle di lui e più fine, Beckett le aveva più corte ma più robuste. Si chiese come mai non l’avesse mai notato prima e se l’avesse osservato solo in quel momento.
Quando alzò gli occhi trovò quelli dell’uomo incollati su di lei, e sorpresa scostò subito la vicinanza.
«Mi dispiace»
Non seppe perché si era scusata. Poteva benissimo essere un incidente, scusarsi non era certo necessario.
«Il giorno è quasi terminato.» avvertì invece lui, non tenendo conto della scusa tirata fuori dalla giovane.
Eris si chinò verso l’orologio da taschino che pendeva da una tasca interna che dichiarava le 23:57. Si corrucciò. Quel giorno particolare stava già volgendo al termine e le era sembrato scorrere fin troppo velocemente. Erano davvero passate già più di 15 ore dal loro arrivo a Londra? Avrebbero dovuto lasciare quel luogo tra pochissime ore e rimettersi in marcia verso l’ufficiale storia.
E lei non se la sentiva di avventurarsi in quei bui e movimentati momenti che sarebbero certamente arrivati.
«Si, meno di tre minuti» confermò lei, aprendo le labbra in un sorrisetto sarcastico «Il tuo asso nella manica nel dovermi far fare tutto ciò che desideravi sta scadendo. Qualche ultimo desiderio?» sapeva che non avrebbe dovuto porgere quella domanda ma non riuscì a non stuzzicarlo fino alla fine.
Cutler rimase immobile per moltissimo tempo prima di fare il primo passo. Allungò una mano al suo viso e in contemporanea avanzò verso di lei, arrivandole a pochi millimetri di distanza.
Eris sentiva la mano scostarle i capelli e arrivare a sfiorarle uno zigomo con il pollice, seguendone tutta la forma. Quella serata sembrava magica, fin troppo. Probabilmente si era addormentata nel letto e stava sognando.
Giunse a questa conclusione fino a quando le labbra di Beckett non toccarono le sue.
Non si era mai soffermata su un bacio. Erano sempre stati chiassosi, duri, passionali. Ma quella delicatezza, quella timidezza, quel distacco insicuro non l’aveva mai provato prima.
Doveva essere vero.
Non riuscì a reprimere un brivido che le partì dalle labbra fino ad arrivarle al ventre, simile ad una fitta dolce. Se ne imbarazzò.
Non c’era alcuna fretta. Si trattava solamente di due labbra una contro l’altra in un casto bacio. Tuttavia l’effetto fu più forte di ciò che si era aspettata.
«Puoi scegliere di dimenticare che questo sia accaduto.» le sussurrò sulle labbra, facendo un passo indietro ma non smettendo di guardarla.
L’unica cosa che la ragazza riuscì a fare era muovere una mano fino al viso e sfiorare le labbra che ancora bruciavano di voglia con la punta delle dita. L’aveva presa nella più totale sprovvista. Avevano passato insieme quanto tempo? Un mese? Forse quasi due. Gli aveva tirato i peggiori scherzi, lo aveva fatto avvelenare e vergognare. Lo aveva deluso non so quante volte ed ora si trovava lì, davanti a lei, con gli occhi vacui come ad aspettare un rifiuto o un’accettazione.
Non sapeva se voleva lanciarsi in quell’avventura ma in quel momento stabilì quel semplice contatto non le bastava.
«Tanto vale goderseli questi due minuti.» gli rispose solamente.
Alzò una mano e afferrandolo per il retro del collo lo avvicinò di nuovo a sé, restituendogli il bacio con più foga. Cutler, che con molta probabilità non si sarebbe mai aspettato un’aggressione simile, sbarrò gli occhi ma non si tirò indietro da quella passione. Lasciò che lo saggiasse con la lingua e lo sfiorasse con le mani fino al grande rintocco del piccolo orologio da taschino.
Poi lei si tirò indietro, gli sorrise e andò verso il bagno, lasciandolo da solo sulla veranda, senza una sola parola.



Angolo dell'autrice
Non posso credere di essere riuscita a finire questo capitolo in dieci giorni. E' stata dura ma ce l'abbiamo fatta. Questo era il clue di tutta la mia storia. 
Non capite quanto ho sudato per scrivere questo finale. Ero indecisa tra concluderlo con una scena divertente o con una scena romantica...ha prevalso, come tutti avete constatato, la romantica.
Forse perchè li volevo finalemente far cozzare come bamboline finalmente, non lo so. 
Beh, da qui ora sarà tutta una serie di problemi. Il sentimento, la complicità, i problemi di un outsider sul filo della storia... Ah, quanto amo il drammah.
Cooomunque, come avete visto (o forse no) ho inserito un personaggio storico Diana Spencer. Lady Diana, se non sapete chi sia, era una nobildonna inglese del 1710. Lei voleva sposarsi col principe del Galles, Federico per creare un'alleanza ma re Giorgio non approvò queste nozze (da qui l'odio alla vista del Re nella fanfiction).
Dato che la storia si sviluppa nel 1729, due anni più tardi Diana si sposò con un Russel. quindi ho deciso di rendere una compagnia a Jonathan Beckett Jr (su cui non ci sono molte informazioni a riguardo) per questo lasso di tempo, poi verrà malamente lasciato secondo i canoni della storia MUAHAHAHAH
Qui vi allego le maschere che Beckett e Eris indossano:
Maschere
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Pirati dei caraibi / Vai alla pagina dell'autore: Minga Donquixote