Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Minga Donquixote    02/07/2019    2 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
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Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14. Shopping londinese

Eris poggiò il suo bagaglio davanti al grande portone di quercia e ferro e si stirò, alzando le braccia al cielo (per quanto il vestito grigio glielo permettesse).
Il valletto che l’aveva vista arrivare sbiancò tutto d’un tratto e corse su per le scale per raggiungere lei.
«Mia signora, non dovevate. Ci avrei pensato io al vostro bagaglio.» balbettò afferrando subito la grande valigia e guardandosi intorno, come temendo il rimprovero di qualcuno.
La ragazza lo guardò stordita ma poi gli regalò un sorriso tutto denti, dandogli leggere pacche sulle spalle curve. «Non ti preoccupare, non pesava poi così tanto.»
«Lady Beckett, il re sta aspettando nella sala.»
Mercer che era comparso dal nulla si avvicinò a lei e socchiuse gli occhi nella direzione del valletto con fare guardingo e anche un po’ minatorio. Ma dopotutto Ian non era in grado di non guardare qualcuno con minaccia velata.
Eris annuì e si avviò verso l’ampia porta alla fine del corridoio.
In mezzo alla sala, la regina e il re sembravano ascoltare un Cutler Beckett vestito di tutto punto e con la spilla nuova salda sul petto. Il Re aveva la fronte corrucciata nel cercare di capire le parole del Lord mentre la regina aveva un’espressione più consapevole, quasi piena di rassicurazione.
«Buongiorno» salutò la nuova arrivata attirando l’attenzione su di sé. «E’ ora di andare?»
La ragazza si era super eccitata quando aveva sentito le guardie parlare di una scorta per le strade di Londra per Lord Cutler Beckett. Non immaginava che avrebbero potuto fare un giro, aveva la convinzione che sarebbero partiti subito dopo aver liberato l’enorme camera da letto (che si sarebbe pentita di aver lasciato, già lo sapeva).
«Oh, eccovi qui. Stavamo giusto parlando di voi.» Giorgio II si tirò pesanti manate sul panciotto ampio e si esibì in uno dei suoi sorrisi miracolanti.
Eris alzò un sopracciglio e girò la testa per fissare Beckett ma quello aveva lo sguardo fisso davanti a sé, come evitandola appositamente.
«Che ne dite di restare a palazzo?» la voce pacata della regina Carolina la colpì di sorpresa. Non l’aveva mai sentita parlare e dalla corporatura non si sarebbe mai immaginata una voce così melodiosa.
Le donne dovevano smetterla di essere così maledettamente perfette, lì.
«I-Io…mi prendete alla sprovvista, mia regina.» nonostante l’offerta l’avesse destabilizzata, riuscì a mantenere un certo rispetto e distacco. Sicuramente Beckett sarebbe stato fiero di lei.
L’uomo non sembrava, invece, per niente colpito dalle parole di Carolina cosa che non le piacque affatto. Che fosse stato lui stesso a proporlo?
«Ma sono costretta a declinare la generosa offerta, per sfortuna di Lord Beckett.» e posò una mano sulla spalla dorata del più basso, stringendo forte come a invitarlo a non aggiungere una parola. «Ho intenzione di seguire mio marito in questa impresa.»
La regina sgranò gli occhietti e mantenne la sua posizione statuaria, rivolgendo un’occhiata al suo Re, colpita dal rifiuto della giovane ragazza.
«E’ un vero peccato, Lady Beckett. Senza la vostra presenza, il palazzo mancherà certamente di un piacevole intrattenimento.» le fece l’occhiolino Re Giorgio, mentre lei rabbrividiva per il tono usato per il suo nuovo titolo e cognome.
«Credo sia tempo per noi di avviarci. Ho dato la mia parola a Lady Eris che l’avrei accompagnata a fare delle compere prima di tornare in mare.»
Erano ormai ore che non sentiva la voce di quell’uomo e quando le arrivò alle orecchie sobbalzò.
Quella mattina Cutler era sviato prima che lei riuscisse a svegliarsi del tutto. L’aveva intravisto attraverso gli occhi impastati di sonno mentre si sistemava vicino allo sgabello dal suo lato del letto ma poi era svanito attraverso la porta della loro camera e non l’aveva trovato da nessuna parte.
Fece scivolare via la mano dalla spalla di lui e aggrottò la fronte nella sua direzione mentre la accompagnava all’uscita della sala, una sua mano guantata che la guidava sulla schiena.
«Darmi la tua parola? Ma se non sapevo nemmeno che saremmo rimasti qualche ora prima di partire…» gli domandò una volta raggiunto l’ingresso e iniziando ad avvicinarsi alla carrozza che li aspettava nel punto esatto in cui l’avevano lasciati la mattina del giorno prima.
«”Mio marito”?» le ricordò Beckett, con un sorrisetto di scherno sulle labbra mentre l’aiutava a issarsi all’interno della carrozza.
Lei semplicemente arrossì e bofonchiò un “stai zitto” prima di essere seguita dal Lord divertito oltre il permesso.
