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Autore: heliodor    02/09/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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"È qui" disse Lindisa indicando il sentiero che si snodava attraverso la gola rocciosa.
Galef guardò nella direzione indicata con un misto di timore e scetticismo. "Ne sei proprio sicura? È uguale a tanti posti che abbiamo già visitato prima d'ora."
Da quasi mezza Luna giravano per quei territori alla ricerca di un segno che solo Lindisa sembrava conoscere.
Era ancora alle prese con i libri che aveva trovato a Durgari, in un misero mercatino delle pulci al confine con il Mare di Fuoco.
Tradurre quegli antichi segni e trasformarli in informazioni che potessero essere di una qualche utilità l'avevano spossata e portata al limite.
Ormai si limitava a parlare solo di quello e persino nel sonno l'aveva sentita recitare frasi in una lingua sconosciuta.
"Dovresti riposarti" le aveva detto Galef, ma lei sembrava sorda a qualsiasi consiglio.
"Mi riposerò quando Malag sarà morto" rispondeva. "Per qualche giorno. Poi penseremo a come creare il nostro regno."
Era il suo pensiero fisso da quando era iniziata quella storia. Galef ormai non ci pensava più e stava iniziando a perdere le speranze. Da intere Lune girovagavano per il continente tra pericoli di ogni genere per mettere le mani su cosa?
Vecchi libri, pergamene consumate dal tempo e antichi codici scritti in lingue incomprensibili.
"Ne sono sicura" disse Lindisa con tono esaltato. "Dubiti di me?"
Galef scosse la testa. "È solo la terza volta che dici di aver trovato la strada giusta."
"Questa volta non mi sbaglio. Le altre volte ho commesso degli errori nel valutare i segni, ma ora..." Rabbrividì.
"Stai bene?"
Lei annuì. "È stato solo un capogiro."
"Riposiamoci un po'."
"No" esclamò lei come se avesse cercato di pugnalarla alla schiena piuttosto che cercare di prendersi cura della sua salute. "Dobbiamo proseguire."
"Che senso ha? Se hai ragione..."
"Se?" fece lei con tono irato.
"Quelle pietre sono lì da migliaia di anni e non si muoveranno di certo se le facciamo attendere un altro paio d'ore."
"Sono io quella che non può attendere" disse Lindisa prima di partire al galoppo verso la gola.
Galef sospirò e la seguì.
Il sentiero di pietra si snodava tra le rocce seguendo un percorso tortuoso, ma regolare. Non c'erano ostacoli né asperità lungo il loro cammino e il pavimento del sentiero sembrava ben levigato.
"È una strada" esclamò Galef come se fosse stato colpito da un fulmine.
Lindisa ghignò. "Un'antica strada di pietra" disse come recitando a memoria una frase letta chissà dove. "Ti porterà al cuore del grande serpente."
Il grande serpente, pensò Galef. Ormai non riesce a pensare ad altro.
Era stata quella l'ossessione di Lindisa negli ultimi giorni. Ne aveva letto in un'antica cronaca e da quel momento aveva deciso che era quello il loro obiettivo.
"È lì che troveremo l'ultimo pezzo di mappa che ci manca" disse Lindisa.
Galef lo sperava. Da troppe lune inseguivano quell'ultimo frammento. Il costo pagato per ottenerlo era stato alto.
Troppo alto, pensò Galef. Se falliremo avremo buttato via le nostre vite.
L'aveva detto a Lindisa in una delle poche occasioni in cui aveva trovato il coraggio di confessarle i suoi timori.
"E allora? Volevi morire senza tentare? Questa è la più grande e nobile ricerca che sia mai stata intrapresa. Devi essere orgoglioso di farne parte."
"Sarò orgoglioso quando tornerò da mio padre con la testa di Malag."
"Accadrà" disse lei sicura. "Troviamo la tana del serpente e ci riusciremo."
La tana del serpente era il santuario di Urazma. Quello era il nome della maga suprema che era emerso dalle antiche cronache che Lindisa aveva trovato.
