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Autore: Retsuko    13/08/2019    2 recensioni
Il futuro è inevitabile e riserva cambiamenti che non sempre si possono affrontare da soli.
A Kaede Rukawa la parola “insieme” fa paura, ma quando la sua perfetta routine fatta di solitudine, basket e pisolini si spezza, è costretto a ricercare un nuovo equilibrio e a fare i conti con ciò che prova per Hanamichi Sakuragi.
Un anno di vita di un gruppo di ragazzi.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Ayako, Hanamichi Sakuragi, Hiroaki Koshino, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Do you remember the 21st night of September?

Love was changing the minds of pretenders

While chasing the clouds away

Earth, Wind & Fire

 

«Dannazione!» borbottò Kaede fra uno starnuto e l’altro. Era lievemente allergico alla polvere e dopo un’ora trascorsa in garage a frugare ovunque il suo sistema respiratorio cominciò a protestare. Rientrò in casa col naso colante, fiondandosi sulla scatola dei clinex in salotto dove trovò suo padre seduto in poltrona, intento a leggere una rivista.

«Trovato qualcosa?» chiese alzando la voce per sovrastare il rumore di trombone che stava producendo il figlio soffiandosi il naso. 

«No» ammise mestamente, senza nemmeno tentare di coprire le sue intenzioni.  

«Questa volta è stata veramente brava» aggiunse appallottolando il terzo fazzoletto sporco. 

 

Domenica pomeriggio, Kaede Rukawa non giocava a basket da quasi 48 ore e i sintomi di quell’astinenza forzata si facevano sentire. 

 

A quanto pare si era sbagliato di grosso pensando che il liceo Shohoku potesse fare a meno di lui, infatti, non vedendolo rientrare dopo la pausa pranzo, il vicepreside aveva chiamato la signora Azumi Rukawa chiedendo dove fosse finito il figlio.

La signora Azumi Rukawa, donna piuttosto intelligente, aveva mantenuto il sangue freddo, inventato una visita medica per giustificare l’assenza di Kaede, si era scusata e, una volta chiusa la telefonata, si era data da fare per mettere in atto la sua punizione. Aveva nascosto tutti i palloni, fatto sparire ogni oggetto sferico, sequestrato qualsiasi cesto o contenitore dalla camera del figlio, insomma aveva tolto di mezzo qualsiasi cosa che potesse essere utilizzata per simulare la pallacanestro ed infine si era seduta al tavolo di cucina, in attesa. 

Non dovette aspettare molto, Kaede rientrò a casa di lì a 10 minuti e lei andò dritta al sodo della questione, non era tipo da perdersi in convenevoli.

«Ha chiamato la scuola» disse lapidaria. 

 Kaede Rukawa, ragazzo altrettanto intelligente, comprese al volo. Chinò leggermente il capo, giusto quel poco che bastava a coprirsi gli occhi con la frangia, stiracchiò le labbra e con la mano sinistra cominciò a massaggiarsi la nuca. Se non fosse stata così preoccupata Azumi sarebbe scoppiata a ridere: quando veniva rimproverato suo figlio compiva quegli stessi identici movimenti involontari sin dalla scuola materna.

«Sei in punizione, niente basket fuori dagli allenamenti per due settimane. E non provare a restare in palestra fuori orario perché ho già telefonato al signor Anzai per chiedergli di rispedirti a casa una volta finite le attività, è chiaro?»

«Si, è chiaro»

«Ora, voglio sapere dove sei stato, e voglio la verità altrimenti le due settimane diventeranno un mese» aggiunge Azumi, tagliente come il bisturi di un chirurgo

«A Kamakura» replicò senza esitare, del resto la mela non cade tanto lontano dall’albero, nemmeno a lui piaceva tergiversare e poi, ad essere sinceri, la rabbia di sua madre lo metteva in agitazione. Altra cosa che Sakuragi non avrebbe mai dovuto sapere.

«Cosa sei andato a fare a Kamakura?» e questa volta la voce di Azumi tradiva la sorpresa.