Erano così presi dal giro che avrebbero fatto per Londra che si dimenticarono il cagnolino di Eris alla magione e che il povero servo stava agitando per attirare la loro attenzione.

«Beh, per fortuna che Mercer se n’è reso conto.» sospirò Eris mentre teneva saldamente la corda di cuoio che accompagnava il cane in giro per la strada di pietra.
Beckett, che le camminava al fianco si stropicciò gli occhi stanchi e sospirò sonoramente. Non aveva più parole da esprimere nei confronti della giovane donna. Ormai se ne stava facendo una ragione della sua disattenzione.
Anche se, quella determinata dimenticanza, l’avrebbe liberato certamente dal peso della bestia in giro per la sua Endeavour.
Poco prima di svoltare un angolo Eris si girò verso un piccolo negozio che mostrava in vetrina quelli che sembravano vasetti di marmellate o dolci in generale.
«Possiamo prendere qualcosa da portare sulla nave? Non avrò più nessun altra occasione di assaggiare creme del diciottesimo secolo.» supplicò Beckett che aveva alzato gli occhi al cielo e aveva indicato l’entrata del locale con un movimento del bastone da passeggio, come se stesse concedendo un premio ad un animale domestico.
Prima che si lanciasse all’interno, tese la corda del cane a Mercer che stava per entrare prima di lei e gli sorrise vittoriosa.  L’assassino lo prese senza fiatare ma non dimenticò di lanciare uno sguardo affilato verso la bestiola che gli aveva appena impedito l’accesso.
«Buongiorno, mia signora!»
Eris quasi urlò di paura quando un dolce uomo con una barba bianchissima e ispida si avvicinò di soppiatto a lei. Posò una mano sul cuore e lo trovò pompare in maniera fin troppo eccitata.
«Ma voi inglesi non eravate cauti e freddi? Mi fate salire infarti ogni due per tre.»
L’ometto, che non l’aveva proprio seguita del tutto, lasciò che un sorriso gli adornasse il faccione simpatico e prese da un ripiano un barattolo completamente nero.
«Provate pure.»
La ragazza si girò, guardandosi alle spalle, ma notò che Cutler se ne stava per conto suo a dialogare con un altro uomo vicino a dei barili carichi di chicchi di caffè e di foglie di tè. Fece spallucce.
Prese il cucchiaino di legno che il negoziante le stava offrendo e lo infilò nel piccolo barattolo scuro. Quando lo tirò fuori era pieno di quella che sembrava polvere che le ricordò qualcosa ma solo quando lo poggiò sulla lingua realizzò con felicità di cosa si trattasse.
«Cioccolato!» gemette, sospirando di piacere. Ed era fatto estremamente bene.
Lo prese dalle mani del signore e si avvicinò caotica e ridacchiante al Lord poco distante, sorprendendolo e facendogli piegare la testa da un lato, non capendo l’eccitazione di lei.
«E’ cioccolato! Puoi immaginarlo?!»
Beckett scosse la testa. «Lo credo, sono io ad importarlo, Miss Eris.» e prendendole la mano che teneva l’oggetto, la costrinse a girare facciata del barattolo dove svettava il simbolo della Compagnia delle Indie. «O meglio, lavorano i chicchi di cacao che io importo dall’Africa.» si girò verso l’uomo che era rimasto dove Eris lo aveva lasciato che annuì in fretta alle parole del nobile.
«Oh…beh, prendiamolo lo stesso!»
Cutler sbuffò. «Vi divertite a spendere il mio denaro a caso?» disse quando uscirono dal negozio e sistemava il proprio borsellino nelle mani del mercenario, che aveva nel frattempo riconsegnato il cane alla legittima proprietaria.
Un paio di uomini in divisa si erano fermati per registrare le quantità di tè e ingredienti di cui il cuoco di bordo aveva bisogno.
La ventiduenne sorrise, agitando felice la bustina di carts con due vasetti di cacao. «Beh, puoi metterlo in conto al mio salario.»
Il più basso rise. «Voi non percepite nessun salario.»
Svoltarono per la via principale e la trovarono stracolma di persone. Eris non aveva visto tante persone tutte insieme da così tanto tempo ormai che quasi si dimenticò di rispondere al signore al suo fianco.
«Dovrei, in tal caso. Per i servizi resi al comandante della nave.» ribattè, convinta.
«Ah si? E che tipo di servizi mi rendete, sono sinceramente curioso»
Quando la mora fu lì lì per rispondergli percepì il tono sarcastico dell’uomo e lo fulminò con lo sguardo, trovandolo maliziosamente vittorioso. Un sorrisetto furbo che gli aleggiava sulle labbra. Le labbra che aveva così ferocemente preso possesso la sera prima…
Distolse lo sguardo e arrossì. Non capì si sentisse così a disagio ora, nonostante fosse stata lei, non appena conosciuto, ad aizzarlo e tirargli delle frecciatine vergognose.
