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Autore: MaryFangirl    29/08/2019    3 recensioni
Bastò davvero poco, e all'improvviso tutto ciò che Hanamichi riuscì a vedere e pensare, fu Kaede Rukawa. [...] Kaede si sarebbe reso presto conto che non sarebbe più riuscito a togliersi Hanamichi dalla testa.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Lunedì 30 novembre.

Il week end era stato riparatore per Kaede. C'erano ancora delle crepe nel suo cuore, piuttosto profonde, ma sabato e domenica erano stati sufficienti quantomeno per recuperare un resistente nastro adesivo invisibile da appiccicare alle falle per evitare che lasciassero trasparire ciò che Kaede Rukawa non avrebbe mai mostrato a nessuno. Si presentò a scuola con la sua maschera degna del miglior attore mai apparso sul pianeta.
In buona sostanza aveva trascorso sabato e domenica al campetto; aveva effettivamente fatto un po' d'ordine in camera sua, imbattendosi disgraziatamente nella foglia d'acero che Hanamichi gli aveva regalato. Aveva imprecato contro se stesso per l'incapacità di cestinarla, imprigionandola in un vecchio libero consunto e un po' ingiallito, senza soffermarsi sul fatto che fosse il suo preferito di quando era piccolo.
Aveva anche avuto la singolare idea di andare in palestra a tirare qualche pugno al sacco da boxe; ci si era recato sabato sul tardi, scoprendo con sollievo che la sala da boxe era vuota, per fortuna la gente normale preferiva uscire con gli amici il sabato sera e solo lui era il disagiato che picchiava un oggetto immaginandosi la faccia di Hanamichi, dei coglioni che avevano mandato in coma Higurashi, delle galline che sicuramente gli avevano intasato l'armadietto con lettere ridicole, disperate per la sua assenza; era riuscito a sfogarsi un po' ma rimanendo insoddisfatto, perché non era appagante come scazzottarsi con Hanamichi. Era pietoso e lo sapeva, e quando si stendeva per riposare, replicava l'ultimo bacio che si erano scambiati, andando oltre il brutale stop di Hanamichi e concludendo la serata come avrebbe dovuto, con le labbra di Hanamichi lungo il suo petto e ogni barriera di tessuto eliminata per permettere finalmente ai loro corpi di sfogarsi, dovendo lasciare esplodere tutto il calore del sole di cui le loro pelli si erano impregnate in estate, abbattendo gli argini che non avrebbero più impedito alle onde dell'oceano di scoppiare in tutte le tonalità di blu, arrivando a colorare il cielo in modo da confondersi col suo gemello appartenente all'elemento dell'aria.
In quei momenti Kaede chiudeva gli occhi, deglutendo, immaginando lo tsunami rappresentato da Hanamichi Sakuragi, sentendosi male al pensiero che, proprio nell'istante in cui aveva deciso di farsi travolgere senza opporre alcuna resistenza, tutto si era fermato, e il blu dell'oceano insieme all'oro della sabbia si erano trasformati nel grigio insipido dell'asfalto delle strade di Kanagawa.
Ma per tornare a scuola, si poteva quasi dire che Kaede si fosse seduto alla sua scrivania per costruire con le sue mani la propria maschera, cesellandola e impreziosendola con l'espressione più impassibile che potesse immaginare, scoprendo che si faticava non poco nel mettere a tacere un cuore troppo espressivo, troppo sensibile, troppo pretenzioso nel voler far sapere a tutti quanto stesse soffrendo. I suoi genitori si comportavano come sempre, e a Kaede quasi dispiaceva che non avessero sollevato storie per quello che di fatto era stato il suo coming out: almeno avrebbe avuto un ulteriore motivo per distrarsi. Era ovviamente una scemenza immensa, dozzine di ragazzi avrebbero pagato per avere i suoi genitori e lui stesso non desiderava realmente quel potenziale diversivo.
Doveva soltanto reprimere il gomitolo d'ansia che gli occludeva lo stomaco e gli causava difficoltà nell'addormentarsi, costringendolo a ricorrere a blande dosi di melatonina sotto forma di piccole pastiglie all'aroma di frutti di bosco. Doveva soltanto comportarsi come un campione di poker. Nessuna espressione, nessuna occhiata ambigua, nessun sorriso. Niente che tradisse un battito accelerato.
Domenica sarebbe iniziato il torneo invernale. Il suo cuore e il suo cervello dovevano fremere solo per il basket.
 
