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Autore: sissi149    05/03/2020    4 recensioni
Dopo la fine del World Youth Tsubasa ha chiesto a Sanae di sposarlo e la ragazza ha accettato.
I festeggiamenti sono nel culmine, ma andrà davvero tutto liscio?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Nakazawa, Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La notte trascorsa in cella, sulla rigida branda priva di materasso gentilmente fornitagli dall’agente Custer, aveva lasciato Jason pieno di acciacchi e doloretti in muscoli che non sapeva nemmeno di possedere. Soprattutto l’aveva lasciato pieno di dubbi sulla sua permanenza a New Team Town e sul suo coinvolgimento in tutta la vicenda. Dovette ammettere a sé stesso di essersi fatto prendere in maniera smodata dalla curiosità per gli avvenimenti del cantiere, dimenticando di trovarsi in un luogo estraneo e di come fosse stato convinto a recarsi in quella cittadina.
Inoltre era profondamente amareggiato, poiché si era messo nei guai per difendere Jenny, per difenderla da quella che era certo essere stata un’aggressione e la donna lo aveva ripagato smentendo la sua versione e dando credito al fidanzato violento. Jenny, nella loro breve e superficiale conoscenza, gli era sembrata una donna gentile, a modo, che poco aveva a che fare con i modi sgarbati che aveva visto utilizzare al signor Morris nel loro alterco. Chissà cosa ci trovava in lui, chissà come una storia tra due persone così distanti aveva potuto iniziare? Evidentemente Morris sapeva giocare bene le sue carte, in fondo era il proprietario del bar principale della cittadina…
Il giornalista si alzò e si stiracchiò, ruotando il collo nel vano tentativo di far tacere le stilettate alla schiena.
Era amareggiato anche nei confronti di Kitty che, a quanto pareva, l’aveva abbandonato al suo destino, lei che l’aveva trascinato lontano dalla sua comfort zone. Il giorno precedente, giunto in centrale, gli era stata concessa una telefonata e lui l’aveva utilizzata per chiamare la donna: era l’unico contatto che aveva lì, a parte Oliver Hutton. Sperava che lei potesse sbloccare la situazione mandandogli un avvocato, in fondo conosceva tutti a New Team Town, manco fosse il sindaco! Invece, la prima cosa che era stata capace di chiedergli, quando l’aveva informata di essere stato arrestato era stata:
“Dov’è il libro? È al sicuro, vero? Non l’avevi con te?”
Le importava solo di quel maledettissimo libro, di quell’oggetto che era stato la causa di tutti i suoi guai. Maledetto il giorno in cui era entrato in libreria, anzi, maledetto il giorno in cui aveva iniziato a leggere il manga di Captain Tsubasa! Chi l’avrebbe mai detto che un fumetto l’avrebbe fatto finire in prigione? Se ci pensava era una cosa ridicola.
Era talmente furioso per la reazione squilibrata di Kitty che aveva sbattuto la cornetta del telefono sul ricevitore, uno di quelli vecchio modello, da scrivania, e le aveva interrotto la chiamata in faccia. Ennesima azione di cui si era pentito poco dopo, dato che non aveva potuto fare ulteriori chiamate.
Avrebbe dovuto chiedere il numero della parrocchia, forse Padre Ross avrebbe potuto fare qualcosa per procurargli un avvocato, sicuramente sarebbe stato di gran lunga più affidabile di Kitty. Ora come ora, non gli restava altro da fare che sperare nell’avvocato d’ufficio, che non abitasse troppo lontano da quel microscopico paese inesistente sulle mappe, che lo raggiungesse in tempi brevi e che non fosse uno sbarbatello appena fresco di laurea, incapace di voltarsi a destra o a sinistra senza essere tenuto per mano.
Stava diventando acido, non era mai stato così caustico, ma di certo la sua situazione non era la più adatta per pensare a fiori, arcobaleni e unicorni.
Rumori di una porta in fondo al corridoio, dei passi che si avvicinavano lo distolsero dalla spirale negativa ed autodistruttiva in cui stava precipitando.
“Signor Brown, ha una visita.”
