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Autore: Quebec    19/12/2019    0 recensioni
Netrom Morten, un Bretone Negromante, scopre il cadavere di una donna dissanguata vicino la città di Skingrad. Conoscendo personalmente il Conte Janus Hassildor, spera di trovare il colpevole, ma dietro quella sua curiosità si cela ben altro...
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Conte Hassildor tornò indietro. Uscì nella sala in cui tempo prima vi erano stati i due Goblin intenti a mangiare pezzi di carne bruciata. Non vide nessuno di loro. Così si precipitò verso il punto dove aveva detto a Servin Ondus di aspettare. Superato l'arco roccioso, grazie alla sua vista da Vampiro, vide i resti della piccola schermaglia; sei Goblin e cinque guardie cittadine morte. Ma tra loro, non vi era Servin Ondus.
Schizzi di sangue tappezzavano i muri, mentre il pavimento roccioso era un lago di sangue. Il Conte Hassildor lo percepì, sentì l'odore dolce del sangue umano, e quello acre dei Goblin. 
"Solo un assaggio... Non lo saprà nessuno..." Bisbigliò una voce gutturale nella mente del Conte. 
Scosse la testa, s'infilò nel cunicolo. Quando arrivò davanti alla botola, vide un Goblin con la faccia a terra. Aveva una spada piantata all'altezza della nuca.
Poi un guanto d'acciaio sbucò sotto la botola. "Prendi la mia mano, Conte." Disse una voce che conosceva, la voce di Servin Ondus.
"Non mi serve." Il Conte Hassildor si arrampicò sulla nuda pietra veloce come un gatto, ritrovandosi nel giardino abbandonato. Era circondato da venti guardie cittadine che impugnavano spade e mazze d'acciaio. Sui loro visi accigliati e duri, il Conte Vampiro percepì l'odore della paura.
"Conte." Disse Servin Ondus. "Mi sono permesso di chiamare rinforzi per cercarla. Quando i Goblin ci hanno attaccato nell'oscurità, non sapevo se..."
"...Fossi morto?" Rispose il Conte Hassildor. "Non mi hanno visto."
"Pensavo che..."
"Non ha importanza." Nei glaciali occhi rosso sangue del Conte Vampiro vi era rabbia. "Ma ditemi, come hanno fatto a scoprirvi?" 
Servin Ondus abbassò gli occhi per la vergogna. "Siete sparito per un bel po', Conte. Sospettavo che... Pensavo che qualcuno vi avesse preso... Pensavo a comuni banditi, non a..."
"Goblin?" Lo interruppe il Conte. "Vi ho ordinato di mantenere la posizione, e voi mi avete disubbidito. In più, qualcosa mi dice che siete scappati a gambe levate, lasciando i vostri uomini a morire."
"Ma..." Servin Ondus rimase esterrefatto e intimorito dalle parole veritiere del Conte Hassildor. "Come fa a saperlo? Ha assistito alla battaglia?" Pensò.
"Guardie!" Tuonò il Conte Hassildor.
Due uomini alti e possenti si fecero avanti, accostandosi lateralmente a Servin Ondus che li guardò confuso.
"Avete disubbidito a un mio ordine. Avete lasciato morire i vostri uomini mentre voi vi siete messi in salvo come un codardo. Perciò, vi confino nelle segrete. Così avrete modo di pensare al vostro comportamento."
I due uomini afferrarono per l'avambraccio il loro capitano, mentre egli guardò il Conte Hassildor senza dire una parola.


 
*****


L'uomo pallido si mise seduto sul suo alto scranno di pietra, che era su una piattaforma scavata nella roccia. Un tempo, dietro lo schienale, vi era intagliata la Dea Mephala con le braccia aperte in un abbraccio, quattro zampe di ragno che uscivano da dietro la schiena e una corona a mo' di ragnatela spiccava alta sulla sua testa ovale, dagli occhi severi e malefici. Ora di quella potente e contorta figura, rimaneva solo la testa, un braccio e due zampe da ragno. Lo scranno non apparteneva a quel luogo miserabile, ma a un lussuosa e tenebrosa villa che si ergeva su una ripida roccia costiera, avvolta tutto l'anno da una fitta nebbia.
"Conte Clavis." Disse l'uomo pallido voltandosi verso l'uomo. "Siedi accanto a me."
Un figlio della progenie si precipitò a portare una sgabello vicino all'alto scranno. Il Conte Clavis si sedette, rivolgendo la parola al Patriarca. "Riguardo alla mia villa... Non ricordo cosa sia successo... Voglio dire, ricordo di aver ucciso l'assassino di mia figlia. Ma..." Il Conte Clavis si sforzò di ricordare. "Non ricordo altro..."
"Non è il momento." Tagliò corto l'uomo pallido. Poi rivolgendosi a una delle sue progenie disse: "Fatelo entrare."
Il figlio delle progenie svanì silente nella penombra della sala. Poi comparve subito dopo alle spalle dell'Elfo Scuro. Il figlio della progenie chinò leggermente la testa, e scomparve nuovamente nella penombra, mentre i suoi occhi rossi rimasero vigili sull'Elfo Scuro.
Quando il Mer vide il Conte Clavis seduto accanto al Patriarca, corrugò la fronte perplesso. 
"Un eccellente lavoro!" Esordì il Patriarca. "I miei tre figli adottivi mi hanno detto tutto. Avete rispettato il patto, e avete sacrificato i vostri uomini per un bene più grande." L'Elfo Scuro non tolse gli occhi di dosso dal Conte Clavis, mentre il Patriarca parlava. "So quanto eri legato ai vostri uomini. Eravate un'allegra combriccola di ammazza-vampiri, ma spesso il denaro unisce e divide la gente. I Divini lo sanno, Mephala più di tutti."
Confuso dalle sue parole, il Conte Clavis lanciò un occhiata veloce al Patriarca.
Un secondo figlio della progenie comparve dalla penombra. In una mano aveva un sacchetto di monete e nell'altra un sacchetto pieno di gemme preziose. Le posò ai piedi del Mer, poi tornò quasi strisciando nella penombra. Altri due occhi rossi si accesero nelle tenebre, vigilando sull'Elfo Scuro.
Il Patriarca indicò con un dito pallido i due sacchetti. "La tua ricompensa."
"Hai ucciso i tuoi uomini?" Domandò il Conte Clavis all'Elfo Scuro.
Il Mer si accigliò, mentre il Patriarca rimase impassibile, apatico, ma in ascolto.
"Non è affar tuo." Rispose l'Elfo Scuro serrando la mascella.
"Avevamo un patto."
L'uomo pallido smorzò un mezzo sorriso.
"Infatti. Avevamo. Pensavi davvero che due uomini potessero far rivoltare Skingrad dal nulla?" Domandò l'Elfo Scuro cercando di restare tranquillo. "Io sono leale solo al denaro e al miglior offerente."
"Dovevi avvicinarti al Conte Hassildor." Rispose il Conte Clavis sforzandosi più che poté per ricordare il motivo, anche se i suoi pensieri erano come avvolti da una nebbia. "La rivolta doveva essere un diversivo per avvicinarlo."
Quando l'uomo pallido udì quel nome, il suo corpo si mosse a disagio sull'alto scranno come se fosse improvvisamente troppo scomodo. "Skingrad è in tumulto." Disse ai due. Poi voltò la testa verso il Conte Clavis. "Non ha ucciso i suoi uomini, non di suo pugno. I miei tre figli adottivi se ne sono occupati. Una morte violenta, mi hanno riferito. Era quello che serviva per scuotere Skingrad. Ora la città è preda di criminali, usurai e trafficanti. Qualcosa che i cittadini di Skingrad pensavano non esistesse, almeno non nella loro città." Girò la testa sul Mer. "Prendi la tua ricompensa, ma lascia un dono di sangue alla mia progenie."
L'Elfo Scuro serrò gli occhi. "Dono di sangue?"
"Tagliati un polso, e lascia fluire il tuo sangue nell'ampolla."
Un figlio della progenie scattò in avanti come un fantasma consegnando un ampolla nella mano del Mer.
Alzandosi dallo scranno, il Patriarca sfoderò un pugnale Daedrico, scese la piattaforma e arrivò davanti all'Elfo Scuro con il pugnale proteso dalla parte del manico.
L'Elfo Scuro l'afferrò e fissò per un attimo il pugnale. Poi guardò il Patriarca dal volto apatico e infossato, e si tagliò un polso, facendo gocciolare il sangue nell'ampolla. 
L'uomo pallido lo guardò dritto in faccia, senza mai distogliere lo sguardo, nemmeno davanti al sangue scarlatto che andava lentamente riempendo la fiala. 
Il Conte Clavis rimase intimorito e affascinato da quello che stava accadendo.
"Può bastare." Disse l'uomo pallido, appoggiando una mano fredda sul polso insanguinato. 
L'Elfo Scuro ritrasse improvvisamente il polso dalle dita fredde del Patriarca, mettendosi sulla difensiva e guardandosi intorno.
"Rilassati." Aggiunse l'uomo pallido. "Dammi il polso, o continuerai a sanguinare."
"So medicarmi."
"Le comuni cure non hanno effetto sulla ferita inferte dalla mia lama."
Il Mer corrugò la fronte.
"Su, dammi la mano."
La ferita sul polso adesso, grondava sangue come un arteria lacerata. Dalle sue dita cadevano fiumi di sangue che si riversavano sul pavimento roccioso, il cui riverbero s'infrangeva sui muri avvolti dall'oscurità. L'Elfo Scuro allungò il polso. L'uomo pallido glielo avvolse. Dalla sua mano una luce violacea si espanse per un attimo come un lampo. Poi svanì. Della ferita, non vi era nessuna traccia, nemmeno una cicatrice. 
Incredulo, il Mer si guardò dapprima il punto dove vi era stata la ferita, poi l'uomo pallido.
"Il patto è stato rispettato" concluse l'uomo pallido prendendo l'ampolla di sangue dalla mano del Mer.
"Ma..." Disse il Conte Clavis alzandosi dallo sgabello.  Si sentiva la testa sempre più pesante e non capiva perché. "Serve a..."
"No." Lo interruppe l'uomo pallido. "Questo sangue non è per me o per la mia progenie. E' per Mephala."