«A proposito, questa mattina degli impegni improrogabili hanno trattenuto la mia persona, ma volevo parlare con voi di quel che è successo la scorsa-»
In un lampo, la Gallese era sparita accostandosi ad un negozio di ferrame che indicò con un braccio. Fece cenno a Beckett che sarebbe entrata e lo lasciò in mezzo alla strada accanto ad un Ian Mercer divertito.
Appena l’aveva sentito pronunciare le parole maledette si era velocemente volatilizzata. Non aveva molta voglia di prendere quel discorso, nonostante fosse stata lei stessa la sera prima a fare l’errore di avvicinarsi di nuovo a lui.
Si avvicinò ad una grossa pentola di rame e la sondò tra le mani, trovandola anche incredibilmente leggera. Aveva assolutamente bisogno di un posto dove potersi lavare i capelli che non fossero stantii barili di legno…e poi sarebbe corsa alla ricerca di qualche tipologia di saponi.
«Miss Gallese» sussurrò Mercer prendendo la brocca di ferro e portandosela davanti al viso. Intanto il cagnolino annusava ogni tipo di recipiente che si trovava a terra. «A cosa vi serve? Sulla nave abbiamo tegami a sufficienza.»
«Non ho intenzione di lavare i miei capelli in pentole che usano in cucina!» e riacciuffò il barilotto, portandoselo stretto al petto, come se temesse che l’assassino glielo riponesse via.
«A proposito…» e guardò alle spalle di lui. «Dov’è Beckett?»
«Mi ha ordinato di tenervi d’occhio. Aveva un giro da fare.»
«Uhm…» accettò titubante la mora, avvicinandosi alla cassa per pagare.

Cutler, accompagnato dalle due guardi reali, si avvicinò allo stesso negozio che aveva visto a distanza la mattina precedente e assottigliò lo sguardo leggendo l’insegna.
Non capì come mai la visione di quell’armadio potesse recargli tanto disturbo e curiosità. La Gallese gli aveva descritto un mobilio del tutto comune all’apparenza…non aveva senso che fosse incuriosito da qualsiasi armadio in un negozio di arredamenti.
«Restate qui» Si rivolse alle giubbe rosse senza guardarle ed entrò nel negozio.
Le luce era soffusa e le finestre proiettavano strani giochi sui vari mobili. Il negozio era molto visitato. Coppie di signori osservavano e si consultavano riguardo i vari oggetti da acquistare.
L’atmosfera era quasi pesante ma il Lord lo percepì come uno scherzo della mente e che stava creando da solo.
Camminò in largo, cercando di individuare ciò che gli interessava. Gli stivali ticchettavano contro il pavimento di legno finché non si bloccò davanti ad una fila di armadi alti e imponenti.
Posò gli occhi grigi su ogni singolo pezzo fino a raggiungere quello che lo incitava maggiormente quasi possedesse una volontà propria. Era un legno molto scuro, proprio come l’aveva descritto la giovane…
Si avvicinò e passò le dita contro il pomello che svettava quelle che erano le esatte iniziali della compagnia delle Indie.
Cutler non era a conoscenza di un lavoro della EITC che prevedesse la fabbricazione e la vendita di mobilia.
Girò la manopola e le ante si aprirono con un rumore sordo e davanti a sé si parò un’accecante visione rosso sangue. Proprio come aveva detto la ragazza.
Rimase lì, interdetto. Lo guardò, sfiorò il suo esterno e il suo interno alla ricerca di qualcosa che lo rendesse speciale oltre il colore imprevisto e unico ma non trovò assolutamente traccia di nulla.
Si tirò indietro, incrociando le braccia coperte della giacca al petto e aguzzò lo sguardo, pensante.
La ragazza aveva detto che fu quell’oggetto a portarla in quel periodo.
Cutler azzardò una possibile teoria sul fatto che la Gallese avesse architettato tutto nei minimi dettagli, illudendolo e circuendolo per uno scopo ben preciso…ma si corresse quasi nello stesso istante arrivando alla conclusione che: primo, era fin troppo semplice per poter arrivare a fare una cosa del genere, e secondo, cozzava con il suo arrivo e le sue dichiarazioni troppo personali e futuristiche per poter essere soltanto una casualità.
«E’ di vostro interesse, mio signore?»
Beckett lasciò che i suoi occhi vagassero verso il negoziante che gli si era avvicinato in modo cauto e circospetto e gli rivolse la sua attenzione.
«Avete con certezza dei documenti che attestano da dove sia venuto questo armadio. Ho necessità di ispezionarli.»
«M-mi scusi, ma lei è…?» mormorò l’uomo, colto un po’ alla sprovvista.
«Lord Cutler Beckett. Fate come vi ho chiesto.»
Lo sguardo glaciale che gli inviò fu sufficiente per far scappare il commerciate dietro una porticina poco distante dal punto dove stavano interagendo. Tornò quasi 5 minuti dopo, tempo che non fece altro che innervosire il signore, con in mano un registro con fogli scarabocchiati e gialli.
Cutler che conosceva perfettamente l’economia e i registri non impiegò molto a trovare ciò che cercava, nonostante fossero accatastate centinaia di pagine.