Il giovane agente che era arrivato infilò le chiavi nella toppa ed aprì la cella per scortarlo. Jason riconobbe l’agente Mellow, uno dei due poliziotti che avevano effettuato il suo arresto. A differenza dell’agente Custer, Mellow si era comportato in maniera che non si poteva definire gentile, ma nemmeno aggressiva, era stato professionale, a discapito della sua giovane età ed inesperienza.
“Chi c’è?” Domandò.
“Il suo avvocato. Mi segua.”
Jason si stupì, aveva fatto più in fretta del previsto. Forse Kitty non lo aveva abbandonato del tutto o, semplicemente, a New Team Town gli avvocati d’ufficio erano decisamente celeri. Tutto sommato quel posto appariva tranquillo, immaginò che polizia ed avvocati non avessero molto lavoro, per cui quando si presentava l’occasione la coglievano al volo, per uscire dalla monotonia.
L’agente lo accompagnò fino alla stanza dove avrebbe potuto avere un colloquio privato con il suo rappresentante.
“Vi lascio soli.”
“Grazie, agente Mellow.”
“Dovere. Quando avrete finito, sarò qua fuori.”
Una volta che la porta fu chiusa alle sue spalle, Jason si concesse di studiare le due persone sedute al tavolo che lo attendevano: una di esse era Kitty e la cosa risollevò un poco il suo umore nero. Stranamente era vestita in maniera sobria, con un cappottino grigio ed i capelli raccolti in una coda bassa laterale. Appariva molto turbata. Vicino a lei era seduto un uomo con un completo scuro ed una cravatta grigia abbinata. Era molto magro ed aveva lunghi capelli neri tenuti sciolti che, ad essere onesti, non gli conferivano un aspetto molto professionale. Il dettaglio fece storcere il naso a Jason, si aspettava di meglio da un avvocato. Tuttavia salutò educatamente, non voleva partire col piede sbagliato con l’unica persona che avrebbe potuto tirarlo fuori da lì.
“Buongiorno.” Disse semplicemente.
Kitty si alzò e gli andò incontro, scrutandolo in viso. Nei suoi occhi traspariva la preoccupazione che aveva provato e che ancora provava, facendo in parte ricredere il giornalista.
“Come hai passato la notte?”
“Ne ho passate di migliori.” Rispose laconico.
“Vieni, ti presento l’avvocato Warner, che ha preso in carico il tuo caso.”
Il nome pronunciato dalla donna lo fece trasalire: ricordava fin troppo bene come la stessa aveva definito l’avvocato che aveva difeso Oliver Hutton. L’afferrò per un braccio per trattenerla qualche secondo e si chinò a parlarle all’orecchio:
“Mi hai portato l’avvocato delle cause perse?” Chiese con irritazione.
Kitty rispose a tono, sempre sussurrando:
“È il tuo avvocato d’ufficio, non ce n’erano altri disponibili. Cerca di essere gentile.”
Senza sforzo si liberò dalla presa e raggiunse Warner che, nel frattempo, si era alzato.
“Avvocato, questo è il signor Brown.”
I due uomini si strinsero la mano e si studiarono, per capire quanto potessero fidarsi l’uno dell’altro. Jason non poteva negare a sé stesso di avere un forte pregiudizio sulle capacità dell’uomo di legge.
“Non stiamo in piedi, sediamoci al tavolo. Saremo un poco più comodi, per quanto possibile.” Disse Warner, indicando il tavolo spartano e le tre sedie di plastica collocate intorno ad esso.
Si sedettero e l’avvocato aprì la propria valigetta, da cui estrasse una serie di incartamenti ed un blocco per gli appunti con già diverse annotazioni frettolose.
“Ho qui il verbale dell’intervento di ieri degli agenti Custer e Mellow e del suo successivo arresto, corredato delle dichiarazioni del signor Morris ed una stringata dichiarazione della fidanzata. – spiegò Warner – Lei ha da aggiungere altro a quello che è riportato in queste carte?”
L’avvocato le passò a Jason, affinché potesse dargli un’occhiata e potesse indicare le inesattezze e le incongruenze dal suo punto di vista.
Jason sbuffò e le rigettò malamente sul tavolo, dopo avergli dato una veloce scorsa, incrociando le braccia con fare molto contrariato.
“Tanto per iniziare, io non ho aggredito deliberatamente il signor Morris! Sono intervenuto per difendere Jenny che era stata aggredita da quel viscido di Morris!”
