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Autore: Sacchan_    15/11/2019    0 recensioni
La vita è fatta di probabilità che si possono avverare o meno, il rischio fa parte di essa e lui questo pericolo l'ha sfidato innumerevoli volte, vincendo sempre contro la sorte.
[DazaixAtsushi -molto implicito-] [3613 parole]
[Partecipa al contest "Storie racchiuse tra le pagine di un libro" indetto da AleDic sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Atsushi Nakajima, Osamu Dazai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest "Storie racchiuse tra le pagine di un libro" indetto da AleDic sul forum di EFP.
Pacchetto: The Infernal Devices
Citazione: Preferirei che mi dicessi la verità, tutta la verità, per quanto amara o spaventosa, in modo da poterla condividere con te.
Situazione: A ha un segreto che non può confessare a nessuno.
Introduzione: La vita è fatta di probabilità che si possono avverare o meno, il rischio fa parte di essa e lui questo pericolo l'ha sfidato innumerevoli volte, vincendo sempre contro la sorte.

[DazaixAtsushi -molto implicito-] [3613 parole]




-Probabilità-

All'agenzia dei Detective Armati le giornate sono sempre o troppo frenetiche o troppo tranquille; non esiste via di mezzo, questa è la prima cosa che Atsushi ha imparato dopo neanche un mese dalla sua assunzione. Fortunatamente in quel momento è la seconda categoria a prevalere, il che rincuora il giovane dato che può concedersi al lavoro d'ufficio e terminare i rapporti lasciati in sospeso.
Una volta finiti sbatte il plico di fogli sulla scrivania, per procedere a pinzarli, ed è lì che la persona che gli siede di fronte attira la sua attenzione. La postura del signor Dazai, quando è seduto, è spesso scorretta ed esprime tutta la sua svogliatezza, nemmeno in quella posizione passa inosservato; è solo fortunato che il signor Kunikida non sia lì per prenderlo a calci e gridargli contro.
Atsushi vorrebbe ignorarlo e finire di archiviare i suoi rapporti, così potrebbe essere libero di tornarsene a casa, tuttavia non riesce a smettere di guardarlo: sono forse gli occhi chiusi o le labbra distese, oppure le mani poggiate sotto il mento per reggere il viso ad attirarne l'attenzione?
Il ragazzo pensa che sicuramente sta sonnecchiando e si prende giusto un paio di secondi per studiare da vicino il suo superiore; Dazai ha la pelle olivastra, i capelli castano scuro e indossa sempre un trench color sabbia, ciò che fa da contrasto a quella gamma di colori sono le bende bianche che spuntano da sotto i polsini della camicia, proprio queste attirano l'attenzione più del dovuto.
In effetti, la seconda cosa che Atsushi ha imparato di questa Agenzia così particolare è che il suo superiore è fonte di enigmi e misteri, dallo scoprire il suo precedente impiego a capire il perché indossa sempre delle bende a contatto con la pelle.
"Mmm, c'è qualcosa che non va?"
Atsushi sobbalza appena rendendosi conto che ora gli occhi di Dazai sono svegli, vigili e stanno puntando proprio a lui.
"Ehm, no... solo che mi stavo domandando..." Farnetica nel tentativo di guadagnare inutile tempo.
Il suo superiore lo sta solo osservando, nemmeno con tanto interesse, ma lo stesso si sente in soggezione.
"Perché indossa sempre quelle bende?" Domanda con una punta di apprensione nella lingua, alla fine non è riuscito a stare zitto.
Dazai non risponde, non subito; muove gli occhi fino ai polsi, poi di nuovo al ragazzo davanti a sé. Quando Atsushi lo vede sorridere tranquillo capisce che era davvero meglio se rimaneva in silenzio.
"Vuoi guardare tu di persona cosa c'è sotto queste?" Pronuncia malizioso e allungando un braccio tendendo una mano, la schiena di Atsushi si protrae all'indietro sbattendo contro lo schienale della sedia.
"No, io... sa che non farei mai una cosa del genere!" Farfuglia agitato e rosso in viso; gesticolando con le mani rischia di creare confusione tra i rapporti che finalmente è riuscito a mettere in ordine, mentre le spalle di Dazai tornano a raddrizzarsi attente.
