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Autore: heliodor    11/02/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Non stavolta
 
“Sopra di te” gridò Joane.
Joyce sollevò lo scudo sopra la testa e intercettò il dardo magico. Usando i riflessi aumentati balzò di lato e poi all’indietro, evitando gli altri due dardi che esplosero davanti ai suoi piedi staccando minuscoli frammenti di pietra.
Joane atterrò a due o tre passi da lei, la lama magica stretta nella mano. Con un fendente cercò di colpirla al fianco ma Joyce la intercettò con lo scudo e rispose con la lama magica evocata nella sua mano destra.
Joane parò il colpo con lo scudo ed evocò il raggio magico, mirando al petto.
Joyce venne sbalzata all’indietro e atterrò a una decina di passi di distanza.
Joane le alzò addosso cercando di colpirla con i piedi uniti ma Joyce rotolò di lato evitando l’attacco.
Lanciò i dardi verso Joane, che li parò con lo scudo.
Quando si rimise in piedi la fissò boccheggiando.
“Oggi non mi hai ancora colpita” disse con respiro pesante.
Joane fece una smorfia. “Ti sto solo concedendo un po’ di vantaggio.”
“Non è vero” protestò.
“Invece di pensare solo a evitare i miei colpi, dovresti anche cercare di colpirmi.”
“Sei troppo veloce.”
“Se non puoi superarmi in velocità, fallo in potenza. O astuzia.” Joane fece una smorfia di dispiacere. “Dimenticavo che sei una stupida. Non tenere conto delle mie parole.”
Joyce si sentì avvampare. “Vuoi che ti colpisca? Ora lo farò.”
“Io sono qui strega rossa” esclamò Joane.
Joyce pensò alla formula del raggio magico e lo scagliò contro lo scudo dell’altra.
“Con questo non mi colpirai mai.”
Ora la vedremo, pensò.
Pensò alla formula di altri raggi magici scagliandoli contro lo scudo di Joane, che socchiuse gli occhi davanti a quell’attacco.
“Lo sento appena.”
Joyce evocò altri raggi magici fino a perderne il conto, poi si diede lo slancio in avanti e balzò sopra l’avversaria.
Joane alzò lo scudo per intercettare il suo attacco.
Joyce pensò ai dardi magici e li scagliò nel punto esatto dove l’energia del suo raggio magico avvampava ancora nello scontro con lo scudo dell’altra.
Scintille crepitarono dove i dardi colpirono lo scudo, venendo assorbiti. Tutti tranne uno che riuscì a passare e sfiorò il braccio di Joane, disegnando una riga color sangue sulla sua pelle.
Joyce atterrò a pochi passi di distanza. “Ti ho colpita” esclamò trionfante. “Ti ho…”
Il pugno di Joane le affondò nel ventre togliendole il fiato. La strega si era mossa con tale velocità da non darle la possibilità di evitarla.
Joyce si sentì sollevare per aria e si piegò in due. Joane l’afferrò per le spalle e la lanciò verso il muro. Pensò alla formula della pelle resistente un attimo prima di colpire le pietre.
Quando atterrò si ritrovò a terra boccheggiante, il fiato che le mancava.
Joane le fu addosso in un attimo afferrandole la testa e sollevandola senza alcuno sforzo. Nella mano destra brillava un dardo magico.
“Sei morta” disse con rabbia.
Joyce fece per dire qualcosa.
Lei le strinse il naso tra l’indice e il pollice e la lasciò andare.
Joyce ricadde al suolo e vi rimase per un minuto. Quando si rimise in piedi sentiva ancora dolore allo stomaco e alla schiena. “Potevi uccidermi” si lamentò.
“Dopo il tuo attacco scriteriato sarebbe stato inevitabile. Qualsiasi avversario l’avrebbe fatto.”
“Ma ti ho colpita, no? Non sono stata brava?”
“Non devi limitarti a colpire. Devi pensare anche alla reazione dell’avversario. Colpisci sempre per uccidere. Se non ne sei certa, allora pensa sempre a come difenderti dopo aver sferrato un attacco.”
“Mi hai quasi spezzato la schiena.”
“Forse ti avrebbe aiutata a riflettere.”
“Chiedo scusa” disse una voce esitante. Un ragazzino sui dieci o undici anni era apparso a una ventina di passi di distanza. Indossava una tunica color grigio di un paio di taglie più grande chiusa in vita da una cintura di cuoio.
“Che vuoi?” fece Joane con tono brusco.
Il ragazzino sobbalzò.
Razt, pensò Joyce. È così che ci chiama.
Kallia lo aveva assegnato a loro come valletto.
“Sua eccellenza la governatrice desidera vedervi.”
Joane lo guardò interdetta. “Chi?”
“Si riferisce a Kallia” disse Joyce con tono calmo. “Dille che arriviamo subito.”
Razt annuì e corse via.
“Da quando è governatrice?”
“Da quando il consiglio cittadino le ha affidato la difesa di Nazdur.”