Warner scosse la testa:
“Purtroppo non risulta così dai verbali. Anzi, la stessa signorina Jenny ha dichiarato di non essere stata vittima di nessuna aggressione.”
“Bisogna farla ritrattare, so quello che ho visto!” Jason si impuntò.
Kitty appoggiò i gomiti sul tavolo e lo guardò negli occhi:
“Non ne dubito, ma Jenny non ammetterà mai di essere stata trattata male da Jack: ha troppa paura di lui ed è troppo succube, anche se non vuole riconoscerlo.”
“Nemmeno se le parli tu?” Il giornalista era speranzoso, la donna, quando voleva, sapeva rigirare come un calzino il proprio interlocutore, prova ne era come era riuscita a convincere lui stesso a cedere alle sue assurde richieste. Quando mai le aveva dato retta…
“Sai quante volte ho tentato di farla parlare quando la vedevo strana al bar?”
L’avvocato Warner scosse la testa con fare perentorio.
“Nessuno farà nulla per cercare di convincerla o potrebbero accusare noi di coercizione nei suoi confronti. Bisogna agire cautamente.”
Jason sbatté entrambi i pugni sul tavolo, insofferente alla situazione che si stava dipanando davanti ai suoi occhi, sempre più simile ad un vicolo cieco.
“Quello che la costringe a fare cose è il suo fidanzato, io no di certo!”
“A proposito di Jack Morris – l’avvocato parlò cautamente – è meglio non rivolgersi con troppa acrimonia a lui, già è molto irritato, cerchiamo di non aumentare il suo risentimento.”
“Il suo risentimento?! – esplose Jason – Quello che è stato incarcerato ingiustamente sono io! Nemmeno gli agenti mi sono stati a sentire.”
Kitty si agitò nervosamente sulla propria sedia, movimento che non sfuggì al giornalista.
“Cosa c’è adesso?”
La donna emise un lungo sospiro prima di rispondere:
“Charlie Custer è sul libro paga di Jack Morris, qualunque accusa questo gli chieda di inserire a tuo carico stai pur certo che la aggiungerà.”
Se Jason aveva avuto una speranza di cavarsela a poco prezzo, si spense nell’udire quelle parole: con certezza seppe che avrebbe passato un lungo soggiorno nelle celle di New Team Town. Ora comprendeva finalmente l’espressione subdola e trionfante che non aveva mai lasciato il volto del proprietario del Fiore del Nord durante la loro lite, nemmeno quando l’aveva colpito. Una lampadina scattò in lui: quello stronzo l’aveva provocato volutamente, l’aveva spinto a scavalcare il limite della sua proprietà per avere un carico di accuse più pesanti contro di lui. Maledetto!
Un altro pugno si schiantò sul tavolo, la rabbia lo stava invadendo, come il veleno di un serpente.
“Tu! – apostrofò Kitty – Avresti potuto dirmi che razza di persona fosse Jack Morris. Ti piace così tanto spettegolare su tutti gli abitanti di New Team Town, come mai su di lui non hai detto una parola?”
“Pensavo non fossi così stupido da andare a prendere a pugni la gente!”
“Sarebbe colpa mia, quindi?”
L’atmosfera si stava surriscaldando pesantemente e le voci aumentavano di volume in maniera direttamente proporzionale, al punto che l’agente Mellow avrebbe potuto entrare a vedere cosa stava stesse succedendo. L’avvocato Warner cercò di calmare gli animi allargando le braccia tra i due e parlando con voce pacata:
“Signori, litigare non serve a nulla, non migliorerà la situazione. Anzi, signorina, perché non ci lascia un attimo soli, per favore?”
La donna non sembrava molto contenta di essere stata invitata ad uscire, mentre Jason si sentì sollevato dalla proposta dell’avvocato, poiché se Kitty fosse rimasta, probabilmente avrebbe perso del tutto ogni forma di pazienza e lucidità. Quanto sapeva dargli sui nervi quella donna!
“Per favore!” Quasi la supplicò.
Kitty si alzò trascinando rumorosamente la sedia contro il pavimento grigio. Era palesemente scocciata.
“La aspetto fuori.” Disse all’avvocato Warner, uscendo senza degnare di uno sguardo Jason.
