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Autore: heliodor    10/10/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Mondo perduto
 
Quella ragazza deve essere davvero coraggiosa, pensò Galef mentre Sibyl si preparava a spiccare il volo. O molto stupida. Molto, molto stupida. Eppure, lei è la nostra unica speranza rimasta per lasciare questo posto prima di morire.
Sei giorni prima, quando si era calato nel santuario, non si sarebbe mai aspettato di dover mettere la sua vita nelle mani di una giovane strega appena conosciuta.
I ragni lo avevano aggredito non appena aveva messo piede nel santuario. Lui aveva urlato e aveva cercato di combattere, ma tra tutte quelle zampe che lo afferravano, tiravano e spingevano, non era riuscito a fare una sola mossa.
I ragni lo avevano trascinato via, portandolo in una sala profonda del santuario. Qui lo avevano ricoperto con la viscida sostanza che secernevano. Lo avevano avvolto come dentro un bozzo e lasciato lì nel buio.
La melma aveva preso a indurirsi quasi subito e lui aveva lottato per liberarsi. Nel buio, senza sapere chi o cosa lo circondasse, si era rotolato sul pavimento graffiandosi la pelle pur di scrollarsi di dosso quella sostanza.
Alla fine di quella disperata lotta, era giaciuto esausto sul pavimento, il petto che si alzava e abbassava e il cuore che gli batteva all’impazzata.
Il suo primo pensiero era stato: sono ancora vivo.
Il secondo: per ora.
E il terzo era andato a Lindisa.
Sperò che fosse andata via, ma era sicuro del contrario. Doveva essere corsa in suo soccorso ed era stata catturata.
Il pensiero che anche lei giacesse da qualche parte, in una sala buia, intrappolata in quella disgustosa melma ormai solidificata, lo tormentava.
Con calma, si era detto. Rifletti. Lindisa non è stupida. Avrà capito da sola che calarsi nel santuario come hai fatto tu è pericoloso. Se lo farà prenderà ogni cautela. Forse andrà persino a cercare aiuto e lo troverà. È abile e intelligente. Piena di risorse.
Tuttavia, il pensiero di lei rinchiusa nella melma solidificata lo tormentò ancora per qualche tempo.
Evocò una sfera luminosa per illuminare la sala.
Come aveva sospettato, non era solo.
Forme piccole e grandi giacevano sul pavimento. Avvicinandosi a una, scorse un corpo contorto oltre la superficie traslucida della melma solidificata.
C’era anche il corpo di una creatura enorme adagiata sul fianco. Era coperta da un folto pelo color grigio scuro e sembrava addormentata.
Si avvicinò con cautela per dare un’occhiata, ma si ritrasse subito quando incontrò un viso dall’aspetto canino, con enormi zanne che sporgevano dalla mandibola.
Che animale è questo? Si era chiesto allontanandosi.
La bestia era morta o solo addormentata? Non poteva dirlo con certezza, ma nei minuti che trascorse nella sala niente si mosse.
Tutto ciò che era contenuto nei bozzi traslucidi era morto. Da quanto tempo, non poteva dirlo.
La sala aveva una sola uscita, scavata nella roccia. Era da lì che era uscito, avventurandosi nei corridoi bui e spogli.
Percorrendo le gallerie con estrema cautela, arrivò a una sala più grande dove i ragni sembravano diretti. Si spostavano su sei sottili zampe pelose facendo schioccare le loro mandibole.
Tik tik tik.
Il suono si fece più intenso a mano a mano che si avvicinava alla fonte e, sebbene la prudenza gli suggerisse di allontanarsi, non seppe resistere.
Devo sapere, si era detto.
Con cautela raggiunse la sala dove i ragni si stavano radunando. Al centro esatto giaceva una creatura enorme, simile a quella che aveva visto nella sala precedente. I ragni stavano mangiando la melma per liberarla dal bozzo in cui era stata rinchiusa.
