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Autore: _aivy_demi_    25/07/2019    46 recensioni
Una ragazza sbadata, disordinata e senza alcun pelo sulla lingua.
Un ragazzo famoso, allontanatosi dalla propria città in cerca di qualcosa.
Si incontrano, si detestano fin da subito.
Una simpatica commedia romantica het piena di malintesi, incontri fortuiti (e non), umorismo e una punta di ironia che non guasta mai.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Singing

is the answer

 

 

9-“I have to like to you





Raon stava riflettendo spesso sulle situazioni completamente assurde in cui s’era trovata coinvolta negli ultimi giorni: aveva sempre ritenuto i tipi come Åsli spocchiosi ed egocentrici, fissati con le cazzate e troppo impegnati a passare il tempo a registrare video in cui loro erano protagonisti indiscussi, piuttosto che dare importanza al quotidiano ed alla vita reale. Forse il suo ragionamento divergeva un poco dai tempi attuali, ma nel suo piccolo aveva modo di osservare da vicino un’esperienza diversa: veder rientrare il padre dal lavoro con l’espressione di chi ha dato anche l’anima allo stabilimento, regalando spesso straordinari e nascondendo le mani stanche e grigie, le aveva impostato un concetto di lavoro più propenso alla fatica ed al sacrificio, cosa che non riteneva fosse necessaria per poter pubblicare su una piattaforma multimediale di video. Tutto ciò probabilmente era ingiusto, forse retrogrado, ma ancora non riusciva a comprendere come uno di quegli “youtuber”, nome coniato nel nuovo millennio per rappresentare quella nuova branca di persone che abbracciavano un certo tipo di lavoro, quale la creazione di filmati per la rete mondiale, potesse vivere facendo solo quello.
Proprio non ci arrivava.
«Raon
Eppure s’era ricreduta un poco, dopo quel primo disastroso incontro in fumetteria: parte della brutte cose che aveva pensato in quel momento, particolarmente pesanti e decisamente volgari, erano sfumate durante il tempo passato in compagnia di quel ragazzo davvero strano. Non era poi così male.
«Ehi, Raon, mi stai ascoltando?»
No, aveva mostrato un lato migliore che pensava non avesse, ed aveva in qualche modo superato quelle aspettative negative che gli aveva afibbiato dopo solo due minuti di un cinico scontro verbale.
La sua proverbiale testa tra le nuvole venne riportata a terra da una mano sventolata con energia davanti agli occhi: Aya stava tentando di richiamare la sua attenzione senza particolari risultati. «Senti, cosa ti passa per la testa?»
«Eh?»
La ragazza stava ancora mescolando il caffè nella tazzina, tiepido ormai. Neppure il tintinnare continuo l’aveva distratta dai propri pensieri.
«È una cosa seria, a breve ci sarà quel benedetto esame. Dovremmo prepararci, non voglio mancare all’appello.»
«Ah, sì, certo Aya, scusami. Allora qual è esattamente il problema?»
L’amica aveva fretta di smaltire alcune questioni e dissipare i dubbi relativi alle lezioni a cui era mancata per poter coprire i turni lavorativi di una collega assente, per poter poi scappare in fretta e raggiungere l’area ristoro dell’ala est dell’ateneo. Anche quel giorno era speranzosa, ed anche quel giorno avrebbe passato il resto della pausa pranzo in quella stanza, in attesa. Gli scambi di fotocopie di intere pagine di appunti, in aggiunta alle dovute delucidazioni allentarono un po’ la tensione che le stava mordendo lo stomaco. Al terzo controllo dell’orologio Raon si spazientì: prima la contattava all’ultimo momento e poi non le dava nemmeno la dovuta attenzione. Inconsapevole d’aver riservato ad Aya lo stresso trattamento poco prima, tamburellò le dita con impazienza.
«Allora, cosa c’è che non va?»
«Te l’ho detto, in questi giorni ho dovuto fare gli straordinari e sono mancata a buona parte delle lezioni. Conosco quella donna cazzo, ci aveva già avvertiti che per passare la materia avremmo dovuto partecipare alle lezioni, altrimenti saremmo stati penalizzati. Quella stronza.»
Non era certo ciò che Raon voleva sapere, tutta quella distrazione poteva essere giustificata solo in parte da un motivo simile; si conoscevano da anni e sapeva che sotto c’era dell’altro. «Non sto parlando di questo, non prendermi in giro. Cosa ti sta incasinando davvero?»
Aya sospirò gonfiando le guance.
«Lasciatelo dire, non sei cambiata neanche di una virgola. Sembri sempre una bambina troppo cresciuta!» Le due risero, e la bionda raccolse i propri appunti ficcandoli con poca grazia nella borsa a tracolla. Si alzò e salutò l’amica frettolosamente avanzando verso la porta della caffetteria. La mano già sulla maniglia, e si sentì chiamare da un fischio: Raon sventolava uno smartphone con aria saccente. Corse a recuperarlo in velocità ringraziandola due o tre volte, prima di prendere la direzione del piano inferiore, una deviazione precisa verso i distributori automatici.


