Capitolo 3
Sotto il velo
If
it takes forever I will wait
for you
For a thousand summers I will wait for you
Till you're back beside me, till I'm holding you
Till I hear you sigh here in my arms
Anywhere
you wander, anywhere you
go
Every day remember how I love you so
In your heart believe what in my heart I know
That forevermore I'll wait for you
The
clock will tick away the hours
one by one
Then the time will come when all the waiting's done
The time when you return and find me here and run
Straight to my waiting arms
(Connie
Francis, I will wait for
you)
Il
dio dell’inganno era tornato indietro nel tempo
così tante volte da perderne il
conto. Aveva studiato ogni possibile variante, ipotesi, coincidenza,
per poi
mutarla e osservarne gli effetti, scoprendo, così, gli
inganni nascosti nelle
varie linee del tempo. Da qualche parte, le Norne, ironiche e
impietose, dovevano
aver sorriso, osservando i suoi tentativi di rintracciare col
seiðr il nodo
giusto. Alla fine, però, era riuscito a scoprire quel
segreto che lo tormentava.
Finalmente
aveva il nome dell’incantesimo recitato da Sigyn sulle
labbra. Eppure il suo trionfo
era amaro, sapeva di fiele: si ritrovò a pensare a una
triste coincidenza. Lui,
il dio dell’inganno, doveva pagare sempre sulla propria pelle
il peso atroce e
terribile della verità nella sua forma più cruda
e spietata, come quando le sue
origini erano saltate brutalmente fuori, incrinando per sempre ogni
certezza,
infiammando fino all’esasperazione il suo innato cinismo. In
fondo, la
menzogna, alle volte, non è altro che un dolce velo che
copre gli orrori e le
brutture di una realtà amara, sporca, ignobile.
Questo
è l’ultimo viaggio che intraprenderò
per ritrovarti, perché sfidare il tempo è
rischioso, debilitante, doloroso, persino.
Chiuse
un momento le palpebre, tentando di scacciare via i pensieri cupi che
gli
serravano la testa. Non era più così sicuro che
sarebbe riuscito a portare a
termine la sua missione disperata. Una parte di Loki, quella di mago,
era
ammirata dal talento dimostrato da Sigyn nell’uso del
seiðr, ma un’altra
valutava con occhio critico gli effetti che una magia troppo potente
aveva
avuto sul fisico esile e sulla mente sveglia della giovane strega. Gli
rimaneva
una sola domanda a cui dare una risposta plausibile e soddisfacente: perché.
La
conoscenza era una fonte di liberazione, ma il suo peso era gravoso.
Apriva lo
spiraglio su altre considerazioni che la mente lucida
dell’ingannatore non
poteva ignorare o far finta di non considerare. Con la testa
febbrilmente
immersa in un mare di sospetti e illazioni, decise di porre fine a
quella
ricerca sfiancante e senza fine, domandandolo all’unica
creatura a conoscenza
di tutto, la sola che si era detta disposta a stringere con lui un
patto, un
accordo: Hela, la signora dei morti. Deglutendo e senza conoscere
ancora quale
fosse il tassello mancante più importante di tutti, si
domandò se l’avrebbe
convinta un’ultima volta.
♥
I
ricordi, a volte, sono una tortura dolorosa, specie se dolci. Per gli
Æsir,
incapaci di dimenticare – di perdonare
– questo era ancora più vero.
Ecco perché, avvolto nel suo mantello color notte, Loki si
ritrovò a pensare
con risentimento a una delle innumerevoli sere passate con lei, ormai
lontane
nel tempo e nello spazio, introvabili se non nella propria memoria.
Sigyn
era sdraiata sul suo letto, nuda, con i capelli biondi sciolti sulla
schiena. La
luce calda delle fiamme che crepitavano nel caminetto le illuminava la
pelle
dorata, esaltando le forme delicate e sinuose dei fianchi e della
schiena. Si puntellava
sui gomiti, tormentandosi con i polpastrelli un labbro – lo
stesso che Loki,
pochi minuti prima, aveva assaporato con una serie di lunghi baci ora
lenti e
perfidi, ora avidi e sfrontati. Davanti a lei, giaceva aperto lo scopo
della
sua visita notturna, tramutatasi invariabilmente in altro: un tomo che
il dio
degli inganni aveva opportunamente sottratto alla biblioteca di Odino e
che
ancora non aveva intenzione di rendere. Si era messa a sfogliare le
pagine in
cerca di chissà che formula, porgendogli domande, facendo
considerazioni argute,
discutendo con lui di teorie e congetture. Era
un’interlocutrice acuta e
brillante, del resto.
Loki,
steso accanto a lei, si deliziava per il modo inconsapevolmente
sensuale con
cui Sigyn arricciava leggermente la bocca quando rifletteva su qualche
concetto
astruso, ammirando la grazia delicata con cui piegava le gambe e le
incrociava.
