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Autore: Elgul1    01/07/2019    15 recensioni
In un mondo popolato da esseri sovrumani sta alla polizia cercare di garantire una sorta d'equilibrio, ma quando è la legge ad essere braccata, chi si occupa dell'ordine? Un nemico invisibile inizia a dare la caccia ad ogni eroe che lotta per la giustizia e la polizia brancola nel buio più totale. Starà a Steve e una squadra di agenti scelti scoprire chi si nasconde dietro queste morti brutali e i motivi che guidano il killer verso un piano malvagio e ambizioso.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alex guardava il rapporto sopra la sua scrivania con un misto di disgusto e rabbia. 
- Un altro super ucciso e stavolta è un livello III oltre che un civile. - pensò fra sé e sé sempre più allarmato, non poteva più tenere nascosta la faccenda al pubblico. La morte di due agenti poteva starci ma di un super di quel livello e così benvoluta come avrebbe potuto occultarla? Senza contare gli ingenti danni provocati dallo scontro tra palazzine distrutte, feriti e morti, era stato un disastro vero e proprio contando anche che i soccorsi erano arrivati tardi e non erano riusciti a trovare quasi nulla. 


"Sta diventando una situazione davvero problematica." disse ad alta voce. Il telefono sulla scrivania cominciò a suonare e, tremando, afferrò la cornetta. 

"Pronto?" disse subito. 
"Comandante Alex, mi spiega cosa diavolo sta succedendo?" domandò la voce alterata al telefono. 
Lui raggelò al sentire quella voce. 
"Signor sindaco, io..." 
"Niente ma..." lo interruppe lui subito. " Un'intera via distrutta, la parata di domenica andata a monte e senza contare che un super di classe III è morto insieme ad altri due agenti in queste ultime tre settimane." continuò a dire. 
"Signore ho messo i miei uomini migliori a indagare sulla faccenda." si cercò di giustificare lui. 
"Mi ascolti attentamente comandante Alex..." disse di nuovo lui non interessato a quelle scuse patetiche. 
"Oggi pomeriggio terrò una conferenza stampa e lei verrà con me..." cominciò a dire con fare autoritario. "Dichiarerò lo stato d'allarme per la città. Se entro una settimana non avrà niente in mano si prepari a fare baracca e burattini. A presto." Gli annunciò lui chiudendo di scatto la chiamata. 
Alex rimase con la cornetta attaccata all'orecchio ancora per qualche istante per poi sbatterla sul tavolo con violenza, le cose si stavano mettendo veramente male. Veloce provò a chiamare Steve ma il telefono era staccato. Imprecò nuovamente e chiamò Erika, aveva assolutamente bisogno che Steve si mettesse subito a lavoro.


-


Karen si rigirò sopra il divano su cui stava dormendo per poi capitombolare al suolo avendo fatto un movimento di troppo. 

"Ahi..." borbottò toccandosi la testa con cui aveva preso in pieno il pavimento. Si guardò attorno alla ricerca di Justice ma non lo vide da nessuna parte. Si ricordo di quello che era successo ieri e fu presa da un conato di vomito. Il pensiero di aver ucciso quel bambino e sua madre stava tornando alla mente e sentì un freddo denso arrivargli all'anima. - Che cosa ho fatto? - pensò inorridita e fissando le sue mani che gli tremavano al solo ricordo. 

La porta della camera si aprì di botto mostrando la figura alta di Justice uscire con un’espressione indecifrabile sul viso. 

"Buongiorno." disse lei abbassando lo sguardo e completamente ignorata dall’uomo, che si diresse nella cucina. "Tu come ti senti?" chiese ancora lei, mettendosi in piedi e avvicinandosi al tavolo da pranzo. "Io sono ancora piuttosto scombussolata..." ammise ancora mesta notando che il killer aveva aperto il frigo e aveva preso un po’ di cose a caso senza calcolarla ancora. 
"Per quanto ho dormito?" domandò ancora la donna mentre lui metteva della carne nella padella per cuocerla senza rispondergli. 
Karen emise un sospiro percepiva la rabbia nell’uomo, era palpabile quello che ieri aveva fatto Knife era qualcosa di inumano, qualcosa di davvero troppo. 
"Mi dispiace..." balbettò con un sussurro la donna, facendo fermare Justice dal buttare il sale sopra la carne che stava sul fuoco. 
"Non mi aspettavo che Knife avrebbe fatto quello che ha commesso io..." 
Prima che finisse di parlare Justice gli era piombato addosso prendendola per il collo e sollevandola di peso come nulla. 
"Hai detto che ti dispiace?" Gli ringhiò contro lui, con due occhi carichi di rabbia e furia mentre lei cominciava a singhiozzare e a soffocare. 
"Secondo te il tuo dispiacere riporterà in vita quell'anima pura? Secondo te le tue scuse basteranno a bloccare l'immenso casino che la tua doppia ha procurato ieri sera?" Gli domandò ancora mollando la presa e facendola capitombolare a terra in mezzo alle lacrime e alla ricerca d'aria. 
"Falla uscire." Ordinò irremovibile lui. "Voglio lei e non te qui." Le disse ancora con tono duro, non riusciva a prendersela con quella parte di Knife, aveva percepito i suoi sensi di colpa ma quelle scuse patetiche lo avevano fatto alterare più del dovuto. 