 
 
*****


Tulvus ravvivò il fuoco che andava lentamente morendo. Huck dormiva, russando non poco. Fredor andò a sedersi a ridosso del focolare, guardando Tulvus spostare con un bastone i ciocchi mezzi carbonizzati. 
"Marliel, dico..." Disse Fredor. "Lei sa farlo, dico..."
"Cosa?" Rispose Tulvus continuando a muovere i ceppi.
"Quello che fai tu, dico..."
"Va bene."
"Sei un guerriero, dico..?"
"No. Un cacciatore."
"Hmm..." Fredor lanciò un rapida occhiata alla sua zappa che era contro il muro di legno dell'entrata. "Anche io, dico..."
Tulvus rise per un attimo.
"Perché ridi, dico..?"
"Non ridevo."
"Si, dico..."
Tulvus si alzò, appoggiò il bastone dalla punta annerita dal fuoco contro la parete del focolare e si sedette su uno sgabello rustico accanto a Fredor. "Chi è Mariliel?"
"Mia figlia, dico..."
"E dov'è?" Tulvus guardò Fredor. "E' morta?"
"No, dico..." Fredor abbassò gli occhi sulle fiamme. "Non lo so, dico..."
"Be', allora dovresti tornare da dove sei venuto."
Fredor si alzò dallo sgabello, mentre Tulvus lo guardò confuso. 
"Cosa fai?" Domandò Tulvus.
Fredor si voltò. "Torno da dove sono venuto, dico..."
"Dai, siediti. Non dicevo sul serio."
"Devo andare da Mariliel, dico..."
"La cercheremo. Te lo prometto."
Fredor si sedette.

Tulvus non capiva perché stava aiutando un vecchio decrepito. Per compassione? Bontà d'animo? Non lo sapeva. Allora pensò a suo padre, al vecchio ubriacone che picchiava la madre senza motivo. Veniva ubriaco dalla locanda e la picchiava, ancora, ancora e ancora, finché un giorno, avendo alzato il gomito più del solito, non la uccise. Non ricordò mai di averlo fatto, o forse mentiva per aver salva la vita. Disse alle guardie di averla trovata così, e che aveva dormito fuori, ma non ricordava dove. Disse loro che aveva un amante, che in realtà non esisteva. Incolpò quest'ultimo per la morte di sua moglie. Ma Fredor aveva assistito alla scena, nascosto sotto un tavolo, tremante per la paura e con il viso fradicio dalle lacrime. Sapeva che era stato suo padre ad aver massacrato di botte la madre, ma non disse nulla alla guardia cittadine per non fare la stessa fine. Il padre non fu mai arrestato, e poiché le guardie erano suoi compagni di bevute, non lo misero tra i sospettati. Sospettati che non esistevano, così come l'amante.

Fredor fu lasciato a sé, e il padre non se ne curò. Non avendo una casa e un luogo in cui vivere, iniziò a vivere nei vicoli, mangiando insetti, topi morti e ciò che la gente lasciava nei piatti della locanda del porto. Il proprietario, un uomo anziano che a malapena vedeva a un palmo dal suo naso, lasciava che si nutrisse degli scarti dei clienti. In verità era sua figlia a dirigere la locanda, ma l'uomo anziano era un uomo di buon cuore, forse anche troppo, poiché era rinominato nella città per offrire pasti ai clienti che non avevano soldi per pagarlo. In verità si prendevano gioco di lui, e la figlia lo sapeva. Tulvus crebbe tra la locanda e i vicoli della città, imparando a cacciare i piccioni con la fionda, a catturare i topi con le esche e iniziando persino a compiere piccoli furti. Quando la figlia dell'uomo anziano lo scoprì, sgridò Tulvus e gli offrì un lavoro nella locanda.

Fu questo a salvare Tulvus da una vita criminalità o da tagliaborse, ma non dimenticò mai com'era vivere in mezzo alla merda, al piscio, ignorato da tutti e tutto e sopratutto, a non aver più una madre. Fu anche questo che lo portò ad abbandonare la città, a vivere in mezzo ai boschi, più lontano possibile dalla gente e da suo padre. Inoltre, era un eccellente cacciatore, una dote che l'avrebbe aiutato a sopravvivere in quei infimi boschi tra branchi di lupi, Troll e scorrerie di piccoli Goblin intenti a guerreggiare con altri Clan della zona o a rapinare i carri di vettovaglie di poveri contadini pelle ossa. Si teneva sempre lontano da quei mostriciattoli, poiché erano assai vendicativi. Lo capì quando diedero fuoco alla sua casa sull'albero mentre dormiva. Lo svegliarono le grida di un Goblin avvolto dalle fiamme. Quell'infame creature per dare fuoco alla casa sull'albero, si era cosparso anche lui di pece, credendo che il fuoco non lo prendesse.
Non erano di certo creature intelligenti, ma sapevano essere più astuti di altre razze. Tutto questo solo per un capra che Tulvus aveva rubato loro. Non immaginava di cosa fossero capaci se avesse ucciso uno del loro Clan, cosa che poteva capitare spesso quando si girovagava lontano dalle strade. Non erano abili con le armi, ma avevano un furia e una tenacia che alla lunga sopraffaceva quasi chiunque, eccetto i Minotauri che potevano distruggere un intero covo di Goblin, sopratutto se erano irati. 

Tulvus si salvò e fuggi via il più lontano possibile, finché non arrivò in un fitto bosco. Qui iniziò ha costruire l'attuale casa, dormendo dapprima sopra a un robusto ramo di quercia nascosto tra il fogliame. Era un eccellente rifugio, sopratutto dai leoni di montagna che schizzavano fuori come fantasmi. Ed ora era qui, accanto a Fredor, pensando al perché lo aiutava.


