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Autore: heliodor    17/02/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il livello segreto
 
Gladia passò davanti alla porta di Falcandro senza fermarsi. Aveva ancora ben chiare in mente le indicazioni datele da Rossim. Le aveva imparate a memoria per non doverle scrivere e creare una prova compromettente. Se anche l’avessero scoperta in quel livello, avrebbe potuto dire che era arrivata lì per caso o che si era persa.
Era una scusa patetica che l’avrebbe fatta apparire come una stupida, ma non le era venuta un’idea migliore.
“Se seguirai le mie istruzioni” l’aveva rassicurata Rossim. “Nessuno ti scoprirà. L’ultimo livello è sorvegliato, ma ci sono zone dove i soldati di Skeli non sono presenti.”
Superò anche la porta dietro la quale riposava Robern, chiedendosi come stesse. Era migliorato con le cure dell’erudito, ma non stava ancora abbastanza bene da reggersi in piedi per affrontare il viaggio verso Malinor.
O verso nord.
Aver appreso della sorte di Bryce l’aveva spinta a riconsiderare i suoi piani. Le spiaceva dover portare una simile notizia a re Andew, ma la guerra a nord aveva la precedenza e avrebbero trovato un modo per rimpiazzarla.
Il corridoio si interrompeva all’improvviso con una porta sbarrata da assi di legno.
Come aveva detto Rossim.
“Limitati a spostarle” le aveva suggerito. “Non sono inchiodate.”
Gladia le rimosse con calma, prendendosi tutto il tempo che le serviva. Sistemò le assi in modo che non si vedessero da chi fosse giunto dall’altra parte del corridoio e saggiò la maniglia della porta.
Questa si aprì senza opporre resistenza e lei fu dentro la piccola cella di forma quadrata.
“Appena entrata noterai l’armadio sul muro di fronte” le aveva detto Rossim. “Aprilo. Dentro ci troverai mazze e secchi per lavare i pavimenti.”
Gladia si era accigliata.
“È il ripostiglio degli inservienti. Cedevi che Skeli non pulisse i suoi sotterranei?” le aveva chiesto Rossim. Senza attendere la sua risposta aveva aggiunto: “Sul fondo dell’armadio c’è un pannello di legno. Puoi spostarlo con una leggera pressione.”
“Gli inservienti potrebbero notare che qualcuno è entrato.”
“Puliscono solo due volte ogni Luna e non lo faranno prima di cinque giorni. Avrai tutto il tempo che ti serve.”
Gladia spostò il pannello come le aveva detto di fare Rossim, rivelando un pozzo scavato nella roccia che scendeva nel buio.
“I gradini sono scavati nella roccia” ancora le parole di Rossim. “Non sarà una discesa facile, ma una con la tua fama non dovrebbe avere grossi problemi.”
“Una volta al livello inferiore come dovrò muovermi?”
“L’ultimo livello ha la forma di un grosso anello. Ci sono due intersezioni che formano una croce che lo taglia in due ma solo una di esse è sorvegliata, quella che porta al livello superiore.”
“Così mi vedranno” aveva protestato.
“Tu userai una via secondaria.”
“Un passaggio segreto? Come nei romanzi d’avventura.”
Rossim si era stretto nelle spalle. “Se ti piace chiamarlo così…”
“Skeli sa di questa via alternativa all’ultimo livello?”
“Ovviamente sì.”
“Quindi è probabile che la faccia sorvegliare da qualcuno.”
“La via sarà libera quando scenderai.”
Gladia lo aveva fissato per qualche istante. “Avete corrotto la guardia che doveva sorvegliare il passaggio segreto?”
Rossim aveva sorriso. “Se usi una guardia per farlo sorvegliare, non è più così tanto segreto. E Skeli è piuttosto avara, mentre noi siamo stati generosi. Nessuno ti dirà niente né verrai fermata. Devi fidarti.”
Gladia trasse un profondo sospiro e si calò nel pozzo. I gradini scavati nella roccia erano ripidi e scivolosi, ma riuscì a guadagnare il suolo senza cadere o farsi male. Si ritrovò al buio, in un corridoio stretto e maleodorante e per un istante pensò di essere sbucata nelle fogne. Evocò una lumosfera per fare luce, illuminando pareti scavate nella roccia viva e incrostate di umidità e sporcizia.