La super si alzò di scatto cercando di attaccarlo ma lui l'agguanto per la testa, sbattendola contro la porta del frigo. 
"Finalmente sei uscita fuori, eh?" Gli sibilò colmo di rabbia e colpendola con un calcio all'altezza dello stomaco, facendola rifinire a terra con un sussulto. 
"Che succede? Se non uccidi bambini non riesci a combattere bene?" Chiese provocandola, mentre la donna col suo potere e presa dalla rabbia scagliò un coltello da cucina che il killer evitò senza alcuna fatica e, arrivatogli davanti, la prese in pieno sul volto mandandola in soggiorno.
 "C'erano tanti modi per riuscire a vincere e attenersi al piano e tu..." La sollevò per i capelli alzandogli il viso da cui usciva del sangue oltre alle lacrime di pochi istanti fa. 
"Hai scelto la cosa peggiore uccidere una vita che non c'entrava nulla e senza alcuna spiegazione. " Continuò a dire preso dalla rabbia. 
"Perché mi stai facendo questo?" Chiese Knife all'improvviso col sangue che le usciva dal labbro rotto e con la voce rotta. "Abbiamo portato a termine l'incarico e ucciso il bersaglio, se un bambino è morto che differenza fa?" Continuò a dire la donna convinta. 
Lui la guardò non più con uno sguardo pieno di follia omicida ma di tristezza. "Sei solo una persona patetica. Quel bambino avrebbe potuto continuare a vivere, avrebbe sofferto solo per un po’ ma poi sarebbe riuscito ad andare avanti." Le mormorò mettendosi in piedi e dandole la schiena.
" Io sarei patetica?!" Sbottò la killer con rabbia colpendolo con i suoi pugni ma senza sortire alcuna reazione. 
"Tu allora? Che ti arrabbi per la morte di un misero bambino? Pensi che se avesse vissuto avrebbe potuto avere una vita normale?" Gli domandò presa dalla rabbia continuando a colpire la schiena ampia dell’uomo, che era fermo. 
"Io sono orfana di entrambi i miei genitori..." mormorò la donna fermando i pugni e aprendo i palmi mettendoli sulla schiena di lui, che non accennava a muoversi. " E' stato orribile vivere senza di loro con la consapevolezza di non avere più alcun legame con nessuno..." il tono di voce era cambiato così come l'espressione che aveva sul volto, riprendendo i tratti dolci di Karen. 
"Se pensi di impietosirmi ti sbagli di grosso..." replicò Justice con un tono duro. 
"Ognuno vive una vita costellata di sofferenza. Io, tu o chiunque altro stia soffrendo in questo momento..." si girò verso di lei, coi loro volti vicini più di altre volte in quei pochi giorni di convivenza forzata. "Io uccido solo chi mi viene indicato, io sono il boia, non il giudice..." le continuò a dire mentre la carne sfrigolava. ù"Non puoi sapere se la vita di quel bambino sarebbe stata piena di sofferenza come non lo posso sapere io. Togliergli la vita per paura che avrebbe avuto un’esistenza come la tua è stata una decisione che non spettava a te." concluse tornando in cucina e lasciando Karen accasciarsi sul pavimento tra le lacrime.


-


Steve aprì gli occhi piano mentre un mugugno di dolore gli usciva dalla bocca. Si sentiva a pezzi come se un camion gli fosse passato sopra con inaudita violenza oppure come dopo una lotta contro un tizio che lo aveva usato come un sacco da boxe.

 "Ti sei svegliato finalmente." Disse Jennifer, seduta accanto a letto e con un tono sollevato. 
Lui la guardò, aveva gli occhi stanchi e i vestiti che indossava sembravano alquanto sgualciti. Che avesse deciso di dormire lì seduta per vegliarlo? Provò ad alzarsi ma il dolore glielo impedì. 