Passò qualche istante di silenzio in cui il giornalista si soffermò a studiare meglio la figura dell’avvocato d’ufficio cercando di far scemare rabbia. Non voleva aggredire anche l’unico alleato che gli era rimasto. Prese un paio di profondi respiri, lasciando che l’aria ossigenata entrasse nei polmoni e quella viziata di tossine uscisse dal suo corpo.
“Possiamo fare qualcosa?” Domandò.
Warner cambiò pagina sul blocco degli appunti: anche questa era già scritta, ma in maniera più elegante ed ordinata.
“Beh, dipende da lei. Prima di venire qui ho visto il signor Morris e, se lei fosse disposto a patteggiare, sono riuscito a strappargli un buon accordo.”
 
 
 
 
Jason era rientrato a casa di Kitty da una decina di minuti e si era precipitato in camera. Aveva recuperato da sotto il letto il borsone che aveva portato con sé da New York e ci stava gettando dentro alla rinfusa tutti gli abiti e gli affetti personali: voleva fare il più in fretta possibile, voleva allontanarsi dalla cittadina senza perdere ulteriore tempo. Pazienza se avrebbe dovuto viaggiare col buio: tra le ritrattazioni, la contrattazione, le firme  degli accordi, le pratiche di scarcerazione e quant’altro, la giornata era trascorsa quasi del tutto. Recuperò il pigiama da sotto il cuscino e lo mise insieme al mucchio di abiti, facendo scorrere la zip.
“Che fai?”
La voce di Kitty lo fece sobbalzare: aveva sperato con tutte le sue forze di evitare il confronto, ma sapeva che non sarebbe stato possibile sgattaiolare fuori dalla casa e via da New Team Town senza affrontare la donna. Si voltò verso di lei per affrontarla a viso aperto: aveva preso la sua decisione e questa volta nessuno, nemmeno lei, sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. Oltretutto, il pensiero di ritornare in prigione era un incentivo estremamente convincente a fargli mantenere la risoluzione.
“Me ne vado! Lascio la città.”
Kitty spalancò gli occhi per lo stupore e forse anche per l’indignazione.
“Come sarebbe a dire?”
“Hai sentito benissimo.”
“Quindi ci abbandoni?”
Perché quella donna doveva sempre trovare le parole per colpire nei suoi punti di maggiore vulnerabilità? Lui non voleva abbandonare Oliver, ma doveva andarsene, non era disposto a sacrificare la propria libertà per quelle persone, si era già messo fin troppo nei guai per loro.
“Il giudice Everett mi ha imposto di lasciare la città. Non posso restare nemmeno  volendo.” Scelse di essere onesto, forse di fronte ad un ordine del tribunale lei avrebbe mollato la presa.
Kitty  avanzò nella stanza, gli occhi stretti, ridotti quasi a due fessure.
“Il giudice Everett? – sibilò – Non  avrai forse patteggiato?”
“Che altro avrei dovuto fare? Si stava parlando della mia libertà! In questo modo Morris ha mitigato la denuncia ed io ho dovuto pagare solo una multa, più lasciare New Team Town per sempre.”
Kitty si avvicinò fino ad essere a pochi centimetri di distanza da lui e lo colpì violentemente al viso con una sberla.
“Egoista!”
Jason arretrò di un passo, non tanto per il dolore del colpo subito, quanto piuttosto per un improvviso timore nei confronti della donna che non aveva mai visto così irata. Gli faceva quasi paura.
“Ti importa solo di te stesso!”
“Ho preso la mia decisione, Kitty! Lasciami andare.”
Si diresse alla scrivania ed afferrò la borsa che conteneva il computer portatile. Lì accanto c’era anche il libro che era all’origine di ogni suo guaio: davanti alla sua copertina esitò per un istante.
Kitty parve leggergli nel pensiero:
“Non ti azzardare a portare quello fuori da questa casa!”
Il giornalista si girò di scatto, preso da un moto di fastidio per l’ennesima prova che alla donna interessasse molto di più quel maledetto libro che qualsiasi altra cosa. Lui era finito in prigione per assecondare i suoi capricci e lei lo ricambiava dandogli dell’egoista? Era decisamente una squilibrata, avrebbe dovuto seguire il suo primo istinto e non darle corda.