"La chiamavano la bestia dalle sette teste e dalle cento forme" disse Lindisa. "Tutti i maghi supremi della sua epoca sembravano temerla per le tremende conoscenze che aveva accumulato."
"Venne ucciso nella rivolta d Harak?"
Lindisa rise. "Se Harak e Ambar fossero vissuti all'epoca di Urazma, la loro rivolta sarebbe fallita. Lei era il signore di tutte le bestie, da quelle più piccole ai mostri più innominabili. Solo i leggendari draghi riuscivano ad opporsi al suo potere."
"Draghi" disse Galef esasperato. "Non so più a quale leggenda credere."
"I draghi sono esistiti davvero. Radon Gregove, un erudito di Tazkur, dice di avere visto le ossa di una di quelle bestie nel suo viaggio verso le terre a nord di Eppon. Portò con sé una di quelle ossa per farla esaminare dai suoi confratelli e loro concordarono sul fatto che non appartenesse a nessuna bestia conosciuta. Senza contare Kamataro."
Galef la guardò perplesso.
"Non sai nemmeno questo?" fece Lindisa esasperata.
Lui si strinse nelle spalle.
"Kamataro è il drago celeste che protegge l'arcipelago orientale. La sua tana si trova su di un'isola che è sempre avvolta dalla nebbia e pochi marinai conoscono il modo di arrivarci. L'entrata è protetta da sette sigilli magici che solo altrettanti guerrieri del drago possono spezzare e..."
"Lindi, non ti senti quando parli?" fece Galef.
Lei lo guardò adirata. "Credi che siano tutte sciocchezze? Secondo te sto inseguendo dei fantasmi?"
"Draghi, uomini-bestia, sigilli magici. Queste cose le puoi leggere nei romanzi d'avventura" disse lui esasperato.
"Eppure tu stesso hai visto con i tuoi occhi uno dei santuari dei maghi supremi."
"Era solo un avamposto" precisò lui. "E ancora oggi non so che cosa ho visto esattamente."
"Ma avrai sentito parlare di quello che è successo a Mar Qwara."
Era accaduto mentre sostavano in una locanda lungo la via. Gli avventori si erano messi a discutere di quello che era successo al centro del Mare di Fuoco. Alcuni di loro avevano viaggiato sulle carovane dei mercanti e avevano appreso come erano andate le cose.
I racconti che giravano parlavano di enormi giganti che si erano scontrati devastando la città e di una misteriosa strega rossa che li aveva abbattuti entrambi con un incantesimo.
Giganti e streghe rosse, aveva pensato Galef divertito. Ormai non c'è più limite alla fantasia delle persone.
Poi si erano diretti verso la tana del serpente, avvicinandosi ai confini di Malinor.
Lì le cose si erano complicate per via della guerra.
I pellegrini che incontravano sul loro cammino fuggivano in entrambe le direzioni.
"Non andate verso Malinor?" aveva chiesto Galef, stupito che quella gente si dirigesse verso l'orda di Malag che avanzava dalla parte opposta.
"Che importanza ha?" dicevano i pellegrini.
"L'orda di Malag..."
"Non è diversa dall'armata che il re di Malinor sta ammassando."
"Quando si scontreranno noi non vogliamo trovarci in mezzo."
"Hanno ragione" aveva detto Lindisa quella sera mentre riposavano. "Per il popolo non fa alcuna differenza. Per loro la guerra è morte, sofferenza e devastazione. È sempre stato così. I potenti combattono per il denaro e la gloria e i poveri muoiono senza onore."
Galef aveva sospirato. "Mio padre è a nord."
Era una voce che girava da tempo. L'esercito dell'alleanza era sbarcato da qualche parte a sud di Berger.
"Ti manca?"
Galef aveva annuito.
"Presto li rivedrai."
Lindisa si riferiva a Bryce. Anche lei era arrivata sul continente. Le voci dicevano che avesse disertato e che stesse combattendo per conto proprio.
Ma la voce peggiore era un'altra e Galef non voleva crederci.