Anno 1715, 14 Dicembre: Nave Mercantile, Wicked Wench, Capitano Jack Sparrow.
«Una persecuzione…» sibilò quando trovò il nome di Jack sul foglio. Sotto alle generalità della nave vi era la descrizione dell’unico prodotto consegnato: un guardaroba di ebano, intarsi in avorio e madreperla, interno rivestito in ganzo veneziano rosso granata.
Quella descrizione lo riportò rapidamente alla scrivania che aveva acquistato ormai dieci anni prima da un mercante nell’Africa Occidentale e che ora giaceva all’interno dell’HMS Endeavour.
Era lo stesso identico materiale.
Non potevano essere tutte esatte coincidenze. La nave, Sparrow, i materiali, il colore del rivestimento.
«Fatelo portare con discrezione alla mia ammiraglia.» consegnò un incentivo nelle mani aperte del commerciante che strabuzzò gli occhi. «Il resto lo avrete a consegna effettuata a bordo dell’Endeavour possibilmente entro le prossime 2 ore.»
Con quelle parole dedicò un ultima occhiata al grande armadio mentre riconsegnava il libro nelle mani del suo proprietario. Poi chiuse le ante e uscì all’aria aperta del mattino.
Quel negozio era talmente chiuso nella sua tenebrosità che la luce del sole quasi lo accecò, se non fosse stato per il suo fidato tricorno che dopo la sventurata lotta contro la Gallese aveva fatto riparare la mattina del loro arrivo a Londra.

«AH! Eccoti qui!» l’urlo di Eris attirò l’attenzione di tutti quelli che la circondavano ma non ci diede minimamente peso. Si avvicinò a Cutler con il pentolone che si agitava avanti e indietro nella sua mano sinistra e gli sorrise.
Quello, ancora mezzo confuso a causa dell’incontro imprevisto, si rivolse a Mercer mantenendo lo sguardo lontano. «Il luogo di incontro non doveva essere alla carrozza, Mercer?»
L’assassino, che era appena sopraggiunto dietro la mora, sospirò stancamente e alzò le braccia stracolme di buste di carta, come a giustificare la sua mancata destinazione.
«Abbiamo incontrato una signora simpaticissima che voleva regalarmi una pistola con una strana punta» raccontò lei, mentre si agitava per cercare di individuarla nuovamente con lo sguardo nel mezzo a quella strada piena di gente.
Cutler aprì la bocca, sconcertato e guardò direttamente il suo servitore negli occhi, come sperando che non aveva ben udito le parole della Gallese.
«Ma Mercer non me l’ha fatta prendere…» sbuffò poi, pestando un piede a terra con aria infantile e il Lord tirò un profondo sospiro di sollievo che non sfuggì alla giovane.
«Avete finito coi vostri acquisti, dunque. Torniamo alla nave, i preparativi devono essere completati prima di mezzogiorno.» stabilì il più basso controllando l’orologio da taschino che era agganciato al panciotto.
Prima che potesse avviarsi anche lei dietro il Lord, qualcuno le afferrò il polso quasi in maniera dolorosa e la costrinse a girarsi di scatto.
Davanti ai suoi occhi, un ragazzo dai capelli castano chiaro e di un folto riccio coperti da un tricorno la stava trattenendo con un’espressione quasi affaticata.
«S-Scusami…ci conosciamo?» balbettò spaventata mentre girava appena la testa a destra e sinistra per cercare Mercer o Cutler, ma senza perdere di vista l’uomo.
«Mi dispiace, non volevo spaventarvi!» si scusò quello togliendo subito la mano dal suo polso e tornando dritto con la schiena. «Non sapevo in che altro modo attirare la vostra attenzione.»
Lei arrossì quando quello si inginocchiò a terra, davanti a tutti con le mani giunte davanti al viso. I passanti ridacchiavano o si fermavano a guardarli e questo non fece altro che recare altro imbarazzo alla ragazzina.
Cutler che invece non l’aveva sentita seguirlo, volse il suo sguardo dietro di se e la trovò imbalsamata davanti ad un uomo in ginocchio.
«Mercer.» ordinò secco.
L’assassino avanzò con fare predatorio ma si bloccò non appena riconobbe il giovane a terra. «Milord…»
«Io vi chiedo perdono per nome e per conto di mio fratello Jonathan. Vi assicuro che non era sua intenzione offendere voi o Lord Beckett.» pregò il ragazzo, guardandola con un tale sincero trasporto che quasi la costrinse a scapparsene via.
Cutler, che l’aveva raggiunta, strinse dolorosamente la mascella per non lasciare che la sorpresa lo cogliesse fin troppo impreparato.
Il cagnolino ai piedi di Eris aveva iniziato ad abbaiare all’uomo, digrignando i denti, e lo costrinse a tirarsi su di scatto con timore.
«Bartholomew.»
Gli occhi chiari del castano passarono da Beckett a, nuovamente, Eris, che era ancora in uno stato catatonico.