 
*****


Ramstan sollevò il lembo di tenda ed entrò dentro. Mariliel e Brangor lo guardavano seduti attorno a un tavolino.
"Hai fatto?" Disse il Redguard.
"Non è più un prigioniero." Rispose Mariliel.
"Cosa? Mi prendi per il culo?" Ramstan si avvicinò a loro due.
Mariliel si alzò dalla sedia. Guardò dritto negli occhi il Redguard. "Non c'entra niente con i taglialegna." Poi si piegò a liberare dalle catene le caviglie di Brangor.
Ramstan si lisciò il mento con fare nervoso. "Libero, eh? Mi dici di liberarlo..."
"Cosa non hai capito della frase?" Mariliel si alzò in piedi.
Il Redguard iniziò a fare avanti e indietro, lanciando sguardi torvi a Brangor.
"Smettila di muoverti."
Ramstan sguainò la sciabola. "Lo ami?" Gli occhi si impregnarono di lacrime e di un rossore che non presagiva nulla di buono.
Brangor balzò in piedi, facendo cadere la sedia a terra. Era pronto a fuggire via se il Redguard lo avesse aggredito.
"Calmati, va bene?"
"Sono calmo!"
"Rinfodera l'arma."
"Rispondimi! Lo ami?" Ramstan strinse l'elsa della sciabola per il nervoso.
"Prima rinfodera la sciabola."
Ramstan abbassò la lama, ma i suoi occhi iniettati di puro odio non si staccavano di Brangor.
"Nella fodera." Mariliel si avvicinò a lui con aria di sfida.
Ramstan serrò la mascella e ubbidì.
"Perché pensi che amo quel..." Mariliel si voltò verso Brangor. "...Quel caprone?"
"Dimmelo tu."
"Io non amo ne te, ne lui." La faccia di Mariliel era un palmo dal naso del Redguard. "Se sei così disperato d'amore, perché non ti monti uno dei tuoi cavalli o uno dei tuoi uomini?"
Ramstan sorrise per un attimo, ma il suo volto rimase immutato dalla gelosia e dalla rabbia, ma non rispose.
"Lui non è tuo prigioniero." Disse Mariliel indicando con un dito Brangor. "Non fa parte dei boscaioli."
"Ma era lì." Tagliò corto Ramstan, che invece di farlo prigioniero, lo avrebbe ucciso seduta stante solo perché era rimasto da solo nella tenda con la donna che amava.
"Sei testardo."
"Già."
Brangor era rimasto in piedi, osservando i due che discutevano. Poi disse: "Mariliel ha ragione. Non sono uno di loro."
"Chi ti ha dato il permesso di parlare?" Ramstan mise una mano sull'elsa della sciabola, accarezzando il pensiero di mozzargli la testa. "E poi come sai il suo nome?" Guardò Mariliel. "Glielo hai detto tu?"
"Mio padre, suppongo." Si girò verso Brangor. 
"Quindi già lo conoscevi?" Ramstan corrugò la fronte.
"Una lunga storia."
Ramstan sfoderò la sciabola. "E' un tuo amante, lo sapevo!" Fece per andare contro Brangor che si precipitò dietro il tavolino, ma Mariliel gli sferrò una ginocchiata sui genitali. Ramstan cadde a terra, curvato dal dolore. La sciabola finì a un passo dal Nord.
"Sei un fottuto idiota!" Gli urlò Mariliel completamente avvolta dalla rabbia. "Mi hai preso per una puttana?" Gli sferrò un calcio in faccia con la pianta dello stivale di cuoio, mentre Brangor assisteva alla scena confuso più che mai. "Se vuoi una puttana vai a un bordello!" Gli diede un altro calcio, mentre Ramstan si protesse il viso con un braccio, e con l'altro i genitali. Sapeva che Mariliel mirava sempre a uno dei due punti, e non era la prima volta che veniva picchiato dalla donna. D'altronde le sue scenata non facevano altro che irritare o arrabbiare Mariliel, che primo o poi esplodeva.
Gli occhi di Brangor si posarono casualmente sulla sciabola di Ramstan. Nello stesso istante, qualcuno gridò fuori dalla tenda. "Tutto bene, capo?"
Mariliel si calmò, si allontanò da Ramstan che rispose alla voce: "Levati dalle palle!"
Poco dopo l'ombra dell'uomo proiettata sulla tenda scomparve.
"Cazzo!" Imprecò Ramstan cercando di alzarsi da terra con il volto insanguinato e dai genitali doloranti. Avrebbe potuto reagire, ma non lo faceva mai. Non contro Mariliel. L'amava, anche se la donna non ricambiava.
"Non lamentarti." Disse Mariliel sedendosi su uno sgabello come se non fosse successo nulla. "Non sei un bambino." Poi si guardò la punta dello stivale sporco di sangue.
Brangor rimase immobile tra il tavolino e Ramstan, che si pulì il viso con la manica. Poi il Redguard toccò la fodera dell'arma e la trovò vuota. Si guardò attorno e vide la sciabola a un passo da Brangor. Corrugò la fronte, grugnì e andò a riprendere la lama. Brangor indietreggiò dal Redguard che lo guardò torvo.
Mariliel accavallò le gambe. Guardò Ramstan che raccolse la sciabola e la ripose nella fodera.
"Libera pure il tuo cane." Disse Ramstan uscendo dalla tenda con fare rabbioso.
Mariliel guardò Brangor.


 
*****


Netrom Morten lasciò il suo letto tra le parole disperate di Erina. Non poteva rimanere con le mani in mano. Non dopo quello che gli era successo. Indossò la tunica blu notte da negromante e fece per lasciare la stanza, quando Erina lo fermò posandogli una mano sulla spalla. "Non andare. Potrebbe succedere di nuovo."
"Voglio solo fare un bagno." Mentì Netrom Morten senza voltarsi.
"Dirò a un serva di riscaldare dell'acqua. Ti..." Erina si zittì, il suo viso diventò rosso dalla timidezza. "Ti laverò io. E poi ti sei già vestito. Indossi la tunica che..."
Netrom Morten si voltò stizzito. "Non sei mia moglie, e nemmeno la mia donna."
Erina lasciò scivolare la mano giù dalla sua spalla e indietreggiò come se fosse stata colpita al cuore da una freccia. Le parole del Bretone le martellavano in testa come un pesante martello contro l'incudine.
Il Bretone notò l'espressione pietrificata di Erina, ma non sapeva che quelle parole le avevano distrutto il cuore. "E' solo uno stupido bagno." Le disse.
Erina abbassò gli occhi, incrociando le mani sul suo grembo.
"Tornerò presto." Le sorrise, ma la donna parve da tutt'altra parte.

Quando lasciò la stanza, accennò un saluto alla sentinella che non ricambiò. Netrom Morten lanciò un occhiata alle sue spalle. La sentinella lo stava seguendo. "Perché mi segue?" Pensò. Ma lasciò perdere subito dopo. Uscì dal corridoio, discese una scalinata avvolta per metà dalle tenebre e lasciò il quartiere della servitù. Quando arrivò nel cortile dove vi era l'entrata del castello, vide un uomo, una donna dal viso famigliare e una bambina scalza con addosso un mantello sporco di terra. Erano scortati da quattro guardie cittadine. Due li affiancavano, l'altro era di retroguardia e in testa, vi era l'ex capitano della guardia Danus Artellian, che era stato degradato dal Conte Hassildor per motivi che il Bretone ignorava. Ma sapeva bene che il Conte Hassildor cambiava spesso i capitani come una nobil donna che cambiava spesso i suoi abiti.
"Netrom" disse Danus Artellian fermando la scorta.
"Danus" rispose Netrom Morten.
Danus Artellian era vestito con la stessa armatura delle guardie, fatta eccezione per il suo elmo con la celata aperta. "Vi siete ripreso, vedo."
"Cosa hanno fatto?" Netrom Morten indicò con il mento i tre prigionieri.
"Una lunga storia."
"Sono sempre così le storie più interessanti." Sorrise Netrom Morten. "Allora vi lascio al vostro lavoro." Il Bretone fece per andare, ma Danus Artellian gli sbarrò la strada.
"Dove state andando?" Gli disse.
"Ho delle commissioni da sbrigare in città."
"Nessuno può uscire dal castello. Ordini del Conte."
Netrom Morten si acciglio. "Perché?"
"Non so, ma credo sia una faccenda seria."


