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Autore: Ryo13    05/07/2019    3 recensioni
Segeste si trova in Dacia dove — su comando del padre Sesto — combatte le rivolte delle popolazioni stanziate lungo il corso del Tibiscus. Alla sera di una dura giornata di allenamento presso il campo romano, fa un singolare incontro che gli cambierà la vita. Davanti a un Fato che esige la sua azione per spezzare l'oppressione che ha subito negli ultimi secoli il popolo germanico, Segeste dovrà fare una scelta tra chi è, chi vuole essere e cosa può diventare. Al fianco del fedele amico di infanzia, Krasen, lascerà tutto quello che conosce a favore di una missione che ha il potenziale di farlo diventare grande.
ATTENZIONE: SCENARIO UCRONISTICO
❈❈❈Seconda classificata e vincitrice del premio speciale "La storia che vorrei" al contest “Senza tempo – II Edizione” indetto da mystery_koopa sul Forum di EFP. ❈❈❈
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Libro III
 

Canto I
 

L’esercito ribelle è alle porte di Monnem43 dove ha combattuto contro i legionari romani. La città nella sua povertà vede molte case distrutte ma i suoi abitanti han combattuto con fierezza. Si spengono ora i fuochi appiccati, mentre marciano in fila colonne di soldati. Sono stanchi, dai vestiti stracciati e le facce dimesse, ma non cessa ancor la loro pena perché vengono derisi di buona lena44.
Molti degli abitanti in precedenza dai militi angariati si prendono la loro rivincita, celebrando festosamente e tirando loro addosso lordure e varie immondezze. 
Cammina, nel mezzo, Segeste ieratico, il quale cerca di non porre mente al territorio devastato. Raggiunge la sua fenice seguito da Krasen, che non l’ha mollato un momento, per fare il punto della situazione e del destino dei prigionieri deliberazione.
In cima alla torre a nord-est d’una residenza padronale, si riuniscono le voci della guerra per comandare: viene concesso, come sempre, di depredare le romane ricchezze, purché una parte sia per il popolo e il resto lasciato per l’esercito in moto.
D’un tratto Logi parla: «Mio signore Segeste, ho una domanda da porre alla ribalta». 
«Esprimiti pure, mio buon amico, dimmi dritto il tuo pensiero com’è tuo desiderio.»
«Nelle nostre battaglie abbiamo attraversato mille villaggi, e in ogni luogo abbiamo raccolto soldati a costo di nostri disagi. Or sono troppi ed essi gravan duramente sulle spese di viaggio poiché è difficile sfamare chi non lavora per il proprio pane.»
Rinforza la protesta la voce baritonale di Raspen, condottiero ispanico delle terre color rame45.
«Cosa suggerite, allora, per questo problema?»
«Che ci si liberi di loro facendone un emblema.»
Segeste vorrebbe non darlo a vedere, ma è molto turbato. La questione è seria e serve un supporto immediato. Tuttavia gli par troppa cosa sacrificare un tale numero di vittime inermi sotto il suo comando.
Nel consiglio scoppia lo scompiglio e non si può sedare: se Segeste vuole essere mite, restano tutti gli altri su quell’idea a martellare.
Infine li placa e con voce vibrante di parlar li arresta, intimando loro che la questione aperta resta.
«Mi ritiro per qualche tempo, meditando sul da fare. Appena ho deciso vi dico e procederemo come meglio potrà garbare.»
