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Autore: heliodor    19/07/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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È questo il momento
 
La guardia poggiò il vassoio ai suoi piedi. Joyce gettò una rapida occhiata al contenuto. C’erano una manciata di noci, una fetta sottile di formaggio e del pane.
Girò la testa dall’altra parte, come i bambini che fanno i capricci e rifiutano il cibo.
La guardia ridacchiò e andò via, sistemandosi nell’angolo opposto. C’erano altre sei guardie lì attorno e due stregoni dal viso scavato e la barba incolta. La fissavano con ostilità e non le avevano mai rivolto la parola per tutte quelle ore.
Ogni tanto Joyce lanciava un’occhiata fuori dall’unica finestra che non era stata sbarrata con le assi.
Il sole stava tramontando e il cielo aveva assunto una colorazione rosso fuoco. Si chiese che cosa stessero facendo in quel momento Bryce ed Elvana. Loro almeno dovevano essere al sicuro al nord.
Al sicuro, pensò con una punta d’ironia. Al nord c’è Malag. È tutt’altro che sicuro lì.
Sperò che Vyncent fosse ancora vivo, anche se la speranza di rivederlo diminuiva sempre di più.
Oren.
Lui almeno doveva stare bene. Era con Shani sulle tracce di Mirka, un pericoloso negromante.
No, nemmeno lui era al sicuro.
Roge era probabilmente morto e Galef era disperso da intere Lune. Razyan era già nella terra delle ombre e poteva solo piangere la sua morte.
Le restava solo sua madre. Lei era a Valonde, al sicuro.
Se almeno l’avessi rivista una sola volta, si disse.
Le mancava così tanto.
“Dovresti mangiare” disse Joane.
Joyce sobbalzò alla sua vista. Da quando era lì che l’osservava?
“O ti ammalerai.”
Joyce le lanciò un’occhiata dubbiosa. “Ti preoccupi per me?”
Joane sospirò. “Poco fa credo di avere esagerato. Vedi strega rossa, io non ce l’ho con te.”
“Chiamami Sibyl.”
“Come?”
“È il mio nome” disse.
Era una bugia, ma era sempre meglio che udire ancora quel nomignolo.
Oh, Alil, si disse, non potevi trovare un soprannome diverso?
Joane annuì. “Vedi, Sibyl, non ho niente contro di te. In verità, se devo essere sincera, tu mi somigli.”
Ti sbagli di grosso, pensò. Io non cercherei mai di uccidere mio figlio.
“Hai il mio stesso ardore di quando avevo la tua età” proseguì Joane. “Volevo cambiare il mondo. Renderlo un posto migliore per i miei figli e per tutti gli altri. Volevo difendere i deboli e raddrizzare i torti.” Sorrise e scosse la testa. “Solo molti anni dopo mi sono resa conto di quanto infantile fosse la mia visione del mondo e di quanto ingenua ero stata a illudermi di poter cambiare qualcosa. Fu a causa della mia ingenuità che quella dannata donna di nome Gladia riuscì a convincermi a fare questa sciocchezza. Lei aveva appena perso suo figlio e…”
“Gladia aveva un figlio?” esclamò Joyce.
Joane annuì. “Non è mai nato. Lei non ne parlava mai, a parte quando beveva troppo dopo una battaglia. Sai, non era un argomento che le piaceva ricordare.”
“Deve essere terribile perdere un figlio.”
Joane scrollò le spalle. “Lo è ancora di più se è il padre a ucciderlo.”
Joyce trattenne il fiato. “Il padre?”
“Gladia se lo lasciò sfuggire una sola volta. Sembra che il padre del bambino, o della bambina, avesse intuito che cosa sarebbe nato dalla loro unione e abbia deciso di agire per impedirlo.”
“Cosa sarebbe nato?”
Joane ghignò. “Gladia non te ne ha parlato?”
Scosse la testa.
“La creatura che aspettava era destinata a essere uno degli eredi. Come Bardhian e la nipote di Selina. E la figlia di Marget, a quanto pare.”
