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Autore: heliodor    12/03/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Eroi e rinnegati
 
Marq tossì e sputò il suo stesso sangue.
Sono stato colpito? Si chiese.
Ogni singolo punto del corpo gli doleva mentre lottava per non perdere i sensi e rialzarsi.
Se non lo faccio morirò, si disse. Rialzati, Marq. Rialzati adesso.
Con uno sforzo si rimise in piedi ed evocò lo scudo magico per difendersi dal prossimo attacco.
Che non arrivò.
Al suo posto gli giunsero i lamenti di chi si trovava vicino a lui quando il mondo era esploso.
No, non il mondo, si disse. La gabbia col prigioniero. Quella è esplosa. Colpita da una o due sfere infuocate. Almeno due, a giudicare dalla devastazione. E assai potenti. Avrei potuto scagliarle io. Solo che non sono stato io, ma qualcun altro. Qualcuno che voleva il prigioniero morto.
Quel pensiero lo colpì, atterrendolo.
Se il prigioniero è morto, si disse, tutti gli sforzi d Rossim e Jamar sono stati inutili.
Jamar. Rossim.
Quei due nomi gli ricordarono che non era solo. Li cercò nella confusione che aveva attorno. La polvere sollevata dall’esplosione si stava depositando, rendendo mento ovattati i particolari.
Decine di corpi erano stesi per terra, alcuni immobili e altri che agitavano un braccio o una gamba.
C’era odore di sangue anche se ne vedeva poco. Una donna giaceva in una posa scomposta, la gonna e la biancheria intima sollevata fino alla vita in modo sconvenevole.
Sconvenevole, si disse trattenendo una mezza risata.
Alcuni si lamentavano.
Un giovane dalla folta barba e il viso smunto gridava qualcosa, forse invocando i suoi antenati o lanciando anatemi agli Dei o ai demoni che lo avevano messo in quella situazione.
C’erano anche i corpi di due bambini di dodici o dieci anni poco lontano, ma cercò di distogliere subito lo sguardo da quelli.
Jamar. Rossim.
Doveva trovarli. Non erano lontani da lui quando il carro era stato colpito. Si mosse prima barcollando e poi con maggiore sicurezza.
Muovendosi con cautela tra i feriti e quelli che erano caduti, si diresse verso il carro che era stato colpito. La maggior parte erano cittadini di Orfar, ma c’erano anche soldati e malinoriani. Un cavallo era stato decapitato e la testa scaraventata chissà dove. L’odore acre del legno e della carne bruciata gli aggredirono le narici e fu costretto a coprire il naso col dorso della mano.
Tossendo e lagrimando per il fumo passò in rassegna i corpi vicini al carro, ma nei visi deformati non riconobbe quelli di Jamar e Rossim.
Sollevato  fece per allontanarsi quando uno stregone dal mantello nero venne verso di lui. Per un attimo temette volesse attaccarlo, ma questi lo superò e puntò verso il carro.
“Gressen” disse Marq riconoscendolo.
L’altro si voltò di scatto. “Occhi Blu. C’entri qualcosa con quello che è accaduto qui oggi?”
Scosse la testa. “Dovresti rivolgere questa domanda alla tua principessa.”
Lui si accigliò.
“Avrei voluto tanto impedirlo” aggiunse indicando il carro sventrato e distrutto.
Gressen riprese a camminare tra i detriti e Marq valutò se fosse il caso di seguirlo. Per quanto ne sapeva, il malinoriano poteva decidere di eliminarlo all’istante per non avere testimoni.
Marq decise di restare. Voleva capire cosa stesse cercando lo stregone in quel disastro.
Gressen si chinò verso un dei corpi e gli sollevò la testa con delicatezza.
Marq colse un viso per metà consumato dal fuoco, ma ancora riconoscibile come quello di un giovane dai tratti affilati, come se fosse stato costretto a digiunare per molti giorni.
Gressen emise un ringhio di disperazione e lasciò il corpo. “Che sia dannata quella donna” disse. Guardò Marq. “Non saresti dovuto restare qui.” Fece u cenno con la mano e quattro soldati e tre stregoni con il mantello nero avanzarono verso di lui.
Marq si preparò a combattere.
“Gres” disse una voce alle sue spalle.
Si voltò di scatto e vide Rossim e altri avanzare nella loro direzione. Era stato questi a parlare.
Gressen si accigliò. “Ros” disse con voce roca. “Arrivi tardi.”
“Non direi. Il prigioniero è morto, ma ora sappiamo che la regina ci ha ingannati tutti.”
“Quella maledetta” ringhiò Gressen.
“Ciò vuol dire che c’è ancora speranza.”
“Uccideremo sia lei che tutti gli altri” disse Gressen. “E stavolta ci assicureremo che anche lui muoia, com’è giusto che sia.”