Aya aveva percorso almeno quindici volte il perimetro della stanzetta, avanti e indietro, destra e sinistra: se avesse avuto del buon vino tra le mani al posto del caffè, a quell’ora si sarebbe sentita alticcia. Attendeva, così come gli altri giorni, tentando di deviare il pensiero concentrandosi su cose importanti, come la macchia di umidità nell’angolo del soffitto, in alto a destra, o l’intonaco disincrostato a lato del distributore automatico in fondo.
Cose importanti.
Fissò nuovamente il quadrante dell’orologio da polso: a breve sarebbe dovuta tornare al lavoro. Si morse il labbro inferiore nervosamente, dandosi della stupida per tutti quei giorni spesi ad aspettare con inutile interesse; non era certo la prima volta che un ragazzo si approfittava del suo tempo, ma qualcosa in quel Josh l’aveva colpita. Alzò le spalle sbuffando sconsolata, lanciando il bicchierino ormai vuoto, l’ennesimo, che non raggiunse neppure il bordo del contenitore dell’immondizia.
“Merda.”
«Dovresti stare più attenta la prossima volta, lo sai che non si sporca in giro?»
Riconobbe quella voce all’istante.
Era lui, Josh.
Era venuto, come le aveva promesso. Si sentì stupidamente persa in quel momento. Abbassò gli occhi verso il pavimento spaesata. Lui si avvicinò e le sorrise.
«Allora? Dov’è tutta la spavalderia dimostrata l’altra volta? Non dovevamo prendere un caffè?»
Lei alzò il volto cercando un’argomentazione, una qualsiasi, per rispondere a quella domanda: non ne trovò neppure una, e si mise a ridere. Resasi conto poco dopo del gesto sciocco e fuori luogo si coprì la bocca con il dorso della mano concentrando lo sguardo su un punto qualsiasi, arrossendo in modo lampante. Il ragazzo rise di rimando, sfiorandole la mano ed abbassandola.
«Non coprirti il volto, è davvero un peccato.»
Un sorriso smagliante, un tocco leggero e caldo, confortante.
Iridi luminose e vive, labbra rosee ed invitanti.
La ragazza si scostò di poco, allontanandosi abbastanza da mantenere fermo il proprio spazio vitale. Si fece coraggio e parlò, cercando di uscire dal momento di enorme imbarazzo che stava vivendo quasi con disagio. La conversazione toccava punti semplici e comuni, senza sforare troppo nel privato; l’incontro sembrava pilotato dalle emozioni molteplici che Aya stava provando, senza di fatto arrivare ad un dialogo sciolto e rilassato.
Josh non era un ragazzo stupido, ed era un ottimo osservatore: ogni sfumatura, gesto, sguardo non sfuggivano al suo sguardo attento. Tentava di scrutarle dentro, di capire quanto in là avrebbe potuto spingersi… in pratica, cercava di conquistarla passo passo, la spavalderia tinta da un pizzico di ironia che rendeva intrigante ogni sua frase, osservazione, ogni battuta. La desiderava, e voleva prendersela. Sapeva di poterci riuscire, e per lui una ragazza era sempre una nuova sfida. Aya era semplicemente il nuovo obiettivo e studiarla faceva parte del suo programma. Cercava di stimolarla ad esprimersi, di vezzeggiarla un po’, puntava a farla sentire speciale, bella, unica. E naturalmente lei si crogiolava in tutte quelle sensazioni positive che stava provando, si sentiva coccolata da quella voce calma e suadente. Così tanto che le dispiacque troncare a metà il discorso e dover rimandare per via del lavoro.
«Di già? Così presto? È un vero peccato, avevo intenzione di andare a bere qualcosa assieme.»
«Mi spiace, proprio non posso. Tra poco dovrò iniziare il turno. Non è colpa mia se sei arrivato a un orario pessimo.»
Josh colse la palla al balzo per vederla avvampare in volto ancora una volta: «orario pessimo? Significa che mi stavi aspettando.»
Colpita in pieno, e quasi se ne vergognava. Certo che lo stava aspettando.
«Facciamo così, dammi il tuo telefono.» Le salvò il contatto, per poi restituirglielo ed avvicinarsi al suo volto, parlandole all’orecchio con tono basso. «Stasera sono libero, che dici se mi mandi la posizione e vengo a prenderti?»