Bryce, pensò Joyce
La teoria di cui lei e Halux avevano discusso era vera?
Solo allora un pensiero orribile le attraversò la mente. Se per Joane Bardhian fosse stato un mostro, allora avrebbero dovuto esserlo allo stesso modo anche Bryce ed Eryen.
Almeno su Eryen non potrei darle torto, pensò.
Si pentì subito di averlo pensato. Eryen non aveva scelto di avere quei poteri e se avesse dovuto credere a Gladia, sarebbe stato un loro piano farla crescere reprimendoli fino a farla diventare ciò che era adesso.
“Sei rimasta senza parole. Finalmente” disse Joane divertita.
Invece di cose da dire ne ho tante, si disse.
“Non uccidere Bardhian. Sarebbe un errore gravissimo.”
Gladia sbuffò. “Eccola che ricomincia. Quando stai zitta sei quasi sopportabile, te l’hanno mai detto?”
“Bardhian non è il mostro che credi. E non lo è nemmeno Bryce. E se il figlio di Gladia fosse nato, nemmeno lui lo sarebbe.” Aveva di nuovo escluso Eryen.
“Ho avuto anni per rifletterci sopra, Sibyl. All’inizio pensavo di uccidere anche gli altri. Mi dicevo che ucciderne solo uno sarebbe stato inutile, se non deleterio. Ma poi ho deciso di lasciar perdere. Dovevo occuparmi solo di Bardhian perché era un mio errore.
“Non è un errore. È tuo figlio.”
“Sei ripetitiva.”
“Ti sto dicendo solo la verità. Se provassi un attimo a fermarti e pensarci, lo capiresti anche tu.”
“Cerco solo di fare la cosa giusta, ora che ho l’opportunità di farla. Adesso mangia, dormi o fai quello che vuoi. Domani sarà una giornata faticosa.”
“Mi ucciderai?” chiese Joyce.
Joane sembrò pensarci su. “Pensi di meritare la morte per quello che hai fatto?”
Ho fatto morire una bambina sul rogo, pensò Joyce. E ho lasciato che un essere orribile come Falgan conquistasse Theroda.
Senza contare che aveva fomentato la guerra tra gli alfar e i nazedir, convincendo i primi a combattere quando potevano ritirarsi e solo perché voleva uccidere Rancey e salvare Oren. Che aveva abbandonato al suo destino per cercare di fermare la guerra.
“Non lo so” disse.
Joane annuì. “Pensaci e domani fammi sapere.”
La strega si voltò di scatto a andò via.
“Joane.”
La strega si fermò senza voltarsi.
“Ci sono migliaia di persone nel circolo. Che cosa ne sarà di loro?”
“Cercheremo di limitare le vittime.”
“Limitare?” fece Joyce sgomenta.
“Se si arrenderanno senza opporsi, li lasceremo liberi di andarsene o restare e servire la nostra armata. Quelli che si rifiuteranno…”
“Li ucciderete così?”
Joane non aggiunse altro e uscì.
Joyce fu tentata di attivare subito il richiamo, ma resistette. Se la minaccia di Joane era reale, avrebbe ucciso centinaia di innocenti per colpa sua. E non aveva alcuna certezza di riuscire a salvare Bardhian andandosene. Per quanto ne sapeva, poteva anche peggiorare la sua situazione.
Decise di restare e vedere che cosa sarebbe accaduto.
Il nuovo giorno arrivò dopo una notte insonne. Le guardie la svegliarono e la costrinsero a uscire.
Il sole era appena sorto e faceva caldo. Tutta la zona attorno al palazzo sembrava immersa in una calma sonnolenta. I soldati e gli stregoni si muovevano con lentezza nella calura, come a voler risparmiare le forze.
Vide Joane marciare verso Rauda. Lui fece cenno ai soldati di avvicinarsi e Joyce fu costretta a seguirli.
“Perché questa qui è ancora viva?” chiese Rauda.
“È mia prigioniera” rispose Joane.