Anche il pavimento sembrava scavato nella pietra ed era irregolare, anche se si notavano alcuni solchi lasciati da qualcosa che era stato fatto strisciare in quel condotto chissà quante volte o per quanto tempo.
Potrebbe essere antico di secoli o di millenni, pensò. Quanto è vecchia Orfar?
Cancellò quel pensiero e si concentrò sul motivo per cui stava affrontando tanti pericoli. Trovare prove sul tradimento di Skeli.
Solo quello doveva importarle.
“Ora ti dirò come raggiungere il posto che devi vedere” le aveva spiegato Rossim con tono paziente. “Dal punto in cui ti ritroverai, devi contare trenta passi e poi prendere il corridoio sulla destra.”
“Non avevi detto che il livello è simile a un grosso anello?”
“Esistono dei condotti più piccoli di scarsa importanza, usati come vie di servizio dai pochi inservienti che vi sono ammessi.”
“Quando avevi intenzione di dirmelo?”
“Sono solo dettagli.”
“Un dettaglio può costarmi la vita.”
“Alla fine del condotto di servizio, troverai un incrocio. Devi andare a sinistra per altri venti passi.”
Gladia seguì le istruzioni e alla fine dei venti passi, il condotto proseguiva con una leggera curva sulla destra. Lungo lo stesso lato c’erano delle porte di ferro rinforzate da pesanti borchie.
“Vedrai delle porte” le aveva detto Rossim. “Ognuna di esse è l’ingresso a una cella.”
“Dunque è una prigione?”
“Sì, ma per prigionieri speciali, che Skeli non vuole che altri vedano.”
“Chi?”
“Lo scoprirai da sola.”
Gladia si avvicinò alla prima porta e aprì lo spioncino, un foro nel metallo appena sufficiente a far passare una mano. O un piatto con poche cibarie.
Gettò una rapida occhiata all’interno. La cella era immersa nel buio, ma la lumosfera attraverso lo spioncino illuminò il pavimento.
Disteso su una stuoia vide il corpo rannicchiato avvolto in una pesante coperta di lana grezza. Ai suoi piedi, scalzi e luridi, vi era un piccolo vassoio vuoto e una scodella rovesciata.
“Tu” sussurrò Gladia. “Sei sveglio?”
Il corpo non si mosse.
“Dico a te. Prigioniero.”
La testa dell’uomo si sollevò appena e due occhi scuri e appannati la fissarono. “Chi sei? Non sei quello che porta il cibo.”
“Il mio nome non importa. Dimmi chi sei tu, prigioniero.”
“Una volta avevo un nome, ma l’ho dimenticato. Avevo una casa nella foresta, ma l’ho persa. Avevo fratelli e sorelle, ma sono morti tutti. Avevo una Dea, ma l’ho tradita.” Rise, ma non c’era felicità nei suoi occhi spenti e tristi. La pelle tirata sugli zigomi affilati testimoniava di giorni migliori che ormai erano passati.
“Da quanto tempo ti trovi qui dentro?”
“Intere Lune? Giorni? O sono arrivato solo ieri? Qui il tempo non conta, nidda.”
Gladia chiuse lo spioncino e passò alla cella successiva. Anche questa era occupata da una sola persona, un ragazzo che sedeva a gambe incrociate sulla stuoia e avevo lo sguardo rivolto in avanti. I suoi occhi incrociarono quelli di Gladia e lei fu tentata di distogliere lo sguardo dal viso devastato dalle cicatrici del prigioniero.
“Io ti conosco” sussurrò. “Tu vedi le parole, non è così?”
Il ragazzo si accigliò. “Dove ci siamo incontrati prima di adesso?”
“Mi hai aiutata a interrogare un rinnegato. Tu che eri un rinnegato a tua volta.”
“L’inquisitrice” disse il prigioniero. “Ora ricordo la tua voce, anche se non parlasti molto.”
“Come sei finito qui dentro?”
“Cercavo di aiutare un’amica.”
“Un gesto nobile da parte tua. Non meriteresti tutto questo. La tua amica adesso sta bene?”