 
*****


Il Conte Hassildor sedeva sul suo trono, il gomito su un bracciale e la mano appoggiata sotto il mento. Non sedeva mai sul trono. Quella sala era del tutto inutilizzata da anni. Accoglieva tutti nella sala principale, ma se era gente importante, li conduceva nel suo studio o nella sala da pranzo. Ma quel tardo pomeriggio egli si sedette lì. Guardava il pavimento di pietra, le ombre tremule proiettate dalla luce, ascoltava il crepitio del fuoco delle torce sulle pareti. Era un luogo di meditazione per il Conte. Lì poteva stare per ore senza venire disturbato, tolte l'emergenze. Poi udì degli stivali percorrere il corridoio che sbucava ad est nella sala del trono. Era una guardia. Chinò la testa per salutare il Conte Vampiro, e dietro di esso, comparve Netrom Morten.
Il Conte Hassildor balzò in piedi, la faccia una maschera di fredda pietra. 
Netrom Morten sorpassò la guardia, scese gli scalini e si avvicinò al Conte. "Perché nessuno può uscire dal Castello? Cosa è successo?" 
Il Conte Hassildor fece un cenno alla guardia di congedarsi, e quando se ne fu andato, il Conte disse: "Come vi sentite?" Si sedette sul suo trono.
"Non cambiare discorso."
Il Conte Hassildor smorzò un mezzo sorriso. "Abbiamo avuto dei problemi. Nulla di grave."
"Racconta."
Il Conte riassunse quello che era successo dopo che Netrom Morten aveva perso i sensi per via di quella cosa che il Bretone chiamava un ombra oscura. Parlò del guaritore che aveva prolungato il suo sogno senza sogni, cosa che Netrom Morten smentì, poiché tutto ciò che aveva sognato, almeno in parte, era il suo passato. Poi il Conte continuò parlandogli della morte del guaritore, del capitano disperso o morto nelle fogne, della codardia e dell'arresto del nuovo capitano, e infine, l'aver appreso che sotto il castello vi era una caverna abitata dai Goblin, e che forse, il Guaritore era in grado di controllarli tramite qualche stregoneria, ma il Conte Vampiro disse di non saperne molto, così come la morte improvvisa del Guaritore come se fosse stato avvelenato. Nel suo corpo il Conte Hassildor non aveva trovato presenza di veleni, ma sospettava che fosse stato un incantesimo potente a ridurre così il Guaritore.
Poi disse: "...Infine, non meno importante, vi è stata la comparsa di un nostro vecchio amico."
Netrom Morten corrugò la fronte e provò a indovinare. "L'eroe di Kvatch?"
"Non gli piace essere chiamato così." Rispose il Conte.
"Perché è qui? La sua presenza significa sventura."
"E' solo un uomo un po'..."
"...Strano. Quello non è più un uomo. Non ha mai avuto nulla di umano dentro quel corpo da Imperiale."
"Vorrei pensarla come te, ma solo i Vampiri non hanno..." Il Conte Hassildor si interruppe per un attimo. "...cuore."
"C'è sempre un eccezione alla regola. Quell'uomo è più inespressivo di te, oltre che freddo, e non puoi negarlo."
Il Conte Vampiro sorrise freddamente.
"Perché è qui? Chi lo manda? Il Consiglio dei Maghi? Qualche nobile? Una delle Gilde dei maghi?"
"Hai indovinato al primo colpo: Il Consiglio dei Maghi."
"Non è la prima volta che utilizzano le sue... Beh, hai capito."
"Abilità?" Domandò il Conte Hassildor certo di aver capito a cosa alludeva. "Quindi non neghi le sue qualità?"
"Non le ho mai negate. Ma non mi piace come persona."
"Spero non sia per quel fatto capitato alla dimora del Patriarca?" Il Conte Hassildor socchiuse gli occhi, cercando di captare sul suo volto qualunque reazione a quelle parole. "Ricordi?"
"Faceva il suo lavoro." Gli occhi di Netrom Morten vagarono nella sala, come anche i suoi pensieri. "Non mi piace, tutto qui." Poi piantò gli occhi addosso al Conte. "Ora spiegami perché è qui. E non farmi altre domande."
Il Conte Hassildor sorrise. "Non hai perso il tuo stampo, vecchio mio. Ma tornando a noi. Il Consiglio dei Maghi ha mandato qui l'eroe di Kvatch per stanarlo e ucciderlo. Nella Città Imperiale si vocifera che alcuni nobili stanno sostenendo un uomo dalla carnagione pallida. Nessuno sa il suo nome. Vogliono schierarsi dalla sua parte. Togliermi il governo di Skingrad. Per ora non ha sparso la voce che sono un Vampiro. Poteva farlo. Costringermi a incontrare gli altri Conti che avrebbero certamente confermato le sue parole. Mi domando perché non l'abbia fatto..? Comunque, questi sospetti mi sono giunti da un seconda lettera mandata dal Consiglio dei Maghi tramite staffetta. Inoltre, credono che il Patriarca sia nei paraggi di Skingrad e..."
"E' qui!" Confermò Netrom Morten. "Chi credi mi abbia ridotto in quello stato?"
"Parlavi di un ombra oscura o nera, se non erro."
"Sì, e mi ha indotto a fare quello che ho fatto. Ho vaghi ricordi, ma ricordo alcune delle cose... E ti ringrazio per avermi fermato. Avrei potuto uccidere Erina o te, o qualcun'altro. E' opera del Patriarca. Ho sempre avuto il presentimento che dietro il ritrovamento della donna dissanguata c'era il Patriarca."
"Perché non me ne hai parlato fin da subito?" Disse il Conte Hassildor con tono grave.
"Perché non né ero sicuro. Sai meglio di me che la Contea di Skingrad è rinomata per la presenza di vampiri. Poteva essere stato qualche vampiro impazzito. E poi c'erano quei cacciatori di vampiri..."
"A proposito di quel gruppo" Disse il Conte Vampiro che si era ricordato solo in quel momento del fatto successo alla porta maestra della città. "Sono spariti dalla circolazione dopo che tu sei caduto vittima di quel sortilegio. Comunque, giorni dopo, due di quel gruppo sono ricomparsi davanti alla porta maestra della città. Sono stati uccisi, ma non so da chi. Anche due mie guardie hanno perso la vita. Da allora il caos è dilagato in città. Un caos che non aveva mai veduto."
"Il Patriarca." Tagliò corto Netrom Morten per nulla stupito dalle parole del Conte Vampiro. "E' opera sua. Sta tramando qualcosa. Presto o tardi, lo vedremo reclamare ciò che ha sempre voluto."
"Skingrad?" Concluse il Conte Hassildor. "Impossibile. La popolazione si ribellerà."
"La gente non sa chi sei. Non conosce il tuo volto. Ricordati che il Patriarca è un grande stregone. Può assumere le tue sembianze. Lanciare un sortilegio illusorio sulla popolazione per sottometterla. Molti nobili sono caduti nelle sue mani proprio per il sue capacità magiche. Non mi sorprenderei nel vedere qualche nobile assoggettato schierarsi ciecamente dalla sua parte. Non sottovalutare il Patriarca. Anche se è stato sconfitto una volta, non è detto che ripeterà i suoi stessi errori."
"Ricordo bene quel giorno." Disse il Conte Hassildor guardando il Bretone dritto nei suoi occhi bianchi. "Io e l'eroe di Kvatch trovammo il Patriarca chinò sul tuo corpo, attorniati da una schiera di sudditi dalle labbra imbrattate del tuo sangue. Eri a un passo dalla morte."


 
*****


Tulvus aprì la porta del capanno. Gettò un occhiata al terreno fangoso. La pioggia del giorno prima aveva cancellato le tracce del vecchio, ma Tulvus era intenzionato a trovare la figlia di Fredor. "Prendi quel... Quella cosa." Indicò a Fredor la zappa. "Torniamo nel punto in cui ti ho trovato."
"A fare cosa, dico..." Fredor imbracciò la zappa.
"Ti porto da tua figlia."
"Ma Mariliel non è lì, dico..."
"La troveremo. Forza ora usciamo." Fece un fischiò ad Huck che alzò il muso dal pavimento e si precipitò fuori scodizollando.