“Ciò che è giusto o sbagliato lasciamo che siano altri a deciderlo” disse Jamar.
L’uomo aveva una brutta ferita all’addome e zoppicava, oltre a varie escoriazioni in tutto il corpo da cui stillava sangue.
“Occhi Blu” disse l’uomo.
“Sono con voi” rispose sicuro.
Jamar ghignò. “Ne sono lieto, ma ho un compito da affidarti. In questo momento decine di malinoriani e forse anche la nostra amata principessa Klarisa si staranno dirigendo al palazzo di Skeli. Potresti andarci anche tu e liberare il prigioniero?”
“Da solo?”
Jamar annuì.
“Uno contro cento?”
“Forse anche duecento. Il numero ti spaventa?”
Marq scosse la testa.
“Allora vai. Ti raggiungeremo non appena avremo finito qui.”
Marq osservò la strada. Attorno a Jamar e Rossim c’erano venti, forse trenta tra stregoni e uomini armati.
Quelli che si stavano radunando alle spalle di Gressen erano forse un centinaio e altri ne stavano arrivando da ogni direzione.
Mi raggiungerete in uno dei sette inferi, pensò.
Fece un cenno di assenso a Jamar e partì di corsa. Alle sue spalle udì accedersi le grida di battaglia e colse il lampo di un’esplosione, forse di un’altra sfera infuocata.
Non si fermò né rallentò la corsa. Tra lui e il palazzo doveva esserci non più di un miglio di strada dritta, ma in quel momento potevano essere anche centinaia.
Lungo la via soldati e stregoni di Orfar e Malinor si stavano affrontando. Secoli di rivalità stavano esplodendo tutti in una volta. Vide soldati di Orfar venire investiti dai dardi lanciati da un gruppo di mantelli neri e poi questi venire attaccati da un trio di mantelli rossi e gialli che lanciavano sfere infuocate e fulmini.
In mezzo, la popolazione cercava scampo da quel massacro nelle abitazioni ancora in piedi o fuggendo nei vicoli che si stavano riempiendo di cadaveri.
Un tratto di strada esplose seminando tutto intorno migliaia di schegge che volarono come proiettili impazziti.
Marq usò lo scudo magico per deviarli, ma quelli che non avevano i poteri furono investiti da quella pioggia e dilaniati.
Superò una donna che chiedeva aiuto mentre giaceva in una pozza di sangue, non avrebbe saputo dire se suo o di qualcun altro.
Un ragazzo che poteva avere la sua età si aggirava come un fantasma, il viso dall’espressione spenta.
In lontananza sentiva il pianto di un bambino, forse il figlio di qualcuno che aveva pensato fosse divertente o istruttivo portare un fanciullo a vedere quello spettacolo.
Un uomo dalla stazza corpulenta giaceva riverso sul fianco mentre un paio di uomini e una donna erano chini su di lui.
Marq pensò che lo stessero aiutando, ma quando guardò meglio vide che gli stavano frugando nelle tasche.
Vide due stregoni avvicinarsi e fece per cambiare direzione, ma i due lo ignorarono e proseguirono oltre, diretti chissà dove.
Indossando abiti comuni non lo rendeva immune ad armi e incantesimi, ma almeno non era un bersaglio.
Ignorando l’orrore attorno a lui raggiunse la piazza antistante il palazzo di Skeli, dove forze di Orfar e Malinor si fronteggiavano in una battaglia di spade e scudi e dardi magici.
Marq evocò lo scudo e si gettò nella mischia, passando accanto ai soldati che stavano lottando corpo a corpo.
Un mantello nero gli si avventò contro brandendo una lama magica. Marq esplose una raffica di dardi dopo aver scartato di lato e averlo sbilanciato.
Lo stregone si accasciò al suolo senza vita. Il suo posto venne preso da un soldato di Orfar armato di lancia e scudo.
Per qualche istante Marq danzò con lui cercando di evitare i suoi affondi.
Il soldato era giovane, il viso glabro e dai lineamenti delicati. Indossava un’armatura che sembrava di almeno due taglie più grande e si muoveva in maniera goffa.
Devono avergli dato un’arma e poi ordinato di andare a morire, pensò Marq. Sarebbe triste e proverei pietà per te, potrei addirittura provare a convincerti che tutto questo è follia è che non c’è nessun motivo per cui tu debba provare risentimento per me e io per te, se non fosse che tu nemmeno mi ascolteresti.
Il soldato tentò un affondo e Marq lo evitò piegandosi sulle ginocchia. Il soldato barcollò in avanti per non cadere, abbassando lo scudo. Marq usò i dardi magici per colpirlo al petto e concedergli una morte rapida.