Ciò detto, affida a Kari il comando, uscendo dalla stanza e lasciando dietro sé non poco affanno.
Giunto sulle sponde del Reno, i piedi nudi sul limo affonda, meditando su molti problemi la cui materia abbonda.
Ma mentre è sotto processo se convenga salvare vite o consegnarle alla morte, s’avvicina silenziosa e sottile d’una creatura l’ombra.
Segeste l’affronta ad aperto viso, sguainando al contempo il ferro perché funga da avviso.
Si rivela essere un uomo di fine veste vestito, i lunghi capelli opachi fino alla vita intrecciati. Il volto snello mostra un sorriso affilato, mentre l’occhio pungente s’affigge all’eroe senza guardar mai di lato.
«Segeste», l’invoca quello, «so che oggi un’amara decisione a te fa appello.»
E sospettoso Segeste chiede: «Chi sei, creatura, che conosci i discorsi del mio consiglio e vieni fin qui a parlarmi? Dalla strana veste e da quel tuo cipiglio di non essere mortale ti indovino».
«Hai una mente certamente arguta, come sosteneva stranamente colui che i destini scruta. Dunque ti do ragione e alla mancata presentazione riparo: sono Loki figlio di Laufey46, e di venire con pace dichiaro. Come sai, per causa mia oggi il caos regna, e la nazione che doveva essere libera è invece soggetta. Di ciò che ho compiuto provo ora rammarico, perciò son venuto a dare aiuto per far dei miei debiti scarico. Ciò che desidero è che la storia involva47 per fare in modo che Odino i miei peccati assolva.»
«Cosa suggerisci, allora?», dice Segeste ritraendo un po’ l’arma. E quello, invitato, la mano estende portandosi vicino al suo fianco.
«I Romani catturati debbon trovare morte, perché fino alla fine del regno si intenda che tutte le offese verranno ritorte. In tal modo otterrete d’esser temuti e grande impressione imporrete sugli animi più duri.» 
Segeste, poi, sospettoso domanda: «Se il tuo suggerimento seguo, che cosa ottengo in contraccambio?»
«Sono un dio potente», afferma deliberatamente, «e posso concederti a supporto l’aiuto fedele di un mostro a te noto.»
«E questo chi sarebbe?»
«Jormungand48, di Midgard49 il serpente, il quale da me ha preso vita e che potrebbe spazzare via qualunque esercito repentinamente.»
Segeste, fingendo, soppesa l’offerta, ma dentro il suo cuore la proposta non l’alletta. Infine, risponde ponendo gran garbo nelle sue parole.
«Questa tua offerta mi vedo costretto a rifiutare: se un essere tanto potente qui venisse, non passerebbe lungo tempo che tutti noi si morisse.»
Loki con mille e più parole tenta di carpire la sua inclinazione, ma fallisce miseramente davanti al ricordo d’Arminio ancora presente50.
Quando d’imbandire l’inganno si vede impotente, si allontana dal bosco stringendo in bocca dente contro dente.
«Se tanto di convincermi il dio dell’inganno ha fatto mostra, che convenga risparmiare ai Romani la vita questo dimostra.»
E fissando gli occhi sul fiume profondo, è colpito da un’idea che può essere risposta al suo dilemma.
Tornato in consiglio questo propone: che i prigionieri siano mandati, attraverso il fiume, sparsi per ogni regione; che in ciascun luogo siano messi sotto il tedesco comando per fare duro lavoro e sperimentarne lo sbando51.
A questa missione uomini scelti manda affinché il grosso dell’esercito in attesa di Sesto
appostato in città rimanga.

