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Autore: lady lina 77    24/02/2020    2 recensioni
Poldark, Season 5 Episodio 8: Cosa sarebbe successo se nell'episodio finale le cose fossero andate diversamente e Demelza si fosse imbarcata davvero coi suoi figli per la Jamaica, lasciando Ross al suo presunto tradimento con Tess? Cosa la attende ai Caraibi? Cosa le succederà? Che donna potrebbe diventare in quelle terre selvagge popolate da pirati? E i suoi figli?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Nuovo personaggio, Ross Poldark
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Nessuno, NESSUNO era mai riuscito a costringerla a fare qualcosa contro il suo volere. Non ci era riuscito suo padre quando, da bambina, cercava di sottometterla al suo volere a suon di cinghiate, non ci era riuscito George Warleggan quando aveva tentato di allungare i suoi tentacoli su Nampara e la sua famiglia ed era stata capace anche di dire addio al suo amore, a Ross, pur di rimanere fedele a se stessa.

Ma in quel momento, guardando Copper, quella sua sicurezza vacillò. Avrebbe potuto voltare le spalle a quell'essere, andarsene per la sua strada e rimanere fedele a ciò in cui credeva. Nessuno le avrebbe rimproverato nulla, il destino di quella ragazza di colore dopo tutto non era affar suo e poteva anche raccontarsi che non era nata per salvare il mondo e nemmeno ne aveva i mezzi e le capacità. Tutte ottime scuse ma, appunto, scuse. La sua coscienza l'avrebbe tormentata per sempre se se ne fosse andata così, senza cedere e senza lasciar scampo a quella povera sventurata. Avrebbe anche potuto vivere raccontandosi che Copper stava bleffando, che di certo non avrebbe ucciso una ragazza indifesa e che le sue erano solo vaghe minacce per intimorirla, ma anche queste sarebbero state bugie. Lo guardò negli occhi e vi vide furore e cattivera, quella cattiveria che arma senza problemi la mano di un uomo contro chi non può difendersi.

Improvvisamente si sentì stanca e anche il pancione parve diventare terribilmente pesante e foriero di fitte dolorose.

Jeremy la tirò per il vestito. "Mamma?!".

Demelza guardò la ragazza che non le aveva tolto gli occhi di dosso e decise che, qualunque fosse il motivo per cui la 'prendeva', non sarebbe mai stato per farne una schiava. Copper poteva credere ciò che voleva ma se davvero voleva farle quel dono, ciò che ne sarebbe stato di quella ragazza non sarebbe più stato affar suo. "Accetto" – disse quindi, gelida, rendendosi conto che sarebbe stata la prima di una lunga serie di prove che avrebbero messo a disagio la sua anima e il suo credo. Mai avrebbe creduto di accettare in dono una schiava, Ross ne sarebbe stato inorridito, ma che poteva fare? La legge di quell'isola era crudele e selvaggia e lei doveva imparare ad interpretarla al meglio. In fondo anche la Cornovaglia era una terra selvaggia e di difficile esistenza, con leggi dure che piegavano gli uomini che vi vivevano e spesso anche lì si doveva arrivare a dei compromessi. Osservò la giovane schiava e si accorse che, prendendola, stava di fatto facendo la stessa cosa che aveva fatto con lei Ross tanti anni prima. L'aveva presa con se come domestica quando di fatto non ne aveva poi così bisogno e di certo non aveva quasi mezzi di sussistenza nemmeno per se stesso. L'aveva presa contro il volere di suo padre, della famiglia Poldark e di tutta la gente benpensante del luogo. Ma lo aveva fatto per salvarla e lei stava facendo altrettanto per quella ragazza spaventata e coperta di piaghe sulla schiena, come era stata lei tanti anni prima.

Copper poteva anche gongolare pensando di averla messa con le spalle al muro ma quel pensiero di ciò che era stato la fece sentire di nuovo forte e sicura di aver fatto la scelta giusta.

