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Autore: heliodor    28/10/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il villaggio dei giganti
 
“Gromm-sa. Gromm-sa.”
L’eccitazione di Gromm sembrava crescere a mano a mano che si allontanavano dalla porta e camminavano nel cunicolo.
Verso il fondo la luminosità aumentò al punto che gli occhi di Joyce iniziarono a cogliere qualche particolare su ciò che la circondava.
Il pelo di Gromm non era di un grigio uniforme. Aveva chiazze di bianco e di nero disseminate in giro. Gli altri due avevano colori più intensi.
Collare bianco, questo era il nome che Joyce gli aveva dato, camminava davanti a tutti. Doveva essere il capo o una guida. Il suo pelo era rosso scuro, con chiazze che sembravano viola in quella luce fioca.
L’altro aveva il pelo color viola e zanne che gli sporgevano dalle labbra spesse. Non aveva mai parlato né battuto i pugni o i piedi. Si limitava a grugnire ogni tanto.
Joyce lo aveva chiamato Purpureo.
Gromm camminava al suo fianco trascinando la gamba destra. Una chiazza di sangue gli aveva arrossato il pelo all’altezza del polpaccio.
Un morso di ragno, pensò Joyce.
“Ti fa male?” chiese indicando la ferita.
“Gromm” rispose lui nel suo tono indecifrabile.
Joyce gli mostrò le piccole ferite che i ragni le avevano lasciato. Si stavano già richiudendo e non sanguinavano, ma le facevano ancora male.
“Gromm-gu” rispose.
“Gromm-de” grugnì collare bianco con tono perentorio.
Gromm strinse le labbra sporgenti.
Camminarono per quasi un’ora prima di raggiungere la fine del condotto. Gli occhi di Joyce faticarono ad adattarsi alla luce più intensa.
Oltre il cunicolo si apriva una valle a forma di scodella scavata nella roccia grigia. La luce pioveva dall’alto da fori scavati nella pietra, illuminando a tratti il terreno coperto di erba che andava da un verde pallido al grigio scuro.
Alberi dal fusto esile e le foglie color viola o rosso punteggiavano la conca. Il terreno era disseminato di pali alti due o tre volte un adulto. In mezzo a questi fiorivano piante dai colori vivaci che andavano dal giallo al rosso intenso.
Sui lati della conca si aprivano decine di grotte ad arco, alcune delle quali erano sormontate da corone di fiori rossi o gialli.
Figure enormi si muovevano sui terrazzamenti che degradavano dalle pareti verso il basso. La valle era larga due o tre miglia almeno, tanto che Joyce faticava a scorgere cosa si trovasse dalla parte opposta in cui si trovava.
“Gromm” disse Collare Bianco indicando la valle.
Joyce li seguì verso il centro della conca, dove si innalzava una montagnola a gradoni. Sopra di questi era montana una piattaforma di legno sostenuta da una dozzina di pali.
Una decina di creature si erano radunate lì in cima e guardavano dalla loro parte. Altre osservavano a distanza di un centinaio di passi, seguendoli senza staccare loro gli occhi di dosso.
C’erano creature più grandi e altre più piccole che se ne stavano nascoste dietro alle prime. Ogni tanto qualcuna si avventurava lontano dalle altre mostrando una certa audacia, ma veniva subito riportata nel gruppo e ammonita con grugniti e pugni battuti sul terreno.
È così che parlano, si disse Joyce. Deve essere la loro lingua.
Non aveva mai visto niente di simile. Nei libri aveva letto di popoli che usavano i gesti per parlare e a volte i protagonisti di un’avventura avevano un loro linguaggio segreto per comunicare importanti informazioni con gli altri, ma un’intera lingua era impensabile.
A mano a mano che si avvicinavano alla montagnola, il gruppo di curiosi crebbe di numero fino a formare una folla di qualche centinaio di creature che grugnivano e battevano pugni e piedi sul terreno.
Collare bianco emise una specie di ruggito rivolto alla folla che la fece indietreggiare di qualche passo. Il suo compagno si limitò a scuotere la testa e continuò a camminare.
Gromm scrutava la folla come in segno di sfida e ogni tanto ringhiava contro uno di quelli che si faceva avanti, come a volerlo sfidare.
Quando giunsero ai piedi della montagnola, Gromm le offrì di portarla su, ma Joyce usò la levitazione per raggiungere la cima. Gli altri si arrampicarono con agili balzi e la raggiunsero.