L’ingannatore spiegava, annuiva, concordava, correggeva,
ascoltava e, nel far
questo, finiva inevitabilmente per carezzarle distrattamente la pelle
levigata
e morbida finché, fintamente offeso del fatto che lei
concentrasse le sue attenzioni
principalmente sul libro e non su di lui, non aveva iniziato la sua
spietata
rappresaglia, posando la bocca ironica e beffarda sulle curve dolci e
rotonde
di cui non si era ancora saziato. Sigyn aveva riso, quando lui si era
avventato
sui suoi fianchi, non aveva potuto fare a meno di lasciarsi sfuggire un
sospiro
basso, mentre la lingua bugiarda dell’Ase giungeva a
sfiorarle la schiena
sensibile ed esposta, aveva smesso totalmente di dedicarsi al libro,
nel
momento in cui Loki era riuscito a raggiungere i seni piccoli e sodi e
il
collo. L’Ase l’aveva sentita vibrare e tendersi,
nonostante fosse intrappolata
sotto di lui e, di nuovo, l’aveva desiderata con forza
nonostante fino a pochi
istanti prima parlassero di tutt’altro. Certo, già
allora il loro rapporto era
stato guastato da incomprensioni e litigi, ma la strega era sempre
stata una
conquista troppo difficile e ambita per lasciarsela scappare a causa di
un
inutile fraintendimento circa il suo non rapporto
con Sif o con altre. L’aveva
voltata con un gesto deciso per ammirarne ancora il corpo snello e ben
fatto,
sfiorare e saggiare le labbra dolci e morbide, che rispondevano ai suoi
baci
tentando e concedendo, negando e offrendo. Sigyn.
Lei gli
aveva sfiorato il volto con le mani delicate, era arrivata a cingergli
il collo
attirandolo ancora più vicino a sé e il libro era
stato presto dimenticato,
rimanendo l’unico testimone dei loro sospiri rotti,
frenetici, mescolati.
Avrebbe
dovuto rintracciare in quelle antiche notti di passione trascorse a
rotolarsi
nel letto con lei, il seme della tragica sete di sapere che sarebbe
stata
capace di condurla alla follia? O individuare allora la misura di
ciò che Sigyn
avrebbe, un giorno, immolato in nome di una relazione sconsiderata,
criticata
da tutta Asgard?
Scoprire
la verità in ogni sua forma richiedeva il pagamento di un
prezzo esoso. Sigyn
aveva recitato un incantesimo proibito, mentre lui era impegnato a
combattere
Thanos. Lo aveva fatto per tutelarlo, vinta dal timore di perderlo. Si
trattava
di un baratto nero, oscuro, difficile da stipulare, ma la dea della
fedeltà era
una maga abile e perseverante: aveva sopperito alla forza con
l’abilità e la
pazienza. Tra gli effetti collaterali connessi a quella particolare
formula,
c’era l’insorgere di una possibile demenza, sebbene
non nelle forme
imprevedibili e schizoidi manifestate da Sigyn. Si era trattato di un
sacrificio dettato da un eccesso di zelo, dalla paura annichilente che
il
Titano incuteva in ogni creatura dell’universo, lei compresa.
In poche parole,
aveva cercato inutilmente di proteggerlo.
Sì,
doveva essere andata così.
La
ragazza aveva saputo della vendetta di cui Thanos era in cerca;
probabilmente,
non gli era servito altro per agire. Loki emise dei lunghi respiri,
lenti e
profondi: era stato torturato a lungo dal folle conquistatore. Per
giorni,
anzi, settimane intere. Un incubo da cui era riuscito a fuggire a
stento: lo
avevano ritrovato a vagare per le spiagge che circondavano la nuova
Asgard
ricostruita in preda al delirio, febbricitante, ferito. Aveva impiegato
mesi a
riprendersi completamente. Le sofferenze patite durante la prigionia
erano
state tante e tali che la sua mente si era incastrata, rammentando
dettagli
sparsi, niente di più. Particolari agghiaccianti che lo
sorprendevano nel cuore
della notte, facendogli sbarrare gli occhi nel buio, dolorosi come lame
affondate nella carne e poi girate. Un senso d’oppressione lo
avvolse, ma lo
ignorò.
♥
Il regno di
Hela era oltre un fiume dalle acque scure e torbide: in esse si
potevano vedere
gli spiriti dei dannati che gemevano disperati, trasportati dai flutti;
Loki
attraversò il ponte di pietra che univa le due rive e
gettò un’occhiata
sprezzante alle anime perse nel loro annaspare. Lamentandosi, esse
tendevano le
loro braccia bianche verso la superficie, mentre mulinelli arcani le
trascinavano nel fondo. Il dio degli inganni pensò che
l’angosciante scena gli
ricordava Sigyn: esattamente come i resti incorporei trascinati dalle
onde,
soffriva persa in un gorgo da cui lui, che pure era il potente dio
degli
inganni, non riusciva a trarla fuori. Quante notti insonni aveva
passato consultando
i libri faticosamente racimolati in lungo e in largo per i Nove Regni
dopo la
distruzione di Asgard? L’antica sapienza degli Æsir
era andata
irrimediabilmente perduta nel rogo immenso generato da Surtur e Loki
aveva
tentato di recuperarla con tutte le sue forze, in cerca
com’era di un modo per
annullare o mitigare gli effetti di quell’incantesimo. Aveva
sempre creduto di
essere uno dei più potenti maestri di magia di tutti i Nove
Regni –
dell’universo intero – ma, alla fine, non gli era
rimasto altro da fare che
scendere in Helheim[1],
per avere una possibilità, una soltanto, di riavere al suo
fianco la sfrontata
e curiosa strega che gli aveva promesso una fedeltà eterna
senza pretendere
nulla in cambio. A lui, Loki di Asgard, che a quel tipo di amore non
aveva mai
creduto, pur ritrovandosi, suo malgrado, ad attraversare il tempo e a
visitare
il regno dei morti, per lei.