Quando Tulvus e Fredor uscirono, Huck era già sparito nella vegetazione. I due si allontanarono dal capanno, tra i canti dei fringuelli. Fasci solari penetravano la volta degli alberi, illuminando a chiazze il terreno. 
Tulvus, la mano piantata sull'elsa della spada, guardava circospetto ogni direzione. Fredor invece, lo seguiva incurante dei pericoli che potevano celarsi dietro i folti cespugli. Huck fungeva da avanscoperta, per questo Tulvus non era in pensiero per il lupo. Se vi erano problemi, Huck abbaiava e tornava da Tulvus che si preparava al peggio o attendeva che il peggio passasse. 
"Da cosa scappavi?" Disse Tulvus a Fredor, continuando a guardare cespugli, alberi, rocce ed erba alta da cui poteva sbucare qualsiasi cosa.
"Non ricordo, dico..."
"Sforzati."
Fredor rimase in silenzio per un momento, ma non ricordò nulla.
"Allora?"
"Niente, non ricordo, dico..."
"Qualcosa è successo. Ti aiuto a ricordare. Dimmi se queste parole ti ricordano qualcosa." Fece un pausa. "Goblin."
"Dove sono, dico..?" Fredor alzò la zappa pronto a combatterli.
"Tranquillo, non ci sono. Era per aiutarti a ricordare. Ti è tornato niente in mente?"
"I Goblin attaccavano spesso la mia fattoria. Ora non più, dico..."
"Quindi sei fuggito da un attacco di Goblin?"
"Non lo so, dico..." Fredor alzò gli occhi in cielo per ricordare. "Ma i Goblin sono stati tutti uccisi da Marliel e dal suo amico dalla palle come terra, dico..."
"Un Redguard?"
"Cos'è un Redguard, dico..?"
Tulvus si fermò, si girò verso l'anziano: "Non sai cos'è un Redguard?"
"E' un animale come il Goblin, dico..?"
"No. E' una delle razze umanoidi di Tamriel. Provengono da Hammerfell."
"Per me sono tutti uguali, tranne Gatti e Lucertole, dico..."
"Intendi Khajiit e Argoniani?"
"E io che ho detto, Gatti e Lucertole, dico..."
Tulvus scosse la testa, fece per girarsi quando si ricordò che il giorno prima Fredor scottava per un principio di febbre. Così si voltò di nuovo, andò dall'anziano che lo guardò confuso e gli mise due dita in fronte. Scottava.
"Ti gira la testa?" Gli disse levandogli le dita dalla fronte.
"Sì, so girarla la testa, dico..." Fredor iniziò a voltare la testa da destra a sinistra.
"No, fermo. Intendo se ti senti male o fiacco? O se provi vertigini."
"Pulsare, vertigini, dico...?" Fredor si toccò la fronte. "Che cosa sono, dico..?"
"Ah, lasciamo stare." Tulvus sbuffò, lanciando in aria una mano. "Stammi dietro."

Il canto dei fringuelli svanì lentamente alle loro spalle. Soffiò un leggero venticello da est, smuovendo le fronde degli alberi. Tulvus guardò in cielo oscurato dalla volta degli alberi. Solo l'Imperiala sapeva cosa vedeva. "Sento odore di pioggia." 
Fredor guardò in alto, mettendosi una mano davanti agli occhi socchiusi. "Io vedo solo foglie, dico..."
Tulvus non fece caso al suo commento. "Aumentiamo il passo."
Poi da dietro un grosso tronco cavo caduto a terra, comparve Huck.
"Ehi Huck!" Disse Tulvus. "Hai trovato qualcosa?"
Il lupo gli si avvicinò e gli leccò una mano.
Tulvus lo grattò sotto il mento, mentre Huck gli leccò di nuovo la mano.
"Quel cane sa parlare, dico..?" Domandò Fredor entusiasta dall'idea di vedere un animale parlare.
"Non è un cane, ma un lupo. Comunque no."
Il volto entusiasta di Fredor, lasciò spazio alla tristezza.
Huck abbagliò eccitato.
"Va bene, vai pure." Disse Tulvus. "Ma non allontanarti troppo." Ma non finì la frase, che Huck si era già catapultato nella fitta boscaglia.
Scesero un avvallamento e s'inerpicarono sulla sporgenza opposta. Fredor faticava ad arrampicarsi e Tulvus dovette aiutarlo. "Dammi la zappa!" Disse a Fredor.
"Non ho una zappa, dico..."
Tulvus sbuffò e roteò gli occhi in aria. "Dammi la tua spada!"
Fredor gli passò la zappa, poi Tulvus lo aiutò a salire.
Quando lo superarono, camminarono per un bel po' finché si ritrovarono in una piccola radura puntellata da alberi spogli e massi rocciosi. Tutt'attorno la fitta boscaglia cingeva la radura.
"Stai qui." Disse Tulvus sfoderando la spada corta. 
S'incamminò nella radura, guardandosi intorno. "Stando alla direzione percorsa da Fredor," Pensò. "Deve per forza essere passato da qui, a meno che non abbia proseguito a zig zag o cambiato direzione di continuo, cosa poco probabile." Non cercava un traccia del passaggio di Fredor, anche perché con la forte pioggia del giorno precedente tutte le tracce erano sparite. Ma continuò a camminare per capire se ci fosse qualcuno nel limitare del bosco. Non era la prima volta che lo faceva. Sapeva che poteva esserci chiunque in agguato dietro agli alberi o agli arbusti. Si fermò al centro della radura, gettò un occhiata alle sue spalle e scalò l'alta roccia che gli era affianco. Quando raggiunse l'altura, si guardò in giro. Sentì un venticello gelido sfiorargli il viso. Aguzzò la vista, ma video solo Fredor accanto a un albero che lo guardava divertito. Poi udì un sibilo nell'aria. 


 
*****


"Ermil Voltum per servirvi, signore." Disse l'Altmer in ginocchio. Aveva le mani legate da una corda e gli occhi fissi sul terriccio.
"Per servirmi?" Ridacchiò Ramstan, guardando i quattro uomini nella sua tenda che risero perché il loro capo rideva. "Non sono un lord, anche se in realtà lo sono, ma non qui. Comunque non sono cazzi tuoi." Sentiva fitte di dolore ai genitali dove Mariliel l'aveva colpito, si lasciò sfuggire un sorriso che smorzò subito. Per Ramstan l'azione di Mariliel equivaleva a una dichiarazione d'amore, dichiarazione che esisteva solo nella sua subdola mente.
"Sono un ottimo ascoltatore, signore. Sapete io..."
"Taci!" Ramstan si alzò dalla sedia, sistemandosi le brache. In realtà stare seduto era una sofferenza per i suoi genitali. "I prigionieri non fanno altro che lamentarsi di te. Dicono che da quando ti sei ripreso, non fai altro che blaterare di continuo. Non voglio ascoltarti, e non cercare di renderti servile. Gente così mi fa schifo." Sputò a terra.
"Loro mentono, perché..." Ermil Voltum alzò lo sguardo, ma ricevette un pugno da Ramstan che lo spedì al suolo, sul fianco.
"Ti ho detto di tacere!" Si diede un altra strizzata ai genitali. Persino camminare era doloroso, sopratutto se non spalancava le gambe, e non poteva farlo davanti ai suoi uomini senza suscitare risate.
Ermil Voltum si rimise in ginocchio, il labbro superiore spaccato. Tutta la sua faccia era irriconoscibile dopo il pestaggio ricevuto durante la cattura, quindi un labbro spaccato non faceva tanta differenza.
"Per chi lavorate?" Domandò Ramstan sedendosi appena sul bordo del tavolo.
"Per un nobile della Città Imperiale; Pitvus Matea." L'Altmer lo guardò con l'unico occhio non gonfio.
"E' un commerciante? Fa parte di qualche carovana?"
"No, signore."
Per un momento Ramstan aveva accarezzato l'idea di poter depredare una ricca carovana Imperiale. Recentemente le carovane si erano infoltite di mercenari Nord al soldo di chi pagava di più per avere la loro protezione. Molti gruppi di predoni, una volta attaccate queste carovane, venivano spazzati via senza pietà. Erano mercenari veterani e con molta esperienza alle spalle. Le carovane Khajiit erano inclini a servirsene, ed erano anche le più ricche. Ramstan era stato costretto a spostare le sue operazioni in un altro settore; rapine e rapimenti. Non a caso aveva scelto Ermil Voltum per questo, anche se era stato più un azzardo che un colpo sicuro.
Ramstan si massaggiò il naso che gli doleva. "Quindi tu saresti un nobile?"
"No, signore. Sono alle dipendenze del nobile Pitvus Matea."
Ramstan si voltò verso uno dei quattro uomini vicino all'entrata della tenda. "Hai detto che questo Altmer era un nobile."
L'uomo dal volto grassoccio e dai capelli neri stempiati deglutì: "Mi hanno detto così. Il mio informatore 
raramente sbaglia."
"Questa volta ha sbagliato." Ramstan corrugò la fronte e sentì una fitta dolorosa al naso.
"Ma capo..."
L'Altmer si lasciò sfuggire un sorriso che smorzò subito.
Ramstan lo vide e lo guardò dritto nei suoi occhi tumefatti: "Cos'hai da ridere? Parla!"
"Non ridevo, signore, io..."
Ramstan gli sferrò un pugno in faccia. Ermil Voltum cadde all'indietro.
"Abbiamo a che fare con un bugiardo. Interrogatelo e scoprite chi è veramente. Sono sicuro che uscirà fuori che è figlio di qualche ricco mercante e via dicendo."
"No, signore, ti giuro..."
Ramstan gli diede un calcio in faccia facendogli perdere i sensi. "Fate come ho detto!"
I quattro uomini si precipitarono sull'Altmer.