Il soldato crollò al suolo mentre Marq lo aveva già superato con un balzo.
Salì a due a due le scale che portavano al cancello principale, in quel momento sorvegliato da una ventina di soldati e altrettanti mantelli.
Da questi ultimi provenne una pioggia di dardi magici, fulmini e sfere infuocate che colpirono quelli che stavano cercando di raggiungerli.
Nella confusione caddero sia soldati di Malinor che di Orfar. Qualcuno di questi gridò e maledisse gli dei o almeno così sembrò a Marq.
Dopo la prima ondata, si ritrovò a indietreggiare insieme a tutti quelli che avevano partecipato all’assalto.
Alle loro spalle altri guerrieri malinoriani incalzarono con lance e scudi avanzando a ranghi serrati. In mezzo a loro, mantelli neri evocarono scudi magici che li proteggevano come una invisibile cupola di energia.
Un’altra pioggia di dardi e fulmini li investì, ma venne fermata dagli scudi. I soldati avanzarono con maggiore lena e Marq fu costretto ad avanzare a sua volta per evitare di essere travolto.
“Per Malinor” gridò un soldato.
“Orfar” gli fece eco una voce dall’alto.
I soldati di guardia al cancello si precipitarono lungo le scale, le lance spianate e gli scudi alzati. Tra di loro vi erano dei mantelli che a ogni gradino scagliavano dardi e sfere infuocate.
Gli stregoni e le streghe di Malinor risposero all’attacco con una potenza anche maggiore. Il fronte più avanzato degli orfariani venne avvolto da un’onda infuocata che arse i corpi di quelli che si trovavano all’interno.
Il calore era così forte che anche stando a una ventina di passi di distanza Marq sentì la sua pelle avvampare. Stanco di essere preso in mezzo lanciò un paio di dardi verso i soldati rimasti di guardia al cancello.
Almeno penseranno che sia dalla loro parte, si disse pensando ai malinoriani.
Questi avanzarono a ranghi compatti travolgendo tutto quello che incontravano. I soldati di Orfar sopravvissuti al primo attacco vennero eliminati nel secondo.
Marq si unì ai malinoriani, rientrando nelle loro fila non appena vide uno spazio vuoti in cui potersi infilare. I soldati attorno a lui non sembrarono badare alla sua presenza.
La battaglia deve aver assorbito ogni loro attenzione, si disse Marq. Per loro sono solo una parte di quell’armata che avanza e travolge tutto.
Per un attimo rimase affascinato da quel modo di combattere. I soldati si muovevano ubbidendo a pochi ordini urlati dai loro superiori, reagendo quasi più a un istinto ormai inciso a fuoco nelle loro anime che a una reale esigenza di battersi e sopravvivere.
“Avanti. Ripiegate a sinistra. Alzate gli scudi” erano gli ordini che venivano impartiti. In quella confusione nessuno osava parlare o lamentarsi. Persino i soldati che venivano colpiti e cadevano, venivano scalzati dai loro compagni che dalle retrovie li trascinavano via affinché non intralciassero gli altri.
Avanzando lungo la scalinata costrinsero i soldati di Orfar a ripiegare fino al cancello. Qui la battaglia si fece confusa anche per i soldati di Malinor.
Lo spazio tar le colonne che sorreggevano l’entrata era troppo angusto e i comandanti ordinarono di rompere la formazione.
I soldati di Malinor si lanciarono all’assalto con scudi e lance mentre alle loro spalle i mantelli neri martoriavano i nemici con un fitto lancio di dardi e sfere infuocate.
Vide balenare raggi magici e scintille prodotte dagli incantesimi che si infrangevano sugli scudi magici.
I malinoriani lanciati alla carica si scontrarono con i soldati di Orfar che difendevano il passaggio. Lo stridore di metallo che si piegava e spezzava per un attimo coprì quello degli incantesimi.
“Malinor” gridarono i soldati affondando le lance in avanti.
“Orfar” fecero eco i difensori alzando gli scudi per proteggersi.
Il fronte della battaglia ondeggiò per alcuni istanti e con esso Marq, che si ritrovò prima ad avanzare e poi a indietreggiare due, tre, quattro volte finché qualcosa si spezzò tra le fila degli orfariani e l’avanzata divenne più decisa.
“Difendete la breccia” gridò uno dei mantelli alle sue spalle.
“Prendete il cancello.”
“Indietro. Indietro” gridò qualcun altro dalla parte degli orfariani.
I difensori si ritirarono verso l’interno incalzati dagli attaccanti. Marq si ritrovò tra questi mentre si riversavano nella sala che fungeva da ingresso del palazzo.
