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Autore: heliodor    06/09/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Una storia d’amore
 
Prima di varcare la soglia trasse un profondo sospiro.
Non vedeva Joane dal giorno in cui la battaglia si era conclusa. Kallia aveva ordinato di tenerla in catene. Otto stregoni e dieci soldati si davano il cambio senza mai perderla di vista.
Per fortuna la conoscevano di vista e la lasciarono passare.
Joyce venne portata all’interno dell’edificio circolare. Ricordava bene quel posto. Era lì che Joane l’aveva tenuta prigioniera fino al giorno della battaglia.
Trovava strano che, giorni dopo, la rivedesse proprio lì. Stavolta a parti invertite.
Ora è lei la prigioniera, si disse.
Joane sedeva in un angolo, le gambe raccolte contro il corpo e la testa china. Davanti a lei c’erano un piatto e una scodella. Il primo era pieno e il secondo vuoto.
“Rifiuta il cibo?” chiese Joyce alla guardia che la scortava.
“Non ha mai mangiato da quando è qui” rispose l’uomo. “Si limita a bere.”
“Ci avete parlato?”
“Kallia ce l’ha proibito, ma ogni tanto qualche parola gliela diciamo. Mai avuta risposta.”
Joyce annuì. “Puoi uscire.”
“Sei sicura di voler restare con lei? Dicono che sia un’assassina.”
“Sono sicura.”
La guardia la lasciò da sola con Joane.
Joyce si avvicinò con cautela, come se fosse alla presenza di una bestia pericolosa pronta a balzarle addosso.
A una decina di passi di distanza, Joane sollevò la testa di scatto. “Ho riconosciuto il tuo passo pesante, strega rossa” disse con voce squillante. Aveva il viso tumefatto, ma le ferite si stavano chiudendo.
“Non ho ancora imparato a farlo senza farmi sentire” disse Joyce. Poco più di due Lune prima, le sarebbe costata una punizione da parte di Elvana.
A quel pensiero provò nostalgia per i giorni passati con la strega.
“Imparerai” disse Joane. “Se ne avrai il tempo.”
“Tempo” le fece eco Joyce. “È proprio quello che ci manca.”
Joane ghignò. “La volta passata, io ero la carceriera e tu la prigioniera. Ora si sono invertiti i ruoli. Non è divertente?”
“No, se penso che nel frattempo è morta parecchia gente.”
“I morti non si possono lamentare” disse lei con un’alzata di spalle.
Joyce adocchiò uno sgabello e lo trascinò fino a piazzarlo davanti a Joane. Vi sedette col busto eretto e le gambe unite.
“Come siedi composta” disse Joane sorpresa. “Dove hai imparato modi così raffinati? Sei nobile di nascita?”
“Sono una strega educata” rispose Joyce. Si guardò attorno. “Ti trovi bene qui? La guardia mi ha detto che non stai mangiando.”
“Ho paura che avvelenino il mio cibo” rispose Joane seria.
“Kallia non lo farebbe mai.”
“Lo so, ma Kallia non mi odia abbastanza. Metà della città mi vorrebbe vedere morta e l’altra vorrebbe vedermi soffrire prima di morire.”
“Le guardie hanno l’ordine di…”
“Strega rossa” disse Joane divertita. “Perché sei venuta a trovarmi?”
“Secondo te?”
“Quando ho capito che eri tu, pensavo fossi venuta a dirmi che ero stata giudicata e condannata a morte, ma mi rendo conto che sei qui per un altro motivo.”
“Non c’è stato ancora nessun processo e la tua testa resterà attaccata al collo” disse Joyce. “Per un altro po’.”
Joane annuì. “Quindi sei qui per goderti lo spettacolo prima del gran finale?”
“No” disse Joyce. “Sono qui perché mi serve il tuo aiuto.” Aveva preparato diversi discorsi, ma li aveva scartati tutti e deciso di andare dritta al cuore del problema.
Joane sospirò. “Vuoi delle informazioni? Sappi che non ne so molto. L’unico che poteva darvele era Rauda, ma ha avuto la buona idea di suicidarsi, se non sbaglio.”
Rauda e altri dodici prigionieri erano morti nell’incendio che era scoppiato nella cella dove erano rinchiusi. Non erano riusciti a scoprire chi avesse appiccato l’incendio, ma il comandante dell’orda era un abile piromante.
Come aveva detto Joane, era morto avvolto dalle fiamme.