Quando atterrò, venne accolta dai grugniti di quelli che erano già vicini alla piattaforma. Su di questa c’era una creatura dal pelo bianco come il latte, macchiato da qualche chiazza color rosso acceso. Questi le rivolse un’occhiata annoiata.
“Gromm-ku” disse con un borbottio.
Gromm si vece avanti. “Gromm-ga” disse battendo due volte i pugni sul terreno. “Gromm-ga” ripeté rivolgendosi agli altri.
“Gromm-ta” disse la creatura sulla pedana di legno.
È lui il capo? Si domandò Joyce. Di solito il capo siede sul trono o più in alto dei suoi sudditi.
A Valonde non avevano un trono. Quando riceveva i sudditi suo padre stava in piedi in cima a una scalinata e gli altri alla base.
Quella pedana di legno deve essere la loro scalinata, pensò Joyce.
“Troll-ga” disse Gromm indicandola. “Troll-ga.”
“Troll-ga” ripeté il capo. Alzò un braccio verso di lei.
Vuole che mi avvicini? Si chiese Joyce.
“Troll-na” disse Grumm.
Joyce avanzò verso la pedana.
Il capo si sporse in avanti come per guardarla meglio. “Troll-na” disse. “Troll-na.” Guardò Gromm. “Gromm-as”
Gromm batté i pugni con violenza. “Gromm-da. Gromm-da.”
“Gromm-as” ripeté il capo.
“Gromm-as” gli fece eco collare bianco.
“Gromm-as” ripeterono gli altri riuniti attorno alla pedana. “Gromm-as. Gromm-as.”
Gromm li guardò con aria di sfida e scese dalla collinetta.
Joyce lo raggiunse. “Non è andata come speravi vero?”
“Gromm-ur” disse Gromm affranto.
Collare bianco e altri li portarono a una delle grotte scavate nel fianco della parete di roccia. Corone di fiori color viola e arancio decoravano l’entrata formando intrecci delicati e complessi.
Joyce notò che molte di quelle creature portavano fiori intrecciati tra i capelli. Non indossavano vestiti, anelli e non vide armi.
“Gromm-fa” disse collare bianco indicando l’ingresso della grotta. “Gromm-as” disse a Gromm.
Lui rispose con un grugnito.
Collare bianco ruggì qualcosa e gli voltò le spalle.
L’interno della grotta era buio, ma non ci mise molto ad abituarsi alla penombra perenne in cui era immerso quel posto.
Le pareti erano lisce e decorate con gli stessi fiori dell’ingresso a formare degli ampi arazzi. Non c’erano sedie o mobili e nemmeno un letto. C’erano un focolare delimitato da un cerchio di pietre e un giaciglio di fiori e foglie di coloro rosso e giallo.
“Gromm-as” disse Gromm indicandolo con un gesto.
Joyce si guardò attorno. “Immagino di dover rimanere qui, non è vero?”
“Gromm-as.”
“Non posso restare qui a lungo” disse sperando che potesse capirla. “Ho degli amici che mi aspettano. Confidano in me per salvarsi e moriranno se non torno da loro.”
“Gromm-as” si limitò a rispondere.
Joyce sospirò.
Gromm andò via. Due suoi simili si piazzarono di fronte all’ingresso, seduti su grossi massi squadrati. Una sola volta Joyce si avvicinò alla soglia della grotta e mise un piede fuori. Uno dei due scattò in piedi e si mise di fronte a lei.
Joyce balzò indietro.
Anche se enorme, la creatura era agile. E aveva un buon udito.
Forse riuscirei a passare se usassi l’invisibilità, si disse. Ma sarebbe una buona idea?
Anche fuggendo da lì non sapeva dove andare. L’unica via d’uscita era chiusa da una porta di metallo che nemmeno usando la forza straordinaria sarebbe mai riuscita a spostare.
E se anche ci fosse riuscita, oltre di essa c’erano orde di ragni famelici ad attenderla.
Doveva restare lì e riposarsi prima di fare qualsiasi cosa. E magari guadagnarsi la fiducia di quelle creature rispettando le loro regole.
Sedette sul giaciglio di fiori e foglie. Era comodo e profumato e sembrava pulito. La grotta le ricordava quelle degli urgar.