"Sei conciato piuttosto male..." Cominciò a dire lei, che si stava per alzare per fermarlo. 
 "Quanto male?" Chiese lui incuriosito ributtandosi a letto come un sacco di patate e facendo un nuovo mugugno per via di una fitta alla schiena. 
"Il braccio sinistro è lussato, due costole si sono rotte e, oltretutto, hai un viso così gonfio che sembri una palla da bowling." Elencò la donna seria in viso, lui fischiò. 
"Cazzo, mi ha ridotto davvero male." Rispose mettendosi comodo sul suo letto. 
"Già, per tua fortuna ti ho trovato e portato qui, oltre che chiamato un medico che non dirà niente su queste ferite." Spiegò ancora la donna. 
"Come hai fatto a trovarmi?" Chiese Steve all'improvviso. 
Jennifer avvampò sul viso. " Diciamo che potrei aver inserito un gps nel tuo telefono." Borbottò la donna facendo la vaga e guardando da un'altra parte mentre lo diceva. 
"Tu cosa?!" Esclamò d'impeto lui quasi convinto di segnalarla per stalking appena ne avesse avuto una possibilità. 
"Beh, se non lo avessi fatto tu saresti morto in un dannato vicolo di quella via distrutta. Cercare di affrontarlo… ma che diavolo ti è saltato in mente?" Replicò lei con lo stesso tono. Lui la guardò abbastanza stupito. 
"Come sai chi ho affrontato?" Chiese prima che continuasse col rimprovero. 
Jennifer rimase in silenzio. 
"Tu lo hai visto e non hai fatto niente?" Le domandò Steve ancora; lei stava per replicare quando qualcuno bussò alla porta. 
"Aspettavi visite?" Mormorò lei, contenta di aver evitato la catastrofe. Lui scosse la testa. Jennifer si alzò, prendendo la pistola dal comodino e mettendola nella fondina dentro la giacca e si diresse alla porta. Quando la aprì si trovo davanti una donna alta poco meno di lei, dai lunghi capelli castani e con indosso una divisa della polizia che gli stava fin troppo attillata sul davanti. Jennifer la guardò storto per un breve secondo. 

" Salve..." disse la donna fissandola piuttosto confusa, come se non si aspettasse che Jennifer ci fosse. "Steve per caso è sveglio?" chiese ancora, in evidente imbarazzo; non si aspettava che una donna venisse ad aprirle la porta e, soprattutto, non sapeva che lui si vedesse con qualcuna. 
"Chi lo cerca?" domando Jennifer. 
La donna estrasse il distintivo dal taschino. "Sono Erika Taylor e lavoro con lui. Posso parlargli?" mormorò ancora facendo imprecare mentalmente Jennifer. 


-


Joseph chiuse gli occhi e inspirò piano. Sentì l'aria fluire in lui attraverso il naso e poi la rilasciò con un lieve respiro. Nella mano destra iniziò ad avvertire un forte calore e una luce cominciò a irradiarsi da lì. Nella sinistra si formò invece un cristallo di ghiaccio che andava di pari passo col calore della fiamma. Sentì poi i piedi alzarsi di qualche centimetro dal suolo della palestra in cui si stava allenando. 

- Sta funzionando. - pensò euforico ma cercando di trattenere l'eccitazione che lo stava avvolgendo. Se si fosse deconcentrato avrebbe buttato a puttane tutti quei tentativi.  
Sentì la sua epidermide indurirsi, quasi a formare scaglie. Sorrise. Ci stava riuscendo, dopo quasi quattro anni stava per farcela. Sorrise fra sé e sé quando avvertì un senso di vertigine e di vomito farsi largo fino alla bocca, di colpo il fuoco e il ghiaccio scomparvero dalle sue mani e lui crollò a terra vomitando bile. 