Appena dentro riuscì di nuovo a respirare in modo normale e si concesse due secondi per guardarsi attorno. Si trovavano in una sala esagonale, dalla quale si aprivano altrettanti corridoi che portavano chissà dove. Allineati sotto le volte, c’erano decine di mantelli gialli e rossi che sembravano in attesa.
Aspettavano noi, pensò Marq alzando lo scudo magico sopra la testa.
La pioggia di dardi ebbe inizio un attimo dopo.
I primi a cadere furono i soldati nelle prime file, le armature squarciate dai dardi magici. I pochi stregoni malinoriani faticavano a contenere quella pioggia con i loro scudi.
Marq usò il proprio per difendere sé stesso, ignorando i soldati di Malinor senza alcuna protezione che cadevano attorno a lui.
O me o voi, si disse. In fondo sono un rinnegato.
Dalle retrovie emersero mantelli neri con gli scudi alzati che crearono una spessa barriera magica dove i dardi di infransero e dissolsero.
Nel frattempo, altri soldati emersero dalla breccia e iniziarono a radunarsi al centro della sala. Marq colse un movimento con la coda dell’occhio, ma la sua attenzione era tutta rivolta ai mantelli di Orfar che stavano preparando le sfere infuocate.
I malinoriani dovevano aver notato lo stesso movimento e stavano preparando i loro incantesimi, mentre un piccolo gruppo di stregoni seminava dardi magici verso le forze nemiche per costringerli a difendersi con gli scudi magici.
In quel fitto scambio di incantesimi Marq cercava una via d’uscita che lo portasse lontano dalla battaglia, che per lui non aveva alcun interesse se non la sopravvivenza sua e di Brun, se fosse riuscito a trovarlo.
Stava pensando a come allontanarsi, quando la volta dell’entrata venne colpita dalle sfere infuocate degli orfariani.
La pietra si squarciò ed esplose in migliaia di detriti lanciati come micidiali proiettili. Marq usò lo scudo magico per difendersi, ma venne travolto dai detriti e dai corpi dei soldati che vennero proiettati in avanti dall’onda d’urto dell’esplosione.
Seppellito dai corpi e dai frammenti dell’esplosione, annaspò per liberarsi sapendo che ogni attimo che passava gli orfariani potevano colpirli con altri incantesimi.
Una mano gli afferrò il braccio e lo trascinò verso l’alto senza apparente sforzo. Per un istante pensò che Jamar fosse arrivato giusto in tempo per salvarlo, ma quando mise a fuoco il viso di chi lo aveva salvato, ne rimase ancora più sconvolto.
“Giusto in tempo, Occhi Blu” disse Bryce.
 
Marq si concesse solo un istante per restare sorpreso. Scosse la testa come a voler scacciare un velo che la copriva. “Che ci fai qui?”
Bryce aveva evocato lo scudo magico per difendere entrambi. Aveva il viso e i vestiti sporchi di polvere e anneriti dal fumo o dal fuoco.
È passata tra le fiamme di uno degli inferi? Si chiese Marq. Ed è sopravvissuta? Non mi stupirebbe affatto se la strega dorata ci fosse riuscita.
“Non sembri contento di vedermi” disse Bryce.
“Lo sono. È che non me lo aspettavo. Ti ho vista duellare con l’inquisitrice.”
“Sì. L’ho battuta.”
“Gladia di Taloras è stata una strega suprema.”
Bryce si concesse un mezzo sorriso. “Si vede che il suo tempo è passato.”
Marq si guardò attorno e vide che soldati e mantelli di Orfar si stavano ritirando.
“Vanno a difendere la sala del trono” disse Bryce.
Dietro di loro le forze di Malinor si stavano riorganizzando. I soldati entravano a decine mentre i mantelli li scortavano con gli scudi magici sollevati.
Quelli che non erano morti nell’esplosione o non erano feriti, si stavano rimettendo in piedi.
“Hanno cercato di chiudere la breccia facendo crollare l’ingresso” disse Bryce. “Ma il palazzo è solido e ha retto.”
“Scommetto che tu saresti stata capace di farlo crollare” disse Marq sincero.
“Mi stai adulando, Occhi Blu?” fece lei divertita.
“Dico solo ciò che penso. Ora che facciamo?”
“Vai a prendere Brun e il prigioniero. Sono da qualche parte nei livelli più bassi del palazzo.”
“Era quello che volevo fare.”
“E devi prendere anche altre due persone.”
“Chi?”
“Un certo Dodur e Falcandro.”
Marq si accigliò. “Chi sarebbero?”
“Un amico di Gladia e un erudito.”
“Dovrei salvare un amico dell’inquisitrice?”
Bryce fece spallucce. “Le sto facendo un favore. In fondo mi ha aiutata.”
“Credevo volesse ucciderti.”