Kallia aveva insistito per interrogare i prigionieri ottenendo qualche informazione preziosa. Ora sapevano che le forze di Persym erano a centocinquanta miglia di distanza ed erano dirette a Orfar, dove la regina Skeli aveva poche possibilità di sopravvivere al loro attacco.
Quella notizia era sulla bocca di tutti i soldati dell’orda e non si parlava d’altro che della lunga e gloriosa marcia che li attendeva prima della sfida decisiva contro Malag e l’esercito dell’Alleanza.
Per il resto non si sapeva altro. I soldati sopravvissuti non conoscevano i piani a lungo termine di Persym e quali fossero le sue reali intenzioni. Non sapevano nemmeno come avesse fatto a evocare i Colossi e chi se ne fosse occupato.
“Sappiamo già quello che ci serve, è vero” disse Joyce. “Ma da te non voglio informazioni.”
“Che cosa vuoi allora?”
“Aiuto” ripeté.
“L’hai già detto.”
“Tu sai a cosa mi riferisco.”
Joane ghignò. “Tu credi? Cosa saprei, di preciso?”
“Bardhian” disse Joyce. “Lo hai visto in azione.”
Joane annuì. “È impressionante, lo ammetto. Non mi aspettavo che fosse così potente.”
“Ti ha quasi uccisa.”
“Quasi. C’è una grossa differenza tra tentare e riuscire.”
“Ti ha risparmiata solo perché ha voluto salvare migliaia di persone.”
“Ha salvato anche sé stesso.”
“Poteva scappare” ribatté Joyce.
“L’essere stupido non lo rende meno pericoloso. Al contrario.”
“Tu lo hai risparmiato” disse Joyce con tono accusatorio. “Potevi ucciderlo e invece…”
“Ho esitato” disse Joane. “Lo ammetto.”
“E non è stata la prima volta.”
Lei si accigliò.
Stavolta fu Joyce a ghignare. “Sei stata a Orfar con quella Aschan. Bardhian era lì. Potevi cercare di ucciderlo allora.”
“Era protetto dalla strega dorata e dal principe senza corona. Sarebbe stato troppo difficile avvicinarlo e così ho deciso di attendere.”
“Non è vero. Sei andata a nasconderti nel tuo vecchio villaggio, facendo finta che non esistesse più.”
Joane scrollò le spalle. “Che cosa vuoi che ti dica? A volte ho dei ripensamenti.”
“Ne hai avuto uno importante dopo la battaglia. Ti stai convincendo che Bardhian non è il mostro che pensavi.”
“Stavolta ha salvato tremila persone. E allora? La prossima potrebbe ucciderne diecimila. O un milione. È incontrollabile, lo hai visto anche tu. Nessuno dovrebbe avere un potere simile a sua disposizione.”
“Eppure Bardhian ha fatto una scelta, quando ha potuto farla” disse Joyce. “Questo deve pur voler dire qualcosa per te.”
“Che cosa dovrebbe dimostrarmi?”
“Che può essere guidato e addestrato. Che può controllare quel potere e usarlo per una giusta causa.”
“Non esistono giuste cause, strega rossa” disse Joane. “Ma solo cose che ci interessano di più o di meno.”
“Sia quel che sia, Bardhian può mettere fine a questa guerra.”
“È la tua ossessione” ribatté Joane. “Dovresti pensare ad altro. Non ce l’hai un fidanzato? Alla tua età io pensavo spesso ai ragazzi.”
Joyce arrossì. “Non è un argomento che voglio affrontare adesso.”
“Lo sapevo io che c’era qualcosa sotto. Dimmi, è almeno un bel ragazzo? Uno per cui vale la pena soffrire?”
“Davvero non è il caso…”
Joane ridacchiò. “Affronti un inquisitore ma hai paura a parlare dei tuoi amori.” Scosse la testa. “Ancora non mi hai detto che cosa vuoi da me.”
“Voglio che tu addestri Bardhian. Devi diventare la sua guida.”
Joane la fissò con occhi sgranati, poi scoppiò a ridere. “Scusa, ma non ho potuto resistere.”
Joyce attese che finisse.
“Dicevi sul serio, vero?” le chiese Joane.
“Sei la persona più indicata.”
“Io voglio ucciderlo.”
“Volevi” la corresse Joyce. “Ora non più.”
“Chi ti assicura che domani non lo vorrò di nuovo morto?”
“Nessuno, ma correrò il rischio.”
“Lo farai correre a Bardhian. Lui è d’accordo con questa follia?”