L'uomo sorrise, gelido. E soddisfatto. "Quindi, miss altezzosità si abbassa ai bisogni dei comuni mortali di avere degli schiavi come aiuto? Vi facevo più combattiva nei vostri princìpi ma ovviamente come tutti, quando si riceve in regalo qualcosa, lo si prende senza filosofeggiarci troppo su".

Stava cercando di farla sentire in colpa ma non ci sarebbe riuscito. "Un dono è un dono e sarebbe scortese rifiutarlo. E inoltre l'idea di salvare qualcuno mi farà dormire sonni più sereni. Come a voi del resto, che non vi addormenterete con una povera ragazza sulla coscienza".

"I miei sonni sono dorati come quelli di un pupo" – ribatté lui, sprezzante.

"Ne sono certa".

I loro sguardi si incontrarono e fecero scintille. Poi Copper prese la ragazza per il braccio e con forza la spinse verso di lei. "E' vostra. La VOSTRA schiava. Fatela lavorare e usate la verga, se necessario. E' uno strumento utile con quelle come lei".

La ragazza cadde e Jeremy e Clowance corsero ad aiutarla a rialzarsi. Copper li osservò con disgusto, scuotendo la testa. "Se mia figlia facesse una cosa simile, la verga la userei su di lei".

Demelza osservò i suoi figli con orgoglio. "Per fortuna non siamo parenti" – rispose, sprezzante.

Copper si leccò le labbra, quasi come fosse attratto da tanta sfacciataggine. "Mi piacciono le donne con la lingua lunga. Mi auguro che sappiate usarla tanto bene anche in altre faccende, la vostra lingua... Sarebbe davvero interessante".

Jeremy sussultò a quella mancanza di rispetto verso sua madre ma Demelza lo bloccò prima che potesse fare alcunché. "Un gentiluomo, avete detto? Non mi pare un commento che vi qualifichi come tale".

Copper non si fece provocare. "Come vi chiamate? Vi ho regalato una schiava, merito almeno di conoscere il vostro nome e mi pare vi siate dimenticata di dirmelo".

"Il mio nome non è affar vostro".

Copper si picchiettò il frustino sui pantaloni, spazientito. Poi si avvicinò all'altro schiavo, urlandogli di riprendere il cammino. Poi, dopo aver fatto ciò, si voltò nuovamente verso Demelza. "E' un'isola piccola, in fondo. Non sono tipo da insistere ma tanto ci ricontreremo, mia lady. E prima o poi scoprirò anche il vostro misterioso nome". E detto questo, dopo che lo schiavo ebbe liberato la ruota del carro, si avviò con lui verso il cuore della foresta tropicale che in un attimo li inghiottì al suo interno.

Guardandolo andar via, Demelza si morse il labbro riflettendo su quanto quell'uomo le risultasse indigesto. Sembrava crudele e assolutamente orgoglioso di esserlo e non pareva avere alcun interesse a mostrarsi meglio di ciò che era. In un certo senso, persino George Warleggan pareva una brava persona a confronto di Vincent Copper. Le venne in mente la piccola Lilith, conosciuta sulla nave, il suo strano racconto sulla morte della madre e si chiese che tipo di vita potesse fare una bambina con un padre del genere. Non che Lilith brillasse per simpatia e anzi, sembrava piuttosto viziata ed arrogante, ma ciò non toglieva il fatto che era una bambina bisognosa di una guida e al momento non aveva nessuno in grado di ricoprire quel ruolo.

Scosse la testa, non erano affari suoi e aveva di contro fin troppi problemi da affrontare senza pensare anche a quelli degli altri.

Si avvicinò a Jeremy e Clowance che avevano aiutato la ragazza a rialzarsi e poi le sorrise. "Vieni con noi, ti porteremo a casa e potrò medicare le ferite che hai sulla schiena. So quanto possano far male le frustate e le piaghe...". Lo disse con una punta di amarezza, ricordando quel dolore lancinante che lei stessa aveva provato da bambina più e più volte, un dolore che la sua mente non aveva mai cancellato.

