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Autore: heliodor    02/03/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il nemico alle porte
 
Gladia si svegliò di malumore, la testa che le doleva così tanto da sentire il frastuono delle campane. Impiegò qualche istante a capire che quel rumore non era nella sua testa ma veniva dall’esterno.
Le campane stanno suonando, si disse. Lo fanno solo per tre motivi. Quando nasce un erede, quando muore un sovrano e quando un esercito nemico è alle porte.
Uscendo sperò di incontrare Takis o Bekie che le annunciavano la morte di Skeli, ma incrociò solo visi terrei ed espressioni preoccupate.
Camminò svelta per i corridoi di pietre rosse e grigie del palazzo reale e raggiunse la sala del trono. Come temeva era già affollata di soldati e stregoni, quasi tutti comandanti di alto livello dell’esercito e del circolo.
C’erano anche Takis e Bekie e, seduto ai piedi di Skeli, Kymenos che li guardava con sguardo pieno di timore.
Skeli era in piedi, fatto raro per una della sua stazza, e sembrava arringare tutti con espressione disgustata. “Voglio sapere come hanno fatto ad arrivare così vicini senza che noi ce ne accorgessimo” stava tuonando.
Ai piedi della scalinata che portava al trono, un ometto di mezza età era chino sul ginocchio destro e scuoteva la testa. “Maestà” stava dicendo, il mantello color ocra macchiato ai bordi. “Mi rincresce moltissimo, ma non abbiamo abbastanza cavalieri per pattugliare l’intero territorio attorno alla città.”
“Orfar non è Malinor” strepitò Skeli. “È una città piccola.”
“Ma ci sono numerosi villaggi…”
“Che vadano in malora” gridò la regina. “È Orfar che dovevate proteggere, non quei dannati villaggi.”
“Ma sono la nostra unica fonte di viveri, maestà.”
Skeli afferrò uno dei cuscini che giacevano sul suo triclino e glielo tirò addosso. L’ometto non osò reagire e si limitò a fare un inchino ancora più profondo, se mai fosse possibile.
“Vai via” gridò Skeli con voce isterica.
“Maestà…”
“Esci.”
L’ometto fece un profondo inchino e uscì dalla sala a testa bassa.
Skeli si trascinò fino al triclino e si lasciò cadere sui cuscini con un gesto solenne. “Sono circondata da incapaci” disse con espressione accigliata. “Takis.”
L’orfariano fece un passo avanti. “Ai vostri ordini.”
“Devi respingere quell’armata.”
“Maestà…”
“Non osare dirmi di no. Non tu.”
Takis raddrizzò la schiena. “Maestà, attualmente possiamo contare su diecimila soldati e altri ventimila della milizia cittadina, più duemila guardie equipaggiate con armi e armature leggere.”
“Quanti mantelli?”
“Meno di duecento.”
“Basteranno per radere al suolo il campo dei malinor?”
Takis si umettò le labbra. “Maestà, l’armata nemica conta almeno cinquantamila soldati bene armati, di cui cinquemila cavalieri.”
“I cavalieri non sono utili in un assedio” disse Skeli con un mezzo sorriso.
“E più di millecinquecento mantelli” aggiunse Takis.
Quelli invece potrebbero essere utili, pensò Gladia con un misto di timore e di trionfo.
Lo sguardo di Skeli si rabbuiò. “Com’è possibile che ce ne siano così tanti? Non ne abbiamo uccisi abbastanza nelle campagne? L’orda non li aveva sterminati tutti?”
“Molti erano solo fuggiti o dispersi” spiegò Takis. “La grande armata di re Alion è stata distrutta. È probabile che quella appena arrivata sia tutto ciò che ne rimane.”
“Sono anche troppi per me” disse Skeli tornando a sedersi sui cuscini, l’espressione sofferente. “Trova il modo di disfartene.”
“Maestà…”
“Attacca con tutte le forze a disposizione. È un ordine.”
“Sarebbe più sicuro restare al riparo dietro le mura e attendere” obiettò Takis.
“Attendere cosa? Che si riposino? Che saccheggino le campagne riducendoci alla fame? Meglio attaccare adesso che sono stanchi e impreparati.”
“Perderemo migliaia di soldati e quasi tutti i mantelli.”
“Il loro sacrificio non sarà vano.”