Si disse che la
soddisfazione non era nella sua natura; non poteva accettare di aver
fallito e
di non essere in grado di salvarla dall’abisso in cui si era
volutamente
gettata. Convincendosi di questo serrò la mascella e
proseguì diritto oltre il
ponte, augurandosi che Hela gli mostrasse la metà rosea del
suo volto[2].
Il Regno dei
Morti era avvolto da una coltre fitta e pesante di nebbia. Con passi
alteri e
uno sguardo particolarmente guardingo, Loki Odinson
s’incamminò attraverso quel
velo denso, oltre cui intravide le anime dei dannati scrutarlo con i
loro occhi
ciechi e forse maligni. Gli parve che tra le orbite vuote e nere ci
fosse persino
qualcuna delle sue numerose vittime, ma lui era il dio degli inganni,
il principe
di Jotunheim e di Asgard; qualunque morte avesse inflitto nel corso
della sua
giovane vita di Ase, non provava alcun rimpianto. Gli inorgogliva il
petto,
anzi, che quegli sguardi senza tempo si posassero su di lui. Le ombre
non
intravidero nulla del sottile compiacimento del fiero guerriero,
perché Loki
volle arrivare al cospetto di Hela con la sua faccia più
impassibile. Era
furba, lei. E, sebbene lo adorasse, non avrebbe concesso invano i suoi
favori.
Era per la sua mente brillante e la scaltrezza che Odino
l’aveva resa signora
assoluta di quel posto.
Il castello di
Helheim sbucò dal nulla, all’improvviso: la soglia
era vastissima, affinché le
anime potessero entrarvi in gran numero; le torri bronzee,
innaturalmente alte,
svettavano su un cielo plumbeo e perennemente coperto.
L’ingannatore rivolse
un’occhiata alle guglie decorate con cupi mostri alati e poi,
con passo
elegante, varcò il pesante portone.
Hela
l’aspettava. Glielo lesse nei suoi occhi, verdi come i
propri. Assisa sul suo
trono ricoperto di drappi neri, con le ciocche corvine che le coprivano
parzialmente il viso, tamburellava con le dita sottili sul bracciolo
del suo
scranno color pece.
“Loki
di
Asgard, ti aspettavo già da molte ore” disse,
rivolgendogli il suo lato di
ragazza.
“Allora
perdona
il mio ritardo, nobile signora. Ho viaggiato attraverso il tempo troppo
a
lungo, ma non invano,” spiegò con un sorriso
tirato, memore del loro primo
incontro. “Ho il nome, finalmente. E tu sai
cosa ti chiederò, adesso.”
Hela
inclinò
leggermente il capo, rivelando ancora più del viso
bellissimo. “Hai viaggiato molto,
dio degli inganni, lo so. Così tanto da
sapere che la trama filata dalle
Norne non sempre si può disfare. In qualunque linea
temporale esistente, lei
pronuncerà l’incantesimo e perderà la
sua mente,” sentenziò. “Ora lo
sai.”
“L’ho
scoperto
a mie spese, sì,” ammise Loki, avvicinandosi a
passi lenti al trono. “Grazie al
tuo suggerimento l’ho sperimentato in tutte le sue
varianti.”
Si
rese lucidamente conto che, nonostante il segreto non fosse
più tale, con tutta
probabilità, nemmeno lui sarebbe riuscito a mutare il
passato aggiustando,
così, il proprio presente, risanando la dea della
fedeltà. Quello era,
evidentemente, un male immutabile – ineluttabile.
La parola gli provocò
una fitta dolorosa.
La regina di
Helheim gli mostrò la parte del volto marcia e consumata.
“L’onniscienza non mi
appartiene, figlio di Laufey, bada a ciò che dici. Non
potevo sapere. Dovevi
tentare. Io ti ho indicato l’unica via
percorribile.”
Loki rise tra
sé e sé e annuì. Le parole della
signora dei morti parevano non averlo convinto
del tutto.
“Hai
ragione,
saggia signora. Col nome del maleficio in mano, però, so a
chi si è rivolta
Sigyn. So a chi chiedere il favore di annullarne gli
effetti,” ragionò. “Liberala
dalla follia in cui è precipitata. Sciogli le rune che ha
pronunciato. Ha
invocato te, ora lo so e posso chiedertelo. Sono
disposto a stringere un
accordo,” decise, allargando le braccia con fare sicuro.
Hela sorrise
debolmente, mostrandogli, allo stesso tempo, entrambi i volti.
“Non voglio né
posso accontentarti, Loki di Asgard. Se lo facessi, la dea della
fedeltà
precipiterebbe in un incubo decisamente peggiore di quello in cui
è
intrappolata adesso.”
Il dio degli
inganni impallidì visibilmente e poi sparì,
rivelandosi nient’altro che
un’illusione perfetta.
Prima che
potesse anche solo pensare, Hela si ritrovò una delle lame
sulla carotide. L’Ase,
quello vero, era alle sue spalle. Non poteva morire, ma soffrire
sì e lui lo
sapeva. “Cosa dici? Come lo sai?” sibilò
furioso.
“Oh,
Loki,”
sospirò quella tristemente, nonostante l’arma che
le premeva sul collo. “Tu non
ricordi più nulla, ma, a questo punto, dovresti
sapere.”