Lunedì 14 dicembre.
 
Kaede Rukawa stava facendo faville. Era una miccia che infiammava i campi che calcava.
Le due partite del torneo invernale erano state vinte per merito suo e lo sapevano tutti. L'esperienza nella nazionale juniores aveva raffinato la sua tecnica e lavorato parecchio sulla sua resistenza fisica. Era un elegante angelo vendicatore che non guardava in faccia nessuno e puntava al canestro come un cavaliere cortese al Sacro Graal. Era più bello, più robusto, più idolatrato che mai. Le sue fan svenivano sugli spalti e non c'era ragazzo che non desiderasse essere al suo posto.
Anzai sensei ghignava apparendo sempre tenero come Babbo Natale, i suoi genitori erano riusciti ad assistere ai match ed entrambi si erano ritrovati con le lacrime agli occhi nel primo quarto d'ora. Ryota non sapeva più cosa dirgli. Si sentiva quasi indegno di fare il capitano, ai suoi occhi Kaede Rukawa non aveva aggiustamenti da apportare al suo gioco. Si erano esauriti i complimenti e le lodi sui giornalini di tutti i licei di Kanagawa e il nome di Kaede, insieme a una sua foto piuttosto ridotta ma di buona qualità, era apparso anche su un settimanale locale che Hazuki aveva già distribuito a tutte le sue conoscenze, premunendosi di attaccare la pagina interessata nel suo ufficio.
Kaede era, ancora più di prima, sulla bocca di tutti.
Soprattutto, era negli occhi di Hanamichi Sakuragi.
Era nella sua mente e nel suo cuore, nei suoi pensieri quando era sveglio e nelle sue fantasie oniriche.
Non era necessario il cervello di un genio perché si rendesse conto che Kaede Rukawa stava fin troppo tenendo fede alle ultime parole che gli aveva sibilato.
Hanamichi guardava Kaede, Kaede non guardava lui.
Hanamichi notava Kaede che, anche quando gli passava la palla, non lo degnava della minima attenzione.
Hanamichi fissava il telefono sapendo di conoscere il numero di Kaede a memoria.
Hanamichi era consapevole che, se Kaede stava brillando come la stella più accecante del firmamento, non si poteva dire lo stesso della scimmia rossa, i quali capelli sembravano persino un po' stinti, a differenza del nero lucido di quelli di Kaede che sembravano frammenti d'ebano laccati da un grande artista del passato.
Hanamichi faceva il pagliaccio perché non voleva far preoccupare gli altri che già avevano penato a sufficienza nel seguire i progressi della sua schiena prima e della caviglia poi.
Hanamichi, che già da settembre aveva pensato al regalo di Natale per Kaede, oltre che a quello per il suo compleanno pochi giorni dopo, e quello che aveva escogitato avrebbe racchiuso entrambe le occasioni, lo avrebbe mandato in visibilio, ma ora non sapeva proprio come avrebbe potuto dirgli che la sorpresa che aveva preparato per lui lo avrebbe reso felice, veramente felice.
Hanamichi, che sapeva di essere una scimmia tutt'altro che geniale, anzi decisamente patetica, perché sapeva che Natale era alle porte e che, come regalo, non desiderava altro che un altro 'Ciao' di Kaede.
 
Lunedì 21 dicembre.