"E io non te lo lascerei mai fare, tranquillo." Mormora  facendo sì che Atsushi si quieti. "Non c'è molto da scoprire. Sotto queste bende c'è solo pelle, no?"
La conversazione tra i due cade così, con il nullafacente cronico dell'Agenzia che si addormenta tra uno sbadiglio e un altro e un senso d'inquietudine instillato nel più giovane. Che modo poteva essere, quello, di liquidare un discorso? Probabilmente ha chiesto qualcosa di sbagliato, pensa Atsushi mortificato. Dopotutto lui è soltanto un nuovo arrivato nell'Agenzia e, per quanto sia stato accolto bene, ancora non conosce affatto nessuno dei suoi colleghi, tantomeno il signor Dazai che l'ha salvato dalla morte, dalla fame, dall'oblio.
Vorrebbe persino chiedergli scusa per la sua audacia, ma è il signor Kunikida a interromperlo facendo irruzione nella stanza e sbraitando contro il nullafacente cronico. Tutto ciò che Atsushi riesce a capire è solo che un nuovo caso da risolvere si prospetta all'orizzonte e, come un copione che si ripete ogni volta, anche lui ci casca nel mezzo.
Non più di un'ora dopo si ritrova a vagare ai confini della città per raggiungere il luogo indicato, trascinandosi dietro un Dazai più svogliato che mai.
Sotto i ponti di Yokohama passano diversi canali, soprattutto la zona portuale ne è piena, dato che poi sfociano nell'oceano Pacifico, ed è già pomeriggio inoltrato quando Atsushi e Dazai ne percorrono uno, dirigendosi verso l'area della prossima indagine: un magazzino situato in una baia desolata, immersa nelle campagne appena fuori città, dove alcuni trafficanti pare stiano nascondendo armi dalle grosse dimensioni e quantità.
Sono persino in ritardo sulla tabella di marcia, ma Atsushi non ne ha colpa: piuttosto è proprio il suo partner il motivo di quel rallentamento.
All'ennesimo verso di gioia il ragazzo si volta stizzito schioccando uno sguardo seccato e ascoltando l'ultimo sproloquio senza senso.
"Hai visto Atsushi-kun? L'acqua è così chiara e limpida qui, neanche sembra un canale artificiale! Secondo te quanto è profonda? Per scoprirlo immagino che dovrò saltare!"
Lo avrebbe davvero fatto se il suo subordinato non gli avesse impedito di scavalcare la balaustra, trascinandolo di forza nella direzione opposta.
"Insomma, signor Dazai! Mi sta solo rallentando! Questo caso era affidato a lei prima che Kunikida mi obbligasse a seguirla!" Si lamenta inutilmente il più giovane.
Naturalmente l'altro uomo neanche lo sta minimamente ascoltando, piuttosto vaga a destra e a sinistra importunando giovani donne o signore, quelle poche che ancora passeggiano per la strada dirigendosi ignare verso casa.
Atsushi non ci vede più e lo afferra per la cintura dell'impermeabile, evitando così un contatto diretto che gli sarebbe fatale -ha imparato sulla sua pelle che l'Abilità No Longer Human è perennemente attivata e basta il solo tocco fisico per scatenarla-, trascinandolo via da quel ponte. 
Costi quel che costi avrebbero raggiunto il luogo d'indagine senza altri intoppi, il giovane detective non decelera nemmeno quando lo ascolta farfugliare incomprensibili probabilità sul verificarsi o meno di certi eventi. Lui è ancora giovane e inesperto, non ha il modo di approcciarsi ai casi da risolvere come farebbe lo stesso Dazai o Kunikida, non riesce a estorcere informazioni in modo sincero come farebbe Kenji, nemmeno è in grado d'intuire tutto al primo colpo come il signor Rampo, eppure il suo senso del dovere gli impone di non lasciar perdere.
Ha bisogno d'imparare e fare esperienza sul campo, per farla è disposto anche ad affrontare faccia a faccia quella gang di trafficanti di armi e farsi del male.