 

Canto II
 

Correndo per i vicoli stretti della città, si diffonde la voce sonante d’un ragazzo di non specificata età. Marcia lesto come una lepre e il gridar la notizia dell’esercito che viene pare l’unica cosa che gli preme.

Subito si diffonde per le strade il messaggio, non passa gran tempo che viene inoltrato al comando.

Dei generali è Krasen a informare Segeste, il quale s’alza dal suo giaciglio indossando svelto una veste. Poi si precipita giù per le scale mentre una strana eccitazione lo assale: è forse giunto il momento propizio per deporre finalmente di tutti i Romani ogni vizio? Eppure mentre tali cose pensa, al contempo è restio perché, nell’animo, di un presentimento avverte il rimestio.

La torre più alta del palazzo ha raggiunto, dalla quale può affacciarsi dalla terrazza per vedere chi e che cosa è giunto: in lontananza s’alza in nuvola un polverone  e, sotto quello, innumerevoli fila di uomini disposti in battaglione.

Non serve che spinga lontano la pupilla dell’occhio perché individui sveltamente suo padre e la corona di legionari attorno cui si fa crocchio.

Kari lo raggiunge alla destra mentre suo fratello Logi lo segue in fretta.

«Come intendi procedere, Segeste? Per quanto numerosi sono, si direbbe che siano il nemico più polposo che abbiano visto queste creste.»

«Tieni pronti i soldati alle porte e manda dei giovani per la città a tirar delle campane le corde: in tal modo ognun si porrà in veglia, e cercare rifugio e riparo si potrà prima che cominci la guerra.»

Quello esegue e lo squadrone si sparpaglia: quando è suonato il primo rintocco, ecco che anche l’altri lo eguaglian.

Sesto, lontano appena qualche miglio, si volge alla città al suon di campane ruggente mostrando il cipiglio.

Il vice al suo fianco così commenta: «Se questo è il benvenuto in battaglia, occorre che ai Barbari il Tartaro52 si rammenti».

Sesto a ciò risponde: «Pur senza fretta pagheranno tutti i torti». Poi le redini strattona volgendo il cavallo indietro e raggiunge uno spazio dove far collocare la poltrona.

Quando è sistemato e il campo allestito, compone su una tavola di cera53 un esplicito invito. Lo consegna a un sottoposto decretando che tra le mura penetri affinché il Krake raggiunga tosto.

E così viaggia il biglietto: dal campo nemico fin su della torre al suo tetto.

Segeste lo afferra e, leggendo, le seguenti parole intona: «Di trovarci l’un dell’altro al cospetto faccio richiesta come Legatus54 di Roma. Che l’incontro avvenga in terra di mezzo e senza soldati se non due guardie a persona».

«Quali intenzioni potrà mai avere?», chiede pensieroso Kari, il quale che abbia innocue intenzioni non se la beve.

«Mio padre è uno stratega», risponde. «Presumo che mi voglia incontrare per vedere se il nostro esercito si ripiega.»55

«E di acconsentire a ciò ti par saggio?», domanda Arndís che della sua freccia vorrebbe dargli un assaggio.

«Chi io sia non ha modo di scoprirlo in battaglia, per cui se questa informazione dobbiamo usare mi pare un’ottima maniera di far avvisaglia.»

«Pensi, con questo, di farlo crollare?»

Segeste lo nega, specificando ancora: «Dallo scontro niente e nessuna cosa lo potrà divellere: nemmeno lo scoprire il destino del figlio che alla distruzione del suo sangue ha tentato di impèllere. No… se uno scopo dobbiamo dare a questa spedizione, sarà quello di mostrare al nemico che il popolo germano rifiuta la sua oppressione».56

La decisione è presto presa: Segeste comunica la sua risposta, indicando anche il luogo dove la riunione verrà posta.

Tra gli uomini sceglie Krasen e Kari da portare al suo seguito, mentre Arndís armata di frecce e archi si arrampica tra i rami in segreto.

Quando il gruppo dei Romani s’avanza, alzano le spade al cielo per segnalare la non belligeranza. 

Tra due uomini grossi come colonne si porta avanti il piede di Sesto il Pretore.57 Scorge infine di Segeste la figura, il viso celato dall’elmo dell’armatura.

«Tu devi essere il guerriero conosciuto come Krake», dice indicando col dito Munin che riposa sulle sue spalle. «Dovevo incontrarti perché con te ho una questione aperta: tu hai ucciso mio figlio all’inizio di questa guerra.»

Al che si replica: «In ciò più di me è riuscito il governo degenerato di suo padre con cui ogni vincolo ha reciso». 

Sesto si offende di tali parole. «Con che diritto affermi per vera questa opinione?»

«L’affermo col diritto dell’oppresso cui è stato posto un collare per vezzo. Ma se il motivo ancora non basta, ecco!», grida scagliando lontano l’elmo. «L’affermo da me stesso, poiché tra le anime dei vivi ancora sono ammesso!»

Riconoscendo di subito il viso e il tratto, Sesto è colpito come mai di più fece oltraggio.

