19
Il Banchetto
Il
banchetto organizzato da Sansa riporta Jon indietro di anni. Ci sono suo padre,
Eddard Stark, e i suoi fratelli. Tutti sedevano al tavolo d’onore, mentre lui
era mescolato agli altri.
Quando c’era, sedeva accanto a suo zio Benjen e
ad altri membri dei Guardiani della Notte.
Immagina Robb lanciargli un lungo sguardo
d’intesa, e sente nella testa la voce di Arya bambina.
“Sei uno Stark. Dovresti sedere con noi.”
Sansa gli ha detto le stesse parole poco prima.
«Sei uno Stark. Dovresti sedere con me, Jon.»
Poi gli aveva preso la mano e l’aveva scaldata
tra le sue, mentre Spettro mugolava davanti alla porta.
Lui si era chinato a baciarla.
«Non sono uno Stark» aveva sussurrato sulle sue
labbra, mentre le accarezzava la gola con la mano. «E credimi, Sansa… ringrazio
gli Dèi per questo.»
Sansa aveva ricambiato il bacio, cercando un
contatto con la sua pelle fredda. Sentire le sue mani sulla pancia lo aveva
fatto rabbrividire.
«Anche io, Jon…» Era risalita su, fino al suo
petto, accarezzando le sue cicatrici. «Anche io.»
Poi si era chinata a baciarle, una dopo l’altra.
Tormund gli tira una pacca sulla spalla,
facendogli versare il vino fuori dal boccale. Jon sorride, ma dentro di sé si
sente uno stupido. Come può pensare a lei in quel modo, in quel momento?
«Ehilà, piccolo corvo.» Tormund gli indica
Brienne, seduta al tavolo d’onore vicino a maestro Ronald, accanto al posto
vuoto che presto Sansa occuperà. «Gran bel pezzo di donna, vero?»
«Già.»
«Sembri giù. Prova a bere un po’ di questo.» Gli
mette davanti un po’ di quel liquido che si porta dietro ovunque vada.
«C’è del vino, Tormund. Perché non lo assaggi?»
L’altro si porta un grosso boccale di corno alle
labbra. «Ho portato il mio.»
Jon fa finta di ridere, ma nella mente ha ancora
le immagini di Sansa che lascia cadere gli abiti a terra, di Sansa che lo
spoglia lentamente, di Sansa che lo attira verso il letto.
«Non possiamo, San.»
«Perché?» aveva chiesto lei. Non era più turbata.
«Perché siamo cresciuti insieme? Non lo abbiamo fatto come veri fratelli, Jon…
e anche se fosse, adesso non è più così. Sappiamo che non è più così.»
Gli aveva preso il viso tra le mani, incatenando
gli occhi azzurri ai suoi.
«È l’unica cosa per cui ringrazio la venuta di… lei.»
Aveva deglutito, e Jon si era ritrovato a seguire la linea del collo sottile,
le venature sotto la pelle chiara, i seni pallidi. «Se non fosse arrivata, se
Sam non fosse tornato… se Bran non fosse tornato, non lo avremmo saputo.
E forse tu non ce lo avresti mai detto, se non ci fosse stata lei a
incombere sopra di noi con i suoi draghi.»
«Certo che ve lo avrei detto. Siete la mia
famiglia.»
Sansa gli aveva infilato le dita tra i capelli,
attirando il suo viso.
«Voglio dimenticarmi di lei. Non voglio più avere
paura di un fantasma.»
Jon aveva appoggiato le mani sui suoi polsi. «Di
cosa hai paura? Non può più farti del male.»
«Non glielo avresti permesso nemmeno prima.»
«È così. Non glielo avrei mai permesso.»
«Non è di questo che ho paura» aveva confessato
Sansa, senza reggere il suo sguardo.
Non aveva aggiunto altro, ma Jon aveva capito.
Tu l’amavi, dicevano gli occhi di Sansa. E
ora… chi ami, Jon? È mai possibile che…
Per lui lo era. Era possibile dimenticare la
Madre dei Draghi per Sansa.
«Vieni» aveva detto Sansa, tirandolo ancora verso
il letto.
Jon non aveva trovato più nulla da obiettare.
«Ecco tua sorella» dice Tormund, bevendo un altro
sorso.
Tua sorella.
Il suo stomaco si contrae a quella parola. Aggrotta
la fronte e cerca di non pensare al corpo di Sansa, ai suoi respiri sulla
pelle. Al suo profumo.
La vede varcare l’ingresso della Sala Grande,
mentre tutti si alzano in piedi e smettono di parlare. Gli occhi di Davos e
Brienne sono solenni, puntati su di lei come il fiato dei draghi lo era sugli
Estranei.
Lei guarda dritto davanti a sé, ignora lo sguardo
di Jon, ma corruccia le labbra quando gli passa vicino, e lui sa per certo che
ha avvertito la sua presenza. Lo sa, come sa che anche lei ha in mente ciò che
è successo poco prima.
Jon adesso sorride.
Sorride, pensando a tutto ciò che può ancora
accadere, a tutto ciò di cui non si priveranno più. Sorride, mentre ha ancora
impresso il suo odore, il calore del suo respiro.
Sansa ha quasi raggiunto il tavolo rialzato
quando qualcuno corre verso di lei.
È solo un ragazzo. Alto, mingherlino, con abiti
troppo stretti, come se non fossero della sua misura.
Jon non sa come abbia fatto a notarlo, come
faccia a sapere che quel ragazzo non è nessuno. Non sono suoi gli abiti che
porta.
E forse non è suo nemmeno il coltello che stringe
tra le mani mentre si avventa contro Sansa.
«GREYJOY!»
Jon balza in avanti, come Tormund e Brienne. È il
Bruto a intercettare il ragazzo prima che riesca a colpire il suo bersaglio. Le
guardie lo infilzano con le spade, uccidendolo sul colpo.
«No!» grida Brienne. «Perché lo avete ucciso?
Avrebbe potuto dirci qualcosa!»
«Ha detto abbastanza» mormora una guardia,
pulendo la lama dal sangue. È la stessa che Jon ha visto spesso davanti alla
porta di Sansa. Scambia uno sguardo con maestro Ronald. «Greyjoy. Sono
stati loro ad attentare alla vita della Regina.»
«Potrebbe essere solo un trucco!» insiste Brienne,
guardando con sospetto il Maestro. «Che motivo avrebbero i Greyjoy…»
Sansa ha una mano sul cuore, gli occhi
strabuzzanti. Lo guarda, e Jon sa, sa con certezza che stanno pensando la
stessa cosa.
Ho ucciso Daenerys. L’attentato a Sansa era per
punire me.
N.d.A.:
Rieccoci! Volevo dirvi che per le feste potrei
non riuscire ad aggiornare... Spero di tornare con regolarità a gennaio, e farò
il possibile perché accada.
Questo capitolo era dedicato interamente a Jon e
Sansa, ma nel prossimo ritroveremo Arya.
Grazie a chi è ancora qui!
Celtica