Si muovevano con perfetta coordinazione, senza intralciarsi né ostacolarsi. Un gruppo tagliava il bozzolo con le piccole tenaglie sulla bocca. Un secondo gruppo lo rimuoveva e un terzo lo portava fuori dalla sala.
In breve tempo liberarono la creatura. Quindi iniziò il banchetto.
Il gruppo dei tagliatori passò alla carne della creatura, tagliandola via in ampie porzioni con le loro bocche. Invece di ingoiare il boccone, lo lanciavano via facendolo ricadere a terra. Il secondo gruppo, quello dei raccoglitori, sciamava per la sala prendendo i bocconi e portandoli all’ingresso, dove un terzo gruppo trasportava via i pezzi.
L’odore del sangue era stato insopportabile, ma dopo qualche ora passata a vagare tra le sale dove i corpi venivano smembrati, ci aveva fatto l’abitudine.
I ragni trasportatori gli passavano accanto senza badare a lui. Non era loro compito occuparsi degli invasori, aveva pensato.
Altri ragni percorrevano i corridoi rimuovendo i loro simili che morivano, per la vecchiaia o la fatica, non ne aveva idea.
I ragni caduti venivano portati in un’altra sala e smembrati, quindi finivano tra le fauci dei trasportatori che li trasferirono altrove.
Ma dove? Si era chiesto.
Non era sicuro di voler conoscere il posto dove venivano portati tutti quei bocconi di carne, ma il corridoio principale sembrava andare solo in quella direzione.
Per questo motivo aveva seguito i ragni fino a una grande sala circolare scavata nella roccia. Lì, nel mezzo, ragni grandi come cavalli torreggiavano sugli altri.
I trasportatori depositavano i pezzi di carne come tributi. I ragni giganti scattavano in avanti e divoravano il cibo offerto con le loro mandibole.
Il tik tik tik era incessante in quella sala. Galef ne era rimasto inorridito e affascinato al tempo stesso. Una seconda fila di ragni trasportatori procedeva verso il fondo della sala, dove si apriva una grotta ancora più grande.
Qui, in mezzo a una sorta di anfiteatro naturale scavato nella roccia, torreggiava il ragno più grande di tutti.
Era alto come trenta uomini adulti. Il corpo rotondo come una sfera era ricoperto di peli irti e neri, ognuno dei quali era lungo quanto un uomo adulto.
Nascosto dietro una colonna naturale, Galef l’aveva osservato a lungo. La bestia era così enorme da riuscire a stento a muoversi. Il cibo gli veniva portato alla bocca dai ragni trasportatori.
No, si era corretto Galef guardando meglio.
Il ragno supremo, così aveva deciso di chiamarlo, non si limitava a mangiare il cibo. Divorava anche i ragni trasportatori. Questi si posizionavano davanti a lui, in modo da farsi afferrare dalle enormi tenaglie poste all’altezza della bocca, un foro largo abbastanza da poter ingoiare una carrozza insieme ai cavalli che la trainavano.
Le tenaglie avevano il compito di sminuzzare il cibo prima che precipitasse nella bocca. A centinaia si lasciarono divorare prima che Galef ne avesse abbastanza.
Devo uscire di qui, si disse.
Riprese a muoversi lungo i corridoi, accompagnato dall’incessante ticchettio delle mandibole dei ragni che si muovevano lungo e forse anche dentro le pareti.
Il rumore sembrava a volte provenire anche dalla roccia, che era calda e umida al tatto. Quando la sfiorava sentiva un formicolio al braccio che si propagava fino alla spalla ed era costretto a staccarsi subito dalla parete.
Era spiacevole e gli lasciava un senso di disagio anche dopo alcuni minuti.
In quei momenti aveva temuto di non trovare l’uscita, ma riflettendoci con calma aveva seguito a ritroso il cammino dei ragni trasportatori, fino a ritrovarsi in una delle grandi sale dove accumulavano le scorte di cibo da distribuire.