«Sono Bartholomew Beckett, quella sera non ho avuto il piacere di incontrarvi…»
«Andiamo, mia signora.» Cutler fu perentorio e la prese per un braccio, trascinandola via. La ventiduenne, colta di sorpresa, si fece trascinare per qualche centimetro ma si oppose subito dopo, sfilando il braccio dalla presa del più basso.
«Sentiamo quel che ha da dire almeno.» lo aggredì facendo per tornare indietro ma Beckett Jr fu irremovibile.
«Non ho alcuna voglia o intenzione di ascoltare le scuse penose di un uomo altrettanto penoso.» la acciuffò nuovamente, pronto ad un nuovo tentato ritiro.
«E’ tuo fratello-»
«Non è nessuno!»
La rabbia con cui l’aveva attaccata prese voce che non sapeva che possedesse. Le persone che si erano fermate a guardare la scenetta avevano cominciato a parlucchiare, complici, azzardando teorie di conflitti.
Il Lord, con un’espressione di astio e tradimento, le lasciò il suo gomito di scatto e girò sui tacchi.
«Fate come vi pare.»
Mercer, che era rimasto in disparte, seguì il suo padrone con gli occhi affilati e invitò le due guardie del Re a seguirlo e assicurarsi che fosse al sicuro. Le giubbe rosse corsero dietro al signore dei mari senza dire nulla e lo accompagnarono fuori dalla strada.
«Mi dispiace…» si scusò Eris, guardo tornò a dare attenzione all’altro Beckett.
Quello agitò il capo a destra e sinistra, tranquillizzandola. «E’ colpa mia. Avevo pensato di venire direttamente alla vostra nave ma c’era l’alta probabilità che le guardie non mi avrebbero permesso di accedere.»
“Oh, puoi giurarci…”
Nel frattempo, le persone avevano ripreso coi loro affari, lasciandoli nella più completa tranquillità anche se bloccavano il passaggio a molti, che dovevano circuirli per proseguire con la propria passeggiata.
«Non importa, ma ora devo tornare da Cutler…»
«I-io volevo solo spiegarvi…» si velocizzò a parlare quello, facendosi prendere da un improvviso colpo d’ansia quando la vide provare a ritirarsi. «La nostra società non sta attraversando un buon periodo con la morte di nostro padre. Jonathan ritiene Cutler in parte responsabile.»
Eris si accigliò, assumendo un tono più severo. «Cutler non ha alcun dovere nei vostri confronti.»
Mercer rimase colpito dall’improvvisa protezione della ragazza nei confronti del Lord. Si era certamente perso parte del puzzle.
«S-si, questo lo so bene. Immagino di voler giustificare un evento ingiustificabile…» ammise a voce bassa, come vergognandosi di aver fatto tutto quel tragitto e quella fatica per niente.
«Proverò a parlare a Cutler della vostra condizione.»
Alle parole della ragazza, Bartholomew parve come risorgere dalle ceneri, regalandole un sorriso pieno di gratitudine.
«Ma…sai bene che io non posso assicurarvi nulla.» lo anticipò, sentendosi un po’ a disagio a fare una promessa che probabilmente non avrebbe potuto mantenere neanche se si fosse suicidata per togliersi dalle scatole del Lord.
«Si, lo capisco. Vi ringrazio comunque di cuore.» si chinò veloce e afferrò la mano della ragazza tra le sue, come se fosse un angelo, baciandola sulla sommità del dorso.
Eris arrossì ancor di più e sbuffò un “di niente” prima di scappare via nella stessa direzione in cui era sparito Cutler.
Quando riuscì a raggiungere la carrozza, Mercer prese tutti i suoi acquisti e li ripose al fianco del suo posto guida lasciando che la ragazza salisse all’interno dell’abitacolo da sola.
Aprì la portiera e gli occhi di ghiaccio di Beckett la perforarono come una freccia, facendola rabbrividire. E avrebbe dovuto passare tutto il tempo di ritorno da sola con quella bestia assetata di sangue?
Rimasero in silenzio per gran parte del tragitto. Soltanto il cagnolino sembrava intrattenersi a mordere i cuscini di stoffa della carrozza.
«Cosa vi ha chiesto?»
La mora sorrise quando l’altro riuscì finalmente a rivolgerle la parola, anche se guardava fuori dal finestrino.
«Si è semplicemente scusato per Jonathan-» Beckett sbuffò, derisorio. «E potevi trattenerti ad ascoltare se eri tanto curioso.» proseguì lei, venendo subito rimbeccata con uno sguardo carico di sdegno.
«Cos’altro?» domandò Cutler, giocando con i merletti delle maniche, come a darle l’impressione che in fondo non gli importasse.
«E mi ha accennato della loro disastrosa situazione commerciale.» lo informò.
Quello non fece una mossa, semplicemente assimilò l’informazione e continuò con il suo intrattenimento.
Passarono ancora altri momenti di silenzio finché Cutler lo non spezzò di nuovo.
«Siete ingenua.» commentò con un sorrisetto che gli si allargava sul viso asciutto. «Troppo ingenua.»