«Che significa tutto questo?», esclama. «Cosa fai tu tra un esercito che è all’opposto fronte della tua Patria?»

«Non è più la mia Patria Roma. Adesso combatto per togliermi di dosso il peso della sua corona.»

Prima pallido, poi avvampando di rabbia, l’espressione di Sesto non nasconde la condanna.

«Se nemico dell’Impero ti dichiari, verrai trattato tale e quale ai tuoi pari!»

Così dice dando un cenno di mano e subito tra le fronde nascosti si rivelano soldati armati a una imboscata preposti.

Con un caos da parapiglia si incrociano le lame facendo scintilla.

Segeste scarta di lato parando un doppio fendente perché due delle guardie l’hanno puntato al ventre. Krasen, adirato, sostiene l’amico, mentre Kari ad altro compito è impegnato. 

I soldati sono molti e perirebbero velocemente se dalle frecce di Arndís nell’avanzata non venissero interrotti. 

La bravura di lei è tale che par piovano frecce scagliate da una divinità ferale. Coperti, dunque, dalla donna a tergo, gli uomini assieme a Segeste fanno presto capannello: respingono con ardore il nemico, trafiggendone più di un paio all'ombelico. Poi disponendosi spalla contro spalla, presentano un fronte compatto contro cui nessun altro avanza. 

Tuttavia, in un momento di debolezza, Segeste al fianco viene ferito e Krasen, di conseguenza, la sua violenza aumenta.

Portandosi a lui davanti, lo nasconde all’avversario e vorrebbe far di più ma non riesce a trovare per loro riparo.

Tolto di mezzo un altro uomo, ecco che si accorge di uno spesso lastrone roccioso: dietro di esso intende rifugiarsi, perciò si piega per il peso del compagno caricarsi. Non fa in tempo ad allungare il braccio che d’improvviso è preso al laccio: Sesto lo coglie a metà della mossa e lo colpisce alla schiena trapassandolo tra costa e costa.

Udendo il suo gemito, Kari accorre: qui con un colpo deciso incide la pelle di Sesto al braccio rendendolo molle58.

Morte le guardie e vedendosi solo, al romano non resta che abbandonare questo suolo59.

Della sua ritirata non si accorge suo figlio, preso e intento com’è a udire dell’amico l’ultimo bisbiglio. 

Riverso tra le sue braccia non preme sulla ferita, che spreme sangue goccia a goccia arrossandone la divisa.

«Amico… da questo mondo parto», dice Krasen con voce affannosa. «Come nel primo giorno rimango convinto che non avrei potuto desiderare altro modo per essere vinto: la mia vita in cambio della tua salvezza è per il mio cuore l’equivalente di una carezza. Non fare quella faccia, or te ne prego: per i morti sconfitti in battaglia sai che non c’è rimedio.»

«Krasen, amico, mio fedele compagno… come potrei vivere senza di te e non affogare in questo stagno?»

«Di questo e altro sei ben capace. Non temere che il destino ci divida perché al Valhalla, un giorno, noi tutti siamo destinati a soggiornare.»

«Così vogliano gli Asi», gli sussurra all’orecchio, piegandogli sulla spalla il proprio petto. Infine lo stringe con forza quando l’anima abbandona l’umana scorza.
Affranto, Segeste versa lacrime amare, giurando a Sesto in cuor suo
di quella morte farlo pagare.


 

 

Canto III
 

Lo scontro con Sesto dura ormai da settimane: vincere un tale esercito richiede uno sforzo immane. Fuor delle mura sono accampati i Romani e da mattina a sera si incrociano le armi fin quando non si è affamati. Sol la notte si sospende la partita perché ciascuno nel proprio giaciglio riprenda un po’ vita. 

Segeste ha diretto dalla città le strategie d’azione, poiché di brandire la spada a causa della ferita non v’era ragione. Kari e Logi, Arndís e Raspen dirigono gli uomini sul campo, ma non riesce loro di concludere la guerra in un lampo.

Tra la popolazione si avverte forte paura e affanno poiché la situazione verte ormai a uno stallo.