Un brivido
corse lungo la schiena dell’ingannatore; i suoi sensi di lupo
captarono il
pericolo imminente, legato, una volta di più, alla
conoscenza.
“Thanos
ti ha
torturato a lungo prima di ucciderti.”
La stretta che
Lingua d’Argento esercitava sull’elsa del pugnale
vacillò appena.
“Non
è
possibile,” rispose di getto, ma la cicatrice che aveva sul
collo iniziò a
tirare più del solito. Era il dio degli inganni, del resto:
sapeva distinguere
fin troppo bene il vero dal falso. Conosceva le leggere pause o le
incrinature
nella voce legate alle menzogne e, in quel preciso frangente, Hela non
mentiva,
affatto.
“Tuo
fratello
ti trovò delirante e scosso dalla febbre; credette che i
racconti tremendi
circa la tua morte fossero falsi, nient’altro che un
depistaggio messo a punto
dai tirapiedi del Titano. Asgard era stata distrutta, lo schiocco aveva
dimezzato metà dell’universo e lui era preda delle
sue ombre e dell’idromele…
non poteva sopportare anche il tuo fantasma. Non indagò
oltre.”
La voce di Hela
era un sussurro gentile, pietoso. Loki abbassò la lama del
pugnale.
“Non
si chiese
come avessi fatto a fuggire. Non te lo sei mai chiesto davvero nemmeno
tu,”
proseguì con una certa benevola stanchezza nella voce.
“La verità, dio degli
inganni, è che non lo hai fatto: Thanos ti ha ucciso e
Sigyn… ha preso una
decisione drastica. Ecco qual era il segreto che dovevi scoprire da
solo.”
♥
Era
un dolore lacerante, che la divorava seccando tutto quello che
c’era in lei.
Persino le lacrime. Sigyn aveva smarrito la speranza: le era rimasta
addosso
solo una veste logora e strappata – la fedeltà
donata a un uomo che non l’aveva
ascoltata e, crudele, tronfio, fiero, era andato a farsi torturare e
ammazzare da
un Titano Folle.
Non era
morta quel giorno, ma dopo, quando aveva scoperto come. La
sofferenza le
si era congelata nell’anima.
A
volte, chiudeva gli occhi e ricordava com’era fare
l’amore con lui: labbra che
si sfioravano, lambendosi ora lente e leggere, ora ansiose e disperate,
dita
che si cercavano intrecciandosi in strette spasmodiche, urgenti,
frenetiche.
Così si erano avuti senza remore sui letti sfatti in cui
rimaneva impresso
l’odore della loro pelle, nelle radure dei boschi dove si
stendevano dopo aver
spinto i loro cavalli in una folle gara di velocità. Si
erano catturati a
vicenda, per poi fondersi e diventare una sola cosa, unendo bocche,
sospiri,
corpi, anime e battiti del cuore. Solo che l’infinita
dolcezza di un ricordo
baciato da una passione eterna e struggente, che spezzava le vene, era
stato
spazzato via dalle immagini, impossibili da cancellare, di Loki e di
quello che
gli avevano fatto.
Ecco
perché Sigyn non riusciva a trovare consolazione. Il suo
cuore si era svuotato
totalmente, riempiendosi con i resti martoriati del suo unico ed eterno
amore
dagli occhi brillanti e il sorriso furbo.
E
dimenticare era impossibile. La ragazza serrava le palpebre e
continuava a
vedere il suo corpo massacrato e senza vita, torturandosi con domande
perfide che
non avrebbero mai avuto risposta rimanendo lì, nella sua
testa, a pungerla per
sempre: aveva sofferto?
Il
suo cuore si congelava nel dubbio, pregando inutilmente le Norne che la
morte
fosse sopraggiunta prima del resto, corrosa dal
dubbio che, invece, la
sua tempra robusta di principe di Asgard e di Jotunheim
l’avesse, invece,
tradito, concedendogli la morte solo al termine di una spaventosa,
lenta,
tragica agonia. E ogni volta che ci pensava, il respiro le moriva in
gola, il
cuore perdeva un battito, lo stomaco si contraeva in uno spasmo
doloroso. Così
si ritrovava a sfiorare il ventre vuoto, condannato a rimanere freddo,
a non
ospitare mai i figli che avrebbe voluto dargli.
Come
si può sfidare il Titano dopo aver perso due gemme e
un’armata proponendogli un
altro, palese, inganno, puntandogli un secondo dopo una lama affilata
al collo?
Odiava Loki e lo amava al tempo stesso, perché era stato
arrogante, troppo
sicuro di sé, impavido, ironico, magnifico e non
l’aveva ascoltata e, forse,
nemmeno mai amata. Desiderata sì, persino troppo, con una
foga da conquistatore
di cui erano stati testimoni muti i loro letti ormai gelidi, dimentichi
di
quando la ghermiva e faceva scorrere la lingua e le labbra sulla sua
pelle
tremante, sensibile, smarrendola e perdendosi in lei.
A
Hela, che le chiese perché fosse giunta al suo cospetto,
Sigyn rivolse un
sorriso debole e sicuro. “Sono morta, mia signora. Sono
morta, ma cammino
ancora sulla terra. Liberami da questa pena.”