La giovane, guardandolo, trovò una sorta di messaggio nascosto dietro le sue parole un po’ offensive e scosse la testa, come a liberarsi di brutti pensieri.
«Io non sono ingenua. Semplicemente, non ho un cuore nero.»
Beckett rise. «Quindi state ammettendo che io possieda un cuore.»
Eris alzò gli occhi, l’imbarazzo sparito in un secondo. «Solo perché respiri ancora.»
Cutler parve soppesare un po’ cosa dire, ma non sembrò fermarlo comunque. «Se non avessi un cuore, cosa mi avrebbe portato a baciarvi la scorsa notte.»
La Gallese trattenne il respiro, sorpresa che fosse sfuggita quella frase all’uomo freddo e distaccato davanti a lei.
Deglutì sonoramente, certa che pure il cane avesse avvertito il suo enorme disagio, e tornò a dare attenzione alle strade che scorrevano fuori dalla carrozza.
«Per quanto tempo avete intenzione di evitare l’argomento?» soffiò Cutler, lasciandosi cadere stancamente contro lo schienale del mezzo.
«Non lo sto evitando.»
«Allora rispondetemi.»
«Hai intenzione di smettere di darmi tutta questa riverenza?»
«L’avete fatto di nuovo.»
Quando provò a ribattere, il mare e il molo attirarono la sua attenzione, distogliendola da un Beckett testardo.
Era nuovamente stracolmo di marinai e soldati, proprio come Port Royal prima che prendessero vela. Tutti erano indaffarati con i propri registri e bagagli e tutto quel movimento le portava una forte eccitazione.
Aveva quasi messo al secondo posto che di lì a poche settimane avrebbe dovuto combattere con il filo definito della storia.
Quando la carrozza si fermò, non aspettò che Mercer le aprisse la portiera. La spalancò e fece correre via il cagnolino all’aria aperta.
Il vento del mare le scompigliava i capelli e i gabbiani urlavano forte sopra di loro, costringendola ad alzare il viso.
Caso della sorte, un escremento di uccello le arrivò a pochi millimetri dal vestito, infrangendosi a terra. Gemette disgustata e afferrò il cane in braccio.
«Io vado dentro, non ho intenzione di diventare un bersaglio!» e corse via, abbandonando un Cutler Beckett esausto e un Mercer confuso.

Quando Eris tornò finalmente a indossare pantaloni e la casacca nera, poté tirare un sospiro di sollievo. Non aveva visto il Lord per tutta la giornata e nemmeno a pranzo poiché tutti erano indaffarati con la preparazione dell’imminente viaggio verso Port Royal.
Quando era salita sulla nave aveva subito salutato affettuosamente i Tenenti Gillette e Groves che si stavano occupando di affari sul ponte principale ed erano facilmente reperibili. Quelli gli avevano rivolto dei calorosi sorrisi per poi tornare ai loro doveri e lasciarla da sola.
Stabilendo di aver indossato fin troppi vestiti, la ragazza si recò a cena con i suoi vestiti da allenamento che aveva lavato e lasciato ad asciugare per due giorni.
La stanza era, come al solito, colma di tenenti e dall’ammiraglio Norrington, che sembrava non lasciare il suo lavoro neanche a tavola mentre studiava delle carte.
Cutler invece sedeva al solito posto e alzò gli occhi dalla conversazione che stava avendo con uno dei tenenti quando la sentì entrare. Fece una smorfia divertita al suo abbigliamento. Ovviamente non avrebbe mai seguito le sue direttive.
L’uomo si aspettava che prendesse posto accanto a lui, come aveva intenzione di fare, ma come al solito Gillette le scostò la sedia accanto a lui e Theodore. Non poté far altro che accettare e sedersi tra di loro.
Beckett non sembrava essere sfiorato dalle attenzioni che i suoi sottoposti dedicavano alla giovane e la cena proseguì nella consueta calma e compostezza.
Quando fecero per ritirarsi tutti, Groves si avvicinò piano alla ragazza che si stava spolverando i pantaloni dalle molliche di pane sotto lo sguardo attento del Lord e mostrò dal nulla un pacco con un fiocco decorativo.
Eris sgranò gli occhi quando l’uomo le disse che quando l’aveva vista in giro per il porto aveva pensato a lei e lo aprì eccitata.
E proprio come fu veloce nell’aprirlo, fu veloce nel richiuderlo. Il sorriso gelato sulle labbra.
«E’ una bambola di porcellana. E’ molto famosa in Francia.»
Tutto ciò che pensò la mora fu come buttarla fuori bordo appena il ponte fosse caduto nel totale isolamento. Non aveva alcuna intenzione di venire osservata da quei piccoli occhi di vetro malefici mentre dormiva.
«Ehm…grazie…è molto graziosa. Meglio riporla accuratamente, non voglio mica che possa danneggiarsi.»
Cutler, che era rimasto curiosamente ad osservare i due ultimi rimasti, tossì per attirare la loro attenzione ed il tenente si dileguò in fretta, impaurito dallo sguardo del più alto in carica.
