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Autore: MaryFangirl    05/09/2019    3 recensioni
Bastò davvero poco, e all'improvviso tutto ciò che Hanamichi riuscì a vedere e pensare, fu Kaede Rukawa. [...] Kaede si sarebbe reso presto conto che non sarebbe più riuscito a togliersi Hanamichi dalla testa.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Hazuki e Shinnosuke erano usciti per una cena con colleghi che sottintendeva una lunga nottata di bagordi – erano persone controllate e rigorose quasi tutto l'anno, ma ogni tanto si permettevano di lasciarsi andare – e un rientro incerto, anche perché dopo che avevano dovuto rinunciare al loro weekend a Tokyo non avevano più avuto occasione di riorganizzarlo, dunque avevano deciso di approfittare di Natale per fare i piccioncini. In realtà, prima di confermare il loro romantico programma, avevano chiesto a Kaede se volesse aggregarsi; l'occhiata di Kaede li aveva squadrati come se avessero perso il cervello da qualche parte, per poi formulare un glaciale “Siete impazziti”, che aveva colto nel segno.
Non gli era mai fregato niente di Natale, ma sorbirsi una serata con i colleghi dei genitori e i loro complimenti non desiderati – per non parlare di quelli che avrebbero tentato di combinargli un appuntamento con una loro figlia rompiballe - lo avrebbe portato al seppuku.
Se ne sbatteva altamente di quello che era tradizione fare a Natale, era noto per non essere amante dei festeggiamenti e comunque veniva già considerato strambo da chiunque, chi se ne importava se decidere di passare la Vigilia di Natale da solo a mangiare le uniche schifezze che aveva deciso di concedersi lo faceva ancora apparire più 'weirdo', per dirla all'americana.
Le divinità in cui non credeva, però, non volevano essere benevole con lui, perché un vociare che avrebbe voluto ignorare lo attirò e si voltò appena, infastidito dall'aria fredda che riusciva a strisciare nel suo collo nonostante la sciarpa e il lungo soprabito che sua madre lo aveva quasi costretto a indossare, e lui non avrebbe ammesso che aveva fatto bene ad ascoltarla piuttosto che ad uscire con solo la giacca della tuta. Intravide cinque tizi che riconobbe troppo bene, uno in particolare, ovviamente. Il cervello di Kaede lanciò segnali di allarme, andando a tappare la bocca al suo cuore. Era difficile, dannazione. Ma si ripeteva alcune parole come preghiere, ormai lo faceva sempre. Le sere in cui si addormentava ancora prima di appoggiare la testa al cuscino sembravano lontanissime, adesso era costantemente alle prese con l'ansia e con la nenia che si ribadiva per cercare di salvarsi, si preservarsi.
Non commettere gli stessi errori, si diceva, loquace con se stesso come non era mai con nessun altro.
Non rinunciare al tuo orgoglio per lui.
Non mostrare il fianco.
Non illuderti continuando a fissare il cellulare come un coglione, perché non si illuminerà grazie a una sua chiamata.
Non sbattere di nuovo contro lo stesso muro.
Non insistere ad entrare in una strada senza via d'uscita.
Devi proteggere il tuo cuore dai colpi impietosi di un sentimento che vuole crescere e invece è meglio tenere contenuto.
Mettici sopra un coperchio, soffocalo, perché ti rende debole.
Sii freddo e stoico, come non ti è mai costato essere.
Queste sensazioni devono rimanere nel buio della tua camera, affinché svaniscano.
Non puoi dipendere da qualcuno, devi rimanere libero.
Sii guerriero, lotta.
Ascolta la testa, la TESTA.
Era difficile. Eccome.
Il cuore gridava, e lo stronzo ogni tanto avrebbe persino voluto farlo piangere.
Le istruzioni che dava a se stesso assumevano i contorni del mantra, del dogma.
Tu appartieni a te stesso.
Non arrenderti alla banale realtà che vede lo scontro tra cuore e cervello.
Non puoi e non vuoi soffrire ancora. Esorcizza il dolore.
Quel sentimento era arrivato senza che lo volesse e doveva andarsene allo stesso modo.