Takis si morse le labbra come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa di spiacevole.
Gladia decise che quello era il momento di farsi avanti. Fece un passo verso la scalinata e guardò ditta verso la regina. “Forse i malinoriani vogliono parlare, prima di combattere.”
Skeli la guardò accigliata. “Chi ha fatto entrare l’inquisitrice? Mettete a morte la guardia che l’ha lasciata passare.”
“Non cambiare discorso” disse Gladia. “Manda qualcuno a parlare con i malinoriani.”
“Che senso ha? Non sono qui per parlare.”
“Come puoi saperlo? Forse vogliono trattare. Forse vogliono qualcosa da te.”
Skeli la guardò contrariata. “Non ho nulla da offrire loro, se non fuoco e acciaio.”
Lo sai bene che cosa vogliono, maledetta donna, pensò Gladia. È lo stesso motivo per cui mi tieni prigioniera in questo palazzo.
“Non hai nulla da perdere se mandi qualcuno a parlamentare con loro mentre guadagni tempo per organizzare un attacco.”
“L’inquisitrice ha ragione” disse Takis. “Ci serve tempo per prepararci.”
Skeli si massaggiò le tempie. “I malinoriani non sono qui per trattare ma per prendersi la mia città.”
“Se lo volessero l’avrebbero già fatto” azzardò Gladia. “Non hanno ancora attaccato perché desiderano parlare.”
“Quella che non vuole parlare sono io” disse Skeli. “Tu chi manderesti a rappresentarci, inquisitrice?”
“Potrei andare io stessa” si offrì. Sapeva bene che Skeli non l’avrebbe mai lasciata andare, ma era pronta al suo rifiuto con una controproposta.
“Tu non ti muoverai di qui” disse la regina. “Sai bene quanto sei preziosa per me. Non voglio che rischi la vita per una questione che non riguarda il tuo ordine.”
“Sarei stata lieta di servire gli interessi della pace tra il tuo popolo e quello di Malinor” disse Gladia con deferenza.
“Il tuo ordine pensa solo ai suoi, di interessi” fu la risposta di Skeli. “Tu non andrai e su questo punto non voglio tornare.”
Almeno è stata chiara, pensò Gladia. Come lo è stata il giorno in cui ho scoperto il suo segreto.
Skeli l’aveva convocata nel suo studio per un incontro privato. Convocata non era il termine giusto. Fin da quando era stata scoperta ad aggirarsi nel livello più basso del palazzo, le era stato vietato di uscire dalle sue stanze. Per tre giorni aveva atteso paziente che Skeli la convocasse e alla fine era stata condotta alla sua presenza.
Prima di essere ammessa nello studio dovette attendere per quasi un’ora, finché dalla porta non uscirono una decina di uomini e donne scortati dai soldati di Orfar.
Tutti indossavano un saio bianco crema legato in vita da un laccio grigio e calzavano sandali aperti. Camminavano trascinando i piedi, gli occhi bassi. Uno di loro aveva alzato la testa e per un istante il suo sguardo aveva incrociato quello di Gladia. Negli occhi spenti e grigi aveva visto la sofferenza e la stanchezza.
Sono pelle e ossa, si era detta Gladia osservandoli mentre lasciavano quella zona del palazzo.
Non era la prima volta che li vedeva uscire dallo studio o dalla sala del trono e si era chiesta cosa facessero lì dentro e perché vi andassero.
Era certa che qualcosa stava accadendo ma né Skeli né i suoi sottoposti ne parlavano e Gladia non osava ancora chiedere.
“Puoi entrare” aveva detto una delle guardie che l’avevano scortata.
Gladia era entrata nello studio.
Skeli giaceva sul solito triclino, il viso arrossato e il fiato corto. Sembrava raggiante e piena di forze, tanto che era quasi balzata in piedi vedendola entrare.
“Benvenuta” aveva detto gioviale. “Inquisitrice.”
“Io ti saluto” aveva risposto Gladia.
“Ti sei riposata? Hai tutto quello che ti serve?”
A parte la libertà? Si chiese Gladia.
“Non posso lamentarmi. Per il momento.”
Skeli si era accigliata. “Il tuo soggiorno qui non ti è gradito?”
“Gradirei poter lasciare le mie stanze e il palazzo quando lo desidero.”