La ragazza la guardò con timore, come in attesa di capire in che mani fosse capitata. Era normale, era una schiava e di fatto nella sua mente stava semplicemente passando da un padrone ad un'altro e non era detto che questo si sarebbe tradotto in un miglioramento. "Non serve medicare" – disse, sotto voce, quasi avesse timore di dar fastidio.

"Io direi di sì" – rispose Demelza.

"Anche io" - ribadì Clowance, osservando la sua schiena martoriata.

"N... No, no grazie" – rispose ancora la giovane.

Jeremy osservò sua madre un pò perplesso e Demelza capì che doveva cercare di tranquillizzare quella ragazza sulle sue paure che comprendeva benissimo. "Tu non sei la mia schiava, sei una ragazza che ha bisogno di qualche cura e di aiuto. Ti medicherò e poi sarai libera di andare dove vorrai, non mi appartieni".

"Io non posso comprare la mia libertà, mia signora".

Era difficile risponderle perché Demelza in quel momento, attraverso gli occhi spaventati di quella giovane, si rese conto che non conosceva bene le regole della Jamaica circa quell'aspetto della società. Ma di certo era ben consapevole di cosa volesse o non volesse. "La tua libertà, è appunto tua. Di diritto. Non devi comprartela".

La ragazza però, più che confortata, parve spaventata da quelle parole. "No, quì non è così. No signora, voi sembrate gentile, tenetevi con voi e lavorerò. Tanto! Io sono una schiava, non posso essere libera e se mi mandate via, Copper mi riprenderà. Sono vostra, tenetevi vostra".

Le si aggrappò al vestito, disperata, facendola sussultare insieme a Jeremy e Clowance. Santo cielo, era tutto così difficile! Quella ragazza non voleva una libertà che le spettava di diritto, non voleva essere libera e non ne era in grado in quella terra. E ne era drammaticamente consapevole. E in quel momento lo divenne anche Demelza. Si sentì stupida per la sua ingenuità, per il modo semplicistico in cui credeva di risolvere la cosa e per come Copper forse stesse ridendo di lei in quel momento, per questo. Era entrata sua malgrado in una vita e un gioco perverso e pericoloso e se aveva scelto di ricevere in dono quella ragazza, ora doveva accettarne le conseguenze. Decise, di nuovo, andando contro se stessa perché si rese conto che non c'era altro da fare. "Il termine schiava non mi piace. Averti con noi, avere il tuo aiuto nella vita di tutti i giorni mi farebbe piacere e anche se non abbiamo molto, saremmo felici di dividerlo con te. Ma non voglio che ti consideri mia schiava e non voglio che consideri me la tua padrona. Saremo donne che si aiutano nella vita di tutti i giorni e se su questo sei d'accordo, sarai la benvenuta. Ma se resti con noi, non credi che dovresti dirmi il tuo nome?".

La ragazza spalancò gli occhi. "Davvero mi terreste con voi? Ad aiutarvi?".

Demelza annuì. "Davvero. Come ti chiami?".

Lei abbassò il capo. "Maria. Perché volete saperlo?".

Sorrise. "Beh, per sapere come chiamarti".

Clowance e Jeremy ridacchiarono e la ragazza si affrettò a spiegare. "Mister Copper non ci ha mai chiesto il nostro nome. Urlava se aveva bisogno di noi, tutto quì".

Demelza le strizzò l'occhio. "Beh, io non sono mister Copper e ne sono orgogliosa. E mi piace chiamare le persone per nome".

"Persone? Io sono una persona?".

Demelza le prese la mano. "Direi di sì. E ora sù, andiamo. La nostra casa è sulla spiaggia e lì potremo curare le tue ferite".

E mentre Jeremy e Clowance prendevano la porzione di legna che avevano da portare a casa, Demelza condusse per mano la ragazza verso la spiaggia e, sperava, verso una vita un pò migliore. Non poteva regalarle la liberà ma quanto meno una esistenza dignitosa.