Le
spiegò che era il dolore, a tormentarla, più di
tutto il resto. Si era
innamorata di un principe degli Æsir; aveva messo in conto,
fin dal primo
momento, che sarebbe finito macellato su un campo di battaglia, col
corpo steso
a terra, le braccia abbandonate spalancate in un abbraccio gelido, ma
il resto
no, e proprio quello era l’inaccettabile quadro che vedeva
davanti agli occhi
da quando si alzava al mattino al momento di coricarsi e anche oltre. E
allora,
nelle notti insonni in cui persino le lacrime si sarebbero trasformate
in una
benedizione, s’immaginava la morte solitaria che
l’aveva ghermito al termine
delle spaventose sofferenze, perché era troppo facile
pensare che Thanos non
avesse infierito su di lui quand’era ancora vivo.
Con
Thor non aveva mai parlato di tutto questo. I dettagli li aveva
scoperti per
caso, quando i suoi occhi erano ancora capaci di inumidirsi e il pianto
rigava
le sue guance ogni sera. Il figlio di Odino aveva scelto di chiudersi
nel
silenzio e di stordirsi col sapore speziato dell’idromele e
del vino più
robusto, consolandosi dalla sconfitta più amara con una
vendetta che aveva
dimostrato tutta la sua vacuità nel momento stesso in cui si
era compiuta,
senza lasciargli nessun appagamento.
La
vita si era interrotta sul filo che aveva cucito le labbra di Loki
impedendogli
di gridare, ponendo fine a una vita d’inganni e di bugie,
nella pelle segata
dalle catene e bruciata dal veleno urticante di una bestia immonda e
spietata,
dotata di una pazienza infinita.
Sigyn
non aveva potuto fare nulla per salvarlo o alleviare il suo dolore,
nessuna
cosa. Lui era morto e a lei avevano tolto via il cuore, costringendola
a vivere
ogni giorno nella sua testa il supplizio toccato al traditore che aveva
amato
più di ogni altra cosa.
Leggeva,
ricamava, parlava e, a un tratto,
pensava alle sue labbra sottili e beffarde, increspate in un sorriso
ironico e
perfetto; le stesse che l’avevano baciata e amata
così tante volte da perderne
il conto ed erano state cucite dal Titano.
“Sono
morta,” disse a Hela, perché, col cuore congelato
e l’anima svuotata, non
riusciva nemmeno a raccontare, a spiegare, la desolazione in cui si
trascinavano i suoi giorni da fantasma che respirava.
La
signora dell’Oltretomba inclinò il capo,
scrutandola attentamente, ascoltando
il dolore del suo spirito tormentato, annichilito, seccato. Le Norne
avevano
tessuto insieme i fili del destino del dio dell’inganno e
della fedeltà, unendo
i loro spiriti diversi eppure complementari, stabilendo, per loro,
l’esistenza
di un legame capace di resistere persino alla sua falce, meraviglioso e
allo
stesso tempo terribile: uno non poteva sopravvivere
all’altra, semplicemente.
Non
le disse – e Sigyn, per parte sua, non chiese –
nulla delle ultime ore di Loki,
se fossero state spaventose o meno. C’era un riserbo
particolare sulle anime
trapassate, in Hel. Parlò d’altro:
dell’incantesimo che avrebbe potuto
cancellare il nome del dio dell’inganno dal libro dei morti
se l’universo, nel
frattempo, fosse stato scosso da un sussulto particolare, del prezzo
che ogni
desiderio o incantesimo portava immediatamente con sé.
Sigyn,
incapace persino di provare freddo al suo cospetto, ascoltò
ogni parola. Il suo
destino era alleviare le sofferenze del dio dell’inganno,
come tante volte
aveva fatto nella perduta Asgard che non c’era
più, quando lo cercava al
termine di una battaglia per sanare, con unguenti e attenzioni, il suo
corpo
ferito, per ascoltare le magnifiche storie, né false
né vere, che lui le
raccontava per incantarla, le labbra astute piegate in un sorriso
furbo,
perenne.
Hela
si sporse appena verso di lei, mostrandole la sua parte di volto
benigna, di
ragazza.
“Accetti?”
Ecco
cos’era successo.
♥
Loki
deglutì a vuoto. La dea della fedeltà aveva
deciso di pronunciare un
incantesimo proibito e terribile, che le aveva devastato
irrimediabilmente la
mente, al solo scopo di saperlo vivo. Cercò la cicatrice
parzialmente nascosta
sotto il colletto della corazza di pelle intrecciata, sfiorandola.
Credeva di
essere sfuggito alla furia del Titano, ma non era vero.
Non
era sopravvissuto grazie alla sua astuzia, no. Era stato
qualcos’altro a
liberarlo dalle grinfie di Thanos, così potente da
sopravvivere persino alla
morte e infrangere il vincolo che legava le anime a Hel. Non ne
pronunciò il
nome – le parole gli rimasero incollate al palato.
Capì
di avere le mani legate, strette in ceppi impossibili da spezzare:
salvandola
dal destino misero in cui era precipitata, l’avrebbe
condannata a un dolore
capace di risucchiarle il cuore, che lei non aveva potuto sostenere.
L’aveva
persa – si erano persi – e
l’unica cosa che gli rimaneva da fare era
accettare i suoi sorrisi di bambina, l’astio di cui lo faceva
oggetto, lo
slancio d’amore che durava sempre troppo poco, ricordando che
quello era stato
il prezzo pagato da Sigyn per cancellare l’orrore di una
tortura tremenda,
forse meritata, ma che lei non era riuscita a tollerare.