“Penso di no” disse Bryce. “In realtà, direi che stesse cercando di proteggermi, in un certo senso. È complicato da spiegare, ma c’è una cosa che devi assolutamente sapere.”
“Dal tono che stai usando direi che non è una buona notizia.”
“È una trappola di Skeli. L’intero palazzo, intendo. Se non faccio subito qualcosa, diventerà una tomba per tutti quelli che si trovano al suo interno.”
Marq annuì. “Tu vai a uccidere Skeli?”
“No. Cercherò di proteggerla il tempo necessario che tu riesca a trovare e portare fuori i prigionieri.”
Marq si accigliò. “Vuoi proteggere quella maledetta?”
“Te l’ho detto, è lungo da spiegare e abbiamo già perso abbastanza tempo. Ora vai, ci rivediamo fuori.”
Bryce corse verso uno dei corridoi.
Non le ho chiesto che aspetto abbiano Dodur e Falcandro, si disse mentre la guardava allontanarsi.
I soldati di Malinor avevano continuato a riversarsi attraverso la breccia, radunandosi nella sala ora angusta.
Prima che iniziassero a domandarsi chi fosse e che cosa ci facesse lì, scelse uno dei corridoi a caso e lo imboccò.
Gli bastarono un centinaio di passi per capire che in quel palazzo si sarebbe perso senza scampo se non avesse trovato una guida o delle indicazioni.
Le prigioni di solito sono sotterranee, si disse. Quindi devo andare verso il basso.
Quasi si mise a ridere per quanto fosse banale quel modo di procedere, ma sapeva di non avere molta scelta.
Scale, si disse mentre si aggirava tra le sale vuote. Devo trovare delle scale.
Una porta si spalancò all’improvviso e ne saltò fuori un uomo di mezza età vestito con una tunica grigia che gli arrivava alle caviglie.
I loro sguardi si incrociarono per un istante e l’uomo fece per tornare nella stanza da cui era uscito e chiudersi la porta alle spalle. Marq fece un balzo e lo afferrò per il gomito, trattenendolo.
“Non ho fatto niente” gridò l’uomo. “Non sono un soldato.”
“Nemmeno io” disse Marq spingendolo nella stanza adiacente. Lasciò la presa sull’uomo solo per un istante e chiuse la porta.
Lui fece un paio di passi indietro. “Chi sei?”
“Mi chiamo Marq” disse. “Tu chi sei? E cosa ci fai qui?”
“Mi chiamo Ocharis. Sono un guaritore.”
“Tra poco ci sarà molto lavoro per te. Stanno morendo a migliaia lì fuori.”
“Non posso curare i morti” rispose Ocharis.
Marq annuì grave. “Conosci un certo Falcandro?”
L’uomo annuì. “È l’erudito di corte.”
“Dove posso trovarlo?”
“Nella sua cella, nel livello sotterraneo.”
“Come ci arrivo?”
“Procedi lungo il corridoio. Troverai delle scale che portano di sotto. Non so quale sia la cella precisa. Non sono mai sceso lì sotto.”
Marq annuì. “Resta qui e non uscire per nessun motivo. I soldati di Malinor potrebbero non fare troppa differenza tra te e un soldato di Orfar.”
Ocharis annuì.
Marq aprì la porta e balzò fuori dopo aver gettato una rapida occhiata al corridoio. Era vuoto e silenzioso come lo aveva lasciato poco prima.
Alle sue spalle sentì la serratura scattare con un rumore secco e metallico. Raggiunse le scale di corsa senza fermarsi davanti alle due porte che incontrò. Da nessuna di esse balzò fuori un guaritore spaventato o un soldato.
Davanti al primo gradino ebbe un’esitazione.
Con calma, Marq, si disse. Fidati di Bryce. Hai tutto il tempo che ti serve.
Nel suo primo anno di circolo, Versil, la sua guida di allora, gli aveva insegnato a usare gli incantesimi preparatori.
Per Marq era diventata un’abitudine lanciarli, lo faceva senza rendersene davvero conto.
Pelle di pietra.
Riflessi migliorati.
Scudo magico.
Dardi.
Mise piede sull’ultimo gradino, le mani che brillavano nella penombra. Lungo le mura erano allineate una torcia ogni venti o trenta passi, creando tra ognuna di esse una zona di buio. Il corridoio curvava verso sinistra per poi tornare dritto dopo una trentina di passi.
Marq si diresse nella stessa direzione, i sensi all’erta. Sulla destra erano allineate delle porte che si susseguivano ogni trenta passi circa. La prima era spalancata verso l’esterno.
Gettò una rapida occhiata. La cella era vuota a parte un letto e un bancone di legno che occupava il fondo. Lungo la parete erano state appese delle mensole piena di ampolle e bottiglie. Una sedia giaceva a terra rovesciata.
