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Autore: sissi149    19/12/2019    4 recensioni
Dopo la fine del World Youth Tsubasa ha chiesto a Sanae di sposarlo e la ragazza ha accettato.
I festeggiamenti sono nel culmine, ma andrà davvero tutto liscio?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Nakazawa, Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Jenny si era allontanata da lui da pochi istanti per andare a preparare la sua usuale colazione. La ragazza era molto gentile e cercava ogni volta di farlo sentire a proprio agio, mentre lui riusciva a rispondere solo a mugugni o con frasi al limite della scortesia. Del resto la sua situazione rischiava di farlo impazzire: si sentiva uno storpio senza possibilità di guarigione. Nel primo anno dopo l’incidente aveva provato a credere alla speranza di riuscire ad alzarsi da quella maledetta sedia a rotelle, ma nessuno dei suoi sforzi era stato premiato ed aveva finito per arrendersi all’evidenza.
Nell’osservare la cameriera allontanarsi aveva notato su di sé lo sguardo dell’uomo che sedeva allo stesso tavolo di quella stramba di Kitty. Gli salì un fastidio improvviso, poiché la seconda cosa che non riusciva a sopportare della propria condizione erano gli sguardi a volte di commiserazione, a volte di pietà, a volte di scherno, a volte di curiosità di chi incontrava. Se quanto accaduto fosse stata colpa sua, forse avrebbe potuto farsene una ragione, ma dato che la colpa era tutta di quella sottospecie di architetto che non era riuscito a fare correttamente l’unica cosa che gli era richiesta, non poteva sopportare di essere lui a pagarne le conseguenze.
Prese il giornale, collocato sulla mensola nei pressi del suo tavolo riservato, per ingannare l’attesa, anche se la cronaca locale non lo interessava molto.
Jenny arrivò poco dopo con un espresso fumante ed una omelette.
“Grazie Jenny!”
“Si figuri, signor Price. Buon appetito.”
Prima di afferrare le posate si accorse che lo sconosciuto l’aveva nuovamente indicato a Kitty con un gesto. La sua rabbia stava per tracimare, ma si trattenne per evitare di fare una scenata nel locale di Jack Morris, che era uno dei pochi posti pubblici della cittadina che ancora frequentava.
L’omelette era davvero deliziosa e per un attimo riuscì a fargli dimenticare i suoi problemi.
Bevve un sorso di caffè, forte e deciso come piaceva a lui e quell’uomo lo stava osservando un’altra volta! Adesso aveva proprio esagerato.
Appoggiò di malagrazia la tazzina sul tavolo e raggiunse gli altri due avventori del Fiore del Nord.
“Hey, tu!” Apostrofò l’uomo, senza curarsi di quello che i due stavano dicendo tra loro.
“Ha bisogno di qualcosa?”
“Sì, che tu la smetta di guardarmi come se fossi un’attrazione del circo. La mia condizione ti diverte?”
L’uomo parve stupito e la cosa, se possibile, lo fece alterare ulteriormente, portandolo a stringere i pugni.
“Se l’ho offesa in qualche modo, non era mia intenzione, le chiedo scusa.”
“Raccontalo a qualcun altro, buffone!”
Stava per fare qualcosa di azzardato, solo l’intervento di Kitty lo fermò:
“Signor Price, ha frainteso. Il signor Brown si sta occupando della storia del cantiere, aveva appena saputo di quanto accaduto e si è stupito della coincidenza di trovare qui lei nel momento in cui ne stavamo parlando. Nient’altro.”
Il signor Brown confermò la versione della donna.
“Se proprio deve stupirsi di trovare in giro qualcuno, dovrebbe stupirsi di trovare allegramente a passeggiare il responsabile di quanto accaduto!”
Ormai l’odio verso l’architetto stava tracimando e se il suo interlocutore fosse stato veramente interessato alla storia del cantiere, allora lui lo avrebbe illuminato come si doveva.
“Cosa vuole dire?”
Fu l’ingenua domanda che si sentì rivolgere.
“Che invece di stare qui ad infastidire me, lei dovrebbe andare a tartassare quel bastardo di Oliver Hutton! È colpa sua se mi trovo in questa condizione di merda, sua e dei suoi progetti completamente sbagliati.”
Sputò fuori ogni parola, quasi triturandola tra i denti, con tutto il disprezzo di cui era capace.
“Aspetti un attimo e mi faccia capire: questo Oliver Hutton sarebbe il progettista del nuovo Municipio?”