Il turno era stato particolarmente pressante: Aya aveva bisogno di una doccia, un cambio di vestiti e di buon riposo. Avrebbe potuto scartare l’ultima delle opzioni ma alle prime due non avrebbe mai potuto rinunciare. Passò rapida a casa infilandosi in sotto il getto dell’acqua calda con lo spazzolino da denti, perdendo un’eternità nel prepararsi e nello scegliere con cura ogni singolo dettaglio dell’abbigliamento e della forma: voleva apparire bella, voleva sembrarlo davvero. Curata, perfettamente impeccabile, affascinante, questo era il suo obiettivo.
Voleva con tutta se stessa che Josh la desiderasse. Si guardava allo specchio tutti i giorni ricercando quei difetti inesistenti che le sembravano voragini a minare la sua personalità. Ogni particolare del corpo, un neo, una macchia, anche solo una sfumatura diversa, le dava una angosciante sensazione di inadeguatezza.
“Quanto sono stupida…” pensò, passando il correttore con perizia prima di stendere il fondotinta a coprire l’incarnato naturale. “Veramente stupida…” Che facesse riferimento al presente o al rimasuglio della ragazzina che veniva presa costantemente in giro per il proprio aspetto, era un mistero pure per lei. Aveva lavorato con fatica e sacrifici su di sé: ricordava con stizza le risate, i gruppetti che si instauravano a scuola escludendola da tutto, le occhiatacce. Tutto.
E poi era cambiata. E con lei, anche le necessità. Gli occhi le si inumidirono mentre sistemò un’ultima volta l’abito attillato, il seno prosperoso messo in evidenza. Voleva piacere a Josh.
Aveva bisogno di piacergli.
Attivò il GPS al cellulare per spedire poi la posizione del luogo dell’incontro al ragazzo. Uscì di fretta, nella speranza di non incontrare il padre durante il breve tragitto dalla camera alla porta d’entrata, ma poco prima di richiudersi la maniglia alle spalle udì distintamente: «se ti vesti da troia, è normale che tutti poi ti trattino come tale.»
Inveì contro di lui stringendo a sé la borsa e spostandosi sul marciapiede: mai l’avevano tanto rassicurata due fanali che si stavano avvicinando lentamente.






Note dell’autrice (ehhhh sì, mi sa che le cose qui stanno cambiando poco a poco. In meglio? Mmhn.)
Buongiorno a tutti! Eccomi di ritorno nell’original, dedicando spazio agli amici dei protagonisti, perché anche loro esistono ed è giusto sia così. Il secondo incontro tra Aya e Josh svela un paio di  punti fondamentali di ciò che potrebbe essere il loro futuro rapporto: non buono, dite? Beh, effettivamente pure io lo penso, ma mica si è tutti belli e santi, no?
Spero come sempre che la lettura sia stata piacevole, ora torno ai miei progetti che tanto per cambiare sono sempre di più ahahah!
Grazie a tutti per l’attenzione, le parole e l’affetto dimostrato come sempre, siete dolcissimi. Alla prossima! :3
-Stefy-

   
 
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