Convinto dalle parole di Kunikida, cose come queste sono solo piccolezze per noi dell'Agenzia, e aiutato dalle provocanti battute del signor Dazai, che pare avere un talento innato per irritare i propri nemici e commettere passi falsi, sconfiggere quei uomini armati si rivela fortunatamente cosa di poco conto, se non per una piccola complicanza in più.
"Dazai-san!" Grida allarmato Atsushi mentre tenendosi un fianco gli corre incontro. La missione è compiuta, ovviamente anche la banda di trafficanti di armi è stata messa al tappeto, ma chi l'avrebbe detto che tra di loro c'era un utilizzatore di Abilità capace di manovrare dispositivi infiammabili?
Le informazioni ricevute non menzionavano nessuno del genere.
Dazai era riuscito a catturarlo, annullando la sua capacità, però non era riuscito a impedire un'esplosione. Nonostante la deflagrazione di dimensioni ridotti lo spostamento d'aria fece balzare via sia lui che Atsushi, quando quest'ultimo riaprì gli occhi si trovò i vestiti bruciacchiati in alcuni punti e una ferita non tanto profonda e grave sul fianco destro.
Allora si era alzato in piedi e, usando la vista della tigre, individuò il suo superiore in mezzo alla nube di cenere per corrergli incontro.
"Dazai-san!" Ripete più forte e finalmente la nube si dipana.
Può appurare di persona che Dazai sta bene, è in piedi e al massimo ha il viso, i vestiti e i capelli un po' sporchi di fuliggine. Tuttavia è immobile e osserva assorto il suo braccio piegato verso di sé, ai suoi piedi l'uomo che ha causato quello scoppio è svenuto supino.
Se Atsushi prima è sollevato nel vedere il suo superiore stare bene, subito dopo si rabbuia preoccupato: una delle maniche dell'impermeabile color sabbia è completamente andata, insieme alle bende che o sono bruciate o stanno penzolando sciolte.
Ciò che preoccupa maggiormente il nuovo arrivato dell'Agenzia è la condizione di quel braccio: ci sono tagli sul polso, tante cicatrici profonde e regolari, sbiancate dal tempo; ci sono bruciature ormai diventate cheloidi; sono presenti solchi di varie dimensioni, simili a buchi, forse colpi di pistola? Atsushi si paralizza sul posto e solo allora Dazai abbassa il braccio, nascondendolo contro il fianco.
"Ah, meno male che stai bene, Atsushi-kun. Fortunatamente l'esplosione non è stata esagerata, e tu eri già abbastanza lontano."
Ma Atsushi non gli presta ascolto, piuttosto continua a boccheggiare spaventato.
"Dazai-san, quelle..." Le indica terrorizzato.
Vede l'espressione di Dazai mutare, passare da tranquilla a seria, quasi infastidita.
"Te l'ho già detto, è solo pelle. Sono ferite vecchie, del passato."
Atsushi non è convinto; così è troppo sbagliato, non voleva scoprire cosa Dazai celava sotto quelle bende in questo modo...
"Ma..."
Se il suo braccio è ridotto in quello stato, allora in che condizioni è il suo corpo?
La mano di Dazai, quella ancora sana perché protetta dalle bende, gli accarezza i capelli fino ad arruffarglieli; si tratta di un tocco così leggero dal quale Atsushi non potrebbe sottarsi nemmeno volendo, nonostante il cuore ancora palpita per l'agitazione. Lo avverte esplodere nella cassa toracica assieme al ritorno di quella sensazione di malessere provata qualche ora prima, in ufficio, per aver domandato qualcosa che non avrebbe dovuto chiedere.
Sotto quelle bende non c'è solo pelle, ma un'intera storia dietro che probabilmente non scoprirà perché mai gli verrà raccontata.
"Non c'è nulla di cui spaventarsi." Lo calma Dazai con voce lenta e rilassata. "Sapevo che poteva accadere, che esisteva una probabilità che accadesse, non è nulla di cui tu debba angustiarti così tanto."
Tuttavia Atsushi scaccia via quella mano focalizzandosi sull'opposta, le sue dita si muovono automatiche verso i lembi più esterni della sua camicia, strappandola a partire dall'orlo e ricavandone così dei fogli di stoffa di dimensioni lunghe e rettangolari. Non gli concede nemmeno il tempo di reagire che già si è avventato su quel braccio, massacrato dal tempo, usando le bende provvisorie per sostituire quelle andate bruciate.