Fece cenno alla ragazza di seguirlo che obbedì senza fare un fiato, anche se non ne aveva moltissima voglia, con il pacco saldamente ancorato sotto braccio.
Attraversarono il consueto corridoio fino a raggiungere il suo ufficio stracolmo di tavoli e mappe nautiche. La scrivania piena di piccoli soldatini.
Adibito per l’occasione, un piccolo tavolo rialzato mostrava la loro scacchiera, due poltrone poste ai lati opposti pronte per i degni avversari.
Beckett afferrò due bicchieri rotondi e versò il brandy in entrambi, avvicinandosi alla poltrona dove la ragazza si era già comodamente seduta.
«Prendete»
La Gallese corrucciò la fronte e agitò una mano, come scacciando l’idea.
«Bene.» Cutler poggiò lo stesso la bevanda sul mobile vicino a lei e andò a prendere posto dall’altro lato.
«E’ passato molto tempo dall’ultima partita a scacchi. Ti sei allenato tutto questo tempo per studiare le mie strategie?» scherzò la mora, sistemando dritti i propri pedoni neri.
Il Lord rise al sarcasmo di lei ma non negò quella eventuale possibilità.
Mosse per primo, come gli era sempre concesso, e poi fu il turno di lei.
«Allora, riguardo ieri notte?»
Eris sussultò a quella domanda ma non si lasciò distrarre. «Cutler…» sospirò stanca dopo aver posizionato il pedone dove era certa avrebbe creato problemi.
«Sono piuttosto ostinato, Miss Gallese. Credevo che ormai ve ne foste resa conto.» rivelò senza peli sulla lingua, spostando un altro suo pedone.
Lo squadrò con una sorta di vena vendicativa «Non avevi detto che potevo dimenticarmene?»
Non aveva alcuna intenzione di essere fredda o di ferirlo, ma non se ne doveva assolutamente preoccupare dato che il signore non ne fu minimamente offeso.
«Mi riferivo al mio bacio, non al vostro.»
Eris arrossì e, senza accorgersene, vuotò il bicchiere che Cutler aveva poggiato alla sua sinistra, mentre quello lasciava scivolare un sorriso divertito.
Lasciò cadere quelle parole tra loro per qualche attimo per poter pensare lucidamente a che tipo di mossa sarebbe stata costretta a fare. Quando individuò la posizione libera spostò il cavallo in quella direzione.
«Io non ti capisco. Sembravi disprezzarmi, perché questo interesse per quello stupido bacio? Non sono nessuno, non ho nessun titolo, nessun possedimento qui.» lei conosceva bene come erano soliti architettare i matrimoni i nobili di quel tempo e lei mancava di tutte quelle qualità.
Beckett parve soppesare le sue parole, mentre si passava un dito sul mento. «Non ho mai evinto un disprezzo nei vostri confronti, solo estremo fastidio nelle numerose occasioni che avete provocato voi stessa.» come se credesse di passare inosservato, fece muovere silenziosamente il suo scacco. «Inoltre sono certo che un titolo non sarà difficile ottenerlo per voi. Stavate per essere ospitata dalla Regina in persona senza aver fatto nulla di qualificante.»
Si trovò quasi offesa da quella dichiarazione…se non fosse stato per il fatto che era la semplice e schietta verità.
«Le vostre conoscenze sono più alte della media delle donne, non sarei così contrario ad affidare me e i miei possedimenti a qualcuno simile o pari.»
Eris aprì la bocca. Non stava capendo bene o non voleva capire bene, ma Beckett si stava forse proponendo? Quell’uomo? Dopo tutto quello che avevano passato e che avrebbero dovuto passare?
Alzò una mano e la poggiò sulla sua fronte, poco sotto la parrucca bianca, studiandolo con attenzione.
«Cosa state facendo?»
«Sento se hai la febbre, deliri.» spiegò lei, seria.
Lui assottigliò gli occhi, come avvertendola che se avesse tenuto ancora un altro secondo la sua mano in quella posizione gliel’avrebbe staccata di netto.
«Non riuscite ad essere seria per una manciata di minuti?»
Ma Eris non riusciva a vedere alcuna serietà in quella situazione. Era troppo surreale per la persona semplice qual’era. Un Lord che si interessava a lei era da escludere a priori. Se poi il Lord era Cutler Beckett stavano proprio mettendo su una barzelletta.
«Siete promessa a qualcun altro?» domandò seccamente poi.
Nonostante la domanda fosse stata posta con pesante serietà e disamore, questo non fece desistere la ventiduenne a scoppiargli a ridere in faccia, quasi rischiando di far rovesciare il tavolo.
«S-Scusami-» singhiozzava tra le risate. «Ma da noi non funziona così…» prese un respiro profondo, per spezzare quel piccolo svalvolo «Comunque, per rispondere alla tua domanda, no. No, non sono “promessa” a nessuno.»
Cutler, che si era un attimo destabilizzato per l’improvvisa esplosione della ragazza, si riscosse e tornò al gioco.