Forse si è nascosto, pensò.
“Falcandro?” domandò a voce bassa. “Sono un amico di Gladia. Voglio aiutarti.”
Nessuna risposta.
Marq proseguì verso la porta successiva. Anche questa era spalancata verso l’esterno. La cella era occupata da un letto dalle lenzuola disfatte, un comodino e un baule di legno.
La stanza successiva era piena di panche di legno allineate al centro. L’ultima cella era vuota e minuscola, fatta eccezione per una catena lunga due o tre braccia.
In fondo al corridoio adocchiò un’altra porta, socchiusa. L’aprì, trovandovi scope, secchi e scaffali di legno vuoti.
Deve essere un ripostiglio, si disse.
Tornò sui suoi passi seguendo il corridoio a ritroso, fino quasi a raggiungere le scale.
“Posizionatevi davanti alle scale” disse una voce che rimbombava sulle pareti di pietra. “Non fate passare nessuno.”
Da dietro la curva del corridoio emersero sei figure di soldati con i colori rossi e gialli di Orfar. Marq non fece in tempo a fermarsi e per un attimo sperò che non l’avessero notato.
Stava per ritrarsi dietro la curva quando due soldati guardarono nella sua direzione.
“Un prigioniero è uscito dalla cella” disse.
L’altro strinse la lancia. “Non ci sono prigionieri in questo livello.”
“Siate veloci” disse quello che sembrava al comando.
I due soldati si staccarono dagli altri e avanzarono verso Marq.
“Sto solo cercando degli amici” disse cercando di guadagnare tempo.
“E hai trovato la morte” rispose uno dei soldati.
Marq indietreggiò di qualche passo.
Devo portarli lontano dagli altri, si disse.
I soldati continuarono ad avanzare, gli scudi rotondi e le lance bene in vista.
“Se non ti opporrai, sarà veloce e indolore” disse uno dei due.
“Stavo per dire la stessa cosa” rispose Marq.
I due soldati avanzarono.
Marq evocò il raggio magico e lo diresse verso il più vicino. Il raggio colpì lo scudo sollevato e il soldato venne scaraventato via per alcuni passi, rotolando sul pavimento.
L’altro si gettò in avanti gridando, la lancia sollevata per colpire l’avversario.
Marq evocò i dardi e indietreggiò di una decina di passi con due ampi balzi. La lancia del soldato annaspò nell’aria e lui quasi perse l’equilibrio a causa dello slancio eccessivo.
Troppo lento, pensò Marq mentre prendeva la mira con calma.
Piazzò il primo dardo nella giuntura tra la gamba e la coscia del nemico, poco sotto il ginocchio.
Il soldato gridò e si inginocchiò.
Marq gli danzò attorno.
Veloce e indolore, si disse mentre lo colpiva con due dardi al petto, poco sotto lo sterno e al collo.
Il soldato volò all’indietro e giacque al suolo con gli occhi sgranati.
Il suo compagno si era rialzato e brandiva la lancia. “Lo hai ammazzato. Hai ammazzato Fanis. Era un brav’uomo” esclamò in tono d’accusa.
“Lo so” disse Marq evocando una lama d’energia.
Il soldato lo attaccò con un affondo della lancia.
Marq evitò il colpo grazie ai riflessi migliorati dalla stregoneria e piroettò sul piede sinistro. Il soldato, sbilanciato dall’affondo, gli mostrò un lato scoperto e lui ne approfittò.
La lama d’energia affondò tra una lamina e l’altra dell’armatura, facendosi strada nella carne del soldato. Questi si accasciò al suolo, un fiotto di sangue scuro che gli sgorgava dal fianco destro.
Veloce e indolore, ripeté Marq.
“Fanis. Trifon. Avete finito con quello lì?” chiese una voce dall’altra parte del corridoio.
Non ancora, si disse Marq.
Tra le sue mani apparve un minuscolo sole di fuoco liquido che prese subito a espandersi. Concentrato sull’incantesimo, percorse il corridoio e si ritrovò di fronte ai quattro soldati schierati davanti alle scale che portavano al livello superiore.
“Fanis?” chiese il comandante guardando dalla sua parte.
“Sarà veloce e indolore” disse Marq liberando la sfera infuocata.
La palla di fuoco liquida raggiunse i soldati e li avvolse per un istante. Quando esplose, li scaraventò via con forza inaudita. Due vennero schiantati sulle pareti e ricaddero sul pavimento. Gli altri due rotolarono per il corridoio.
Uno, il comandante, cercò di rialzarsi puntellandosi sulle ginocchia.
Marq lo raggiunse con un balzo e dopo aver evocato la lama d’energia lo trafisse alla gola.
L’altro doveva avere entrambe le gambe spezzate perché cercò di trascinarsi via invece di rialzarsi.