Joane scrollò le spalle. “Mi sembrava che anche prima svolgesse questo lavoro, anche se con risultati pessimi.”
“La città è ancora qui. E se fossi in te non parlerei così in sua presenza.”
 
Kallia le attendeva sulla cima di una delle torri difensive di Nazdur. La struttura era una delle poche rimaste in piedi dopo la precedente battaglia e si vedevano i lavori di consolidamento effettuati in fretta dai carpentieri, come le pietre collocate alla base senza nemmeno usare la malta e i pali di legno per contenere le mura che altrimenti sarebbero crollate. Come le altre torri cittadine era di pianta quadrata e si restringeva verso la cima, dove diventata un quadrato di venti passi di lato. Le merlature erano distanziate da feritoie appena sufficienti da far passare l’arco di un arciere.
Gettando una rapida occhiata attraverso una di queste, Joyce vide la pianura antistante la città e, lontano mezzo miglio almeno, il campo recintato degli assedianti.
Questi non avevano solo preso il posto dell’armata precedente, ma l’avevano ampliato, formando un anello profondo due miglia attorno alla città.
Kallia guardava con espressione accigliata la pianura e le degnò di uno sguardo appena. “Mi chiedo” disse con tono dimesso. “Il motivo per cui faccio tanti sforzi per salvare questa città dai nemici esterni, se poi il pericolo maggiore è già al suo interno.”
Joyce fece per dire qualcosa ma lei la bloccò con un gesto.
“No, zitta” fece Kallia. “Avete distrutto un edificio due giorni fa.”
“Era già mezzo crollato” si giustificò Joyce.
“E un granaio il giorno prima.”
“Era vuoto.”
“E oggi avete quasi abbattuto una casa.”
“È solo crollato un muro esterno. Possiamo aggiustarlo se…”
“Basta, silenzio” disse Kallia esasperata. “Dovete smetterla di distruggere la mia città.”
“Alla strega rossa serve addestramento” disse Joane con tono annoiato. “Non posso renderla più intelligente, ma più abile, sì. Con un certo sforzo.”
“Grazie” disse Joyce.
“Ti senti per caso offesa?” fece Joane.
“Potevi usare parole diverse.”
“Sono una persona semplice. Uso parole semplici.”
Joyce stava per replicare piccata, quando Kallia attirò la loro attenzione. “Non è la strega rossa che ci serve” disse indicando la pianura. “Se con quell’armata c’è davvero un colosso, Bardhian ci sarebbe molto più utile.”
“È quello che dico anche io” si affrettò a dire Joyce.
Joane scosse la testa. “È fuori questione.”
“Perché? Tuo figlio non è un erede?”
“È un erede, ma non è pronto per affrontare uno di quei mostri.”
“Da quello che è successo nel santuario di Urazma, sembrerebbe di sì. Caldar dice che il ragazzo ha ucciso un ragno gigantesco. Il ragno supremo, come dite voi. Parole vostre.”
“Caldar ha visto quello che voleva vedere” disse Joane fissandola negli occhi. “Una speranza di sopravvivere all’attacco. Io ho visto ben altro.”
“Cosa?”
“Un ragazzo che ha appena scoperto i suoi poteri ma non sa affatto dominarli. Gli serve altro tempo.”
“Non mi pare che tu lo stia sfruttando il poco tempo che abbiamo.”
“Parlo di anni” disse Joane. “Forse un decennio per affinare la sua tecnica e sopravvivere.”
“Non abbiamo dieci anni” disse Kallia con tono esasperato. “Forse nemmeno dieci giorni. Bardhian ci serve adesso.”
“Morto non vi servirà a molto.”
“Ho il sospetto” disse Kallia. “Che tu stia solo cercando di tenere al sicuro tuo figlio. È un sentimento comprensibile, ma tutti dobbiamo essere pronti a fare dei sacrifici. Potevo ordinare l’evacuazione della città, ma voi mi avete convinta a rimanere e tentare di affrontare il colosso. dico bene, strega rossa?”
“Ti sbagli” disse Joane a denti stretti. “Nemmeno considero Bardhian mio figlio e per lui non provo niente. Dico solo che in una prospettiva futura, se davvero esistono ben tre colossi da affrontare, sarebbe più logico non usare la nostra arma migliore in maniera scriteriata.”
“Bardhian che cosa ne pensa?”
“Lui è pronto” si affrettò a dire Joyce.
“Non lo è affatto” disse Joane. “Pensa di esserlo, ma è uno stupido, come suo padre.”
“La decisione spetta a lui” disse Kallia. “È un adulto, non ha certo bisogno di sua madre che gli dica come comportarsi.”
Joane fece schioccare le labbra. “Qui non servo a molto” disse prima di voltarsi e andare via.
Joyce la seguì giù dalla torre e poi in strada. “Joane, aspetta” le disse.
La donna non si voltò.
Joyce la raggiunse. “Fermati.”