"Merda!" Sbraitò, dando un pugno sul pavimento della palestra della centrale e rischiando di intaccarlo.
 "Tutto okay amico?" Domandò una voce fuori dalla porta con tono preoccupato. 
Joseph alzò lo sguardo trovando davanti a sé un ragazzo poco più giovane di lui, alto e dai corti capelli neri, vestito in borghese. 
"Sì, tutto okay, grazie mille..." rispose lui rimettendosi in piedi, anche se a fatica. "Tu saresti?" Gli domandò ancora. 
" Mi chiamo Shoan Becker, molto piacere. Sei nuovo? Non ti avevo mai visto prima qui." disse lui a mo’ di presentazione e studiando il viso dell’altro super.
 Lui annuì. "Sì, diciamo che ho passato un periodo fuori all'estero e sono tornato da poco." Disse a mo’ di spiegazione, tralasciando la maggior parte dei dettagli. 
"Per caso hai visto una donna dai capelli castani?" Domandò l’altro con una certa fretta nel tono di voce.
 Lui alzò le spalle. "No, mi spiace, sono qua da un paio d'ore e forse mi è sfuggita." Rispose. Shoan imprecò. - Dove diavolo è andata a finire Erika? - pensò fra sé e sé. Steve era irraggiungibile, Walter si era chiuso nel suo laboratorio a trafficare, a parer suo su alcune cose importanti per la loro indagine, e adesso pure lei era sparita. 
"Che diavolo posso fare ora." bofonchiò ad alta voce, abbastanza nel panico. 
"Hai per caso bisogno di una mano?" domandò abbastanza interessato Joseph. 
"In verità sì, per un caso a cui sto lavorando ma purtroppo nessuno del mio team c'è al momento, si vede che dovrò vedermela da solo." ammise abbastanza innervosito da quella responsabilità. 
"Beh, se hai bisogno mi unisco a te." Dichiarò Joseph, battendo il pugno destro sul petto. Shoan lo guardò abbastanza stupito da quella dichiarazione. 
"Ehm, non so se posso, ecco." borbottò lui di rimando. "E' un’indagine abbastanza riservata, dovrei sentire il capitano." aggiunse.
 " Ma no, sciocchezze." replicò lui convinto, ridendo e mettendogli una mano sulla spalla sinistra. "Vengo io con te e rimarrà il nostro piccolo segreto, okay?" aggiunse sottovoce, cercando di trattenere l'euforia nella voce. 
Shoan lo osservò per un altro millisecondo. 
Quel tizio sembrava apposto nonostante tutta quell'energia tirata fuori dal nulla. - Cosa potrà mai succedere? - rifletté fra sé e sé. 

"Okay, d'accordo. Come ti chiami a proposito?" Gli chiese mentre si dirigevano verso il parcheggio. 
Joseph stava per dire il suo nome ma si bloccò per un istante, per poi dire con un sorriso: "Chiamami solo Superior.", dichiarò mentre, con allegria, si dirigeva verso quella missione.


-


Steve si sentiva un animale in gabbia e desideva, in quel momento più che mai, il potere di poter scomparire nel nulla. 
A sinistra del tavolo c'era Jennifer che, sull'angolo cucina, aveva messo a bollire del caffè e se ne stava in silenzio da quando Erika era entrata. Non aveva detto una sola parola. Lui, riuscito finalmente ad alzarsi, si era messo capotavola e, a destra, Erika lo fissava e poi guardava l'altra con fare curioso. 

"Che sei venuta a fare qui, Erika?" domandò lui, cercando di smorzare quel silenzio tra l'imbarazzante e il teso che li stava inglobando. 
"Avevamo una riunione stamattina, te lo sei scordato per caso?" Mormorò la poliziotta di rimando, con fare autoritario. "E, inoltre, sia io che Shoan abbiamo fatto progressi e volevamo sentire il tuo parere." Aggiunse la donna che, notando la mano fasciata e il volto livido, disse: "Che ti è successo, a proposito?" 
L’uomo imprecò mentalmente. Non poteva dirgli cosa era successo davvero, lo avrebbe ritenuto uno stupido per averci anche solo provato e avrebbe fatto fin troppe domande. Il suo sguardo si spostò su Jennifer che di schiena era ancora a controllare la moka senza aver proferito nemmeno una parola. 
- A che diavolo stara pensando? - pensò fra sé e sé. 

"Ehi Steve." Schioccò le dita Erika per riportarlo alla conversazione. 
"Sì, scusa." Disse lui voltandosi verso di lei, che lo guardava torva.
 "Se non vuoi dirmi cosa è successo non sei tenuto a farlo..." Sbottò inacidita lei. "Quello che fai nel tuo tempo libero è affare tuo, non certo mio." replicò ancora abbastanza schiettamente.
 "Ma cos..." Lui la guardò abbastanza confuso, come se lo avesse schiaffeggiato senza motivo. "Non è successo nulla, tranquilla. Diciamo che ho avuto una rissa con alcuni tizi a un bar." Mentì lui, sperando che la bugia reggesse. Erika lo conosceva fin troppo bene, sapeva che non sarebbe durata a lungo ma, in qualunque modo, doveva almeno tenere nascosta la verità almeno per un altro po’. 
"Comunque, di che progressi volevi parlarmi?" Domandò sperando che, cambiando discorso, Erika si calmasse. 
L'agente l’osservava ancora torva. "Siamo stati alla prigione e, a quanto pare, al nostro amico piace usare metodi abbastanza vecchi per infiltrarsi nei posti. Io e Shoan saremmo dovuti andare per vari rivenditori non autorizzati ma, essendo tu assente, dovremo andarci domani." 

