I boschi si diramavano intorno a lei, la catena sull'anca batteva sull'osso. 
Era sempre stata troppo magra.
Correva con foga da quella che sembrava un'eternità, un lasso di tempo infinito racchiuso in un dipinto di alberi troppo fitti e respiri che non riuscivano a vivere. 
Ma quella bolla senza tempo in cui sembrava racchiusa per sempre si infranse quando i suoi piedi nudi inciamparono in un'invallatura nascosta dalle foglie. 
Non riusciva a capire come cadere sulle costole sporgenti potesse fare così male. 
Non l'avrebbe mai capito. 
Allora si rialzò, lasciando forse il cuore emaciato e palpitante di terrore sul terreno, riprendendo a correre, coperta di nuovi lividi.
Doveva farlo, doveva correre, forte, ancora più forte, non importavano i tagli dei rami sulle braccia e sulle gambe, le ossa dei piedi incrinate e spezzate, doveva cancellare tutto, ogni ombra delle mani di lui o del suo fiato su di se, doveva correre a quel lago che aveva intravisto ore fa ed affogare il respiro corto.
Quegli alberi che le avevano indicato la strada, alti ed antichi spettatori del mondo, osservarono una dea togliersi ogni straccio sgualcito di dosso, non facendo troppo caso alla strada davanti a lei, gli occhi annebbiati dalle lacrime, e continuare a correre ricoperta alla fine solamente da sangue e dispiacere, abbandonandosi poi all'acqua gelata del lago e sparire sotto lo specchio crepato dall'ultimo rimasuglio d'aria che i suoi polmoni decisero di lasciar andare.
Si sarebbe ripulita.
Avrebbe cancellato ogni segno.
Sarebbe stata di nuovo libera.
Sarebbe stata di nuovo solo di Thor, di nessun altro, nessune altre mani sarebbero scivolate su di se, nessune altre labbra, nessun... nessun altro corpo si sarebbe congiunto col suo.
Lei amava suo fratello, si erano giurati amore eterno davanti a tutta Asgard e lei? Lei era stata presa da un titano mentre l'amore della sua vita era perduto nello spazio.
Forse, si disse, questo abisso sarebbe stata una realtà migliore di un futuro senza di lui.