Pur
di proteggerlo, si era condannata lei stessa. Il
segreto sarebbe dovuto rimanere tale.
Chiuse
gli occhi, serrando le palpebre di fronte a quella che gli sembrava
un’oscena
ingiustizia. Sarebbe stato meglio tornare e sapere che
l’aveva dimenticato e la
sua vita era andata avanti. Vederla crescere i figli di un altro,
com’era nella
natura delle cose accadesse, era più sopportabile che avere
contezza
dell’annichilente dolore capace di prosciugare Sigyn e di
spingerla ad
alleviare a ogni costo il suo, di dolore. Maledisse le Norne, che
l’avevano
costretta a reggere in eterno un bacile colmo del veleno capace di
corroderlo,
versato sulla sua carne per punirlo delle sue molte malefatte
– inganni e trame
perpetrati con astuzia e coscienza, che non era capace di rinnegare
nemmeno in
quel momento – e maledisse lei, sua anima affine, sua devota
sposa in eterno,
sebbene nessun vincolo ufficiale li legasse.
Hela
aveva descritto il dolore di Sigyn con poche, semplici, parole, ma
l’Ase aveva
immaginato ugualmente ogni sussulto del cuore della strega dai capelli
d’oro.
Era
morto e lei aveva sacrificato ogni cosa per riportarlo indietro. Non
l’avrebbe
mai perdonata, per questo.
“Non
avremmo dovuto mai incontrarci,” constatò con
amarezza. “Lei avrebbe avuto una
vita più felice.”
L’altra
scosse il capo. “Avrebbe avuto una vita grigia, senza
amore.”
“Dicevi
di non essere una veggente.”
“E
non lo sono. Ma qui, seduta sul mio trono, ascolto – ho
ascoltato ogni cosa fin
dall’alba dei tempi. Vuoi tornare indietro ancora e
cancellarla dal tuo
passato?” Hela sorrise. “Non ne hai più
la forza e poi, in fondo, non sarebbe
nella tua natura fare una cosa del genere. Dico bene? Tu non
sai rinunciare
a niente, dio degli inganni.[3]”
Loki
ragionò in fretta, tentando di elaborare una strategia.
“Ti propongo un altro
patto, mia signora. Un accordo,” disse con voce il
più possibile incolore,
posizionandosi nuovamente di fronte a Hela.
La
regina increspò le labbra in una smorfia scuotendo la testa,
volgendosi verso
Loki con la parte di viso scheletrica, mangiata dai vermi.
“Se annullassi
l’incantesimo, tu moriresti e Sigyn soffrirebbe, ancora e di
nuovo. Quindi cosa
vuoi da lei, Loki?”
“Guarirla.”
“Il
prezzo per l’incantesimo che ti ha strappato alla morte
è stato la sua mente. È
riuscita a recitarlo, a invocarmi in modo abbastanza potente da
sciogliermi il
cuore, perché ti amava. Ecco il motivo per cui Sigyn non
ricorderà mai più
cos’ha fatto per te, cosa sei stato per lei.”
Il
passato che tante volte aveva visitato e ricordato, per lei, non
sarebbe
esistito più, anzi, era già svanito.
“A
meno che…” esordì l’Ase. Un
ghigno furbo gli increspò le labbra sottili. “Mi
correggo: ti propongo una scommessa, Hela. Ci sei stata amica, fino a
questo
momento.”
“Ho
accontentato un’anima infelice. Credevo che sarebbe morta,
invocando una magia
tanto oscura; in quel caso, le avrei concesso il sereno oblio di chi
dorme in
eterno. Invece è sopravvissuta – è
più forte di quanto pensassimo entrambi,
credo.”
“Ora
che so cos’è successo e perché, non ti
chiederò di cancellare ciò che è
stato,
né di ridarle quello che ha sacrificato,”
spiegò Loki sicuro. “Non ricorderà
nulla, ma potrebbe essere di nuovo lei,” spiegò.
“Donale un futuro libero dalla
follia, tieniti ciò che già ti immolò.
Otterrò di nuovo quello che mi concesse
una volta. Ne sono certo.”
La
regina gli mostrò la parte del volto bellissima, di ragazza.
“Come
sei sfrontato e sicuro di te! Allora, che cosa mi offri in cambio, Loki
di
Asgard?”
♥
Il fiordo,
al tramonto, era una distesa placida, incantevole. Le montagne,
nascendo dalla
spuma del mare, si fondevano con l’acqua. Sigyn sedeva sulla
riva, con una
cartella di cuoio piena zeppa di fogli sulle ginocchia. Da quando si
era
ripresa dalla lunga e tremenda febbre che l’aveva costretta a
letto per
settimane, sentiva sempre più spesso il bisogno di
disegnare, di mettere su
carta impressioni, volti, paesaggi. Prendeva in mano una matita e,
semplicemente, la sua mano iniziava a tratteggiare forme fantastiche,
spazi
reali, bozze di particolari, studi anatomici di varia natura. A volte
replicava
la meravigliosa natura che la circondava, soffermandosi
sull’eterea bellezza di
un fiore, sulla maestosità di un albero o sullo splendido
panorama su cui si
affacciava la nuova Asgard. Altre, si divertiva a fissare sul foglio
alcuni
semplici frammenti di vita quotidiana. C’erano dei momenti,
però, in cui
disegnava palazzi e castelli di un mondo che, le dicevano, non esisteva
più. In
mezzo a tutti i suoi schizzi, un volto in particolare emergeva fin
troppo di
frequente. Sigyn lo replicava con incredibile precisione anche quando
il
soggetto ritratto non era presente. E questo, la confondeva.