L’uomo annuì. " Uno dei rivenditori più grandi si trova nel territorio di una certa banda, vi consiglio di farci un salto." 
La donna annuì, conosceva di fama quel rivenditore e il tizio forse si era recato lì. "Comunque ti devo anche dire che il distretto è nel caos più totale. Alex andrà a una diretta col sindaco per parlare dello stato d'emergenza." Annunciò Erika, facendo così sbiancare gli altri due in volto.
 "E perché mai dovrebbero farlo?" chiese Jennifer, mettendo sul tavolo il recipiente col caffè bollente ed entrando nel discorso per la prima volta. 
"Per il semplice fatto che dopo una parata con dodici fury, un numero imprecisato di danni e una super di classe III morta con altrettanta distruzione, Alex non potrà più tenere nascosta la faccenda." spiegò brevemente lei, scoccando un'occhiata alla rossa.
 "Immagino che voglia che finiamo subito il caso, il prima possibile, non è vero?" Disse di rimando Steve versandosi, con la mano sana, del caffè nella tazzina. 
"Esattamente." Confermò Erika tetra in volto. 
"Quanto tempo ci ha dato?" Mormorò Steve, notando l'espressione cupa della donna. 
"Poco meno di due settimane." Rispose lasciando l’uomo di sasso. 
"Due sole settimane?!" Sbottò lui abbastanza colpito. "Alex è forse impazzito? Non abbiamo quasi niente in mano, stiamo girando in tondo completamente." Aggiunse, preso dall'impeto.

" Lo so anche io che cosa credi. Il sindaco però ha dato questo tempo massimo ad Alex e così lui a noi. Siamo nella merda, lo so." Ammise Erika, incrociando le braccia al petto. 
" Su Knife abbiamo notizie? Forse con quella pazza al suo fianco sarà più facile che faccia errori." Propose Steve. 
"Beh, dovrei andare a parlare con la sua psichiatra qualunque informazione potrebbe esserci utile." Rispose lei di rimando. 
"Dobbiamo affrettare i tempi, c'è poco da fare..." Borbottò Steve. "Va’ subito dalla psichiatra e vedi cosa riesci a scoprire. Io al momento non mi posso muovere, almeno non oggi sentirò Thomas, se può andare da qualcuno di questi rivenditori per vedere se scopre qualcosa, di sicuro desterà meno sospetti degli agenti in borghese." Gli annunciò lui dubbioso. 
"Allora mi metterò subito a lavoro." Disse Erika controvoglia nel parlare con quella psichiatra. 
"Lo so benissimo che non ci vorresti andare." Disse Steve lasciandola di stucco. 
"Ci andrei io ma al momento non ne sarei granché in grado." Ammise controvoglia. 
"Non ti preoccupare." Rispose la donna con un sorriso. " Vedi di rimetterti però." Gli disse ancora, facendo un segno di saluto a Jennifer, per poi uscire di corsa. 

Una volta rimasti soli entrambi si fecero seri in viso, osservandosi per qualche istante in silenzio. 
"Lei è la donna di cui mi parlavi?" Domandò Jennifer, con una leggera irritazione nella voce. 
Lui annuì. 
"E' colei che sarebbe dovuta essere la moglie del mio migliore amico." Le mormorò con voce afflitta. 
Jennifer gli sedette accanto, prendendo la sua mano nella sua e facendogli un sorriso.
 "Non puoi continuare così e lo sai..." lo avvisò lei con dolcezza. "Quel rimpianto ti logorerà un giorno." Lo ammonì ancora, ma con un tono sempre dolce. 
"Lo so benissimo..." Ammise lui stringendo, con una leggera forza, la mano che la donna gli porgeva. 
"Una volta finito questo caso gli parlerò e le spiegherò tutto ma al momento dobbiamo parlare io e te." Le comunicò tornando serio. "Voglio che mi parli di cosa accadde tre anni fa, in quella città, e vorrei saperlo adesso." Le disse, venendo ricambiato da un cenno d'assenso. 








ANGOLO DELL AUTORE: Eccomi col capitolo nuovo di Ubeworld grazie  a chi legge e recensisce a breve siamo al capitolo trenta ancora stento a crederci di essermi spinto così in la con questa storia grazie di cuore a tutti voi ^_^



   
 
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