Benji annuì.
“Esatto! Ha sbagliato il progetto, noi al cantiere abbiamo seguito le sue istruzioni ed abbiamo rischiato di morire tutti o, peggio, restare storpi a vita. La sa una cosa? Quell’incompetente non ha passato un solo giorno in prigione per quello che mi ha fatto!”
Jason mostrò parecchio stupore:
“Non c’è stato un processo per stabilire le colpe e le punizioni?”
Il capocantiere rispose acido, poiché qualsiasi cosa che avesse a che fare con Hutton lo indisponeva allo stesso modo.
“Quello non è stato un processo, ma una farsa! Quel pusillanime del nostro Sindaco non ha avuto il coraggio di affondare il colpo definitivo e nonostante le chiare colpe dell’architetto ha fatto in modo che non venisse incarcerato. Ora lui è fuori a farsi la bella vita.”
Kitty, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, si rivolse direttamente a lui:
“Signor Price, mi pare che Hutton sia in ogni caso stato condannato a risarcirla con una cifra parecchio cospicua.”
Benji fece una smorfia contrariata:
“E cosa vuoi che me ne faccia dei soldi se non posso più camminare?”
“Mi sta dicendo che con Oliver Hutton in prigione lei si sarebbe alzato immediatamente da quella sedia?”
“Kitty!”
Jason la rimproverò con tono scandalizzato, mentre Price sbatté violentemente un pugno sul tavolo guardandola con odio.
“Qualcuno mi aveva detto che avevi delle simpatie per quell’individuo, del resto cosa ci si potrebbe aspettare da una stramba come te! Non osare mai più rivolgerti a me con quel tono, anzi, non rivolgermi mai più la parola in generale. Buona giornata signor Brown!”
Benji premette i comandi sul bracciolo e girò la carrozzella per andarsene, facendo segno a Jenny di segnare tutto sul suo conto che avrebbe saldato come al solito a fine settimana. Mentre si avvicinava alla porta sentì Kitty che gli urlava contro:
“Io la smetterò di parlarle, quando il suo tirapiedi Harper smetterà di fare lo stronzo!”
Uscì sbattendo la porta e raggiunse l’autista che lo aspettava.
 
 
 
 
 
Dopo l’incidente  con Benjamin Price, Jason aveva terminato in fretta la colazione nel silenzio più assoluto. Voleva solo uscire dal locale e scrollarsi di dosso la sensazione che tutti stessero guardando con disapprovazione verso lui e la sua accompagnatrice. Non avrebbe mai creduto che Kitty potesse rivolgersi in maniera così sgarbata ad un uomo che evidentemente non aveva ancora elaborato del tutto ciò che gli era capitato. Jason aveva provato sulla propria pelle cosa significhi dover superare un trauma e non c’è trauma peggiore di non sapere chi si è: solo il grande amore della sua famiglia adottiva, quella che sentiva essere la sua vera famiglia, l’aveva condotto fuori dal baratro e fatto diventare l’uomo che era ora.
Una volta all’aperto prese una grande boccata d’aria, a rigenerare i polmoni dopo che all’interno del Fiore del Nord la situazione si era fatta irrespirabile.
“Come ti dicevo prima, hai scelto di cominciare con qualcuno di difficile: Benji Price non è certo la persona più affabile di New Team Town e la sua situazione una delle più tristi.”
Si voltò di scatto verso Kitty e l’aggredì verbalmente:
“Come ti è saltato in mente di rivolgerti a quell’uomo in maniera così scortese?”
La donna parve risentirsi, superandolo sul marciapiede.
“Non ti scaldare, non conosci tutte le dinamiche di questo posto. Ti assicuro che Oliver Hutton sta pagando più di quante siano le sue colpe, sempre che ce ne siano state.”
“Adesso metti in dubbio quanto stabilito in un processo?”
“Beh, se il tuo avvocato è Ed Warner, soprannominato l’avvocato delle cause perse, qualche dubbio che il processo avrebbe potuto finire diversamente dovrebbe venirti.”
Jason sbuffò, non era dell’umore per ingaggiare una battaglia verbale con la donna.
“Senti, vado a farmi un giro da solo. Così comincio a conoscere questo posto. Ci vediamo dopo.”
Aspettò qualche istante, sicuro che Kitty avrebbe avuto delle obiezioni ed avrebbe insistito per accompagnarlo e fargli da guida turistica, invece la donna lo sorprese.