 
*****


Mariliel e Brangor erano fuori dalla tenda, vicino alla stalla. Nel recinto, i prigionieri guardavano silenti il Nord. Brangor faceva finta di non vederli e cercava di non incrociare i loro sguardi. "Perché sei con questa feccia?"
Mariliel inclinò la testa guardandolo serio: "Perché tu cosa sei?"
Brangor non rispose.
"Aiutami a sistemare i cavalli."
Presero due cavalli. Entrambi appartenevano a Mariliel. Fissarono le selle in groppa ai cavalli, poi Brangor prese la borsa della donna che pesava un poco. "Cos'hai dentro? Sassi?" Gli disse facendo una battuta.
Mariliel non rise. "Oro."
"Oro?" Brangor era confuso.
"Cosa c'è di strano?"
"Niente... E solo che..."
"Cosa?"
"Rischi di essere derubata."
"E da chi?" rise Mariliel. "Da questi idioti?"
"No. Ma le strade sono..."
"Pensi che sia stupida?" Mariliel serrò gli occhi.
"No, non dicevo questo."
"Bene." Mariliel montò sul cavallo.
Brangor pensò a come si era ridotto caratterialmente. Un tempo l'avrebbe picchiata senza pensarci su due volte. Per lui le donne non servivano ad altro che a cucinare e a scopare. Ed ora, si era talmente ammorbidito da quando era stato ferito quasi a morte da tre sconosciuti, che non riusciva nemmeno a reggere una discussione con una donna.
Mariliel si voltò verso il Nord: "Ora hai un cavallo, ma sei in debito con me, sia per il cavallo che per Ramstan. Un debito che dovrai saldare. Inoltre, non c'è bisogno di ricordarti che sei libero. Quindi farai meglio a sparire da qui, se non vuoi che Ramstan cambi idea. E sappi che cambia idea molto spesso." Fece schioccare le labbra e partì al galoppo. Gli uomini si scostarono per non essere travolti, lanciandole insulti e imprecazioni. 
Ma Brangor non poteva partire senza la sua ascia da battaglia, così decise di chiedere in giro dove tenevano le armi sottratte ai prigionieri.
"E io che ne so." Rispose un Nord alto.
"Levati dal cazzo!" Rispose un Imperiale grasso.
"Sparisci prima che ti taglio le palle!" Rispose un Bretone cieco da un occhio.
Ma il quarto uomo gli indicò l'armeria. Quando Brangor vi arrivò, vide un Imperiale seduto su una pietra intento ad affilare una spada d'acciaio sotto una sporgenza rocciosa. L'uomo si accorse di Brangor solo quando egli gli fu vicino: "Che vuoi?" Poi capì chi aveva di fronte: "Ah, tu sei il tizio che Ramstan ha liberato. Hai qualche tresca con Mariliel, non è vero? Tutti vorremmo fotterla, ma non dirlo a Ramstan. L'ultimo che l'ha fatto ci ha rimesso le palle, e Ramstan gliela fatte mangiare prima di farlo morire dissanguato." Rise per un attimo. Poi tornò subito serio. "Allora?"
"Vorrei indietro la mia ascia da battaglia."
"E quale sarebbe? Sai quanto asce ci sono qua dentro?" L'imperiale indicò la porta di legno che conduceva dentro una piccola caverna; assomiglia più a un ampia fessura scavata nella roccia che a una caverna vera e propria.
"Allora fammi dare un occhiata."
"Hai il lascia passare di Ramstan?"
"No."
"Allora non puoi passare." Grugnì l'Imperiale. "Sparisci!" Tornò ad affilare la sua lama, ignorando del tutto il Nord.
Brangor si accigliò, ma non rispose. Aveva un altra idea in mente. L'armeria era in un posto isolato e nascosto rispetto all'accampamento, il che era insolito, poiché le armerie erano sempre piazzate al centro del campo per evitare furti. 
Si diresse verso est, costeggiando le pareti rocciose che limitavano l'accampamento. La sua idea era quella di scalare il muro roccioso puntellato da larghi arbusti, prendere un grosso sasso e lanciarlo sulla testa della sentinella. Poi sarebbe entrato a riprendersi l'ascia da battaglia, anche se non era sicuro che vi fosse lì. Ma il piano andò in fumo quando incrociò per sbaglio Ramstan che stava pisciando dietro un folto arbusto. 
"Ehi!" Gridò Ramstan. "Parlo a te!" Mise il pene nelle brache e andò incontro a Brangor. "Dov'è Mariliel?"
"E' partita."
"Per dove?"
"Non lo so?"
Ramstan lo guardò negli occhi per capire se mentiva: "E ti ha lasciato qui?"
Brangor aveva notato fin da subito lo sguardo pieno di odio del Redguard: "Io sono diretto altrove."
"Quindi primo o poi vi incontrerete?"
"Non ho detto questo." Brangor si rese conto che era stato meglio ascoltare il consiglio di Mariliel e sparire dal campo.
"Ma non l'hai nemmeno negato." Ramstan serrò gli occhi minacciosi.
"Volevo solo riprendere la mia ascia." Disse Brangor cercando di cambiare discorso.
"E chi ti dice che qui c'è la tua ascia?"
"Pensavo che..."
"Pensavi male. Abbiamo armi a quantità. Cosa ce ne facevamo delle asce arrugginite dei taglialegna?"
Brangor non rispose.
"Ti incontrerai con Mariliel?" Riprese Ramstan battendo sul suo unico pensiero ossessivo.
"No. Non la conosco bene come credi."
"Pensi di sapere cosa credo?"
"Non ho detto questo."
"Tu non dici parecchie cose." Ramstan accarezzò con le dita l'elsa della sua sciabola.
Brangor lo vide, ma subito dopo si udì un urlo di dolore levarsi dall'accampamento.
Ramstan spinse via Brangor che cadde col sedere a terra e si precipitò verso le urla. Altri uomini accorrevano verso il suono con le armi in pugno. 
Brangor vide un uomo volare in alto come lanciato da qualcosa per poi ricadere sulla massa di gente accalcata la vicino. Un forte muggito si levò sulle teste dei fuorilegge. Brangor si alzò da terra e corse a vedere. Gli uomini circondavano due Minotauri. Molti di essi cercarono di colpirli con le loro armi, ma quelli venivano scaraventati via come foglie al vento. Alcuni vennero cornificati o schiacciati dal pesante martello da guerra.
"Indietreggiate!" Tuonò Ramstan. "Non attaccate!"
Brangor salì sopra un masso per assistere alla scena dall'alto. Ai piedi dei due Minotauri, vi era sangue dappertutto. Pezzi di braccia, gambe, busti e teste schiacciate, mozzate o frantumate. I prigionieri erano stati i primi a venir fatti a pezzi senza possibilità di fuga. Le due imponenti creature che sovrastavano i tagliagole si trovavano in mezzo alle tende, tra focolari, casse, carri e sacchi. Negli occhi sbarrati dei fuorilegge vi albergava il terrore, la paura di essere schiacciati dalla potenza disumana di quelle creature.
Un Minotauro muggì irato, volteggiò in aria il martello e colpì un uomo che cercava di deviare il colpo. Quello volò via schiantandosi come un pesante dardo lanciato da una balista contro quattro fuorilegge che caddero a terra. I due Minotauri si mossero, fendettero l'aria con i loro martelli da guerra, ma gli uomini erano arretrati di molto. 
Ramstan sapeva di poter far ben poco contro due Minotauri. Già uno bastava per seminare caos e distruzione ovunque nel campo, ma due, due erano decisamente troppi. I fuorilegge erano del tutto inesperti contro un simile nemico. Non avevano a che fare con mercanti o mercenari dal ego smisurato, ma con due enormi bestie dotati di pelle dura come acciaio e una forza sovrumana. Ramstan doveva ritirarsi, far fuggire i suoi uomini. Tutti prigionieri erano morti, e solo Ermil Voltum era stato fortunato, legato a un palo in una delle tende.
Un Minotauro incornò un uomo, nel ventre. L'uomo rimase incastrato in uno dei due corni, gridando dal dolore. Il Minotauro lo prese con entrambi le mani e lo spezzò in due. Un esplosione di sangue e viscere si riversò sul terreno. Il Minotauro lanciò quel che rimaneva dell'uomo contro alcuni fuorilegge che vomitavano. A quel punto, disperati, tutti fuggirono a gambe levate da ogni parte, tranne Ramstan.
Egli rimase fermò, gli occhi puntati sui due Minotauri. Avevano distrutto il suo accampamento, ucciso i prigionieri che dovevano essere riscattati o venduti e disperso i suoi uomini. Era diventato un fatto personale. Ma sapeva che non poteva batterli. Sarebbe morto ancor prima di sferrare un fendente.
Brangor era ancora sopra il masso. Guardava Ramstan. Non capiva perché se ne stava fermo a voler sfidare le due enormi creature. Sapeva quale sarebbe stato l'esito dello scontro, così scese dal masso e andò alla stalla. La trovò vuota; il cavallo che aveva sellato era sparito, assieme agli altri cavalli. Gli toccava affrettare il passo per raggiungere il campo dei taglialegna, dove sperava di trovare la sua ascia da battaglia.