"Per favore non lo faccia più." Grida con la gola strozzata mentre drappeggia quei pezzi di stoffa attorno al braccio di Dazai, toccandone così le cicatrici, gli ematomi e le bruciature. "Io posso guarire grazie alla mia Abilità, e anche tutti gli altri basta che passino sotto le cure di Yosano, ma lei... lei..."
Non riesce nemmeno a concludere la frase che già le lacrime si manifestano a lucidargli gli occhi, con le mani tremanti si sta persino rendendo conto dello scempio che sta compiendo: un groviglio di stoffe intrecciate a caso e forse strette in malo modo, ma il suo superiore non ha opposto resistenza, anzi lo ha lasciato fare.
Anche se lui non ha alcuna esperienza su come si trattano delle ferite, o su come si realizzano delle fasciature, Dazai non ha opposto resistenza; forse è stato proprio questo arrendersi ad aiutare Atsushi a calmarsi, forse così facendo lo ha reso utile. Al contrario suo Dazai è sempre stato bravo capirlo.
"Va meglio?" Gli domanda dopo un po', quando le mani del suo subordinato si allontanano dal proprio arto avendo terminato il lavoro.
"Sì, io... mi dispiace. Non dovevo permettermi, ma davvero cerchi di avere cura di sé."
Dazai si tocca il braccio che fino a qualche minuto prima era esposto alla vista altrui, sistemando meglio la bizzarra fasciatura che Atsushi ha realizzato per lui.
"Avevo calcolato ogni probabilità di uscire indenne dall'esplosione, questo è stato solo un piccolo incidente di percorso. Perciò, davvero, non preoccuparti più. Piuttosto ora dovremmo metterci in contatto con Kunikida, non credi?"
Atsushi avverte la sua mente tornare con in piedi per terra: hanno messo ko il loro obbiettivo, il loro elemento più pericoloso giace a pochi metri da loro ancora privo di sensi, ma non è ancora finita. Immediatamente tira fuori il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni per telefonare a Kunikida, avvertirlo di quanto successo e prendere nuove istruzioni su come muoversi. A telefonata conclusa si mette in contatto anche con la polizia locale per mandare immediatamente una pattuglia sul posto. Dato che è coinvolto anche un utilizzatore di Abilità da considerarsi pericoloso forse è meglio prendere contatti anche con la Divisione per le Abilità Speciali gestita dal governo? Tutto questo lo manda in confusione e in crisi, il signor Dazai nemmeno lo sta aiutando, dato che non lo ha sentito fiatare per tutta la durata delle sue telefonate, solo quando mette via il cellulare capisce perché. Di lui non c'è più traccia, è sparito nel nulla come da solo sa fare.
Lo ha lasciato a gestire tutte le scartoffie burocratiche del caso, se l'è data a gambe per evitare tutte le seccature.
Però lo ha fatto senza dire una battuta, una parola di scherno, qualsiasi cosa d'irritante tipico da lui; se fosse stata un'altra situazione, Atsushi avrebbe sospirato desolato e  avrebbe lasciato perdere, ma stavolta non è così.
Perché si sente in colpa di aver fatto cose che non doveva fare, di aver detto cose che non doveva dire. Sa benissimo che non è prevalentemente colpa sua, che ci si è ritrovato nel mezzo senza volerlo, se ne rende conto, ma il senso di inquietudine non vuole lasciarlo stare.
Come si sarà sentito il signor Dazai dopo che la sua pelle è stata mostrata in quel modo? Se è scappato lo ha fatto proprio per evitare lui? Per non dovergli dare spiegazioni?
Da affiliato dell'Agenzia decide di aspettare l'arrivo delle autorità, ma una volta che queste se ne saranno andate nulla gli può vietare di andarlo a cercare; il rapporto giornaliero può attendere, le sue futili scuse no.
Una volta liberatosi da tutte queste formalità può constatare che il sole è basso nel cielo, che l'azzurro si sta già tingendo di rosso, che la fine della giornata sta per arrivare e che non ha la minima idea di dove il signor Dazai possa essersi andato a cacciare.