L’altro sbuffò. “È un peso. Liberatene.”
“Dopo che i nazdur si saranno arresi, la lascerò andare.”
“Intendevo impiccala o decapitala” disse Rauda con tono infastidito. “Perché vuoi rimettere in libertà una nemica? Lo sai che cosa ha fatto a Theroda? Ha consegnato la città a quel viscido bastardo di Falgan.”
“So che cosa ha fatto” rispose Joane. “E lo sa anche lei. Ormai non è più un problema e se posso evitare di ammazzare qualcuno inutilmente…”
“Sei troppo buona.” Rauda squadrò Joyce da capo a piedi. “Ne riparleremo dopo aver preso la città, ma questa strega non andrà da nessuna parte se non sarò certo che non possa più darci fastidio.”
Joane scrollò le spalle e fece un cenno ai soldati. Il gruppo, una dozzina in tutto, iniziò a muoversi.
La strega si diresse verso la cupola del circolo, lontana un paio di strada da lì.
Non siamo molto lontani, si disse Joyce.
Sperava di avere più tempo per parlare a Joane e cercare di convincerla a cambiare idea.
“Dimmi soltanto una cosa” disse ad alta voce.
La strega sospirò. “Stai mettendo a dura prova la mia pazienza, Sibyl la strega rossa.”
“Dimmi soltanto questo e poi resterò in silenzio.”
“Sentiamo” disse lei con tono rassegnato.
“Che cosa farai dopo?”
“Dopo?”
“Dopo aver ucciso Bardhian. Che cosa farai? Come riuscirai a vivere sapendo di aver ucciso il tuo unico figlio?”
Joane sorrise, ma non c’era allegria in quella smorfia che le deformava il viso. “Non ho alcuna intenzione di vivere più del necessario” disse. “Fin da quando ho iniziato questa incessante ricerca, sapevo che non avrei voluto sopravvivere a quello che avrei fatto. Non appena Bardhian avrà esalato il suo ultimo respiro, la mia vita diventerà superflua.”
“Vuoi morire?” chiese Joyce incredula. “Ti ucciderai?”
“Non avrei più ragione di vivere, dopo aver riparato al mio errore.”
“Non deve per forza finire così.”
“Ma è così che ho deciso che finirà. Sibyl. Ora, se permetti, vado a prendere in custodia mio figlio.”
Ormai erano al limitare della piazza antistante il circolo di Nazdur. I soldati si stavano sistemando lungo la parte opposta a quella dove sorgeva l’edificio sormontato dalla cupola. Colonne alte trenta metri sorreggevano la struttura, ma Joyce sapeva che ce n’erano altre all’interno. L’ingresso era aperto e dozzine di soldati e stregoni montavano di guardia. Ne vide altri scrutare la piazza dall’alto dei camminamenti che correvano lungo la cupola stessa.
I soldati dell’orda spuntavano dai tetti degli edifici circostanti la pizza e dai loro sguardi traspariva la stessa determinazione che dovevano avere quelli di Nazdur.
Lottano da decine di giorni e hanno ancora voglia di combattere, si disse Joyce. La guerra è davvero una follia? O sono i pazzi a combatterla?
Joane fece un cenno ai soldati. “Voi restare qui.”
Rauda arrivò scortato da una mezza dozzina di mantelli grigi e dieci soldati. In mezzo a questi c’era Lilie.
Porse la ragazza a Joane.
“Lilie” esclamò Joyce. “Stai bene?”
La ragazza urgar annuì. I suoi occhi vagarono per la piazza come alla ricerca di qualcosa. O di qualcuno.
Joyce la seguì e vide che guardava l’ingresso del circolo. Delle figure erano apparse proprio lì vicino.
Guardando meglio, ne riconobbe tre.
Kallia, Jakris e Bardhian. C’era anche un soldato armato di lancia accanto a loro, ma il suo viso era coperto dall’elmo.
Joane sospirò. “Andiamo” disse a Lilie.
La ragazza gemette. “Non fare del male a Bardhian, ti prego.”