Hanamichi Sakuragi cominciava seriamente ad averne piene le palle. I suoi pensieri non gli appartenevano più e qualsiasi cosa facesse gli sembrava di essere un cane incatenato, per quanto potesse provare ad allontanarsi, il guinzaglio lo strattonava ricordandogli che non era libero come avrebbe voluto, e poteva guaire e ringhiare quanto voleva, la situazione non sarebbe cambiata. Negli ultimi tempi, dentro di lui era risorta l'antica sensazione di invidia mista ad astio nei confronti di Kaede Rukawa; era come una sottile sostanza velenosa che si era subdolamente infiltrata nelle sue vene, più o meno contro la sua volontà.
A pensarci, poi, non era più padrone di alcuna volontà. Usciva con i suoi amici, ma era come se il suo corpo vagabondasse senza che la testa fosse attaccata al collo, perché non partecipava genuinamente a nessuna attività che in passato aveva ritenuto divertente da morire. Rideva falsamente, diceva parolacce tese ad esorcizzare il tarlo imputato per la sua quasi totale mancanza di interesse verso tutto.
Chiedeva ripetutamente a sua madre di dargli da fare per i lavori avviati per la nuova attività che stava costruendo con la zia Rei, e la povera Kyoko Sakuragi spesso voleva soltanto levarsi il figlio dai piedi, perché non sopportava di vederlo ciondolare come uno zombie alla disperata ricerca di qualcosa da fare per liberarsi la mente da qualsiasi cosa lo affliggesse.
Kyoko Sakuragi aveva naturalmente capito che suo figlio era ripiombato nel vortice dell'innamoramento, e che stavolta si trattava di una cosa seria, perché lo sentiva anche di notte a vagare come un orso per la casa desiderando forse che qualcuno lo stendesse con un pugno micidiale per farlo dormire almeno sei ore di fila. La donna era però sommersa di lavoro e d'altronde anche quando cercava gentilmente di parlare con Hanamichi, lui bofonchiava in una lingua simile all'aborigeno e faceva finta di andare in camera sua a dedicarsi ai compiti. Il sollievo che Kyoko aveva provato nel notare il rendimento scolastico in ascesa di Hanamichi stava inevitabilmente esaurendosi, perché i voti da metà novembre erano peggiorati. Ancora nulla di irreparabile, ma Kyoko non voleva che scivolasse nel baratro delle insufficienze impossibili da riacciuffare. Avrebbe dovuto lasciare il basket, e solo i Kami e lo spirito del suo adorato marito sapevano quanto lei avesse pianto di gioia il giorno in cui Hanamichi era rientrato a casa con fiamme al posto delle pupille annunciando orgoglioso: 'Mamma, mi sono iscritto al club di basket, ho bisogno di un borsone e di un sacco di roba nuova'.
Il basket lo aveva salvato dalla strada, lo faceva tornare pieno di energia e rabbia positiva, senza occhi neri e tagli, ma con qualche livido sulle ginocchia e una divisa sudata che sapeva di impegno, sacrificio e felicità. Certo, il basket lo aveva steso sulla schiena allontanandolo da casa per mesi, ma Kyoko si era commossa nel vedere Hanamichi affranto all'idea di non poter più giocare, lieta che avesse speso tutte le sue paghette in nuove scarpe e calze e pantaloncini e un pallone professionale, inizialmente solo per due occhioni femminili. Si era innamorato del basket. E poi anche di qualcun altro. Kyoko non sapeva chi, ma aveva conciato male il suo gigantesco bambino attaccabrighe dal cuore puro come quello di un cucciolo.
E non voleva nemmeno impicciarsi troppo, Hanamichi sapeva decidere da sé cosa condividere con sua madre e cosa no, era giusto che avesse i suoi segreti, che imparasse da solo a gestire e digerire delusioni e schiaffi non fisici, che però lasciavano il segno più a lungo.