Loki
la trovò così, persa in quel passatempo antico
che, per lui, era carico di
ricordi, ma alla ragazza, ormai, non evocava niente. Era accaduto e
basta: una
mattina la dea della fedeltà si era risvegliata in un mondo
di sconosciuti.
Le si
sedette accanto e lei lo lasciò fare, nascondendo
però, con cura, il disegno che
stava tratteggiando.
Era
la sua Sigyn, ma in qualche modo era diversa. Nei suoi occhi grigi e
rotondi
non c’era più l’antica dolcezza con cui
lo guardava, ma una diffidenza ben
nota, che l’ingannatore aveva conosciuto quando lei, nel
delirio, credeva di
essere sua prigioniera. Forse, una parte della donna lo pensava ancora,
nonostante lui le avesse offerto più volte la
possibilità di andarsene. Allo
stesso modo, non sapeva dire per quale ragione un segno bianco le
macchiasse la
pelle candida della mano: anche quel sacrificio era stato dimenticato,
così come
le notti trascorse insieme, i lunghi baci, le lacrime. Ogni cosa era
svanita
per sempre e lei era lì, intoccabile e ignara degli
incantesimi d’amore di
morte che entrambi avevano recitato una per l’altro e
viceversa.
Il
passato, per lei, era un racconto privo di significato, la storia di
un’altra
persona in cui non riusciva a riconoscersi. Non era quella di un tempo,
non lo
sarebbe stata mai più. Loki aveva consegnato a Hela le sue
insegne e promesso
cospicui doni – tra cui la bandoliera carica di pugnali
affilati – e questo era
stato il guiderdone necessario non per riavere accanto a sé
la dea della
fedeltà, ma per liberarla dalla pazzia. Del suo passato,
Sigyn non ricordava
nulla e qualunque riferimento agli anni trascorsi e dimenticati le
provocava
crudeli emicranie.
La
ragazza si chinò per accarezzare un gattino che aveva preso
a girarle attorno e
miagolava in cerca di cibo, tentando di conquistare le sue attenzioni.
Guadagnò
un paio di carezze sulla testa e tra le orecchie, che
ricambiò sfregandosi
sulla sua gonna. Consapevole, forse, della necessità di
ammaliare anche lui, l’animale
s’azzardò a strusciarsi contro i suoi stivali.
Loki tollerò con un certo qual
distacco le accattivanti attenzioni feline.
“Puoi
tenerlo,” le concesse. “Sei libera di fare
ciò che vuoi.”
Lei
gli rivolse un’occhiata lunga e attenta, come se potesse
cogliere la reale
portata di quell’affermazione.
“Ti
andrebbe di
raccontarmi alcune delle tue storie?” gli domandò.
Il
dio degli inganni si
morse le labbra. Si chiese se tutto quello che stavano vivendo non
fosse che un
ciclo, uno di molti, che si sarebbe avvicendato ad un altro e poi ad un
altro
ancora, destinato a finire sempre nel medesimo modo.
“Molte
delle cose che
si dicono su di me sono false o sbagliate,” rise.
Lei
si fece ancora più
seria di quanto già non fosse. “L’altro
giorno sono andata alle rovine giù alla
collina. Ho sentito dei discorsi strani. Mi hanno detto che hai
viaggiato fino
a Helheim, portando indietro con te un grande tesoro. Mi sembrava di
ascoltare
una fiaba.”
Gli
occhi verdi di
Loki brillarono. “L’ho sentita raccontare anche io,
una volta.”
“È
falsa? Sembra che
la conoscano tutti,” replicò lei. “Ma
ogni versione pare sia diversa dall’altra.
Tu quale conosci? Raccontamela, per favore.”
“Perché?”
domandò
aggrottando le sopracciglia.
Gli
occhi di Sigyn si
fissarono su un punto indefinito del vecchio muro di pietra antica.
“La trovo
bella. E poi, nessuno ha saputo dirmi come finisce.”
Loki
sospirò e scostò
lo sguardo da lei. “Perché non
ha una
fine. Dicono che ho attraversato cento ponti e cento fiumi,
cento montagne
e cento valli, per giungere, infine al cospetto della regina degli
inferi. Le
dissi ti donerò le armi magiche degli Æsir, ti
svelerò i loro segreti, ti
porterò tutte le reliquie di tutti i Nove Regni,
perché tu possa diventare la
più potente tra i Sovrani. Ma lei non si
impietosì e allora insistetti. Dissi
risanerò il tuo corpo, affinché sia fresco come
una rosa in entrambi i lati;
accrescerò il tuo potere conducendo a te eserciti e popoli,
finché sarai più
potente di quanto non sia stato Odino; ti consegnerò la
spada con cui Sigurd
uccise il drago, ti porterò il corno da cui beve Utgardha
Loki; viaggerò per te
attraverso tutti i Nove Mondi, e cercherò ogni reliquia,
ogni tesoro, ogni
incantesimo, e tutto questo sarà tuo; e continuai, offrendo
tutto quanto c’era
di bello e prezioso nell’Universo intero. Ma nessuna cosa
sembrava convincere
la dea degli inferi a restituirmi ciò che avevo perso[4].”