Ma ci stava ricadendo, in barba a tutti gli scongiuri e l'intenzione di voltare i tacchi per andarsene a casa col suo bottino culinario, attirato come una falena dai capelli rossi di Hanamichi che spiccavano nel monotono bianco delle vie innevate. Non li aveva più fatti crescere come il primo giorno in cui l'aveva visto, con quella 'banana' che lo faceva assomigliare a uno dei T-birds in Grease.
Non era giusto che fosse così figo, non capiva che lo stava demolendo?
Le risate cretine dei cinque amici si avvicinavano e Kaede sentiva di avere le gambe bloccate, dannazione avrebbe dovuto riscaldare le crocchette che sarebbero diventate di gomma.
 
 
Era sul punto di ordinare alla banda di fare marcia indietro col pretesto di voler tornare in quel locale dove si beveva alla grande ed era comunque meglio stare al caldo che girovagare sotto la neve come babbei.
I suoi stupidi amici però non gli diedero retta e Hanamichi mise un broncio che stuzzicò solo un'occhiata di Yohei. Sembrava un bambino, col muso lungo e l'apparente voglia di correre sotto la gonna della mamma. Aveva visto Kaede Rukawa, e Kaede Rukawa aveva visto lui. Stava ancora riflettendo su cosa fosse meglio fare, se passargli accanto senza degnarlo di altra attenzione o sbraitare qualcosa come prima di tutto ciò che erano stati in così poco tempo. Ma, di nuovo, se lui e Yohei si erano contenuti a bere e in ogni caso reggevano bene l'alcool, non si poteva dire lo stesso per gli altri tre imbecilli. Avevano trascorso buona parte della serata a lagnarsi di non avere una ragazza, che non ne volevano a dozzine come accadeva a qualche stronzo fortunato che neanche le cagava, gliene sarebbe bastata una, moderatamente carina, gentile, dolce, un po' come Haruko Akagi.
In realtà, a Chuichirou non andava poi così male: il ristorante dove ancora lavorava come cameriere era frequentato da gente benestante e in più di un'occasione il suo aspetto molto più maturo della sua vera età aveva attirato le grazie di alcune donne, spesso mogli annoiate a cui il denaro dei mariti non faceva più gola, che desideravano una dose di pepe nella propria esistenza, e che gli avevano fatto avances esplicite a cui lui non si era tirato indietro. Si lamentava un po' inutilmente, perché non era affatto dispiaciuto delle avventure clandestine al solo scopo di divertirsi.
Per Yuji la situazione era ancora più divertente. Una sera lui e Nozomi erano finiti in un locale che avevano giudicato carino e con buona musica. Avevano aspettato l'arrivo di qualche bella ragazza per sfoggiare nuove e tristi battute di approccio, ma dopo circa tre ore si erano resi conto che i presenti erano di solo sesso maschile. Che i camerieri erano di solo sesso maschile. Che alcuni dei presenti avevano cominciato a riempire la pista da ballo. Insieme. Sorridendosi. Mettendosi le mani sui fianchi. Baciandosi.
Yuji e Nozomi avevano perso le mascelle; poi un ragazzo muscoloso e oggettivamente bello, tanto da poter essere un modello di intimo, ci aveva provato con Yuji, confessandogli di avere un debole per i biondini dal culetto irresistibile. Yuji era avvampato come un'aragosta ed era corso fuori mentre Nozomi rideva sguaiatamente prima di seguirlo, aveva letto che c'era anche chi era attratto solo da gente grassa e non ci teneva a provare l'ebbrezza di essere avvicinato da un altro uomo.
Yohei, a dispetto delle sue apparenze da duro inflessibile, era il segretamente romantico che aspettava 'quella giusta' e, un po' mosca bianca, non era interessato al piacere fine a se stesso. Sì, si girava a guardare due belle gambe, ma non era sufficiente per interessargli. Era un tipetto selettivo, e in fondo era abbastanza terrorizzato dall'idea di far dipendere i propri pensieri e la propria felicità da qualcun altro.
Tornando ai tre cretini sbronzi, avevano già iniziato a dirigersi verso Kaede Rukawa barcollando e ululando nel silenzio della strada, dato che gli ultimi ritardatari si erano sbrigati ad avvolgersi nei loro cappotti e a recarsi a casa di suocere e parenti vari.
“Rukawaaaaa, cosa fai qui in mezzo alla strada la sera della Vigiliaaaa?!”