“Lo spero” rispose l’altro distogliendo lo sguardo. “Perché sei venuta qui sotto? Devi prendere la vita di qualcuno?”
“Cosa te lo fa credere?”
“Le guardie rivolgono la parola solo a quelli che vengono condannati a morte.”
“Non sono il boia di Skeli” rispose Gladia.
“Non stai mentendo.”
“Cercherò di fare qualcosa per te” disse Gladia, anche se sapeva che non avrebbe mai potuto tenere fede a quella promessa. Skeli non doveva venire a sapere che lei era scesa nella sua prigione segreta.
“Le tue parole hanno il colore della menzogna” rispose il prigioniero. “Ma comprendo i tuoi motivi, inquisitrice.”
“Farei qualcosa per te se potessi. Di che colore sono ora le mie parole?”
“Quello giusto.”
Gladia chiuse lo spioncino e proseguì. Le altre celle erano occupate da prigionieri che non erano disposti a parlare o vuote.
Una donna dalla pelle scura balzò verso la porta facendola trasalire, la bocca spalancata a mostrare i denti aguzzi.
Un prigioniero si limitò a fissarla per tutto il tempo, ridendo. Gli altri la ignorarono o si avvolsero nella loro coperta di lana.
L’ultima cella era la più distante. Quando aprì lo spioncino, incrociò lo sguardo di un uomo di mezza età, una folta barba marrone che incorniciava un viso smagrito ma dall’espressione fiera nonostante la sporcizia e gli abiti laceri.
“Ecco una visita che non attendevo” disse l’uomo con tono calmo. “Se sei giunta fin qui, vuol dire che la sorveglianza di Skeli non è così efficiente come crede. O ti sei schierata con lei?”
Gladia cercò di mantenere un tono di voce calmo, anche se dentro di sé si sentiva agitare dall’inquietudine. “Dicevano tutti che eri morto.”
“Lo sarò fra poco, se non esco di qui, inquisitrice.”
“Perché non ti ha ucciso subito?”
“La cara Skeli gode nel vedermi soffrire. Ogni due o tre giorni scende, o meglio viene portata qui, per vedere come sto. Non parla, non mi fa domande, non mi irride e non reagisce ai miei insulti. Si limita a osservarmi con quegli occhi che sporgono dalle orbite. Si aspetta che io muoia davanti a lei, ma non le darò questa soddisfazione.”
“Morirai in ogni caso.”
“Sono pronto a morire, inquisitrice. Pagherò per gli errori che ho commesso, ma sono pronto.”
“Il tuo errore è stato quello di non ascoltare gli altri.”
“Sei venuta fin qui per rimproverarmi o c’è dell’altro?”
“Quella donna ha commesso un grave sbaglio” disse Gladia sottovoce. “Ma ho bisogno di tempo per farti uscire. Sono da sola e non ho alleati.”
“Se sei arrivata fin qui, vuol dire che Rossim o qualcun altro è vivo. Puoi chiedere aiuto a loro.”
“Mi piace fare le cose da sola.”
L’uomo ghignò. “Tu e io ci somigliamo.”
“Io non lo direi.”
“Hai visto quello che dovevi vedere, ora sbrigati a uscire da questo posto. A volte le guardie fanno delle ronde a sorpresa.”
“Nessuno può fuggire da queste celle, nemmeno con una sfera infuocata riuscirebbero a buttare giù le porte senza morire nell’esplosione.”
“Qualcuno ha provato a morire in quel modo. Ora le guardie ci danno cibo e acqua sufficienti per sopravvivere un altro giorno, così nessuno ha la forza di evocare più di una lumosfera.”
Gladia annuì. “Tornerò. Non so quando, ma lo farò.”
“Non mi muoverò di qui” disse l’uomo. Sedette sulla stuoia e chiuse gli occhi.
Gladia serrò lo spioncino e tornò sui suoi passi, ripercorrendo al contrario la strada che aveva fatto per arrivare fin lì.
Solo quando ebbe richiuso alle sue spalle la porta del ripostiglio si permise di trarre un profondo respiro. Cercando di non tremare raggiunse la cella di Robern ed entrò.
Lui l’aspettava seduto sul bordo del letto. “Stavo per venire a cercarti.”