«Segeste», esclama un consigliere, «la città non è messa proprio bene! Le scorte di cibo stanno per esaurirsi e di cacciare selvaggina col nemico alle porte non è cosa da udirsi.»

E un altro aggiunge: «Negli ultimi giorni abbiamo perso diversi combattenti; quelli che rimangono, a proteggere le mura di Monnem sono intenti».

In previsione di ciò, Segeste aveva già chiesto aiuto: inoltrando un richiamo a settentrione, aveva preteso da altri un tributo.

Cauci, Varni, Fosi e Frisoni60… ogni giorno ne arrivano alcuni a rimpinguare l’esercito barbaro contro le legioni.

Ogni tribù anche la più remota ha sentito narrare del Krake la storia: con che coraggiosa mossa abbia riunito le truppe e con quale arguta mente dei Romani il potere ruppe. Si narra che, combattendo, sfoggi in bella vista un corvo e che, quando estrae la lama pregiata, mandi lunghe fiamme intorno.

Un simile potere manifestazione del volere divino ha attratto di molti il cuore, mandando Roma in declino. 

Sul far della sera, al ritorno dei generali stanchi, Segeste annuncia per l’indomani che anche lui si farà avanti.

Arndís, per l’apprensione, gli valuta la ferita.

«Non temere», sussurra afferrandole il mento tra le dita, «puoi pure controllare, ma è guarita.»

E mentre confabulano della strategia da usare per il giorno, un colpo secco alla porta interrompe nel mezzo il discorso. 

Un ragazzo del villaggio rende al consiglio un messaggio: di recarsi alla porta con urgenza c’è bisogno. 

Per un momento fermenta il tumulto tra i guerrieri, ma Segeste li placa senza urto ponendo freni: non intendono lasciarlo solo, dunque in blocco avanzano verso la periferia, calpestando lesti il suolo.

Giunti dunque alla porta Orientale, ne escono in fila estraendo le armi da puntare. Ma questa volta non c’è insidia perché li attende il grosso dell’esercito vandalo che Geilaris presidia.

«Vengo da te, fratello, per offrire con la mia gente al tuo incarico felice armamento.»

E prosegue: «Dalla sconfitta d’Arminio, secoli or sono, i nostri popoli più non erano così vicini alla vittoria. Gli antenati lo possono testimoniare: il popolo romano si è dovuto impegnare perché fino al collasso la nostra cultura potesse portare. In queste terre più che mai altrove con efferata durezza il popolo risente della legge che voleva fare le cose nuove. Perché la nostra abilità di spada e il coraggio del barbaro Roma temeva: così tolse il diritto di combattere mentre, d’impedirci di tramandare la storia, ardeva.

«Eppure, ora, in te un astro di speranza sorge perché sei riuscito a riunire sotto un unico comando le terre germaniche dell’Ovest. Da Roma il Nord hai liberato e di completar l’opera verso Sud il momento è arrivato.61

«Permettimi di mettere a servizio le mie forze e, alla tua parola, ci metteremo in marcia per attaccare i legionari di fronte».

Animati tutti da quel discorso, Geilaris con il suo esercito viene ben accolto. Dentro le mura, tuttavia, non lo possono ospitare e, poiché il giorno è quasi al suo via, di accerchiare i Romani vogliono tentare.

Segeste assegna i compiti dividendo a gruppi tutti i fronti: a Kari il comando di cinquemila uomini perché affrontino il nemico sul davanti come fossero i padroni; Logi guiderà altri sul fianco per il numero di millequattrocento, mentre avrà Raspen accanto62; ad Arndís gli arcieri affida affiché, da un rialzo roccioso lì vicino, ai Romani faccia insidia. Infine, Geilaris sarà di sorpresa, perché girando intorno a largo, alle spalle guiderà la presa.

Già da un’ora i Vandali sono al passo e non dovrebbe trascorrer molto altro tempo per ritrovarsi appostati al loro varco.