Marq gli fu addosso in un attimo.
“Pietà” gridò il soldato alzando le mani.
Marq lo fissò per un istante, i dardi pronti a essere scoccati. Respirò a fondo e annullò l’incantesimo.
Il soldato emise un rantolo profondo e vomitò sangue in una larga pozza. I suoi occhi incrociarono quelli di Marq. Tossì come se un boccone lo stesse strozzando.
Deve avere qualcosa di rotto all’interno, si disse Marq.
Aveva già viso altre volte quel tipo di ferita e non gli andava di assistere a quello spettacolo. Il soldato si rannicchiò su sé stesso, le mani strette intorno alla gola.
Marq proseguì oltre senza voltarsi indietro. Il corridoio proseguiva per altri duecento passi, con celle aperte e vuote che si susseguivano lungo la parete sinistra.
Si fermò davanti all’ultima porta, chiusa da un chiavistello di ferro assicurato alla parete di pietra. Si allontanò di qualche passo, la schiena contro la parete opposta ed evocò il raggio magico dirigendolo verso la porta. Invece di spezzare il metallo, troppo duro per l’incantesimo, si concentrò sul legno a cui era inchiodato. Dopo qualche istante i chiodi saltarono via insieme al chiavistello, che finì a qualche passo di distanza.
Dall’interno giunse un lamento.
Marq spalancò la porta, lo scudo pronto a respingere un attacco e gettò una rapida occhiata nella cella.
Lo spazio era minuscolo come per le altre, venti passi per lato a voler essere generosi, ma nonostante ciò contò almeno dodici corpi.
Erano tutti ammassati verso il fondo della cella, messi uno sopra l’altro stretti in un abbraccio.
Non c’erano segni di lotta né sangue sparso sul pavimento. Il fetore che emanavano era di sporcizia, muffa e carne andata a male.
Marq dovette coprirsi la bocca per non rigettare quello che aveva nello stomaco. Stava per tornare sui suoi passi quando dal mucchio di corpi si alzò un braccio.
Era esile, simile a quello di uno scheletro e tremolava per lo sforzo. Poteva vedere le vene disegnarsi sotto la pelle diafana che copriva le ossa come un velo sottile.
Si avvicinò quasi in punta di piedi e si chinò sul mucchio di corpi. Girò quello che aveva alzato il braccio con delicatezza. Davanti agli occhi gli si parò un viso scheletrico, scavato dalla fame e dalla sofferenza che dovevano essere state indicibili.
Nessuno, si disse. Nessuno, per quanto possa aver compiuto un crimine orrendo, merita questa fine. Meglio una morte rapida e indolore che questo.
L’uomo era di carnagione scura e doveva aver avuto dei capelli folti che ora sembravano dei fili di ragnatela attaccati su di un cranio enorme rispetto al corpo rinsecchito.
Emise un lamento appena udibile, gli occhi neri che ruotavano nelle orbite scavate.
“Non ti sforzare” disse Marq. “Tra poco sarà tutto finito.”
“Fine” disse l’uomo.
“Come sei finito qui dentro? Che cosa hai fatto di così terribile?”
“Incantatore.”
Marq si accigliò. “Hai fatto qualcosa contro uno stregone?”
L’uomo si accarezzò il petto. “Ero un incantatore, una volta” disse con voce appena udibile.
“Sei uno stregone? Anche gli altri lo erano?”
L’uomo annuì. “Lo siamo tutti.”
“Erano amici tuoi?”
“Li ho conosciuti qui. Ma erano amici miei. Fratelli nella disperazione.”
“Perché vi hanno imprigionati?”
L’uomo si lamentò. “Ero un rinnegato, una volta. Solo per essere un incantatore. Venni a sapere che Orfar era disposta ad accoglierci e mi diressi qui. Era una trappola.”
“Lo hanno fatto di proposito?”
“Skeli, la regina, aveva un piano. Follia” esclamò.
“Calmati, risparmia le forze. Forse puoi ancora salvarti.”
L’uomo scosse la testa. “Il mondo non ci vuole. Perché sforzarmi di vivere? Perché combattere?”
“Malag vi accoglierebbe” disse Marq per confortarlo. “Ha fatto così con moti di voi. Li ho visti io stesso.”
“Malag è un pazzo” disse l’uomo. “Skeli è pazza. Ha trasformato il suo castello in un’arma. Con il nostro aiuto.”
“Che cosa vuoi dire?”
L’uomo reclinò gli occhi all’indietro e Marq temette che stesse per morire. Resistette alla tentazione di scuoterlo e attese qualche istante per dargli il tempo di riprendersi.