Rauda le diede una spinta. “Ti ha detto di andare, non hai sentito?”
Lilie si gettò in ginocchio ai piedi di Joane. “Io non so che cosa ti abbia fatto Bardhian, ma invoco il tuo perdono. Prendi la mia vita al posto della sua.”
“La tua vita non vale tanto, selvaggia” disse Rauda.
Joane sospirò di nuovo. “Alzati” disse porgendole la mano. “Avanti, su. Oggi non morirai, puoi starne certa. A meno che la tua gente decida di volersi impicciare degli affari che non la riguardano.”
Lilie rifiutò l’aiuto e si mise in piedi. “Se farai del male a Bardhian, ne dovrai rendere conto a me” disse con tono più fiero anche se con voce rotta. “Ti ucciderò.”
“Ti assicuro che avrai ciò che desideri” disse Joane. “Adesso andiamo o ti dovrò trascinare fino al centro della piazza.”
Joane e Lilie avanzarono fianco a fianco, seguite da tre soldati.
Rauda rimase indietro.
Joyce le guardò dirigersi verso il centro della piazza. Nello stesso momento, Bardhian e gli altri avanzarono dalla parte opposta.
Rauda le passò accanto. “Appena lo scambio è completo” disse a uno dei soldati. “Date l’assalto al circolo. Fai in modo che l’ordine arrivi a tutti i comandanti di plotone.”
“Ma la comandante Joane ha detto di aspettare” obiettò il soldato.
“La comandante non si rende conto che sarà meglio per tutti se risolviamo qui e oggi la questione con i Nazdur. Ora vai.”
Il soldato si allontanò di corsa.
Rauda le rivolse un’occhiata di sbieco. “Che hai da guardare, strega rossa? Ti sembra crudele l’ordine che ho dato?”
“No” disse Joyce. “Non crudele. Insensato.”
Una mano si posò sul suo braccio. Era quella di un soldato. Il suo viso era nascosto dall’elmo. Solo gli occhi, di un marrone scuro, erano visibili.
Il soldato le fece un cenno con la testa.
Joyce si accigliò.
“Mantieni la calma” sussurrò il soldato. “E andrà tutto bene.”
Al centro della piazza, i due gruppi di erano fermati a una decina di passi di distanza.
“Chi parla a vostro nome?” chiese Joane ad alta voce.
Da quella distanza Joyce sentiva appena quello che stava dicendo.
“Io” ripose Kallia avanzando di un passo.
“Combattenti di Nazdur” disse Joane ad alta voce. “Vi siete battuti con onore e siamo qui per riconoscerlo. Dopo questo scambio di prigionieri, vi concederemo un giorno per lasciare la città in modo ordinato. Noi non vi attaccheremo. Chi vorrà restare dovrà giurare fedeltà all’armata dell’arcistregone Persym. Chi lo farà sarà perdonato. Chi rifiuterà di andarsene o di inginocchiarsi, sarà trattato come un nemico.”
“Chi ci assicura che manterrete la parola?” chiese Kallia.
“Non vi resta che fidarvi di noi” rispose Joane.
Kallia tacque.
“Procediamo allo scambio?” fece Joane.
“Dopo la battaglia” proseguì Rauda. “Mi assicurerò che tu non viva un giorno più del necessario. Io ero a Theroda quando hai aiutato Falgan a conquistarla. Io non dimentico.”
“E nemmeno io” rispose Joyce.
Rauda la fissò severo. “Sei proprio una stupida.”
Bardhian avanzò verso il punto occupato dal gruppo di Joane. Nello stesso momento, dalla parte opposta si mosse Lilie. I due si incontrarono al centro. Lei disse qualcosa che da quella distanza non riuscì a udire e lui fece un cenno di assenso con la testa.
“È questo il momento” disse Joyce.
Rauda si voltò di scatto. “Che cosa hai detto?”
Joyce allungò una mano verso di lui, afferrandogli il mantello e stringendolo forte. “Mon Kogaan” sussurrò.

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