Ai suoi impostò una storiella verosimile, raccontò di essere stato al Ryonan per chiedere la rivincita a un tizio con cui aveva un conto in sospeso dalle finali di prefettura, una giustificazione abbastanza vicino alla verità da permettergli di sembrare convincente. Gli sviluppi della confessione deviarono sul tragicomico alla fine del resoconto, quando il signor Rukawa, che in estate aveva assistito alla partita decisiva col Ryonan, se ne uscì chiedendo delucidazioni:

«Ti riferisci a quello coi capelli a punta?»

Kaede annuì piuttosto interdetto, suo padre non ci capiva niente di basket.

«Almeno hai vinto?»

«Tadashi, per l’amore del cielo! Ne i capelli di questo ragazzo, ne il risultato della loro partita ha non rilevanza ai fini della discussione» s’intromise Azumi alterata.

L’intervento di sua madre fu provvidenziale, Rukawa bruciava ancora di vergogna al ricordo del  due di picche ricevuto, e fu lieto di poter sorvolare su quell’aspetto della vicenda.

 

Ma che bella situazione del cazzo! 

Ora era bloccato in punizione, senza basket e senza nemmeno aver dato sfogo alla sua fame di rivalsa, perché Akira Sendoh, non solo si era negato peggio di una ragazzina che se la tira, ma aveva anche avuto la faccia tosta di trattarlo come un deficiente, con la stessa condiscendenza di un maestrino che spiega le tabelline ad uno studente un po’ lento. 

E poi quella frase su Sakuragi, cosa diamine stava a significare? 

Avrebbe dovuto picchiarlo fino a farlo svenire e trascinare il suo corpo esanime in palestra come monito agli avversari.

Allora perché invece di prenderlo a pugni aveva girato i tacchi e se n’era andato? 

Perché aveva ragione, ammettilo sussurrò una vocina mentale. Perché la noia e il senso di vuoto che sentiva dentro erano dovuti all’assenza del suo Do’aho - oh come suonava bene! - e sebbene Kaede cercasse di schiacciare quel pensiero in fondo ai meandri della sua coscienza, quello rispuntava fuori, ogni volta più inteso ed invadente.

 

Così il super rookie di Kanagawa arrivò a quella maledetta domenica, con alle spalle un viaggio a vuoto a Kamakura, un bel carico di frustrazione e l’immaginazione che vagava continuamente in zona Sakuragi. Giunto al punto di rottura si era arrischiato a disobbedire, e appena sua madre uscì di casa per un giro in centro con un’amica, era sgattaiolato in garage a controllare se qualche palla fosse sopravvissuta all’operazione di bonifica. Niente di niente.

 

Sconfitto, Kaede si stravaccò sul divano. Il suo sguardo si spostava distrattamente da un punto all’altro del salotto; la tv spenta, la foto del matrimonio dei genitori appesa al muro, la libreria zeppa di manuali medici e codici giurisprudenziali. Azumi era psichiatra e diversi anni prima svolgeva consulenze per il tribunale di Yokohama, dove aveva conosciuto Tadashi, avvocato penalista. La loro relazione era cominciata lì, fra un’udienza e l’altra, l’emblema del romanticismo insomma. Kaede continuava a fissare la libreria senza vederla realmente finché un libro in particolare attirò la sua attenzione; “Minori a rischio e strategie di prevenzione”, titolo su cui poteva costruire una via di fuga verso la libertà, doveva affrontare momentaneamente l’avversione verso le chiacchiere psicologiche, o le chiacchiere in generale, e imbastire qualcosa.

«Papà»

«Mh»

Kaede si alzò dal divano, aggirò il tavolino e si piazzò davanti al padre, che sembrava molto poco incline ad abbandonare la lettura

«E se tenermi lontano dal basket si rivelasse un rischio?»