Allora si affida al suo istinto, quello dell'animale dentro di lui, si allontana accompagnato dal vento che soffia. Le sue gambe lo portano verso le campagne, luoghi silenziosi e solitari, parte alla ricerca raggiungendo un passaggio a livello dove le assi delle rotaie sono vecchie e arrugginite. Si mette a seguirle con attenzione, qualcosa gli dice che saranno di aiuto, in lontananza si vedono locomotive viaggiare e lasciare la città per dirigersi altrove. Atsushi sospira udendone il suono.
Il fischio del treno è un sibilo ovattato in lontananza che piano piano si avvicina o si allontana sempre più.
Davanti a Dazai ci sono solo le campagne distese della periferia di Yokohama, disturbate da una linea ferroviaria che si protrae fino all'infinito in entrambe le direzioni.
Il cielo rosso segna come il disco solare stia ormai per scomparire lasciando dietro di sé un raggio verde; l'uomo sospira, poi si riempe i polmoni di quell'aria di campagna, non più soffocata dallo smog cittadino.
Certi scenari lo aiutano a staccare, a ripercorrere i suoi anni nella Port Mafia e a quello che è diventato dopo, quando ha deciso di aderire come detective per l'Agenzia di Fukuzawa.
Analizza ogni singola cosa successa, dalla più piccola fino alla più odierna.
Ha abbandonato Atsushi senza dirgli nulla, neanche una pacca sulle spalle per l'ottimo lavoro svolto, desiderava solo di poter stare in solitudine. Non ha mentito dicendo che sono ferite del passato, ma il passato è lì; non si cancella. Quelle ferite esistono proprio per ricordarglielo.
Nel momento in cui riapre gli occhi lo stridio del treno pare essersi fatto ancora più vicino; allora toglie le mani dalle tasche del suo impermeabile, le lascia scivolare ai fianchi e muove un passo in avanti.
La vita è fatta di probabilità che si possono avverare o meno, il rischio fa parte di essa e lui questo pericolo l'ha sfidato innumerevoli volte, vincendo sempre contro la sorte.
Ma mentre sta per compiere il secondo passo un violento strattone lo riporta indietro: la mano guantata del suo nuovo subordinato lo sta trattenendo dalla cintura del suo trench, mentre i suoi occhi lo guardano con un misto di preoccupazione e di terrore. Ha le guance rosse e il viso leggermente sudato; da quanto tempo lo sta cercando? Sicuramente da tanto, da quando si sono separati dopo aver sconfitto quel gruppo di trafficanti. Deve ammettere a se stesso di aver perso la cognizione del tempo dopo essersi abbandonato ai ricordi.. 
"Dazai-san!" Grida Atsushi con voce affannata. "Che cosa stava facendo? Guardi che Kunikida la sta cercando, vuole che la riporti indietro all'Agenzia."
Dazai sospira: esistono diverse probabilità nella vita, così come quella di essere interrotti o scoperti nel mezzo di qualcosa.  
"Ah, Atsushi-kun... Finalmente sei arrivato." 
Fa di nuovo un passo, stavolta non avanti ma indietro.
Atsushi tira un sospiro di sollievo vedendolo allontanarsi di sua spontanea volontà dalle strisce di acciaio del binario, tuttavia ancora non comprende: finalmente?
Cosa significa finalmente?
La locomotiva sfreccia dietro di loro alzando un gran polverone da terra; l'astro solare nemmeno è più visibile; ora il cielo sta assumendo una sfumatura blu; in direzione di Yokohama iniziano ad accendersi le prime luci della città.
Sulla via del ritorno sono udibili solo i passi che solcano il terreno; la camminata di Atsushi è più corta rispetto a quella del suo superiore, la cosa non lo disturba in quanto gli permette di poterlo tenere d'occhio, sia mai che gli venga la voglia di scappare di nuovo. Nessuno dei due ha più parlato dopo che si sono ritrovati, piuttosto sembra essere calato un silenzio imbarazzante.
Tra i due è Atsushi a fermarsi per primo, incapace di avanzare ancora, nel mentre in cui si ferma Dazai lo imita. A testa bassa il ragazzo valuta se lo ha fatto perché lo ha sentito smettere di camminare o se ha avuto lo stesso pensiero per la testa.