“Se sei testardo solo la metà di tua sorella, farai un ottimo lavoro qui, Atsushi.”
“Non chiamarmi Atsushi! Il mio nome è Jason.”
Si voltò di scatto e partì nella direzione opposta rispetto a quella da cui era arrivato al mattino, dalla casa di Kitty.
Pur non credendo a tutte le assurdità della donna, doveva ammettere che la storia del cantiere lo stava intrigando, soprattutto dopo che Benjamin Price aveva espresso il suo punto di vista sulla faccenda. Chi meglio del capocantiere poteva sapere cosa fosse accaduto in quei tragici momenti? Inoltre pareva convinto che le responsabilità dell’architetto progettista fossero maggiori di quanto gli fosse stato riconosciuto dal tribunale. Avrebbe dovuto andare a vedere più da vicino il cantiere e poi cercare di rintracciare quell’Oliver Hutton, in questo forse Kitty avrebbe potuto aiutarlo, dato che sembrava sapere tutto di tutti a New Team Town. Jason si trovò a domandarsi quale personaggio di Captain Tsubasa fosse Benjamin Price nella testa di Kitty.
Sollevò la testa e si accorse di essere arrivato davanti ad un edicola, un buon posto per cercare notizie sugli avvenimenti locali. Decise di dare una sfogliata ai giornali, alla ricerca di qualcosa di interessante. Improvvisamente un uomo alto e dalla pelle abbronzata, uscì di scatto dall’edicola e si diresse a grandi falcate alla gelateria sulla sinistra. Solo un vicoletto, al momento occupato da alcuni cartoni gettati alla rinfusa, separava le due attività.
“Callaghan! – sbraitava lo sconosciuto – Quante volte ti ho detto di non gettare la tua spazzatura nel vicolo!”
“Lenders, sei il solito paranoico!”
Jason pensò di allontanarsi piuttosto in fretta rinunciando ad acquistare il quotidiano che aveva adocchiato, ne aveva avuto abbastanza di gente che urlava e si insultava per quella mattina e sospettava che il diverbio tra l’edicolante ed il gelataio sarebbe durato piuttosto a lungo.
Proseguì nella sua passeggiata senza una meta ben precisa, osservando i negozi del centro con le loro insegne colorate, le case con i mattoni a vista e le persone che passeggiavano. Ad una prima occhiata gli abitanti di New Team Town gli sembrarono delle persone normalissime, vestite normalmente, con volti normali, sguardi normali e preoccupazioni normali. Perché mai avrebbero dovuto essere scambiati per personaggi di un manga finiti contro la loro volontà nel mondo reale?
Scosse la testa, turbato, rendendosi conto di quanto i discorsi strampalati di Kitty fossero penetrati in lui, al punto da portarlo a porsi delle domande che fino a due giorni prima non si sarebbe mai posto. Era come se fosse stato contagiato dal modo di pensare della donna, ma per quel che ne sapeva lui i problemi mentali non erano contagiosi. Si domandò quale potesse essere la definizione clinica del disturbo di una persona che credeva che personaggi immaginari vivessero nel mondo, mescolati alle persone comuni.
Un’idea gli balenò nella mente: se Kitty conosceva quasi tutti, anche gli altri conoscevano lei, come avevano dato prova di fare il signor Price, la cameriera del Fiore del Nord e quella ragazza dai capelli rossi. Mentre indagava per scoprire qualcosa sul cantiere e sulle misteriose fonti di ispirazione di Takahashi, avrebbe potuto fare delle domande anche sulla donna e scoprire qualcosa in più su di lei. Da quello che aveva colto dalla conversazione con Benjamin Price, anche l’ex capocantiere considerava la donna poco centrata e forse era opinione comune nella cittadina.
Uno schiamazzo proveniente dall’altro lato della strada attirò la sua attenzione:
“Hey! Con che coraggio ti fai vedere qui in giro?”
Un uomo con un taglio di capelli molto corto stava gridando in direzione di un altro uomo che gli era appena passato accanto con le spalle incurvate. L’incontro tra i due sembrava casuale, ma il primo individuo nutriva un aperto astio nei confronti del secondo.
“Perché non ti decidi una buona volta a lasciare la cittadina? Non ti vogliamo qui!”
L’interpellato non reagì e proseguì il suo cammino senza nemmeno voltarsi a guardare chi lo stava insultando, solamente incurvò di più le spalle.