Lei la guardò con occhi sgranati. “Proprio non sai quando arrenderti, strega rossa.”
“Bardhian è pronto e tu lo sai.”
“Non lo è.”
“Lo hai visto anche tu nel santuario di Urazma. Il suo potere è enorme.”
“Più è grande il potere, più difficile sarà da controllare. E più lo consumerà in fretta.”
“Se non ti importa niente di lui…”
Joane ghignò. “Stupida ragazzina, che cosa credi che stia facendo? Ho accettato di aiutarvi solo per avere salva la vita. Credi che mi importi qualcosa di te, della vostra guerra, di mio… Bardhian?”
“Io credo che ti importi” disse Joyce sicura. “Devi solo convincere te stessa.”
“Io sono già convinta. Discorso chiuso.”
Fece per andarsene.
“L’hai detto anche l’altra volta” le urlò dietro Joyce. “E poi sono riuscita a convincerti.”
“Non questa volta” disse lei marciando veloce.
Joyce la guardò allontanarsi.
Razt si avvicinò quasi in punta di piedi. “Eccellenza” disse con voce appena udibile.
“Che c’è adesso?”
“Sua eccellenza l’erudito Halux vuole vedervi nel suo studio.”
Joyce sospirò. “Che vuole?”
“Non me l’ha detto, ma posso andare da lui e chiederglielo per poi riferire a voi le sue parole.”
“Andrò io stessa” disse esasperata.
Razt la seguì fino al palazzo dell’accademia di Nazdur. Halux l’attendeva in una sala ampia una cinquantina di passi per lato, con una grande finestra protetta da tende color crema decorata con ricami dorati. Su di un tavolo rotondo in mezzo alla stanza aveva ammucchiato decine di libri e pergamene. Al centro di quella confusione, un’ampia mappa su cui l’erudito era chinato.
Alzò la testa per gettarle una rapida occhiata. “Il ragazzino deve attendere fuori.”
Joyce fece un cenno a Razt. “Non andare via.”
Il ragazzo annuì e scivolò fuori dalla sala chiudendo la porta con dolcezza.
Halux si allontanò dalla scrivania.
“Vedo che Versam è stata di parola” disse Joyce.
“Dopo aver saputo quello che è accaduto al santuario e aver visto l’armata alle porte, si è convinta a darmi una mano.”
“Strano, credevo che ti avrebbe incolpato della morte di Biqin.”
“La strega ci ha provato, ma io avevo argomenti migliori” fece lui con uno sguardo di trionfo.
Joyce si accigliò. “Strega? Io credevo fosse un’erudita.”
“È solo un vecchio modo di dire” spiegò Halux. “Credo risalga al tempo in cui i maghi dominavano il mondo e streghe e stregoni erano banditi. Nascere con il potere era segno di sventura, sia per il nascituro che per la sua famiglia.”
“Non vedo come possa essere…” Un pensiero la colse di sorpresa. “I maghi conoscevano il legame tra il sangue e il potere.”
“La mia sola vicinanza ti rende più sveglia.”
“Non vedo come starti vicino possa farmi dormire di meno.”
“È un altro modo di dire. Significa che stai diventando più intelligente.”
“Ancora non vedo come tu possa c’entrare in tutto questo. A parte il fatto che ero molto intelligente anche prima di incontrarti.”
“Per essere una che dice di venire da Nazedir sai davvero poco dei modi di dire del continente vecchio.”
Stavolta Joyce tacque per qualche istante. “Perché mi hai fatta chiamare?” chiese per cambiare discorso.
Halux tornò alla scrivania. “L’ho trovato.”
Joyce ebbe un tuffo al cuore. “Il portale?”
L’erudito annuì.
“Possiamo andare al nord?”
“Anche subito.”
“E per quanto riguarda l’altro portale?” Joyce gli aveva chiesto di trovare un secondo portale che la conducesse vicino al villaggio dove Malag si nascondeva.
O almeno così pensava. Quella informazione era ormai vecchia di intere Lune e l’arcistregone nel frattempo poteva anche essersi spostato.
“Anche quello” disse Halux. Sembrò esitare.
“Che c’è?”
“Non so se ho fatto bene a dirtelo. Quel portale ti trasporterebbe nel territorio dell’orda.”
“Mi auguro proprio di sì. Non sopporterei di ritrovarmi dall’altra parte del continente perché hai sbagliato i calcoli.”
“Io mi sentirei sollevato se i miei calcoli fossero sbagliati” disse Halux. “Ma so che non lo sono.”
“Tu? Sollevato per aver commesso un errore?”
Halux scrollò le spalle. “A volte certi errori sono i benvenuti.”
Joyce si accigliò. Stava per dire qualcosa, quando il suono delle campane coprì ogni altro rumore.
“Ci attaccano?” chiese Halux con tono preoccupato.
“Farebbero un suono diverso. Questo è strano, quasi di festa.” Si voltò verso l’entrata. “Sta succedendo qualcosa. Andiamo a vedere.”

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