"Dazai-san..."
"Atsushi-kun..."
Nessuno dei due prosegue oltre, lasciando calare soltanto un pesante silenzio. Allora Dazai sorride, prende in mano la situazione e lo incita a parlare con un gesto della mano.
Ma non sa davvero come intavolare il discorso: vuole solo porgergli le sue scuse per quanto successo, al tempo stesso vorrebbe una risposta alla domanda che gli ha posto in ufficio.
"Perché indossa sempre quelle bende?"
Ora lo sa, il perché, tuttavia non è questo che vuole conoscere. Piuttosto si rende conto che sta usando l'oggetto bende come pretesto per conoscere meglio il suo superiore, sperando di entrare più in intimità con lui.
Ma esistono seriamente le parole adatte per chiedere qualcosa di così delicato senza risultare troppo invadente? Atsushi alza le spalle inspirando aria, poi scava nei cassetti della sua memoria qualsiasi cosa che possa tornargli utile. Quando l'ha trovata butta fuori il respiro, sollevando finalmente gli occhi.
"Preferirei che mi dicessi la verità, tutta la verità, per quanto amara o spaventosa, in modo da poterla condividere con te."
Subito dopo averla pronunciata avverte l'imbarazzo colorare le sue guance, insieme a una risatina divertita davanti a sé. L'atmosfera sembra essersi alleggerita un pochino.
"Che frase elaborata, dove l'hai letta?" Gli chiede Dazai dopo aver finito di ridere; nonostante l'impaccio ancora presente Atsushi ora è più rilassato.
"Penso di averglielo detto, ma nel mio orfanotrofio c'era una grande biblioteca. Questa è la frase di un libro che ho letto." Sorride.
Dazai non può fare a meno di riderne ancora. Mette persino in mostra le braccia per coprirsi le labbra, Atsushi può constatare di persona che il buffo bendaggio fatto è ancora lì presente, mentre lui ha decisamente bisogno di una nuova camicia. Ormai è abituato a stracciare a brandelli i suoi vestiti ogni volta che esce in missione, ma stavolta è stato per una buona causa.
"Immagino che ora aspetti una risposta." Risponde finalmente Dazai dopo aver finito di ridere. "Ma, mi dispiace, questa è una cosa che non ti posso dire."
Atsushi apre appena la bocca, ma incapace di dire qualcosa si lascia sopraffare boccheggiando appena.
"Ogni uomo ha un segreto che vuole nascondere." Puntualizza il più grande dei due portando lo sguardo a terra; è in quel momento che il suo subordinato più giovane muove un passo e una mano in avanti, forse con l'intento di raggiungerlo e afferrarlo nuovamente, animato dalla sola intenzione di colmare quella distanza tra loro.
Le sue intenzioni sono sempre buone e sincere, questo Dazai lo sa, eppure parlare di lui vorrebbe dire riaprire un passato ancora troppo doloroso per essere dimenticato. A volte non sempre tirarlo fuori è sinonimo di bene, per un uomo come lui meglio lasciarlo stare sepolto dove si trova.
"Atsushi." Lo chiama usando un tono freddo, non di rimprovero. Assomiglia più a un ordine, l'assenza del suffisso -kun a cui il ragazzo è tanto abituato lo congela sul posto.
"Va bene così." Sono le ultime parole che ascolta provenire dalla sua bocca, dopo di quelle solo il silenzio accompagna i suoi gesti e le sue azioni. Solo tre parole, che in realtà sono sinonimo di "lascia perdere, non continuare."
Le spalle di Atsushi si abbassano, imitando la curva delle labbra; non era questo ciò che voleva, non desiderava mettere a disagio qualcuno, né tantomeno il suo superiore. Voleva solo sapere, ma... andare bene? Come poteva andare bene?
"Come può dire così se poi fa una faccia tanto triste?" Mormora appena, sapendo che si è già allontanato quel tanto che basta perché il suo sussurro non raggiunga orecchie altrui, disperdendosi tra le folate di vento.
Quando arrivano nuovamente agli uffici dell'Agenzia la luna è già alta nel cielo, la notte si è già mostrata e la Port Mafia sicuramente si sta già muovendo nelle tenebre.
 




   
 
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