Partendo da lì aveva esplorato le camere vicine fino a trovare un passaggio che affondava nell’oscurità. Camminandovi aveva trovato i resti di centinaia di ragni dispersi lungo il percorso.
Ragni più piccoli dall’aspetto pallido e il ventre traslucido, divoravano le carcasse dei loro compagni morti e si dirigevano in senso contrario al suo.
Per andare dove? Si era chiesto. Per essere mangiati da qualcosa di più grosso, si era risposto.
Il condotto terminava in un basso arco di roccia nascosto dai resti dei ragni. Quello doveva essere un cimitero o una discarica di spazzatura.
Per i ragni non fa alcuna differenza, aveva pensato.
Uscire dai condotti abitati dai ragni era stato un sollievo, anche se di breve durata. L’esterno non era tanto differente dal resto, anche se era più ampio e la luce che pioveva dall’alto rendeva meno pesante il senso di oppressione  che si provava a essere circondati da solida roccia.
La grande sala dove era sbucato aveva una foresta al centro. Alberi contorti crescevano uno sopra l’altro cercando di guadagnarsi la poca luce disponibile a scapito degli altri.
L’aspetto bizzarro e i colori grigi e morti lo spinsero a camminare a una certa distanza dalla foresta e fu questo a salvargli la vita.
Quando aveva avvertito i primi effetti della maledizione che aleggiava su quel luogo, si era allontanato alla svelta.
Piccoli ragni grigiastri che sembravano parenti di quelli più grandi che vivevano nelle grotte si avvicinavano alla foresta e dopo pochi minuti crollavano al suolo in preda agli spasmi.
Qualsiasi cosa fosse in azione tra quegli alberi, sapeva di doverli evitare.
E doveva trovare qualcosa da mangiare e da bere.
Di acqua ne aveva trovata in abbondanza. C’era un lago che occupava un intero lato della grotta, così ampio da non riuscire a scorgerne le rive opposte.
Per quanto ne sapesse, poteva anche estendersi all’infinito, ma non lo credeva possibile. Quella grotta era enorme, forse più del doppio di Valonde, ma doveva pur avere dei confini.
Nei due giorni successivi li cercò, trovandoli. Come aveva temuto, le uniche uscite da quel posto erano le grotte occupate dai ragni spazzini.
Da lì non sarebbe mai passato. La prima volta era stato fortunato a uscirne vivo, ma era certo che non si sarebbe ripetuto. Da un momento all’altro potevano decidere che valeva la pena aggiungerlo alle scorte di cibo e sarebbe finito di nuovo in uno di quei bozzoli.
Non riusciva a non pensare alla creatura intrappolata nella melma solidificata.
Nonostante fosse così imponente, era stata catturata e poi fatta a pezzi dai ragni con le loro mandibole. Non voleva finire i suoi giorni in quel modo.
E non voleva finirli lì sotto.
Lindisa poteva arrivare da un momento all’altro e salvarlo, ma non ne era certo. Forse anche lei era morta e lui era solo.
Doveva trovare un modo per andarsene.
Il lago era l’unica zona che non aveva esplorato. Forse lo poteva attraversare a nuoto e cercare una uscita. Era un buon nuotatore ed era resistente. Non aveva poteri che gli permettessero di nuotare più velocemente o di volare, ma era pur sempre qualcosa.
Si preparò per due giorni, accumulando cibo e acqua. Aveva scoperto che i ragni grigi erano buoni da mangiare se li cucinava ed eliminava i peli che li ricoprivano. Persino la melma che producevano, se cotta sul fuoco, diventava abbastanza solida da essere mangiabile. E quando lo faceva si sentiva rinvigorito.
È come miele, si era detto cercando di trovare una spiegazione a tutto quello.
Mangiò i ragni e accumulò miele che raccolse in una sacca che aveva ricavato dal mantello. Quando ritenne di averne a sufficienza per la traversata, si tolse i vestiti pesanti e si immerse nell’acqua.