Sulla via per la tana del serpente avevano incrociato dei viandanti che venivano da Malinor, dove le notizie erano più fresche e attendibile.
In una lunga chiacchierata gli fecero un resoconto accurato di quello che era successo a Valonde qualche luna prima.
La città era stata attaccata durante il matrimonio di una delle figlie del re e molte persone erano morte.
Questo lo aveva già appreso mentre si trovava in compagnia di Boghos.
Il peggio era arrivato dopo, quando aveva saputo che tra quei morti c'era anche l'erede al trono di Valonde.
Razyan è morto, aveva pensato.
Se suo fratello era morto, allora lui era l'erede legittimo al trono.
Che ci faccio qui? Aveva pensato. Dovrei essere a Valonde o al fianco di mio padre. È tutto sbagliato.
"So cosa stai pensando" aveva detto Lindisa stringendosi a lui. "E non cercherò di convincerti che il tuo posto è qui accanto a me e che quello che stai facendo aiuterà la tua famiglia e il tuo regno molto più che combattere un'inutile guerra contro l'arcistregone. Se senti il bisogno di andare da tuo padre o di tornare a Valonde fallo pure. Sono sicura che ti riaccoglierebbero a braccia aperte ora che non hanno più un erede al trono."
"Credi che potrei lasciarti sola?"
Lindisa si strinse nelle spalle. "A questo punto, sono disposta ad andare avanti per la mia strada."
"È la stessa strada che ho scelto di percorrere."
Anche se non ne era più tanto sicuro.
"Non posso tornare indietro senza aver trovato le risposte che sto cercando."
"Quindi ora mi credi?" aveva chiesto Lindisa illuminandosi.
Galef aveva annuito. "Devo onorare la memoria di Razyan."
"Lo faremo per lui" disse Lindisa.
"Devi promettermi una cosa" aveva detto Galef dopo un breve silenzio.
Lei aveva taciuto in attesa che proseguisse.
"Basta morti. Basta uccidere persone innocenti."
"Pensi ancora a quell'uomo?"
"Il suo nome era Boghos. Non deve accadere mai più."
"Uccideremo solo se sarà necessario."
"E solo per difenderci. Me lo prometti?"
Lindisa annuì. "Sul mio onore di strega."
Galef aveva sorriso. "Hai disertato."
"Anche tu" aveva risposto lei baciandolo per impedirgli di rispondere.
Lindisa tirò le redini del cavallo arrestandone la corsa. Galef fece lo stesso.
"Che ti prende?"
"Ci siamo" disse la strega.
Col braccio teso in avanti indicò uno sperone di roccia che si ergeva su di un lato della gola.
"È lì" disse. Saltò giù con un movimento agile.
Galef la imitò. "Io non vedo niente di particolare" disse. "È solo una roccia."
"Guarda meglio" disse Lindisa avvicinandosi alla pietra.
"Sii prudente in ogni caso" fece lui seguendola un paio di passi più indietro.
"Di che cosa hai paura? Questo luogo è disabitato da migliaia di anni" fece lei sicura.
"I santuari dei maghi non sono mai del tutto disabitati. Sai cosa dicono le leggende, no?"
"Leggende?" Lindisa ghignò. "Questo è il terzo santuario che visito. In ogni caso, è solo un avamposto. Le cronache dicono che Urazma usava questo luogo per svago."
"Svago?"
"Una specie di ritiro in cui si rifugiava quando voleva riposarsi" disse lei appoggiando le mani alla pietra.
Galef la vide accarezzare la superficie levigata della roccia.
Levigata? Pensò. È troppo perfetta per essere naturale.
La guardò più da vicino. C'erano delle crepe e una grossa spaccatura causata forse da un fulmine o da un terremoto l'aveva quasi divisa in due, ma non c'era alcun dubbio che fosse stata lavorata dall'uomo.
Lindisa doveva averlo notato.
Che stupido, pensò. Come ho fatto a non farci caso?