Kaede rimase espressivamente stitico, non abbassandosi a rivolgere lo stesso quesito ai mentecatti. Cercava di impedire al suo campo visivo di includere Hanamichi, con un giubbotto a suo parere non abbastanza pesante per contrastare la rigidezza del freddo snervante di quella serata.
Yohei non capiva bene, ma aveva antenne di formidabile efficienza quando si trattava di Hanamichi, e anche se aveva taciuto, non era, fortunatamente o sfortunatamente, cieco né idiota, qualcosa di diverso tra Hanamichi e Kaede Rukawa c'era, anche se non sapeva cosa. Ma da grillo parlante ufficiale del suo migliore amico, aveva captato eoni prima che, anche se Hanamichi aveva avuto una cotta potente per Haruko Akagi, in tempi relativamente brevi il suo carburante era diventato Kaede Rukawa: a pensarci all'inizio, la combinazione Hanamichi-Kaede era parsa plausibile come far partire un'auto a diesel con la benzina. Col passare del tempo, Hanamichi aveva preso a parlare solo di Rukawa. Non lo sopportava, non lo poteva vedere, era odioso, era arrogante, con quella faccia sempre uguale, che cazzo ci trovavano le oche, il porcospino era comunque da prendere a pugni ma almeno non era un ghiacciolo che si era addormentato quando venivano distribuite le espressioni facciali.
In estate, però, le cose erano state diverse. Hanamichi era stato più calmo e non aveva più abbaiato contro Rukawa, e quando al telefono Yohei lo aveva provocato ricordandogli che mentre lui era in una clinica insieme a gente dall'età media di 50 anni, Kaede invece migliorava ancora di più, Hanamichi si era limitato a mugugnare senza approfondire la sfilza di insulti che era solito riversargli come olio su una scodella di insalata. Era parso sereno e in pace col mondo, proprio lui che se la prendeva anche con i bambini che in gelateria ci mettevano troppo a scegliere i gusti. Da quando era tornato a scuola era stato ancora più strambo. Tutte quelle scuse, quelle sparizioni inspiegabili e inspiegate, quel virare le conversazioni, atteggiamento poco consono con la personalità di Hanamichi, sempre aperto e sincero, specialmente con lui. Yohei aveva deciso di aspettare: come Kyoko Sakuragi, conosceva troppo bene la scimmia rossa e anche se quel comportamento era insolito, Yohei sapeva che la verità sarebbe venuta a galla.
I volti di Kaede e Hanamichi in quell'istante rispondevano ai suoi dubbi. Era esterrefatto e, se non avesse avuto un notevole autocontrollo, avrebbe strillato.
Hanamichi adocchiava Kaede senza abbandonare il suo broncio, che aveva l'aria del bambino che sa di dover chiedere scuso ma preferirebbe chiudersi in cameretta con i suoi giocattoli a inventare storie e situazioni che nessuno gli avrebbe contraddetto.
Kaede aveva l'aria annoiata e scostante di sempre, ma di tanto in tanto i suoi occhi guizzavano in giro come a cercare qualcosa di molto più interessante e per cui potesse trovare la scusa per dileguarsi.
Percepì il profondo respiro del suo amico che fino a quel momento sembrava aver trattenuto il fiato, poi si gettò sulla scia degli altri membri dell'Armata, sorprendendo Yohei per l'artificiosità di cui la sua voce era impregnata.
“Sì, Rukawa, che ci fai qui da solo la Vigilia di Natale?”
Yohei vide chiaramente gli occhi di Kaede assottigliarsi fino ad assumere l'aspetto e la consistenza che avrebbero potuto avere gli affilati kunai dei ninja.
“Non sono cazzi tuoi” sputò tra i denti, mentre Hanamichi sussultava sia per il veleno nella sua voce che per la semplice consapevolezza che Kaede gli stesse rivolgendo la parola per la prima volta dopo un'eternità. Persino i suoi 'do'aho' gli mancavano.
“Vedo che fare lo stronzo rimane sempre il tuo miglior talento”
La mano di Kaede si strinse sul sacchetto, furioso con se stesso per aver rotto la propria promessa. E continuò a farlo, innervosendosi ancora di più.
“Che cazzo vuoi?”