"Davvero potrò lavorare per voi?" - chiese ancora Maria, quasi con timore.

"Davvero, se lo desideri. Ho una domestica, potrai aiutarmi a tenere pulita la nostra casa, a cucinare, a preparare le conserve da vendere al porto e ho bisogno di un aiuto nella gestione dei bambini. Presto ne avrò un altro" – disse, toccandosi il ventre. "Te la senti?".

La ragazza annuì, quasi incredula. "Tutto quì?".

"Tutto quì".

Lei sorrise, come se non sentisse il bruciore delle ferite sulla schiena.

"Quanti anni hai, Maria?".

"Diciannove".

Diciannove, era solo una giovane ragazza con tutta la vita davanti. E Demelza si sentì di dovergliela garantire.

"E voi? Voi come... vi chiamate?" - chiese Maria, quasi con timore e paura di aver chiesto qualcosa di non lecito.

"Io sono Demelza e loro sono Jeremy e Clowance. E siamo felici di averti con noi" – rispose con un sorriso.


...


Prudie aveva accolto la giovane Maria nello stesso identico modo in cui aveva accolto lei, a Nampara, tanti anni prima: zero entusiasmo, borbottìì continui e malnascosti sul fatto che no, non si poteva raccogliere ogni orfanello o negretto bisognoso dell'isola, che non era corretto, appropriato e giusto e che sarebbero morti di fame e sete con un'altra bocca da sfamare.

Maria si era dimostrata intimorita da lei ma Demelza, ridacchiando, con lo sguardo l'aveva rassicurata e poi aveva rassicurato Prudie sul fatto che ora avrebbe avuto un aiuto nelle sue mansioni e alla fine la donna si era calmata e aveva valutato il nuovo arrivo sotto un'altra luce. Kitty e Cecily invece avevano accolto la ragazza con dolcezza e soprattutto Kitty, dopo aver medicato la schiena di Maria con delle erbe curative e una lozione che aveva in casa, aveva guardato Demelza con ammirazione per quanto aveva fatto. Demelza aveva temuto che la biasimasse per aver preso una schiava con se ma la moglie di Ned, senza che lei spiegasse nulla, aveva ben compreso cosa l'aveva mossa a compiere quel gesto e ne sembrò fiera.

Dopo averla medicata e averle dato degli abiti meno miseri di quelli stracciati e logori che indossava con Copper, Demelza la obbligò a riposare in casa, sul ciaciglio accanto a Prudie o nel suo, ma Maria fu irremovibile e supplicò di poter dormire fuori, sul portico. Era convita fosse questo il suo posto, non in casa, non voleva assolutamente dividere lo spazio con coloro che, nonostante le sue rassicurazioni, lei considerava i suoi padroni e persone superiori a lei. Demelza provò ad argomentare ma la ragazza su quel punto rimase irremovibile e alla fine quindi dovette cedere. Le mise una coperta sulle spalle, le diede un cuscino e alla fine la lasciò riposare, imponendo ai bambini di andare con Cecily al villaggio per delle spese e mandando Prudie nella capanna di Kitty per aiutarla col piccolo James.

Lei si mise accanto a Maria, seduta sul portico, ad osservare i colori del mare del pomeriggio, cullata da una strana pace che strideva con quanto vissuto quella mattina con Copper. Osservò quella ragazza alta ma minuta, dalla pelle scura e dai capelli corti e neri, ricci e probabilmente ribelli. Era graziosa e sembrava indifesa... Demelza si chiese quale fosse la sua storia, da dove venisse, com'era il mondo in cui era nata e cosa o chi l'avesse portata nelle grinfie di Copper in Jamaica. Forse, si chiese, anche lei sentiva nostalgia di casa, forse anche lei desiderava rivedere la sua famiglia e forse anche lei aveva conosciuto mondi totalmente diversi da quello in cui si erano incontrate.