Gli erano bastate poche bracciate per rendersi conto che era un’impresa disperata e che non sapeva niente di quel piccolo mondo.
I pesci lo attaccarono subito.
Dapprima aveva avvertito solo un fastidio, come un lieve pizzicore. Subito dopo, il sangue aveva iniziato ad arrossare l’acqua e si era ritrovato a nuotare in un ribollire di piccole creature che gli strappavano lembi di pelle a ogni morso.
Aveva evocato la pelle di quercia, sicuro di poter resistere ed aveva fatto altre due o tre bracciate.
Altro errore.
I pesci erano tornati all’assalto con più vigore di prima, riuscendo a penetrare lo scudo invisibile che rendeva la sua pelle solida come il cuoio battuto.
In breve aveva ripreso a perdere sangue.
Nuotando a fatica aveva riguadagnato la riva, dove si era scrollato di dosso i pesci che erano rimasti attaccati a braccia e gambe.
Ne aveva preso uno e lo aveva esaminato. I denti erano piccoli e aguzzi, ma duri come l’acciaio. Sfregandoli contro la fibbia di metallo che chiudeva il mantello l’aveva scheggiata.
Non erano pesci normali.
Oltre a essere aggressivi, avevano quel potere che li rendeva mortali. Era impossibile attraversare a nuoto il lago.
Attese per altri due giorni che accadesse qualcosa e all’alba del terzo, quando stava già perdendo le speranze, erano apparsi quei tizi provenienti da Nazdur.
Per giungere fin lì dovevano aver attraversato dei cunicoli che i ragni usavano di meno, ma erano stati attaccati in forze già quando erano vicini all’uscita.
Ciò voleva dire che avventurarsi in quella zona era pericoloso. L’alternativa era sempre usare il lago per cercare una uscita che non fosse bloccata dai ragni spazzini.
Aveva quasi perso le speranze, quando quella ragazzina dai capelli neri si era offerta volontaria per volare fino alla piattaforma che si vedeva in lontananza.
Era una follia e sarebbe certamente morta, ma perché non tentare, si era detto. Forse lei riuscirà dove io ho fallito.
Dopo che aveva spiccato un balzo e si era allontanata in volo, era sparita all’orizzonte sfiorando la superficie dell’acqua.
“Non ho mai visto nessuno volare in quel modo” disse a Joane. Stentava ancora a credere che fosse un’amica di vecchia data di sua madre.
La strega aveva annuito. “Probabilmente l’abbiamo mandata a morire. Ma tu lo sai già, vero principe Galef? Non usciremo vivi di qui.”
“Io spero ancora di riuscirci” disse poco convinto.
Joane fece spallucce e guardò in alto. “Fa mai buio in questo posto?”
“No, mai.”
“Inizio a sentirmi stanca e ho bisogno di riposare per recuperare le forze. Che ne direste di fare tu il primo turno di guardia?”
“Lo farò io” si offrì la guida di Nazdur.
Caldar, pensò Galef. È così che ha detto di chiamarsi.
Caldar si sistemò sotto un albero con la schiena appoggiata al tronco.
Joane parlò per qualche minuto con il giovane di nome Bardhian. Secondo lei aveva combattuto insieme a Bryce ed era un principe di Malinor.
Galef doveva ancora assimilare quelle informazioni che gli stavano piombando addosso tutte insieme.
Dei tre eruditi faticava a ricordare i nomi e non diede loro molta importanza. Si allontanò di un centinaio di passi per non disturbarli. Aveva già riposato e non aveva sonno.
Camminò seguendo la riva del lago, sperando che la ragazzina volante tornasse con buone notizie.
Quando, dopo quasi un’ora di attesa, non la vide tornare, iniziò a temere che le fosse successo qualcosa di brutto.
Stava per tornare dagli altri e avvertire Joane, quando un’ombra gli si parò davanti.
“Galef, per fortuna sei qui” disse Lindisa con tono urgente. “Dobbiamo andare via. Subito.”

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