 
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Servin Ondus udì il cigolio della serratura. La porta della cella si aprì lentamente. Il carceriere, una torcia in una mano e nell'altra una ciotola di peltro con dentro del porridge, entrò nella cella. Era una cena sostanziosa per un prigioniero. Chi aveva soggiornato nelle segrete del castello, raramente aveva cenato con altro che non fosse pane indurito e acqua. 
"Capitano, ehm..." Il carceriere si ricordò che non doveva chiamarlo così. "Prigioniero, la tua cena."
Servin Ondus, seduto a terra contro la parete, non lo degnò di uno sguardo.
Il carceriere posò la ciotola sul pavimento e andò via, facendo stridere la serratura della porta.
Servin Ondus guardò il fumo levarsi dalla ciotola, l'odore del porridge impregnargli le narici, ma rimase fermo con le ginocchia all'altezza della faccia.


 
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"Ho incontrato Danus Artellian prima di venire da te." Disse Netrom Morten a Hal-Liurz. "Scortava tre prigionieri. Sapete qualcosa al riguardo?"
"Nulla." Disse Hal-Liurz. "Dovreste chiedere al Conte Hassildor."
"Non so dove sia."
"Domandate alle guardie."
"L'ho già fatto." Disse il Bretone. "Nessuno sa dov'è il Conte."
Hal-Liurz chiuse il libro e si alzò dalla sedia: "Allora cercatelo. Andate dove non siete andato."
"Sono andato ovunque."
"Anche nelle segrete?"
Netrom Morten si accigliò e lasciò la stanza.
Hal-Liurz posò il libro sullo scaffale, posizionandolo con cura in mezzo agli altri. Poi uscì dallo studio. Percorse il corridoio, sorvegliato da guardie e sbucò nella sala principale. Il messo del Consiglio dei Maghi era arrivato con una lettera. Guardò giù dalla balconata. Vide il messo seduto a un tavolo. Più che un messo sembrava un cavaliere. Scese gli scalini e lo raggiunse. "Sono l'amministratore del Conte Hassildor. Il mio nome è Hal-Liurz."
Il cavaliere la guardò, ma non disse nulla. Nemmeno si presentò.
"Mi hanno riferito che portate una lettera per il Conte." Proseguì l'Argoniana che indossava una lunga veste marrone con ricami in oro sul seno e sulle spalle.
"Dal Consiglio dei Maghi." Disse il cavaliere con voce grave. Poi si levò l'elmo, scuotendo i suoi riccioli castani con qualche striatura di bianco. Aveva un viso giovane, ovale, dalla mascella dura e penetranti occhi verde smeraldo. Un uomo certamente affascinante che colpì anche l'Argoniana.
"Vorrei vedere il sigillo." Disse l'Argoniana.
"Non vi fidate?"
"E' la prassi."
"Bene." Il cavaliere buttò con strafottenza la lettera sul tavolo.
L'Argoniana serrò gli occhi infastidita dal gesto, prese la lettera e controllò il sigillò scarlatto. Era intatto. Apparteneva al Consiglio dei Maghi; Un cerchio con dentro una stella a otto punte con al centro un occhio. "Porterò la lettera al Conte."
"No." Rispose il Cavaliere dal volto duro. "Il Consiglio dei Maghi mi ha ordinato di farlo di persona."
"Non potete." 
"Allora ridatemi la lettera e fatemi avere udienza con il Conte."
"Non è possibile. Il Conte Hassildor è impegnato."
"Aspetterò." Il Cavaliere si sedette, scostandosi una ciocca di riccioli dalla fronte.
Hal-Liurz si voltò e salì le scalinata. Quando raggiunse la balconata, vide che il Cavaliere la seguiva con sguardo torvo. Poi continuò a camminare, lasciando la sala principale.


 
*****


Netrom Morten scese i gradini che portavano alle segrete. Percorse un piccolo corridoio illuminato da laterne agganciate al soffitto e raggiunse la porta di quercia rinforzata. Bussò tre volte. Non udì nessuno dall'altra parte. Bussò altre tre volte. Attese. Solo silenzio. Stava per andarsene, quando udì stridere la serratura. La testa del carceriere sbucò appena dalla porta. Scrutò Netrom Morten, realizzando in quel momento chi fosse.
"Il Conte Hassildor è lì?" Domandò Netrom Morten.
"Sì."
"Allora fammi entrare."
Quando Netrom Morten fu entrato, il Carceriere richiuse la porta a chiave:" Seguitemi."