“Ci sta riflettendo” disse.
Joane ghignò. “Bugiarda. Lui è contrario. Non è così stupido. Non quanto il padre, almeno.”
Il riferimento a re Alion fece scattare qualcosa dentro Joyce. “Cosa sai della battaglia contro il suo esercito? Dicono che sia stato un massacro.”
Quelle voci giravano tra i prigionieri e Kallia le aveva raccolte tutte, anche se le sembravano inverosimili, soprattutto quelle che riguardavano i Colossi.
La donna stentava a credere a ciò che sentiva.
“Io li ho visti di persona” aveva detto Joyce.
Kallia si era limitata ad annuire. “Che non esca di qui” si era affrettata a dire, ma le notizie erano volate lo stesso di bocca in bocca e ora tutti in città sapevano di quei mostri.
E avevano paura.
Una paura folle.
Anche io ho avuto paura, pensò Joyce.
“So quello che Rauda e gli altri raccontavano” disse Joane cupa. “Un vero massacro, come hai detto. Persym ha scagliato i suoi Colossi contro l’esercito di Alion, distruggendolo.”
“Dicono che sia morto.”
Joane non rispose.
“Non ti importa proprio niente di lui?”
“Dovrebbe?” fece la donna con tono aspro. “Ha avuto quello che si meritava. Era un pazzo desideroso di coprirsi di gloria come i suoi antenati. Non parlava d’altro, quando era più giovane e più stupido. Col tempo non è affatto migliorato, per quanto ne so.”
Joyce attese che proseguisse.
“Vuoi sapere come l’ho conosciuto, vero?”
“Adoro le storie d’amore.”
“In questa ne troverai davvero poco, credimi.” Joane sospirò. “Quando lo conobbi ero giovane. Non giovane quanto te. Conoscevo da anni Gladia e insieme alle altre ci eravamo creato una certa fama.”
“Le quattro stelle” disse Joyce.
Joane ridacchiò. “Le quattro stelle, sì. Fu Marget a inventare quello stupido soprannome. Diceva che siccome eravamo un gruppo, dovevamo avere dei soprannomi in comune. Lei era la stella del mattino, Selena quella d’oriente e Gladia la stella della sera.”
“E tu?”
“Io ero la stella nera. Credo a causa del mio carattere. Non è mai stato semplice essermi amica. E io non facevo niente per rendermi gradevole alle altre. Di fatto ero più un peso, almeno all’inizio. Poi divenni la più forte.”
“Non è vero. Era Marget di Valonde la più forte” disse Joyce. “Lei era la strega suprema.”
Joane sbuffò. “Strega suprema. Ti dico io la verità. Marget non era affatto la più forte. La più abile forse, la più bella di certo. Gli uomini le sbavavano dietro e lei alimentava la sua fama indossando sempre i vestiti più costosi e alla moda. Doveva chiamarsi la strega vanitosa. Era quello il soprannome più adatto.”
“Non ti credo” disse Joyce divertita. Per qualche motivo, sapere quelle cose di sua madre non l’offendeva. Non aveva mai pensato davvero a come fossero i suoi genitori da giovani.
“È così” disse Joane. Anche lei sembrava divertita a rievocare quei ricordi. “Selena era rigida e seria, tutta dedita alle sue regole e alle sue leggi. Ogni sua frase iniziava e finiva con parole come tradizione, onore, rispetto delle leggi. Fosse stato per lei, non avremmo mai combinato niente. Marget era quella romantica, sempre alla ricerca del principe perfetto da sposare. E alla fine sembra che l’abbia trovato in quello stupido di Valonde.”
“Re Andew non è stupido” protestò Joyce.
“Lo è, lo è. Tutti i principi lo sono. Lasciami finire però. Gladia invece era la nostra guida. Lei ci aveva scelte e convinte a seguirla. Diceva che dovevamo diventare forti e famose, così avremmo trovato dei buoni mariti.”
“Diceva davvero questo?”
“Più o meno. Era il suo grande piano. Riunire le streghe più forti e farle sposare agli stregoni migliori, in modo che nascessero figli ancora più forti.”
“Gli eredi” disse Joyce.
“Non li ha mai chiamati così, ma è come dici tu. Quella pazza ne era davvero sicura. E penso che avesse ragione. Come ho potuto darle ascolto? Dovevo essere davvero stupida o disperata. Vedi, io non ero di nobile nascita a differenza delle altre. Ero poco più di una popolana. Non avrei mai trovato un principe, per quanto disperato, che volesse sposarmi, quindi ridevo delle altre e dei loro sciocchi progetti. Almeno a me sembravano sciocchi.”