“Scusa per il ritardo” disse lei con tono neutro. “Ma dovevo parlare con delle persone.”
“Riguarda il messaggio di cui mi hai parlato?”
Lei annuì.
“Quelle che si sono riunite nel ripostiglio degli inservienti?”
Gladia si accigliò. “Come fai a…”
“Ogni giorno sento i passi pesanti degli inservienti andare e venire dalla cella in fondo al corridoio. E ovviamente so riconoscere il tuo, di passo, così leggero e aggraziato. Non mi aspettavo certo che superassi la porta e proseguissi verso il fondo del corridoio. Ho appoggiato l’orecchio al muro e ti ho sentito armeggiare vicino alla porta. Ero tentato di uscire, ma non ero sicuro della tua reazione. Conoscendoti, mi avresti piantato due dardi nel petto.”
Forse dovrei farlo adesso, si disse Gladia.
“Cosa vuoi sapere?”
“Niente” rispose lui. “Ho la sensazione che meno so di quello che stai facendo, meglio sarà per me. Solo, lasciami fare un’osservazione.”
“Continua” lo esortò lei.
“Qualsiasi cosa tu stia facendo, spero non interferisca col nostro piano.”
“Non interferirà.”
“Gladia, il piano ha la precedenza su qualsiasi altro problema.”
“Non c’è bisogno che tu me lo ripeta” rispose stizzita. “E se proprio vuoi saperlo, quello che ho scoperto potrebbe esserci d’aiuto.”
“Come?”
Gladia sospirò. “Ti dirò qualcosa. Non tutto, perché non mi fido di te.”
“Ti ringrazio per la sincerità.”
“Allora ascolta…”
 
“Ti ripeto inquisitrice” stava dicendo Takis con le braccia incrociate sul petto. “Che in questo momento la regina non riceve nessuno.”
Gladia, in piedi fuori dalla sala delle udienze, mantenne la fronte alta e lo sguardo puntato negli occhi dell’uomo. “E io ti ripeto che devo assolutamente vederla, o dovrò supporre che non vuoi collaborare a una indagine del mio ordine.”
“Rispetto il tuo ordine, ma non siete i signori di Orfar. Ci sono delle regole che anche voi dovete seguire.”
“Che sta facendo la tua regina di così importante? Sono ore che attendo di essere ricevuta.”
“È in riunione.”
“Con chi?”
“Non sono tenuto a dirtelo, inquisitrice.”
Gladia trattenne a stento la rabbia. “Aspetterò nel mio alloggio che si liberi, ma ti avverto: non farmi attendere troppo o ti riterrò responsabile del ritardo.”
Marciò decisa verso la sua stanza e vi si chiuse dentro. Era da quella mattina che cercava di parlare con Skeli. Sapeva che i questuanti che chiedevano udienza non erano più di cinque o sei al giorno e la regina di solito incaricava altri al suo posto per sbrigare quelle incombenze.
Devo parlare con lei, si disse.
Aveva preparato alcune domande da farle. Domande che, se avesse mentito, l’avrebbero fatta cadere in contraddizione. Quando sarebbe accaduto, avrebbe usato le parole giuste per far capire a Skeli che sospettava qualcosa, ma che non aveva ancora delle prove certe in mano e poi le avrebbe offerto una via d’uscita da quella situazione.
Era un piano azzardato e parecchie cose potevano andare male. Skeli era testarda e arrogante ma non stupida. Gladia l’avrebbe messa di fronte al pericolo di trovarsi contro il suo ordine se non avesse acconsentito a liberare quel prigioniero.
Takis la raggiunse nel suo alloggio due ore dopo e non era solo. Con lui c’erano otto soldati e quattro stregoni.
“Skeli vuole vederti, inquisitrice” disse con tono perentorio.
Gladia non si era aspettata una scorta, ma finse di non essere sorpresa e li seguì fino alla sala delle udienze. Entrando, incrociò lo sguardo con una mezza dozzina di uomini e donne che ne stavano uscendo.
Erano scortati anche loro da soldati e mantelli e i loro visi emaciati sembravano consumati dallo sforzo e dalla fatica. Indossavano abiti semplici e scuri senza alcuna distinzione tra maschi e femmine.