Non aveva mai parlato con quella cattiveria, nemmeno quando aveva giurato che non si sarebbe rivolto a lui neanche sotto tortura, e ci era riuscito, malgrado giocassero nella stessa squadra di basket. Ma la sua testa urlava, doveva proteggersi, chiudere i battenti con catenaccio e lucchetto, non poteva ricaderci. Non ricadere non ricadere non ricadere.
Stava per sollevare il piede inchiodato al suolo per andare a rifugiarsi nella sua tana, ma si ritrovò a sbattere contro la parete accanto alla rosticceria. Kaede si era quasi dimenticato di avere a che fare con Hanamichi Sakuragi. La via innevata di Kanagawa divenne un'arena. Kaede aveva voluto rivestire i panni del matador, pronto con la sua lancia a scagliare il colpo mortale, schiacciando la bestia sotto i suoi piedi. Il toro, però, non ci stava. Era inferocito, si era scansato e ora lo caricava.
Hanamichi artigliava i lembi del suo cappotto e lo fulminava con occhi allucinati, digrignando i denti.
“Smettila...la devi smettere”
“Lasciami andare” commentò Kaede gelidamente, seppur il battito fosse già prepotente nella sua gola.
“Non ti lascio andare. Non ti lascio così come tu non lasci nessuno dei miei pensieri”
Kaede aprì la bocca, senza poter parlare, notando secondariamente le sagome degli altri quattro, immobili come sassi, e Yohei Mito che pareva studiare ogni loro mossa come un esploratore di fronte alla lotta di due cervi selvatici.
“Non ti lascio andare dato che tu non ti decidi ad uscire dalla mia mente”
In un'altra situazione Kaede si sarebbe seccato di constatare che con quei movimenti la sua preziosa sciarpa si sarebbe sgualcita, ma mentre subìva lo sguardo e le parole di Hanamichi, poté soltanto socchiudere gli occhi ed emettere debolmente:
“Lasciami...”
“No. Perché io non riesco a toglierti dalla mia testa. Chi cazzo saresti tu per avere il diritto di essere libero come un fringuello?!” sbottò Hanamichi percuotendolo leggermente. Kaede si sentì come perso nel mare in cui avevano nuotato, ma non c'erano boe nelle vicinanze; trovò solo qualcosa di pesante da lanciargli.
“È un problema tuo.”
Lo aveva ferito, respinto, liquidato; lo aveva fatto piangere. Lo aveva distolto dal basket. Non si sarebbe fatto infinocchiare da due occhioni scuri. Commise un errore simile, però, decidendo di toccargli la mano con l'obiettivo di allontanarlo. Ma aveva dimenticato che Hanamichi era come il canto delle sirene, il sangue per un vampiro, l'odore del pane per un affamato. La sua pelle, come aveva fatto a trascurare l'effetto della sua pelle?
Come se Hanamichi avesse intuito, pur ottuso come era solito essere, si addolcì, si ammorbidì risultando irresistibile come un dolce al cioccolato ancora caldo e tenero. Un suo sorriso tremulo ebbe l'impatto di un terremoto, il quale fece crollare l'impalcatura solo apparentemente sicura di Kaede. Uno sfioramento insignificante sul viso scatenò in Kaede un'ondata di odio verso se stesso per esserne felice.
Tutti gli elementi della natura parvero riunirsi e piombare su di lui quando Hanamichi aprì di nuovo bocca.
“Io ti amo.”
Lo disse quasi stizzito, infastidito, era sfuggito al suo controllo ma allo stesso tempo aveva voluto che uscisse per potersi alleggerire. Avrebbe desiderato gridarglielo ogni volta che lo aveva visto per i corridoi a scuola, di fronte al suo viso di stupenda e atroce indifferenza.
Vide gli occhi di Kaede cambiare, indurendosi per un istante come se i fiocchi di neve ci fossero finiti dentro.
“Non ti azzardare.”
Si stupì per primo dell'espressione ferita di Hanamichi, perché non gli era affatto sembrato di essere così inflessibile come avrebbe desiderato; dentro, era una montagna di gelatina tremolante. Come osava uscirsene con quelle parole, quella frustata dolorosa che faceva nascere in lui un preoccupante piacere? Come osava spalancare così gli occhi, mentre lui voleva chiudere i propri e non vederlo più, non pensare più a lui, non desiderarlo più...