La risposta che le diede gli uscì carica di rancore:
“Non ci penso nemmeno a portarmelo dietro! Se non fosse per te e per quello stupidissimo libro io sarei rimasto in università a fare ciò che mi piaceva. Vorrei non averti mai incontrata. Addio!”
Prese il borsone dal letto e la superò, uscendo dalla stanza prima e dall’appartamento poi.
Era sulle scale, quando sentì una voce che lo chiamava dall’alto.
“Si sta facendo buio. Aspetta fino a domani mattina!”
“Per lasciarti un’altra notte di tempo per farmi di nuovo il lavaggio del cervello? Puoi scordartelo!”
Senza voltarsi arrivò fino al fondo delle scale, nella hall del palazzo salutò il portiere e si diresse all’auto di Matthew che era rimasta parcheggiata dove l’aveva lasciata il primo giorno. Caricò tutto nel bagagliaio e si mise alla guida.
Solo quando ebbe svoltato l’angolo si concesse di accostare e prendersi un attimo per sé per far sbollire la rabbia: aveva dovuto allontanarsi di fretta per non dare a Kitty l’occasione di intrappolarlo di nuovo nella sua rete, ma si rendeva conto di non poter guidare fino a New York in quelle condizioni. Lasciò la presa sul volante e si accorse che le braccia e le mani gli tremavano per la rabbia ed il respiro era leggermente affannato. Accese l’autoradio e lasciò che la musica lo cullasse mentre appoggiava il capo al poggiatesta del sedile e chiudeva gli occhi. Quella che doveva essere una semplice gita di qualche giorno per recuperare un paio di informazioni si era trasformata in un incubo, ma, per fortuna, stava per avere fine.
Le ultime note di Let it be lo trovarono pronto a rimettersi in viaggio. Ingranò la marcia e si immise nel leggero traffico di New Team Tom.
Il tramonto stava arrivando velocemente ed i lampioni sulle strade erano stati accesi da poco. Le case che scorrevano ai fianchi dell’auto guidata da Jason diventavano sempre più rade. Se al suo arrivo le varie costruzioni avevano suscitato in lui interesse, ora gli facevano provare solo repulsione per il luogo. E vergogna: si era sempre comportato in maniera ligia alle regole, tuttavia si trovava a lasciare la cittadina dopo aver trascorso una notte in cella come il peggiore dei criminali. Si vergognava di sé stesso. Aveva tentato di scaricare tutte le colpe su Kitty e sul libro, ma con la mente più lucida e il nastro d’asfalto della strada che scorreva sotto le ruote della Ford, sapeva che doveva biasimare solo sé stesso. Nessuno l’aveva costretto ad intervenire in difesa di Jenny e ad accapigliarsi con Jack Morris, aveva fatto tutto da solo.
Lasciate le ultime case anche il traffico era drasticamente calato, ormai era l’unico rimasto nel raggio di qualche chilometro, poteva procedere all’andatura che più desiderava, senza correre troppo.
Il cartello che indicava l’uscita dal territorio di New Team Town apparve dopo una curva: ancora qualche centinaio di metri e la cittadina sarebbe stata solo un ricordo destinato a svanire sempre più dalla sua mente.
Improvvisamente la macchina ebbe uno strano scatto che lo costrinse a stringere la presa sul volante per non finire fuori strada. Jason era perplesso, poiché non c’erano tracce di acqua o olio o altre sostanze scivolose e neppure di buche o dissesti. Magari aveva preso un sasso senza accorgersene.
L’auto sfuggì di nuovo al suo controllo, iniziando a zigzagare sulla strada.
Jason era terrorizzato, non sapeva che fare: né il volante, né il pedale del freno e neppure il freno a mano rispondevano ai suoi comandi.
La macchina uscì di strada in un punto in cui non c’era guardrail e cominciò a cappottarsi su sé stessa. Il giornalista si sentiva sballottare a destra ed a sinistra con sempre maggior violenza. Un urlo restò strozzato in gola, incapace di trovare la strada per esplodere. Poi tutto divenne buio.




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Il capitolo inizia male per Jason e si conclude ancora peggio. XD Il nostro aspirante giornalista pareva essere riuscito a risolvere il suo problema con la polizia, ma a quanto sembra si ritrova di nuovo nei guai...
Cosa gli sarà successo?
  
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