«Cutler, sarò schietta. Il tuo interesse mi lusinga nonostante io non abbia fatto nulla per permetterlo…» “ma ti vedo solo come un personaggio immaginario” non era esattamente facile da elaborare nemmeno con delle parole adatte. «…ma io non appartengo a questa linea temporale. Potrei tornare al mio tempo in qualsiasi momento.»
L’ometto parve assimilare le informazioni di cui la ragazza lo stava mettendo al corrente o era concentrato nella partita a scacchi, Eris non riusciva a decifrarlo.
«E se invece dipendesse da voi e voi soltanto?»
Si trovò un momento confusa dalla domanda di lui ma quando si ricordò le proprie parole ricollegò. «Questo non posso comunque saperlo con certezza.»
Cutler mosse il suo ultimo pezzo e si alzò dal tavolo dirigendosi dall’altra parte della stanza, dove poggiavano i liquori. Senza accorgersene aveva vuotato anche lui il proprio calice.
La ragazza abbassò lo sguardo sulla scacchiera e studiandola capì che il Lord si era volutamente suicidato, concedendogli l’ennesima vittoria.
«Sono un corsaro al servizio di sua maestà, Eris. Non ho un’alta aspettativa di vita. Non ho escluso la possibilità di morire da un momento o l’altro durante questa mia persecuzione.» e buttò giù un altro calice di brandy e la ragazza non lo biasimò.
Era piuttosto scossa dalla sua rivelazione ma cercò di non darci troppo peso e fargli capire che lei fosse a conoscenza di qualcosa. Si alzò anch’essa e si avvicinò alle sue spalle curve.
«Allora cambia idea.» e gli posò una mano sulla schiena, come sperando che quel gesto di comprensione e assistenza lo convincesse. Ma era una speranza inutile.
«Sapete che è inevitabile. Non chiedete ciò che non posso concedere.» malgrado avesse usato un tono crudo, non si scostò dal calore della mano sulla sua schiena. Rimase immobile a guardare fuori dalle grandi finestre dell’Endeavour il mare che sembrava più piatto di una tavola.
Quando si girò verso di lei la trovò ferma a guardare una delle sue carte nautiche ma chiaramente non stava leggendo nulla.
«Tornando al discorso di prima,l’unico mezzo, quindi, è corteggiarvi.»
Eris strabuzzò gli occhi e tornò a mettere su quella faccia stanca e piena di disapprovazione ma quando incontrò il ghigno divertito del Lord non riuscì a far altro che ridere.
Quindi sapeva anche prenderla in giro in modo genuino, quando voleva.
«Buonanotte, Lord Beckett.»
La Gallese fece per ritirarsi ma Cutler la pensò diversamente. La afferrò per un braccio, come aveva fatto ore prima e se la costrinse contro, trattenendola.
Sollevò una mano al suo viso e quando la ragazza fu certa che l’avrebbe baciata di nuovo, quello girò il suo viso il giusto affinché potesse premere le sue labbra sulla guancia rosso cremisi.
Quando si tirò dietro un sorriso civettuolo gli aleggiò sul viso facendola boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
«Buonanotte, Lady Beckett.»
E la lasciò andare, girando la scrivania prima che la giovane potesse pensare di dargli una sberla.
«N-Non sono più Lady Beckett!» urlò imbarazzata, osservandolo sedersi dietro le sue carte e riprendendo il lavoro come se nulla fosse successo.
La mora sbuffò forte, certa che ormai la vittoria fosse dell’uomo, e uscì come una baraonda, dimenticando il pacco di Groves vicino alla scacchiera.




Angolo dell'autrice
Il fatto che stia sfornando capitoli su capitoli, giuro, sorprende anche me. Ho cominciato a scrivere e non mi sono più fermata, escono fuori idee su idee e non posso credere che ormai mancano due o tre capitoli all'inizio della storia dei Pirati (che è la parte più difficile da scrivere a causa dei tanti eventi già presenti).
Cari lettori, spero vi sia piaciuto questo capitolo. Nel farlo mi sono imposta di ristudiarmi un po' il carattere di Beckett e mentre vedevo la scena di lui ed Elizabeth Swann all'interno del secondo film, ho constatato quanto possa essere subdolo e malizioso. Inoltre nel libro è propriamente stato descritto come un ottimo personaggio manipolativo e provocante anche per raggiungere il suo status.
Non è facile scrivere di lui, lo ammetto. Infatti credo di averlo reso anche piuttosto instabile, povero caro.
Ma va beh, diventerei instabile pure io con una come Eris tra i piedi.
Volevo aggiungere, inerente a questo capitolo, che Cutler è il minore di 3 fratelli: Jonathan Beckett Jr, Bartholomew Beckett e Jane Beckett, secondo la storia della sua famiglia. 
Il libro descriveva solamente il padre come una cattiva figura per lui (nonostante avesse sempre desiderato la sua apprensione) mentre i due fratelli li ho caratterizzati io così, poichè non approfonditi.
Spero vi abbia ancora stuzzicato l'interesse. Fatemi sempre sapere cosa ne pensate.
A presto.
  
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