"L'entrata deve essere qui vicino" disse Lindisa esaminando da vicino la pietra. "Sono sicura che ci sia un segno da qualche parte. Dobbiamo solo trovarlo."
"Dove?"
"Prova a guardare di sotto."
Galef si chinò per guardare meglio. La pietra era appoggiata a una base di roccia piatta e levigata.
Una piattaforma? Si chiese.
C'era dello spazio tra la pietra e la roccia sottostante. Era abbastanza larga da infilarvi dentro la mano o il braccio.
Galef si piegò sulle ginocchia e infilò la mano nella fessura.
Forse c'è una leva o una botola nascosta, pensò. In questo caso dovremo trovare un modo per sollevare la pietra e spostarla di lato.
Qualcosa soffiò sul dorso della mano.
Aria, si disse. C'è una corrente d'aria qui sotto.
"Credo di averla trovata" disse a Lindisa.
Lei tornò indietro. "Cosa?"
"Un'apertura, credo. Sotto la pietra. È ben nascosta ma sento uno spiffero d'aria."
"Dobbiamo spostarla" disse lei.
"Non ce la faremo mai da soli" disse Galef.
"Ci serviranno dei cavalli. Almeno una dozzina."
"E dove li troviamo?"
"In qualche modo ce la faremo" disse lei.
Qualcosa strisciò sul suo palmo. Galef fu tentato di ritrarre la mano, ma le sue dita avevano sfiorato quella che sembrava una leva. "C'è qualcosa. Non ci arrivo."
"Lascia provare me."
"No" fece lui. Infilò la mano più a fondo, le dita che ormai toccavano la leva. Riuscì ad afferrarla e tirò con tutta la forza.
La botola si aprì sotto i suoi piedi e lui si sentì come risucchiare nel vuoto in un istante. Quello successivo stava scivolando lungo un condotto dalle pareti lisce come specchi a velocità folle.
Urlò, le grida che rimbombavano sulle pareti di roccia. Quando raggiunse il fondo, impiegò qualche istante per raddrizzarsi.
"Galef" gridò Lindisa sopra di lui. "Stai bene?"
"Sì" rispose. "Ma non venire ancora. Non so se è sicuro e potrebbe non essere facile tornare di sopra."
"Vado a prendere una corda" disse Lindisa.
"Trovane una molto lunga" disse lui. Si guardò attorno. Nel buio non riusciva a distinguere i dettagli, ma aveva l'impressione di trovarsi in una grotta. Faceva caldo e stava sudando.
È umido, pensò. Appoggiò una mano alle pareti e la ritrasse subito. Il palmo era affondato in una sostanza cedevole e appiccicosa.
D'istinto si allontanò e mise il piede sopra qualcosa. Perse l'equilibrio e ruzzolò a terra. Quando si rialzò, indolenzito, si diede dello stupido.
Evocò un globo luminoso.
Il chiarore improvviso gli rivelò che le pareti della grotta erano ricoperte da qualcosa che rifletteva la luce distorcendola.
Le pareti sembravano trasudare la sostanza appiccicosa che aveva toccato con la mano. Non osò sfiorarla di nuovo.
Qualcosa si mosse alla sua destra provocando una sorta di fruscio sommesso. Galef voltò la testa di scatto un attimo prima che qualcosa di grosso e scuro lo investisse in pieno.
Venne sbattuto a terra e lanciò un'esclamazione di dolore e sorpresa.
Fece per rialzarsi ma qualcosa gli afferrò la gamba. Era una presa solida e per un attimo pensò che avrebbe potuto spezzargli la gamba, se solo l'avesse voluto.
Poi vide cento occhi fissarlo e sentì qualcosa di appuntito affondargli nell'addome e iniziò a urlare e urlare e urlare.

Note
Ed eccoci qui pronti a riprendere dove ci eravamo interrotti. Avete passato delle vacanze riposanti? Vi siete ritemprati? Spero di sì, perché adesso ci aspetta una vera e propria cavalcata folle fino al finale di questa lunghissima avventura (con una sola, piccola interruzione per le vacanze natalizie).
 
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