Jason voleva nascondere il volto tra le mani e riavvolgere la giornata che si stava rivelando assai burrascosa: ovunque andasse finiva per trovare qualcuno che litigava con qualcun altro.
“Te la dai a gambe? Codardo, reagisci una buona volta. – lo sconosciuto proseguiva la sua invettiva – O forse sai di avere torto marcio, è così? Hai rovinato la vita al mio amico!”
L’uomo aveva con sé una borsa di plastica da cui estrasse un uovo, tirò indietro il braccio e lanciò nella schiena del suo avversario.
“Ecco! Questo è quello che ti meriti!”
Altre uova comparvero nelle sue mani e furono tutte lanciate contro il malcapitato che ad un certo punto osò voltarsi verso l’aggressore e venne colpito sulla guancia.
Jason non riuscì più a trattenersi ed attraversò furioso il viale, deciso a porre fine allo scempio a cui stava assistendo.
“Si può sapere cosa ti ha fatto di male quest’uomo per essere trattato così?” Domandò all’aggressore, frapponendosi tra lui ed il suo obiettivo.
“Fatti gli affari tuoi, bell’imbusto.”
“Qualunque cosa lui possa averti fatto, lanciargli uova addosso non risolverà la situazione. Così passi tu dalla parte del torto.”
Jason si sentì squadrato da capo a piedi dal tizio che aveva di fronte.
“Benji l’aveva detto che c’era in giro un estraneo che ficcava il naso nei nostri affari. A quanto pare hai deciso di schierarti dalla parte di questo qua!”
Brown indurì lo sguardo e replicò seccamente:
“Mi schiero dalla parte di una persona che stava camminando per strada ed è stata aggredita prima verbalmente e poi fisicamente senza un motivo apparente.”
Per un lungo istante i due uomini si fissarono in silenzio, in una sorta di sfida a chi abbassava per primo lo sguardo, a chi ammetteva di avere torto. Fu lo sconosciuto a parlare, rivolgendosi però all’uomo che stava oltre le spalle di Jason.
“Sei fortunato che abbia finito le uova e debba rientrare al lavoro. E tu! – puntò un indice contro Jason – Ci rivedremo presto: sarà meglio che per allora tu abbia capito quale sia la fazione giusta.”
L’uomo raggiunse un pick-up parcheggiato un po’ più in là, salì a bordo sbattendo la portiera e se ne andò.
Jason si voltò ed offrì la propria mano alla vittima dell’aggressione. Indossava dei jeans strappati ed una felpa passata di moda da almeno tre anni e piuttosto scolorita, non sembrava passarsela bene in generale.
“Jason Brown. Come sta?”
L’uomo lo osservò con curiosità, come se non fosse abituato a ricevere manifestazioni di solidarietà. Strinse la mano che gli veniva porta.
“Sto bene, non si preoccupi. Sono Oliver Hutton.”
Jason cercò di mascherare lo stupore e l’emozione che l’aveva colto: dopo aver tanto sentito parlare male dell’architetto, se l’era trovato davanti inaspettatamente.
“La ringrazio per quello che ha fatto. – stava proseguendo Hutton – Tuttavia non avrebbe dovuto mettersi in mezzo, non conosce i motivi dei gesti di Bruce: non si può dire che abbia tutti i torti.”
L’aspirante giornalista scosse la testa piuttosto contrariato.
“Non può dire così: qualunque siano stati i suoi errori e le sue colpe nessuno ha il diritto di aggredirla per strada.”
Oliver sospirò.
“La ringrazio ancora e le auguro buona giornata.”
“Mi permetta di accompagnarla fino a casa, ha bisogno di ripulirsi.”
Si offrì Jason, convinto che nessuno avrebbe infastidito l’architetto se l’avesse visto in compagnia: sospettava che il teppista che l’aveva aggredito agisse solo quando l’uomo era isolato.
“È molto gentile, ma io non ho più una casa.”





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Dopo Genzo, finalmente fa la sua comparsa anche Tsubasa che, diciamocelo, non se la passa troppo bene nemmeno lui. Chi ha scagliato la maledizione deve volere proprio male ai nostri eroi.

Parlando di altro, le vacanze natalizie sono alle porte, ed anche i nostri personaggi intendono approfittarne, per cui la storia si prende una pausa fino al termine delle festività nel nuovo anno. ;)
 
  
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