Rimase in silenzio accanto a lei a lungo, in un pomeriggio che si tingeva di rosa. Dalla baracca di Kitty non giungevano suoni e forse il piccolo James finalmente si era addormentato dando sollievo a sua madre, i bambini sarebbero tornati più tardi, giusto in tempo per prendere parte al barbecue di pesce e Maria sembrava più serena, nel suo sonno.

Improvvisamente sentì di nuovo, nel silenzio della spiaggia, il canto degli schiavi che proveniva dalla foresta. Aveva imparato a riconoscerlo, a canticchiarlo e anche se non ne capiva le parole, in un certo senso a sentirlo famigliare.

Cercò di unirsi al canto, sotto voce, cercando di riprodurre quella lingua sconosciuta e a quel punto la voce sottile di Maria la raggiunse, timidamente. "Non conoscete bene la nostra lingua, signora".

Demelza sussultò presa alla sprovvista e poi arrossì. "Non la conosco per niente. E scusa, non volevo svegliarti".

"Ho dormito anche troppo e dovrei aiutarvi nelle vostre faccende".

Demelza le sorrise. "Non c'è nulla da fare al momento ma più tardi, se vuoi, puoi aiutarci ad accendere la brace per cuocere la cena di stasera. Al momento però, ti andrebbe di fare una passeggiata con me sulla spiaggia?" - propose, desiderosa di sgranchire le gambe.

"Certo". La ragazza si alzò, un pò dolorante ma decisamente più in forze di quanto fosse stata quella mattina.

Demelza la prese sotto braccio, lei alle prese con un pancione ingombrante e Maria con una schiena che ancora doveva guarire. "Senti, è da quando sono arrivata quì che me lo chiedo. Cosa cantano gli schiavi? Li sento ogni pomeriggio e la loro voce è così bella, anche se il senso del loro canto non lo capisco".

Maria si voltò verso la foresta, pensierosa. "Cantano la nostra terra nativa e la bellezza della savana".

"Savana?".

Maria annuì. "La nostra bellissima Africa... Coi suoi animali, magnifici e feroci come la terra che li ha visti nascere. La savana è una distesa di terra rossa infinita, con pochi alberi che offrono riparo ed ombra dal sole e se la guardi noti l'infinito, la dura lotta della natura, giraffe, zebre, leoni, leopardi che si sfidano, combattono, soccombono o vincono. E tutti, vincitori e vinti, sono ugualmente belli e fieri. E poi ancora più in fondo, il Kilimangiaro, la nostra montagna sacra, altissima, con le nubi che ne coprono la cima e sopra esse, la neve a volte. Il Kilimiangiaro che domina su tutti noi, ci guarda, ci protegge e ci scruta come un padre di famiglia".

Demelza rimase a bocca aperta nel sentirla parlare. C'era tanta nostalgia nella voce di Maria e soprattutto un amore infinito per la sua terra e le meraviglie che in essa vivevano, prosperavano o morivano. In realtà non conosceva nulla del mondo, molto poco eccetto la Cornovaglia, Londra o la Jamaica e non sapeva che animali fossero quelli citati da Maria e nemmeno aveva mai sentito parlare di questa montagna dal nome tanto strano. Eppure quel racconto le fece venire un brivido piacevole, una strana voglia di viaggiare, vedere, scoprire il mondo... Lei probabilmente non lo avrebbe fatto ma pregò che i suoi figli ne avessero l'opportunità un giorno. "Spero che potrai tornarci, prima o poi...".

Maria si rabbuiò. "Non credo. Ormai appartengo a questa terra, mi hanno comprata e la mia vita non è più mia".

"Sì che lo è!" - insistette Demelza. "E se sarà in mio potere aiutarti, vorrei poterlo fare. La nostalgia per la propria terra io la conosco bene" -ammise, amaramente.

Maria la guardò incuriosita ma non osò chiedere. E allora si soffermò sul pancione della sua padrona, guardandolo con dolcezza. "La vostra pancia è bassa, le donne del mio villaggio dicono che quando una pancia è così bassa, manca poco al parto".