“Non curarti di loro” disse Takis. “E non fare domanda. Non potrebbero risponderti.”
Gladia tirò dritto ed entrò nella sala delle udienze a testa alta, mostrando un atteggiamento sfrontato. Aveva intenzione di portare le sue rimostranze a Skeli per intimorirla e rafforzare la sua posizione, ma quando vide la figura al fianco della regina perse parte delle sue sicurezze.
L’uomo indossava una veste lunga e scura sotto la quale si intuiva un corpo esile. Il viso con le guance scavate era di colore grigiastro, come se non avesse ricevuto la luce del sole per intere Lune. E forse era davvero così.
Gladia lo riconobbe dagli occhi grandi e spalancati e dalla risata stridula con la quale chiudeva ogni frase.
“Ti ringrazio, maestà” stava dicendo l’uomo.
Skeli lo allontanò con un cenno della mano. “Ora vai. Devo parlare con la mia ospite.”
L’uomo fece un inchino e si allontanò. Subito venne preso in custodia da due soldati e scortato verso l’uscita.
Gladia tentò di ignorare la sua presenza ma non poté trattenersi dal lanciargli una rapida occhiata.
Che sta succedendo? Si chiese. Che ci fa lui qui?
“Benvenuta” disse Skeli accogliendola con un sorriso radioso. Sedeva sull’ampio scranno di pietra coperto di cuscini, appena sufficiente ad accogliere la sua mole. Era avvolta in preziosi tessuti colorati che ne nascondevano a stento le forme sgraziate. “Finalmente riusciamo a parlare, noi due.”
Gladia annuì solenne. “Dobbiamo parlare, è vero. Ho delle domande da porgerti.”
“E io sarò più che lieta di rispondere, Gladia di Taloras. Hai già cenato? Vuoi mangiare?”
Scosse la testa. La sua mente lavorava frenetica per trovare un senso a quello che stava accadendo. Nel frattempo, Skeli continuava a sistemarsi il vestito come se qualcosa la infastidisse. Ora che poteva osservarla meglio, notò il rossore delle sue guance e i suoi sforzi per nascondere una certa sofferenza, come se stesse reprimendo una smorfia di dolore.
“Inutile girarci attorno” disse Gladia. “Se posso usare un modo di dire molto diffuso su questo continente.”
Il sorriso di Skeli si allargò. “Giusto. Meglio non perdere tempo. Il tempo è prezioso e potrebbe non esserne rimasto molto. Per entrambe.”
Mi sta minacciando? Si chiese.
“Il tempo è sempre poco” disse Gladia prudente. “Per questo ti chiedo di non farmene perdere altro e di liberare un certo prigioniero.”
“Non ci penso affatto” rispose Skeli.
“Te lo sto chiedendo come inquisitrice, rappresentante del mio ordine.”
“E io ti sto rispondendo come sovrana di Orfar alla quale devi rispetto come ospite, inquisitrice.”
Così non otterrò niente, pensò Gladia.
“Sai bene che non può stare qui. L’alleanza ha bisogno di lui. Se sei fedele alla sua causa come dici di essere, devi liberarlo. Di fatto è un tuo alleato.”
Skeli sospirò. “Lui non ha mai avuto intenzione di aiutare l’alleanza, inquisitrice. È stata questa la causa della sua caduta. E di quella di Malinor. È iniziata una nuova epoca e verranno forgiate nuove alleanze.”
Tu ne hai già forgiata una, si disse Gladia.
“Dovrò riferire al mio ordine.”
“Lo farai, ma per il momento non puoi lasciare la città.”
“Devo considerarmi prigioniera?”
“Sei sempre mia ospite. È per la tua sicurezza, inquisitrice. Un’armata si sta avvicinando a Orfar e non sarebbe sicuro uscire proprio adesso. Ho già dato l’ordine di serrare i cancelli. Nessuno potrà entrare né uscire da Orfar se io non lo vorrò.”
“Un’armata” disse Gladia. “Persym sta venendo qui?”
Skeli sorrise. “Ne riparleremo, inquisitrice. Ora voglio mostrarti qualcosa.”
Gladia si accigliò.
“Ne rimarrai impressionata” proseguì la regina con un sorriso ancor più largo.

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