Lungo il corridoio parzialmente illuminato dalle torce, si sentiva un forte odore di escrementi di ratto. Vi erano sette celle in tutto lungo il corridoio. Sul soffitto correvano delle crepe in cui il muschio prolificava. Il suono degli stivali di cuoio del carceriere faceva eco sui muri, ed era l'unico suono udibile. 
Netrom Morten gettò un occhiata alle celle mentre seguiva il carceriere. Tutte erano inghiottite dall'oscurità. Solo verso la fine del corridoio, vide della luci dentro le ultime due celle.
Il carceriere si fermò vicino alla penultima cella e la indicò con il mento. Quando Netrom Morten entrò, vide il Conte. Poco distanti, vicino al muro, un uomo, una donna che le sembrava di aver visto da qualche parte e una bambina scalza che indossava una corta tunica di lana e non più un mantello. Fissò Netrom Morten intimorita dall'aspetto da stregone. Poi si strinse ai fianchi della donna che gli mise una mano sulla spalla.
Il Conte si voltò verso il Bretone, lo guardò per un attimo, poi si voltò nuovamente: "Perché avete ucciso quell'uomo?" Disse a Adrienne Berene.
"Mi ha aggredita."
"E' tutto vero, Conte." Aggiunse il Cocchiere.
"Non parlavo con te."
Il cocchiere abbassò lo sguardo.
"Dicono che avete usato la magia. Credo sia palese visto lo stato della vittima."
"E' solo legittima difesa." Disse il Cocchiere in difesa di Adrienne.
"Carceriere." Tuonò Conte Hassildor. "Confinante quest'uomo nella cella accanto."
Il Carceriere afferrò per un braccio il Cocchiere e lo condusse fuori dalla cella.
La bambina continuava a guardare il Bretone, stringendosi con tutta la forza ai fianchi di Adrienne Berene.
"Allora?" Disse il Conte Vampiro. "Perché non parlate?"
"Qualunque cosa dirò, non avrà importanza." Rispose la donna evitando lo sguardo glaciale del Conte.
"Questo non è un buon motivo per non parlare."
"La gente ha paura di me. Gridava la mia morte quando la guardia cittadina mi ha portato qui."
"Se è legittima difesa, non verrete messa alla forca. Pagherete una multa salata sia a me, che al Consiglio dei Maghi per aver infranto le regole. La magia è vietata al di fuori dalle mura della Gilda dei Maghi. Voi siete a capo della succursale di Skingrad e dovreste..."
"Conosco le regole."
"Allora perché l'avete infrante?"
"Legittima difesa." Disse Adrienne quasi in un sussurrò.
"Bene. Legittima difesa." Il Conte Hassildor la guardò per un po'. "Ora ditemi cosa facevate nei bassifondi di Skingrad?
Adrienne Berene sentì il cuore in gola. Non rispose.
"Vi ho fatto una domanda." Il Conte Hassildor serrò gli occhi rosso sangue.
La bambina si nascose dietro Adrienne Berene che rimase in silenzio. Il Conte Vampiro non aveva guardato la bambina nemmeno una volta.
"Se non volete dirmelo, me lo farò dire dal tuo servo."
"Non è il mio servo."
"Allora chi è?"
Adrienne Berene non rispose.
Il volto del Conte rimase inespressivo, ma dentro di sé cresceva il sospetto che la maga nascondesse qualcosa. "Chi bazzica nei bassifondi lo fa solo per concludere loschi affari o perché ci vive." Pensò il Conte Hassildor. Senza dire nient'altro, si girò e fece per uscire dalla cella.
"Cosa intendi fare?" Domandò Netrom Morten al Conte che si fermò sulla soglia.
La bambina si spaventò e affondò la faccia nel fianco della donna.
"Quello che dovevo fare fin dall'inizio." Rispose il Conte Vampiro senza voltarsi. "L'uccisione dei due cacciatori di vampiri, non ha fatto altro che moltiplicare la criminalità o farla uscire allo scoperto." Si girò verso Netrom Morten. "Ora conosco ogni volto, ogni storia, ogni minima parte di questi farabutti. Hanno vessato i più deboli. Ucciso e distrutto. Ricattato e sfruttato. E' ora di agire. E' ora di mettere ordine al caos." Poi si girò verso Adrienne Berene. "Dovrò informare il Consiglio dei Maghi del vostro operato."
"No..." Rispose scioccata Adrienne. "Mi solleveranno dall'incarico. Mi espelleranno dall'ordine. Ti supplico, Conte" gli occhi si riempirono di lacrime. "Farò tutto quello che mi chiedi. Non informare il Consiglio dei Maghi."
"Allora dimmi cosa facevi nei bassifondi?" 
La maga non rispose.
Il Conte Hassildor uscì dalla cella, lasciando Adrienne Berene in lacrime.


 
*****


"Mephala?" Domandò il Conte Clavis.
L'uomo pallido posò la fiala sul tavolo: "Ogni patto richiede sangue."
"Ma..." Il Conte Clavis lo raggiunse. "Servi Mephala?"
"Tutti serviamo qualcuno" rispose l'uomo pallido voltandosi verso il Conte. "Anche tu."
"Non... Non servo nessuno."
"Sei nella mia dimora. Mangi al mio tavolo. Ascolti le mie parole. Hai ucciso... per me."
"Ucciso?" Il Conte si accigliò. "Non ho..." Poi si ricordò del fatto avvenuto nella sua dimora. Tutti i ricordi gli tornarono in mente, e sentì la testa girargli. Barcollò, si mantenne al tavolo con una mano. La vista si annebbiò, gli oggetti si sgranarono, la stanza girò. Vide il Patriarca fissarlo con i suoi occhi rosso sangue. Una fredda maschera di fredda pietra. Non vide nessun'espressione nei suoi occhi, mentre il Conte si accasciava sul tavolo.
"Che mi succede..." Poi ricordò il volto di sua moglie. Che fine aveva fatto? Non aveva mai più pensato ad ella da quando aveva ucciso il Vampiro che aveva dissanguato sua figlia. Non aveva pensato a nient'altro. Ora ricordava. Ora era padrone dei suoi pensieri.
"Sembra che l'incantesimo stia per finire." Disse il Patriarca. 
Il Conte Clavis capì. Voltò la testa, cercò di allontanarsi dal tavolo, ma cadde carponi. L'uomo pallido si avvicinò lentamente, il Conte strisciò lontano.
"E' inutile fuggire. Anche tu servi qualcuno. Servi me. Accettalo."
Il Conte continuò a strisciare finché sbatté la testa contro qualcosa. Era una caviglia. Il Conte Clavis alzò lo sguardo. Vide il volto sciupato di una delle tante progenie dell'uomo pallido che il Conte faticava a distinguere, poiché avevano quasi tutti lo stesso volto scarnificato, secco, smorto.
Il patriarca si chinò, gli prese la testa fra le mani: "Guardarmi." Disse.
Il Conte Clavis percepì un tocco glaciale sul suo viso e chiuse gli occhi come se non volesse riaprirli mai più. Sentì i freddi polpastrelli del Patriarca sollevargli le palpebre. Vide l'iride rosso sangue dell'uomo pallido. Uno sguardo magnetico, un abisso profondo che inghiottiva ogni pensiero o forza di volontà. Poi il dolore alla testa scomparve, così come i suoi pensieri spazzati via come un uragano. 
L'uomo pallido si alzò in piedi e tornò al tavolo.
Frastornato, il Conte Clavis si mise seduto sul pavimento e si guardò attorno confuso. Poi si issò in piedi. Non capiva perché era a terra. Cercava di ricordare, ma nella mente non vi era alcunché. Solo il volto sorridente di sua figlia, la morte del suo carnefice e un enorme gratitudine che provava per il Patriarca.
L'uomo pallido si voltò, lo guardò, ma non disse nulla. Aspettava che fosse il Conte a parlare.
"Che..." Il Conte Clavis corrugò la fronte. "Cosa..."
"Si?" Rispose l'uomo pallido come se fosse all'oscuro di quello che era successo.
"Perché io..."
"Argomenta."
Il Conte Clavis indicò il pavimento. "Ero a terra, io..."
"Sarai caduto." Il Patriarca sapeva bene che un uomo sotto l'effetto del suo incantesimo poteva credere a qualsiasi cosa; anche a una risposta vaga o senza significato come questa.
Il Conte aggrottò le sopracciglia perplesso.
L'uomo pallido alzò la fiala per farla vedere al Conte. "Ero impegnato. Non ho sentito e visto nulla. Sicuro di stare bene?"
"Credo di sì... Però non capisco perché ero a terra. Ma se dici che sono caduto, vi credo."
Il patriarca accennò un mezzo sorriso freddo.
   
 
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