Non sono tanto diversi da noi, si disse mentre fissava il soffitto. Parlano, anche se non ho idea di cosa si dicono e non sembrano selvaggi. Non mi hanno uccisa. Per il momento. Quanto tempo ci vorrebbe per imparare il loro linguaggio e spiegare cosa mi è successo? Troppo.
C’erano altre domande che si faceva. Era chiaro che Gromm non era un nome, ma una frase che usavano per descrivere qualcosa.
Gromm.
Decise di chiamarli in quel modo.
Però ora doveva trovare un nome per indicare il suo amico.
Posso chiamarlo amico? Si chiese. Un gigante dal pelo color grigio? E perché no?
Nel Signore degli Arcobaleni, l’eroe Belben faceva amicizia con un unicorno parlante, anche se poi scopriva che l’animale era in realtà una principessa imprigionata in quella forma dall’incantesimo di un mago malvagio.
Forse anche Gromm era un bel principe intrappolato dall’incantesimo di Urazma in quella forma? Si chiese divertita. In questo caso lo chiamerò Belben.
Stava per assopirsi quando il Gromm si affacciò all’ingresso.
“Gromm-ha?” chiese.
Joyce si alzò. “Sveglia ma riposata. E affamata.” Si massaggiò la pancia.
Sperò che abbiano anche loro lo stomaco, si disse divertita.
Belben sembrò capire quel gesto. “Gromm-or” disse.
Lasciò la caverna e quando fece ritorno aveva un cesto tra le braccia. Lo poggiò a terra e lo mostrò a Joyce.
Al suo interno c’erano ortaggi di colore verde scuro e rosso cupo, insieme alle solite foglie rosse e gialle. Joyce ne prese uno di colore arancione e cercò di morderlo. La buccia era dura ma dalla polpa morbida e filacciosa.
Lo mangiò per pura cortesia, ma ne avrebbe fatto anche a meno.
Scelse un frutto dolce ma duro da masticare insieme a una sorta di panetto lievitato che sembrava raffermo. Dopo un po’ si sentì sazia ma non soddisfatta.
“Gromm-or” disse Belben mettendo da parte il cesto.
Joyce annuì. “Devo andare via di qui.”
“Gromm-as.”
“Sono prigioniera, lo so, ma devo andare via. È importante.”
“Gromm-as.”
Joyce sospirò.
“È stato un errore venire qui” disse affranta. “Halux aveva ragione. Dovevamo lasciare in pace il santuario di Urazma e andare a nord.”
Belben scattò in piedi e ringhiò.
“Che hai?”
“Gromm-en” ruggì. “Gromm-en.”
“È qualcosa che ho detto?” fece Joyce spaventata.
Cosa posso aver detto che lo ha fatto arrabbiare?
Belben sembrò calmarsi.
Devo scoprire che cosa lo spaventa così tanto, si disse.
“Santuario?”
Belben la guardò accigliato.
“Halux?”
“Gomm-ha.”
“Urazma.”
Belben scattò di nuovo in piedi.
Joyce gli fece cenno di stare calmo. “D’accordo, ho capito. Che c’è di così terribile in quel nome?”
“Ur-az” disse. “Ur-az” ripeté scuotendo la testa e battendo i piedi a terra.
“Che ha di così terribile?”
Belben sedette in un angolo. “Gromm-ur. Gromm-ur.”
Joyce cercò le parole adatte. “Ascolta. Ho bisogno di sapere tutto quello che è utile su Urazma.”
“Ur-az” gemette Belben.
“Capisco che ti faccia star male anche solo sentire il suo nome, ma ne ho bisogno. È importante.”
Belben distolse lo sguardo.
“Per favore” fece Joyce.
Belben si alzò e guadagnò l’uscita. “Gromm-as” le disse mentre si allontanava.
Joyce rimase in attesa nella grotta. Il tempo passò senza sapere se fosse notte o giorno. A un certo punto la luce proveniente dall’alto si attenuò lasciando nell’oscurità la valle.
Belben si presentò davanti all’ingresso. “Gromm-av” le disse con tono perentorio.
“Gromm-as” disse uno dei gromm di guardia.
“Gromm-av” ripeté Belben a muso duro.
Il gromm si fece da parte.
“Gromm-av” le disse Belben facendole un gesto con la mano.
Joyce lo raggiunse fuori dalla grotta.

Prossimo Capitolo Giovedì 31 Ottobre (eh sì, siccome è la vigilia di Ognissanti sarà una puntata paurosa, quindi siete avvertiti).
  
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