Hanamichi si irritò, ma non lo lasciò andare.
“Per un mio momento di debolezza e paura, hai deciso di cancellarmi dalla tua vita...la dice lunga su quanto ci tenessi”
Se pensava di ricevere un cazzotto, rimase deluso. Kaede lo guardava sempre in cagnesco. Era incredulo. Lui non ci teneva? Lui che aveva pianto ed era ricorso a qualche goccia del leggero ansiolitico di suo madre per addormentarsi? Nonostante la dichiarazione, Kaede non la riteneva sufficiente per spezzare la propria promessa di non dargli corda. Distrattamente, pensò alla notizia che era circolata a scuola, Higurashi si era ripreso e stava benino, e il dover trascorrere le vacanze natalizie in ospedale era solo una scocciatura infinitesimale rispetto a previsioni ben più tragiche.
Ripassando tutta la vicenda che aveva portato Hanamichi a piantarlo – e la sua mente deviata ancora pensava a lui come al 'suo Hana'- non riuscì a tener fede al suo religioso silenzio e anzi provò la forte necessità di parlare.
“Non ti ho mai chiesto niente.”
Sia lui che Hanamichi si sorpresero di sentire la sua voce, contenuta ma nitida.
Il ristretto pubblico degli amici di Hana rimaneva in disparte e senza fiatare, anche se Yohei si riteneva pronto a intervenire in qualsiasi momento, pur sapendo ce non ce ne sarebbe stato bisogno.
“Non ti ho chiesto di tenermi per mano, di sorridermi, né di uscire insieme. Non ti ho chiesto di frequentare locali gay. Non ti ho chiesto niente” ribadì rabbioso, sentiva il desiderio di rimanere gelido e marmoreo per non scottarsi, ma in lui ribolliva una lava che voleva solo scoppiare. Si morse l'interno del labbro, trovò detestabile il sapore del sangue, lo ignorò.
“Io volevo solo...” nel silenzio più completo, prese un profondo respiro come se si stesse preparando a buttarsi, in quel mare di lava, conscio che non ne sarebbe riemerso.
“...te...” esalò sfinito, come stesse precipitando da un palazzo sapendo troppo bene che non si sarebbe salvato. La carezza del suo sospiro sfiorò le labbra di Hanamichi.
Hanamichi si concesse un istante che parve dilatato, ma in realtà fu troppo breve, perché il giovane numero dieci non si trattenne più e spostò le mani sulle braccia di Kaede, premendovi le dita così come premette la bocca sulla sua. Non voleva un bacio sensuale e infatti mantenne le labbra chiuse, schiacciando Kaede in tutti i sensi, per Kaede era come se gli avesse preso il cuore e lo stesse strizzando nella sua grande mano. Con una punta di orrore e un inaspettato ma liberatorio alito di sollievo, Kaede pensò che le sue mani emanassero un'effusione protettiva e rassicurante; soprattutto, pensò di non voler più opporre resistenza, che il cuore nella sua mano ci stava meglio che nel proprio petto a battere tristemente, solo e afflitto, come un innamorato abbandonato nella sua sterile stanza priva di colore. I colori ora c'erano. C'era il rosso dei suoi capelli, il marrone dei suoi occhi, c'era il rosa della sua lingua che molto gentilmente si appoggiò ai suoi denti e attendeva che le catene si sciogliessero per liberarsi di passione.
Kaede alzò la mano e la posò sul viso di Hanamichi. Rispose alla sua richiesta, ma per sfogare la frustrazione dovuta all'imbarazzante dipendenza che aveva di quel ragazzo, con le unghie si accanì sulla sua guancia, suscitando però un basso grugnito di eccitamento nel suo compagno.
Hanamichi avrebbe pianto per quanto era felice.
Nessuno dei due si accorse che Yohei e gli altri si erano rispettosamente dileguati e anche se i giapponesi non si scambiavano baci e abbracci nei luoghi pubblici, anche se erano giapponesi e per di più uomini, Hanamichi e Kaede se ne fregarono, si baciarono e abbracciarono, ancora una volta agli occhi di un altro elemento della natura, muto testimone, che con la sua fredda presenza li portava a stringersi ancora di più.
  
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