Kyoko a volte si sentiva impotente, ma da quando suo marito era morto, lei e Hanamichi parlavano meno, per il semplice fatto che avevano perso il loro collante, il loro faro. Kaoru si occupava delle chiacchiere con Hanamichi, dei loro 'momenti da uomini', addirittura lo portava fuori per una birra, e organizzava anche delle riunioni familiare a cui lei partecipava non potendo evitare di roteare gli occhi al cielo, anche se poi lui l'afferrava, facendola sedere sulle proprie ginocchia, iniziando a farle il solletico e ad accarezzarla sulla nuca, suo punto extra sensibile da sempre, e tutto passava in secondo piano, anche Hanamichi che si imbarazzava e dichiarava paonazzo di non tenerci affatto ad assistere al concepimento di un fratellino o sorellina.
Non sapeva che prima di lui Kyoko aveva avuto tre aborti spontanei, i dottori avevano detto che lei e Kaoru da quel punto di vista erano scarsamente compatibili, e che l'arrivo di Hanamichi era stato vissuto come un miracolo, dopo che Kyoko aveva dovuto sopportare le occhiate indagatrici del suocero che moriva dalla voglia di sentenziare che qualcosa non andava in lei dato che non riusciva nemmeno a figliare, e la tempesta di petali di ciliegio che il vento aveva condotto fino al terrazzo della stanza d'ospedale dopo 24 ore di travaglio l'avevano fatta piangere per ore, rendendo vani i tentativi di Kaoru di farla smettere.
Lei e Kaoru avevano cresciuto il loro unico figlio con grande dedizione, ma stando sempre attenti a lasciarlo libero di esprimersi e senza frenarlo troppo. Kaoru era stato in ospedale diverse volte prima dell'ultimo infarto che l'aveva stroncato. Da quel periodo in cui suo padre entrava e usciva dalle cliniche per infiniti controlli e monitoraggi, Hanamichi aveva come perso la trebisonda e aveva iniziato a fare a botte, alleandosi con altri teppistelli ora suoi migliori amici, alternando settimane di tranquilla gozzoviglia ad altre tremende, in cui i suoi vestiti si riempivano di macchie di sangue che non sparivano più e le mani erano sbucciate e sempre pronte a menare.
Kyoko sembrava una matta in quel periodo, sempre trafelata e in angoscia, sapeva di aver trascorso giorni senza riuscire a ritagliarsi neanche mezz'ora per una doccia. I nonni erano lontani o insopportabili, e non avevano potuto farvi affidamento per aiutare Hanamichi nel difficile passaggio da infanzia ad adolescenza. Poi era arrivato il basket, insieme alla figura di padre/nonno di Anzai sensei, che Kyoko aveva incontrato solo dopo l'infortunio alla schiena di Hanamichi, e quell'adorabile uomo dallo sguardo determinato che cozzava con la sua aria pacioccona si era scusato mille volte, tessendo le lodi di suo figlio, come un fiume in piena aveva parlato di ancora e ancora del talento raro di Hanamichi, che non si arrendeva mai, che saltava con l'agilità di una gazzella e la potenza di un puma, che lucidava ogni pallone come si trattasse delle monete di zio Paperone e che aveva continuato a giocare nonostante il dolore acuto alla spina dorsale.
Durante l'estate si erano visti poco ma avevano parlato molto al telefono, e lui era parso allegro ed entusiasta. Anche quando era tornato a scuola, con la caviglia fasciata e le stampelle, il suo sorriso non si era afflosciato. Ma ora era quasi Natale e Hanamichi sembrava una stella cometa sul punto di spegnersi: non aveva mai perso l'entusiasmo durante le feste, nemmeno l'anno della morte di suo padre. Nemmeno con i nonni paterni presenti, pesanti e molesti, con Shutaro che si lagnava del dessert troppo dolce e dello spreco e dei turisti che infestavano le strade e Shizuka che pareva una bambola al suo fianco, bianca e silenziosa e dalla stessa espressione vitrea, lo stesso semi-sorriso privo di sentimento, il regalino pronto per il nipote sulla cui scelta non aveva potuto avere un'opinione.
Hanamichi stava davvero soffrendo e purtroppo Kyoko temeva che i sentimenti negativi lo avrebbero riportato a vecchie e brutte abitudini che lei aveva gioiosamente pensato di non ritrovare mai più.
 