«Spiegati meglio per favore» rispose il signor Rukawa continuando a tenere gli occhi sul giornale

«Voglio dire, lo sport dovrebbe essere un ...ehm... fattore di prevenzione a...cioè praticare uno sport mi tiene lontano dai guai»

«Vero, per questo ho fiducia che in tutti questi anni di disciplina sportiva tu abbia introiettato un numero di regole e valori sufficienti a permetterti di sviluppare un adeguata resilienza agli eventi»

«Eh?» fece Kaede con le sopracciglia aggrottate.

Tadashi Rukawa mise da parte la rivista e posò le mani in grembo, intrecciando le dita.

«Hai le capacità per resistere due settimane senza cacciarti nei pasticci» tradusse alzando lo sguardo verso il figlio.

«Ma se va a finire che non le ho le capacità?» biascicò «Diciamo che non riesco a gestire l’adrenalina e vado alla ricerca di un altro modo per sfogare le mie energie...tipo...non so... metti che comincio ad interessarmi alle droghe?»

Kaede nutriva nei confronti delle droghe più o meno la stessa curiosità che nutriva per Haruko Akagi e Tadashi parve averlo capito benissimo perché la sua espressione non mutò di una virgola. Rimase silenzioso per un lungo momento guardandosi le mani, poi spostò nuovamente l’attenzione sul ragazzo.

«Beh, non ti farebbe male variare un po’ i tuoi interessi» disse mentre Kaede sgranava gli occhi. 

«Bel tentativo figliolo» commentò alzandosi.

Gli diede una pacca sulla spalla e uscì dal salotto.

 

Dopo lenta e penosa agonia settembre si spense definitivamente. L’ora del decesso, nella mente di Kaede, corrispondeva all’istante in cui la mamma gli aveva restituito il suo pallone Spalding preferito. Ottobre era arrivato, eppure l’ estate continuava a lottare per sopravvivere, le giornate si mantenevano piacevolmente tiepide e lui poteva ancora permettersi di sonnecchiare sul tetto godendosi il sole. Quella mattina si sentiva particolarmente assonato, per colpa del prof di letteratura giapponese e del suo assurdo bisogno di valutare la classe sul periodo Muromachi non era riuscito a riposarsi come si deve. Uscì dall’aula in direzione delle scale che conducevano ai piani superiori, rimuginando sul compito appena svolto, quando sentì un ciarlare conosciuto provenire da metà corridoio e tutto d’un tratto il suo corpo s’irrigidì, ma Kaede -banchisa polare- Rukawa continuò imperterrito lungo la sua strada, incedere elegante e mani affondate nelle tasche.

Oltrepassò la porta della 1^K, indifferente ai sospiri delle ragazze, un po’ meno indifferente al proprio respiro, che si faceva sempre più affannato ad ogni passo, come se avesse cominciato a correre.

Arrivato davanti alla 1^J i battiti del suo cuore accelerarono paurosamente. Qualcosa di pesante gli si era incastrato in gola e lui non riusciva ne a deglutirlo, ne a sputarlo fuori. 


Sezione H, sezione I, ed eccolo lì, proprio davanti alla 1^G


Hanamichi Sakuragi, stava ridacchiando sguaiatamente distribuendo pacche sulle spalle degli amici che lo circondavano. 

Sempre al centro dell’attenzione, eh Do’aho? 

Poi Sakuragi si accorse di lui e alla vista della sua nemesi il sorriso gli si spense sulle labbra. Comparve nuovamente l’espressione dura e determinata che aveva sulla spiaggia in quella strana mattina di agosto. 

Kaede riusciva solo a pensare che fosse bellissimo.

 

«Do’aho»

 

«Kitsune»

 

E il tempo ricominciò a scorrere.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Note varie: ci tengo a chiarire una cosa perché mi sta a cuore. Io non la penso esattamente come Rukawa riguardo alla psicologia, non trovo la trovo un inutile chiacchiera, ma una scienza importante per la vita umana. Detto ciò, gli ho messo in testa quel pensiero perché è un ragazzo con un caratterizzo niente male. Speriamo di ammorbidirlo un pò..và 

Un grazie a chi ha trovato tempo per leggere la storia. A prestissimo. 


  
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