Della città si apre finalmente il portone dal quale esce in veste fiera di guerra Segeste, armato del solo spadone. Davanti a lui è schierato il nemico, ornato di quel rosso insigne63 alla cui sola vista le viscere astringe.

Sesto si affaccia sullo schieramento: tuttavia non combatte col suo reggimento, solo fissa del figlio la figura stando attento a ogni sua mossa.

Nell’aria rischiarata del raggio mattutino si avverte di lontano il corno che segna l’inizio dell’ultimo giro.

Con un grido di guerra, la spada in alto alza e questa stagliata nell’azzurro immenso ecco che di gran fuoco divampa.

Profonda sensazione incide sui Romani, i quali molti popoli già videro piegare in terra le loro ali: ma non di sconfitti questi danno l’impressione, che anzi per esser d’orgoglio pieni par non ne vogliano sentire ragione.

Le prime file romane si incamminano volando, dietro Segeste si dispiega lo schieramento barbaro.

Venuti nel mezzo del campo, dal loro scontro si ode un boato: il clangore del metallo le orecchie assorda, e di visioni di morte la scena abbonda.

Segeste combatte come un fiero leone, avanza il passo tra il nemico falciandone molti a ogni colpo dello spadone. Quelli che atterra prendono fuoco così, molto presto, di scagliarsi contro quello i Romani ne temono il gioco.

Sesto osservando del nemico il vantaggio, comanda ai suoi arcieri di centrare il bersaglio. Una pioggia di frecce raggiunge Segeste fino in gola, e ci lascerebbe le penne se non si facesse di molti scudi nemici lenzuola.

Poi, d’improvviso, ecco la sorpresa: l’attacco vichingo alle spalle costringe il fondo alla resa. In tal modo pressati, non hanno via di fuga i legionari, i quali si trovano chiusi da tutti i lati.

Vedendosi perso, Sesto tenta la fuga e, con un minimo drappello, forza un sentiero dalla cinta più lunga.64

L’insegue presto Segeste, montando su un cavallo, mentre il resto degli uomini è più lento marciando a piedi incontro al fuggiasco.

In una fitta selva penetra il gruppo dove è più facile trovare un rifugio dietro ogni arbusto.

Giunti sulle sponde del fiume lo tentano di guadare, ma la corrente è veloce e per il peso delle cotte li potrebbe affondare.

Raggiunti da Segeste si voltan ad affrontare il nemico, ma il cuore rallenta davanti all'uomo del potere insignito.

Non così è per Sesto, il quale d’esser sconfitto da chi diceva figlio non lo può sopportare: così si scaglia contro di lui con forza, convinto com’è di poterlo fronteggiare.

Presi di coraggio, approfittano del vantaggio: i soldati romani lo accerchiano e da ogni lato attorno, con un colpo mirato, lasciano la pelle aperta.

Arndís lo raggiunge prima degli altri e, con impeto bellicoso, getta frecce a tutti quanti.

Affaticato, Segeste piega in terra un ginocchio, grondando sangue: e subito Sesto di questo esito se ne vorrebbe pregiare. Sta per lanciarsi addosso a lui per colpirlo a tradimento, quando dal cielo picchia veloce Munin, abbattendosi come flagello: con gli artigli gli graffia il viso e col becco lo colpisce all’occhio, e d'improvviso Sesto si ritrova orbo. 

Arndís allunga il passo e a Segeste si avvicina, e sarebbe colpita da un fendente dell’uomo pazzo di dolore, se l’altro al proprio fianco non l’attira.

Raccogliendo di sé tutte le forze, sorge Segeste ponendo solidamente il piede sul terreno coperto di foglie: focalizzando il padre che la spada continua ad agitare, mena preciso un colpo che a terra la fa crollare.

Sguarnito, infine, di arma e di sensi, il romano invoca la sua pietà filiale e con parole ormai effimere lo vorrebbe vezzeggiare.

Di uccidere il padre, Segeste prova turbamento e vorrebbe desistere se fino alla fine quello non gli desse tormento: estraendo, infatti, un’arma nascosta, Sesto disperato si lancia sulla ragazza trafiggendola a una coscia. 

