Cap. 5
Maggio 1988
Maggio 1988
« Merda! Il governo ci ha tolto fondi, come diavolo mi compro da mangiare?! »
Zoja, uno dei pochi infermieri di questa struttura, impreca contro i politici mentre cambia le mie lenzuola.
Io ho le braccia incrociate al petto e sento un prurito insopportabile, vorrei staccarmi la pelle di dosso. Piango per questo dolore incessante.
« Ho bisogno di bere. Dammi un bicchiere di vodka, ti prego. » lo supplico piangendo senza ritegno.
« Smettila di piagnucolare! Tu sei malata, non puoi bere! » mi risponde con disprezzo.
« Ma senza la vodka, sto male! Dammi solo un bicchierino, ti giuro che non lo dirò a nessuno. »
Zoja si volta di scatto e strattona il braccio sinistro così tanto da farmi cadere.
« Sei senza lavoro, non hai nessuno e inoltre hai un rene, il fegato e la vescica compromessi. Hai barattato quasi tutti i tuoi averi per delle bottiglie di vodka e ti sei ricoperta di vergogna! Non lo capisci che la vodka ti ha rovinato la vita?! Anzi, sai che ti dico? Tu sei solo una gran perdita di tempo per noi! » urla strattonando sempre di più il mio braccio.
« Io vengo da Cernobyl!! » grido sperando che mi lasci.
Zoja cambia espressione e mi molla subito. Guarda con orrore la sua mano e senza dire niente, scappa dalla mia stanza.
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Massaggio il livido vistoso che ho sul braccio sinistro; Zoja è solo un povero frustrato!
Sono seduta sul materasso con le gambe ben strette al petto. Questa stanza è piccola e puzza di chiuso, non lo sopporto!
Gli psicofarmaci hanno cominciato a fare effetto.
Sono rinchiusa in questo posto da due settimane, vivo in mezzo ai drogati, ai pazzi! Ho paura di queste persone e ho paura degli infermieri: questi ultimi sono così bruschi, urlano, insultano i pazienti.
Non sono altro che un rifiuto di questa maledetta società e non so perché ancora respiro. A cosa vale la mia sopravvivenza?
Senza la vodka, non esisto …
Ho perso tutto ciò che avevo di più caro e nessuno piangerà per me quando arriverà il mio momento, non mi resta che aspettare!
Provengo da una famiglia dove regnava la disciplina militare ma c’era poco amore … poi, Dimitri è entrato nella mia vita ed è riuscito a riempirla di gioia e affetto. Ma ormai è tutto finito, è inutile rivangare …
Mi metto in piedi, mi avvicino con calma al muro dove c’è la finestra chiusa a chiave. Mordo violentemente il pollice sinistro e inizio a scrivere con il mio sangue. Voglio lasciare qualcosa di me in questo luogo deprimente …
Lilija Kochanov, 25 anni.
Cittadina di Pripjat, vedova di un liquidatore di Cernobyl.
Muoio senza terra, senza famiglia e senza fede.
Note: le vicende narrate in questa minilong sono ispirate al libro “ Preghiera per Cernobyl “ di Svjatlana Aleksievic. Verso gli ultimi anni ( anche dopo ) dell’Unione Sovietica, a causa dell’esplosione della centrale nucleare di Cernobyl, della crisi economica, del forzato sfollamento delle persone che vivevano nelle zone ad alta contaminazione, si creò un clima di depressione e fatalismo che portò all’aumento della tossicodipendenza, dell’alcolismo e non solo. Ho scelto di pubblicare i ricordi in ordine mischiato di proposito.
Per quanto riguardo l’ospedale psichiatrico, mi sono ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto in Ucraina.
Il titolo della storia significa “ricordi” in ucraino