Joane sospirò.
“Come andò a finire?” le domandò Joyce.
“Marget sposò quello stupido principino di Valonde.”
Joyce trovava irritante il modo in cui chiamava suo padre, ma stavolta non la interruppe.
“Passò qualche anno e il fratello di Selena morì per un’improvvisa malattia e lei dovette tornare a Nazedir per occuparsi del regno. La cosa buffa era che Gaspar aveva avuto una figlia da sua moglie, una bambina di nome Eryen. Gladia si convinse che la bambina era una candidata migliore, dopo che aveva visto in azione Gaspar.”
“Era forte?”
“Era lo stregone supremo della sua epoca. Sai, qualche anno prima voleva sposare Marget. Le fece anche una proposta, ma lei disse che non lo amava. Gladia cercò di convincerla ad accettare la proposta di Gaspar, ma Marget fu irremovibile. Quella stupida doveva sposarlo. L’avrei fatto io, ma ero altrettanto stupida. Forse anche di più. Mi ero convinta di meritare qualcosa di meglio. Nazedir e Valonde erano regni potenti. Taloras era anche un buon candidato, ma re Hagar era nato senza poteri. Quindi Gladia ripiegò, per modo di dire, su Malinor.”
“Così conoscesti re Alion?”
Joane ridacchiò. “Conoscere non è il termine giusto. Quell’idiota si era messo in testa di domare una rivolta con pochi soldati. All’epoca non era ancora re e voleva impressionare il padre. Si mise in trappola e noi accorremmo per salvarlo. Gladia e io, intendo dire. Fatto sta che lo salvammo e lui per riconoscenza ci ospitò a Malinor. Da lì ebbe tutto inizio.”
“Racconta.”
Joane sospirò. “Non so nemmeno perché te ne sto parlando. Che cosa vuoi sapere ancora? Alion era sposato con una bella principessa di un regno vassallo e io mi misi tra di loro. Fu Gladia a spingermi, credo, facendo leva sulla mia voglia di fare qualche sciocchezza. Ero innamorata di Alion? Non lo so, credo di no. Ero innamorata di un sogno. Credo di aver sempre invidiato le altre e Marget in particolare. Per una volta volevo sentirmi una vera principessa come loro, io che venivo dal nulla. Così quasi un anno dopo nacque Bardhian. Gladia ne fu contenta e re Alion anche. Per un po’. Quando suo padre si ammalò e iniziò la contesa tra i suoi successori, dovette scegliere tra il tenermi a corte e indebolire la sua posizione, o mettermi da parte. Io scelsi per lui prima ancora di sapere che cosa avesse deciso e me ne andai. Credo siano stati tutti più contenti, in un certo senso.”
“E tu lo eri?”
Joane inspirò una boccata d’aria. “Mi hai stancata, strega rossa. Non ti dirò altro. Ora se non ti spiace, vattene e lasciami riposare.”
“Prima devi darmi una risposta.”
“Sai già che ti dirò di no. Per il bene di tutti.”
“Se rifiuti, non andrà affatto bene per nessuno. I Colossi devono essere fermati.”
“Ci sono eserciti fatti apposta. Ci penseranno loro.”
“E se non dovessero bastare?”
“Vincerà Persym.”
“Io non voglio che accada. Qualcuno può impedirlo.”
“Tu?”
“Gli eredi, come Bardhian. Due sono già a nord. Con Bardhian, ne avremo tre. E altrettanti colossi.”
“Vuoi un duello alla pari, dunque?”
“Voglio una possibilità.”
Joane annuì. “Se Bardhian accetterà il rischio di avermi come guida, io vi aiuterò.”
Joyce fece per alzarsi.
“Prima di andare via dimmi una cosa” fece Joane. “A chi ti riferisci quando parli di due eredi che sarebbero a nord?”
“Bryce di Valonde ed Eryen di Nazedir.”
Joane annuì grave. “Concordo su Eryen, ma chi ti dice che Bryce sia l’erede di cui parli?”
“Lei è la strega suprema. Tutti lo sanno.”
“Non mi sembra che abbia dimostrato granché fino a questo momento. E gli eredi sono una questione diversa. Se fossi in te ci penserei meglio. Può darsi che anche con Bardhian tu sia ancora in svantaggio contro i Colossi.”

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