Con un urlo selvaggio, l’uomo abbandona ogni remora, vibrando un affondo che trafigge il vecchio dal petto fino alla schiena.

Le pupille gli si fan vitree e inginocchiato il cadavere permane, fino a quando il fuoco divino non l’ha finito di consumare.

Segeste e Arndís si riempiono gli occhi di quella vista fino a quando con un vocio di trionfo l’esercito barbaro non dichiara finito ogni affronto.

Quando si trovano riuniti insieme prima che si medichi la ferita Munin torna in volo formando il cerchio dalle cui raffiche si sprigiona l’antica vita:

 

“Segeste ha sconfitto il romano

per questo il popolo è vendicato.

Ecco respinto il vecchio nemico

sotto il limes di nostro diritto.

Con questo esito la storia è salva

torna tutto come all'origine

quando vinceva la popolazione

nostra, eterna, gloriosa, barbara;

Di questa storia, lettore, hai letto

il dispiego in tempo così remoto

ch'è ormai scomparso ogni ricordo.

Ma questo ti resti sempre nel cuore:

per chi la libertà fiero invoca 

non esiste in nessun luogo prigione.”





 

 

FINE
 

NOTE:

[43] Ovvero Mannheim, situata nella regione del Baden-Württemberg.
[44] Ovvero con tenacia ed entusiasmo.
[45] Queste terre si trovano a Nerva, nell’odierna Spagna. Vi sono dei giacimenti di rame che colorano la terra e le acque.
[46] Laufey, chiamata anche Nál, nella mitologia norrena è la madre di Loki e consorte di Fárbauti.
[47] Ovvero che si avvolga tornando indietro.
[48] Jormungand viene generato dal dio Loki, unitosi alla gigantessa Angrboða, assieme ai suoi due fratelli, il grande lupo Fenrir e la regina dei morti Hel.
[49] Midgard è situato in Mannheimr, uno dei nove regni, letteralmente regno degli uomini.
[50] Ovvero Segeste ricorda l’ammonimento di Odino che ha spiegato che Arminio ha fallito il proprio destino fidandosi delle parole di Loki.
[51] Ovvero sperimentare sulla propria pelle l’esperienza della schiavitù e della disperazione.
[52] Nella mitologia classica, il regno dei morti; per estensione, l’inferno.
[53] La tavoletta cerata era uno strumento scrittorio tipico dell'antichità; vi sono testimonianze che ne dimostrano l'uso anche nel medioevo.
[54] Il Legatus legionis era il comandante di una legione.Sin dall’età della repubblica era denominato in tal modo il comandante delegato da un console o un proconsole al comando di una legione di sua competenza.
[55] Ovvero vuole farsi un’idea del nemico che deve affrontare.
[56] Infatti l’incontro di Segeste con Sesto diventerebbe emblematico: se non è riuscito a piegare al proprio volere il figlio, tanto più non potrà riuscire col popolo che lui rappresenta.
[57] Il Pretore, in latino praetor, era un magistrato romano dotato di imperium e iurisdictio. Tale era infatti la carica di Sesto a Roma, prima di essere investito Legatus e inviato nella Germania.
[58] Ovvero privo di forza e della capacità di usare la spada.
[59] Ovvero il campo di battaglia, è costretto a ritirarsi.
[60] Si tratta di popolazioni barbariche di varia origine.
[61] La popolazione dei Vandali era stanziata sul versante Orientale delle terre germaniche: in questo modo, grazie all’azione di Segeste e all’aiuto dei volontari delle altre tribù accorse al suo richiamo, diverse linee convergono sul campo, marciando nelle zone a Sud che devono ancora essere rese libere. Una volta raggiunto questo scopo e sospinto l’esercito di Roma sotto la linea Reno-Danubio, il cerchio ucronistico idealmente si chiude.
[62] Ovvero ad attaccare sul lato opposto.
[63] La tunica romana era rossa.
[64] Ovvero su quel lato che, per essere più lungo è meno spesso di uomini.


 
   
 
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