“È per la tua sicurezza.”
“E vorrei vedere Dodur.”
“Il tuo amico sta bene.”
“Non è mio amico” si era affrettata a dire. Non voleva dare a Skeli nessun vantaggio. “Ha una certa utilità, anche se non è indispensabile.”
“È al sicuro.”
“Dove?”
“Ha una sistemazione adeguata, inquisitrice. Di lui non devi preoccuparti.”
“Vorrei vederlo.”
“Lo vedrai quando sarà il momento.”
Gladia aveva iniziato a spazientirsi. “Maestà, non vorrei mancarti di rispetto, ma…”
“E tu non farlo.”
“Devo vedere Dodur” aveva detto con tono perentorio. “Adesso. È sotto la protezione del mio ordine, non dimenticarlo.”
“Tutto quello che so è che è sotto la tua protezione.”
“Non fa alcuna differenza. Fare del male a lui sarebbe come fare del male a un membro del mio ordine.”
Skeli aveva sorriso. “E fare del male a te, inquisitrice?”
“Sarebbe molto spiacevole per tutti.”
Skeli aveva annuito compiaciuta. “Mi stai minacciando?”
“Ti sto avvertendo.”
“Parliamo di ciò che credi di aver visto nel livello riservato del palazzo.”
“Quella è una prigione.”
“A noi non piace chiamarla così. I nostri ospiti…”
“I tuoi ospiti sono prigionieri” aveva detto tagliando corto.
Le labbra di Skeli si erano increspate per un istante. “Quello che tu credi non importa. Ciò che veramente conta è che noi due si giunga a un’intesa, inquisitrice.”
Mi sta proponendo un patto? Si era chiesta Gladia.
“Continua.”
Skeli aveva annuito grave. “Desidero appianare i contrasti tra noi due, inquisitrice. Spero che tu sia disposta a fare lo stesso.”
“Non c’è nessun contrasto da appianare, che io sappia.”
“Tu hai violato le regole dell’ospitalità, inquisitrice.”
Gladia si era fatta attenta. “Mi tieni prigioniera e accusi me di essere una cattiva ospite?”
“Ti aggiravi come una ladra nel mio palazzo.”
“Non mi pare di averti sottratto alcuna ricchezza, ma se desideri farmi perquisire, fai pure.”
E chi lo farà se ne pentirà amaramente, aveva pensato nello stesso momento.
“E sappiamo che ti sei incontrata con uno o più nemici di Orfar” aveva proseguito Skeli impassibile.
“Dimostralo” l’aveva sfidata Gladia.
“Quando cattureremo uno di quei cospiratori, lo faremo confessare davanti a te, inquisitrice.”
Che la sorte vi assista, si era detta.
“Mi hai fatta convocare per accusarmi?” le aveva chiesto.
“No. Solo per ricordarti che stiamo ancora valutando il tuo comportamento qui a Orfar.”
“Solo il mio ordine può giudicarmi per le azioni che compio eseguendo i loro ordini.”
“A Orfar tutti sono soggetti alla legge. Il tuo ordine non potrà proteggerti da un’accusa di tradimento, ricordalo.”
Gladia era stata riportata nelle sue stanze e lì era rimasta fino a quel giorno, quando Skeli aveva radunato tutti i suoi comandanti nella sala del trono.
Il corpo di Skeli si mosse appena sul triclino. “E sia” disse. “Invieremo i nostri rappresentanti a parlamentare. Bekie, tu sarai la nostra portavoce.”
La strega fece un passo avanti. “Che io sia dannata se mi sento degna di tale onore” disse col solito tono sguaiato. “Ma che io sia ancora più dannata se rifiuterò, maestà. Ditemi che cosa devo dire a quei dannati malinoriani e io lo farò.”
“Limitati ad ascoltare le loro richieste, se ne hanno” disse Skeli. “Devi dire loro che non puoi prendere decisioni e di dover riferire a un’autorità più grande. Guadagna tempo e nel frattempo studia le loro difese e cerca di stimare le loro forze.”
Sono ordini ragionevoli, pensò Gladia stupita.
Skeli le scoccò un’occhiata dubbiosa.
“Io non avrei fatto di meglio” disse.
“Non mi serve la tua approvazione, inquisitrice, ma sono lo stesso contenta che tu sia d’accordo.”

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