Sospirò. "Già, molto poco. Fra poche settimane dovrei partorire".

"I nostri dei dicono che i bambini sono un dono del cielo".

Demelza sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Avrebbe voluto avere la stessa visione romantica di Maria, circa quella bambina... "Più che un dono dal cielo, è un gentile dono di mio marito prima che mi lasciasse per un'altra" – disse, ironicamente e freddamente.

Maria non replicò, non era abituata a dare giudizi e di certo non lo avrebbe fatto con lei che considerava la sua padrona. "Un bambino è un bambino. Un dono. Se la pensate così, forse sarà meno dura, signora".

Fosse facile... Demelza calciò un sassolino col piede e poi osservò la ragazza. "Ecco, mi piacerebbe che mi aiutassi con questa bambina che nascerà. Vorrei che fossi la sua bambinaia! Prudie ha già Clowance e Jeremy a cui badare e una neonata sarebbe troppo per lei".

Maria annuì senza discutere. "Lo farò, signora".

"Anche eventualmente al mio posto?".

Maria la guardò un pò titubante, forse incerta sul significato di quelle parole. "Se lo volete, sì".

"Grazie!" - le rispose solo, grata per averla trovata e con lei, aver trovato una buona soluzione per Isabella-Rose.

Camminarono sul bagnasciuga, con l'acqua calda che accarezzava le loro caviglie. E improvvisamente, fra la sabbia sulla riva, scorsero qualcosa che luccicava, coperto da dei pezzi di legno e delle alghe.

"Cos'è?" - chiese Maria.

Demelza, incuriosita, lasciò il suo braccio e si avvicinò. A fatica si inginocchiò e dopo aver spostato della sabbia, la sua mano sfiorò una elaborata e dorata elsa. "Una spada?" - mormorò, dissotterrandola.

Maria si inginocchiò accanto a lei, curiosa. "E' un'arma. Sarà arrivata fin quì da chissà dove, magari è caduta da qualche nave pirata dopo una battaglia".

Demelza prese la spada in mano, tremante. Non aveva mai amato le armi e anche se Ross aveva un'arma simile su una parete del suo studio, non si era mai soffermata troppo a guardarla per timore e diffidenza. Nemmeno Ross ne sembrava attratto e a Nampara non era mai stata altro che un ornamento e un ricordo che suo marito aveva tenuto in memoria di suo padre Joshua, ma ora...

Ora tenendola in mano, mentre si specchiava nella lucentezza della lama e nella maestosità dell'elsa, si sentì forte. Le armi forse davano quel potere e lei ne aveva bisogno, anche se si trattava davvero, con tutta probabilità, di un'arma appartenuta ai pirati... Era un'arma raffinata, doveva valere molto denaro e di certo non era un normale pugnale da quattro soldi e chi l'aveva smarrita, doveva essersi disperato parecchio. Ed ora, avendola trovata, era sua...

Avrebbe potuto sotterrarla, rigettarla in mare... Lo avrebbe fatto fino al giorno prima ma l'incontro con Vincent Copper e Maria le aveva fatto capire che doveva cambiare atteggiamento e princìpi morali per vivere su quell'isola. Era una donna sola, con tre bambini da proteggere, circondata da un mondo ostile, pieno di pirati e di persone malvage come Copper. E tenere in mano quella spada, scoprì quasi con timore, le procurava uno strano e perverso piacere a cui non voleva rinunciare. Era bello sentirsi in qualche modo forte e in quel momento, dopo tanto, si sentiva così.

"Che ne facciamo?" - chiese Maria.

Demelza strinse l'elsa. "La portiamo a casa" – rispose, con una strana determinazione nel tono di voce. "La nasconderò sotto un'asse di legno del pavimento della mia camera da letto. Non lo deve sapere nessuno, sarà il nostro segreto".

"Sì signora" – rispose ancora Maria, senza obiezioni.



  
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