Sigyn
fu scossa da un
brivido intenso e profondo, che le sembrò essere
l’eco di qualcosa di antico.
Un dolore sordo, annichilente, disperato, che le fece scivolare una
lacrima
calda e muta sulla guancia. “È molto triste. Cosa
volevi che ti restituisse?”
Loki
la soppesò a
lungo, prima di rispondere.
“È
solo una storia, forse.”
Il
dio dell’inganno non l’avrebbe saputo mai, ma il
disegno che Sigyn aveva
nascosto con cura era un suo ritratto. L’ennesimo che si era
ritrovata a fargli
quasi per caso, mentre era sovrappensiero, spinta da un bisogno senza
nome né
spiegazione. Il volto affilato di Lingua d’Argento, replicato
con incredibile
precisione, emergeva dall’insieme dei tratti morbidi carico
di una vividezza
incredibile.
Certi
incantesimi d’amore e di morte sopravvivono al tempo, al
destino, alle
menzogne, a ogni cosa. Rimangono attaccati alle anime e urlano
prepotenti anche
quando vengono nascosti. Sigyn strinse con forza la cartella di cuoio
che
conteneva i suoi disegni e, da sotto le ciglia nere, gli rivolse
un’occhiata
incredibilmente seria. “Noi ci conoscevamo già?
C’è mai stato qualcosa, tra di
noi?”
Il
dio dell’inganno stirò le labbra in un sorriso e
le sfiorò una ciocca di
capelli, pensando a come lei lo baciava nelle fredde notti
d’inverno della
perduta Asgard, gettando il capo leggermente all’indietro e
infilandogli le dita
tra i capelli scuri. Le lambì le labbra stupite e incerte
che, più memori di
lei, risposero al contatto con la delicatezza che l’Ase aveva
quasi dimenticato
e stava ritrovando ora. Vivevano in un luogo davvero crudele, in un
mondo
spietato, in un universo devastato, ma, nonostante ciò, il
dio dell’inganno scese
sul collo, inspirò il suo odore e tornò sulla
bocca già carica di domande. Rispose
al bacio dolce di Sigyn, che non sapeva e non ricordava, ma, in qualche
modo, percepiva
e sentiva cosa c’era stato, tra loro. Indugiò e
temporeggiò, perché per lui il
tempo non aveva più significato, in fondo, e voleva gustarsi
quell’istante per
cancellare tutte le attese e le ricerche che gli avevano sfibrato
l’animo
inquieto. E allora prolungò con sottile perfidia quel
momento, fino a che il
sole non s’inabissò nel fiordo.
Gli
incantesimi d’amore e di morte non possono cancellare il
passato e, nemmeno,
celarlo per sempre.
Fine
Note
autore:
Questa
minilong ha una genesi travagliata per molte, tante ragioni.
L’idea di Loki che
cerca di recuperare Sigyn a qualsiasi prezzo mi è sempre
piaciuta tantissimo;
se vi dovessi dire tutte le opere che hanno ispirato in qualche modo la
minilong finirei l’anno prossimo, dato che questa idea mi
gironzolava in testa
dal… 2015, ebbene sì. L’occasione per
scriverla e definirla è dovuta al contest
“Elisir, pozioni e distillati” indetto
da wurags sul forum di Efp.
Il pacchetto che ho usato è il Veritaserum
(eh eh eh, con Loki,
che ironia!): secondo le direttive, la storia doveva basarsi su un
segreto
nascosto con cura che poi viene rivelato.
A tenerlo, ovviamente, qui
è Sigyn: recita un incantesimo proibito per far tornare Loki
dal regno dei
morti e, come conseguenza, perde la ragione. Ovviamente, il peso del
sacrificio
di Sigyn è il motivo stesso per cui Loki non avrebbe dovuto
sapere di essere
morto.
Il
viaggio attraverso il tempo del dio dell’inganno è
volto a scoprire quale
incantesimo ella abbia recitato per poi tentare di annullarlo o, come
è stato,
mitigarlo, offrendo un dono a Hela.
I prompt
utilizzati sono disegno (i ritratti che Loki fa a
Sigyn) l’acquario/lago/fiordo
(dove si vedono in più di un’occasione) e i
concetti di rancore e perdono,
ricorrenti soprattutto nella rabbia di Loki verso il sacrificio di
Sigyn e
nell’incapacità di perdonarla.
Se la
storia vi è piaciuta, inseritela nelle liste di
Efp, in alto a destra ♥ (farete
felice un’Autrice) o fatemi sapere che ne pensate
con una recensione
(ogni pensiero è importante e non dovete scrivere un testo
critico. ^^).
Sperando
vi sia piaciuta, vi ringrazio infinitamente per essere arrivati fin qui,
Shilyss
[1]
Il regno di Hel.
[2]
Nell’iconografia norrena Hela è caratterizzata da
un corpo per metà decomposto
e per metà di fanciulla. Loki si sta augurando che sia
benevola nei suoi
riguardi e gli mostri “il volto di ragazza.”
Ovviamente, per esigenze di
copione, questa Hela non è sua figlia, come nel canone,
né la versione
discutibile dell’MCU.
[3]
Come detto negli scorsi capitoli, Loki non può, in questa
storia, viaggiare nel
tempo. La sua salute ne risente (soprattutto quella fisica)
[4]
Alcune di queste imprese sono state effettivamente compiute dal Loki
mitologico.