Giovedì 24 dicembre.
 
Adesso Hanamichi ne aveva davvero le palle piene.
Kaede Rukawa non sembrava affatto il ragazzo che un mese prima aveva avuto le lacrime agli occhi, che si era vestito in fretta e furia con un'aria da bestiola che veniva meschinamente abbandonata in autostrada, che era scappato correndo velocemente come mai Hanamichi l'aveva visto fare.
Era ovvio che non fosse concepibile figurarsi Kaede Rukawa a struggersi e a tormentarsi non riuscendo a dormire, cosa che accadeva invece ad Hanamichi, più in crisi di quando nel cervello gli rimbombavano i rimbalzi della palla sul parquet della palestra. Kaede era riuscito a spazzare via tutto, e sui campi da basket lasciava tutti attoniti, compresi quelli che avrebbero dovuto ostacolarlo e che invece rimanevano come raggelati dalla sua rapidità che coniugava potenza, controllo, scoccante come un fulmine e spiazzante come un temporale sonoro in piena primavera.
Lui non ce la faceva.
Non era in grado di sfogarsi nel basket, né in altre attività fisiche; sarebbe stato facile riprendere ad accendersi come un cerino per un nonnulla, ma non era così pazzo da farsi cacciare dalla squadra.
La scuola, poi...tutta la tiepida passione per ottenere voti decenti sembrava evaporata. Non era colpa sua se guardava il libro di letteratura e pensava alla faccia da schiaffi di Kaede che sbuffava su 'vecchi poeti tritapalle', né se quello di matematica gli faceva direttamente torcere lo stomaco, perché ricordava con spaventosa chiarezza gli esercizi che aveva svolto grazie alla supervisione di Kaede che, di tanto in tanto, di fronte ai suoi occhi sbarrati, se ne usciva con un: “Guarda che la x non è tua nemica mortale, non guardarla così”.
Nei match del torneo invernale non aveva giocato da titolare, e anche se segretamente ne era stato sollevato per un timore involontario di farsi ancora male, aveva recitato il suo ruolo da idiota patentato dando fastidio ad Anzai sensei e a tutta la panchina; ma niente era servito ad attirare l'attenzione di Kaede. Sbraitare, fingere una smorfia di dolore, prendere in giro chiunque gli capitasse a tiro, aizzare la sua Armata a fare ancora più casino, tutto era vano.
La meravigliosa faccia da schiaffi di Kaede restava immobile, come in realtà mai lo era stata nei suoi confronti. Aveva distrutto qualcosa che non sembrava poter più essere ricomposto, ricucito, riavviato.
I baci umidi, le mani bollenti come il sole, la bocca ansimante.
Sul viso di Kaede era stato tutto cancellato come i 'Ti amo' sulla sabbia. Come le orme dei coraggiosi merli che si avventuravano sulla neve per cercare provviste. Hanamichi pensava ancora al suo telo accanto a quello di Kaede, sulla sabbia, e stentava a credere che fosse già la Vigilia di Natale. Nevicava, per l'appunto, e faceva molto freddo.
Mamma e zia lo avevano cacciato senza cerimonie, perché in un evento di festa non volevano che stesse al ristorante col suo faccione triste. Non era triste, aveva rimbeccato, ma zia Rei gli aveva sbattuto la porta sul naso e la mamma non aveva dato segni di dispiacere. Poi la gente si chiedeva da chi avesse ereditato il caratteraccio. Aveva praticamente costretto Yohei e gli altri ad uscire dal tepore delle loro case per vagabondare come emeriti disagiati. Avevano trascorso buona parte della serata in un locale che conoscevano da anni e il cui proprietario non aveva mai fatto storie per allungare loro alcolici.
Non avevano esagerato, comunque, accontentandosi di qualche bicchierino, Hanamichi aveva prestato particolare attenzione a non sforare dato che, nonostante i risultati non fossero entusiasmanti, si considerava comunque un atleta a tutto tondo.
E ora erravano senza meta per le vie semi deserte del centro, dove rari negozi rimanevano aperti per quelli messi male come Hana e Armata al seguito, che si ritrovavano a raccattare una cena improvvisata perché non gliene fregava una mazza dei fasti della Vigilia.
Come quel tipo dal lungo cappotto scuro che stava uscendo da una piccola rosticceria con un sacchetto in mano, e aveva il colletto sollevato sopra la bocca dalla quale si intravedevano sbuffi di condensa andare a svanire subito a contatto con l'aria buia della sera. Quel tipo dal lungo cappotto scuro, con capelli scuri, con sguardo scuro, e il lembo di una sciarpa bianca come solo tocco di luce all'intera figura.
Quel tipo era Kaede Rukawa.

 

  
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