“Ogni livello” disse l’uomo con gli occhi serrati. “Ogni cella. Ogni corridoio. È stato incantato da noi. Per intere Lune abbiamo lavorato per conto di Skeli, con la promessa che ci avrebbe liberati. Ogni giorno ci sentivamo più stanchi, ma abbiamo ubbidito. Abbiamo persino incantato il suo corpo. Follia, follia.”
Marq scosse la testa. “Avete incantato Skeli? In nome dei demoni, questa cosa è possibile?”
L’uomo tossì e si afflosciò tra le sue braccia, il petto che si svuotava della poca aria che vi era rimasta.
Marq lo depositò con delicatezza sui corpi ammucchiati sul fondo della cella.
Non gli ho nemmeno chiesto come si chiamava, pensò mentre si raddrizzava e correva fuori dalla cella.
 
Le scale terminavano nel buio. Lì, da solo e al freddo, Marq ebbe per la prima volta paura. Non dei nemici che avrebbe potuto affrontare. Quelli non l’avevano mai spaventato davvero.
Temeva di più quello che non avrebbe trovato.
Brun ancora vivo.
Il prigioniero per cui tutto quello era successo e che sembrava l’unica persona che veramente contasse.
Persino gli amici di Gladia, l’inquisitrice.
Non sentiva di avere dei debiti con lei, ma aveva promesso a Bryce che li avrebbe cercati. E con la principessa di Valonde aveva un debito.
Lei lo aveva risparmiato, anche grazie all’aiuto di Sibyl, ma era stato comunque un gesto di cui doveva tenere conto.
Posso essere un rinnegato, si disse, ma non sarò mai uno spergiuro.
Evocò la lumosfera incurante del fatto che avrebbe potuto fare da facile bersaglio per un nemico nascosto nell’ombra. Non aveva tempo per far abituare gli occhi a quella oscurità.
Tempo, si disse. Quanto me ne sarà rimasto? E da quanto sono in questo palazzo che sta per crollare, se devo credere al delirio di un incantatore in punto di morte? E perché non dovrei? Sono giusto a credere che Malag sia l’eroe predestinato, colui che ci porterà fuori da quest’epoca buia. Perché non dovrei credere anche a questo?
Con la mente affollata da quei pensieri si avvicinò alla prima cella che trovò, aprì lo spioncino e gettò una rapida occhiata all’interno.
Era vuota.
Si mosse verso la cella successiva cercando di farsi un’idea di come fosse quel sotterraneo. Era diverso dal livello superiore. Invece di un anello, qui i corridoi erano stati scavati nella roccia e si intersecavano tra di loro creando una rete con vicoli ciechi e strade principali.
Mentre si spostava cercò di tenere a mente le celle davanti alle quali passava e gli incroci che sceglieva per non perdersi e tornare sui suoi passi.
La cella successiva era occupata da una donna dalla pelle scura e il sorriso affilato.
“Benvenuto straniero” disse lei sorridendogli. “È l’ora delle visite?”
Marq si accigliò. “Non mi riconosci?”
La donna sgranò gli occhi. “Che i demoni mi maledicano. Sei ancora vivo. L’ultima volta che ti ho visto eri nudo e in gabbia.”
“Ora sei tu quella in gabbia” disse con una certa soddisfazione.
“Vuoi sapere come ci sono finita, Occhi Blu?”
“No” disse. “La gabbia è il luogo dove è meglio tenere gente come te.”
“O come un rinnegato” rispose lei. “Mi farai uscire o no?”
“Devo pensarci.”
“Potrei gridare e dare l’allarme.”
“Potresti” disse Marq. “Ma ho come l’impressione che le guardie di Orfar abbiano problemi più grandi in questo momento.”
La donna non smise di sorridere. “Allora forse posso scambiare la mia libertà con delle informazioni utili.”
Marq si fece attento.
“Stai cercando qualcuno in particolare, Occhi Blu?”
Non posso fidarmi di lei, si disse. Ma devo farlo.
“Non ti prometto che ti libererò.”
“Prometti solo che ci penserai” rispose lei con tono suadente.
“Cerco uno stregone di Malinor.”
“Questo luogo è pieno di mantelli neri. Sii più preciso.”
“Si chiama Brun.”
“Qui sotto non abbiamo nomi. Solo storie tristi da raccontare.”
“Ha il volto sfregiato dalla cicatrici.”
“Nel buio ogni viso è uguale agli altri.”
Sta giocando con me? Si chiese Marq.
“Non puoi mentirgli.”
Il sorriso di lei si allargò. “Il giovane stregone, allora. Quello che parla poco.”
“Dov’è?”
“Tre incroci a destra, due a sinistra.”
Marq appoggiò la mano allo spioncino. “Ora dimmi dov’è il re.”
La donna sorrise. “Il prigioniero più importante? È nella parte più profonda e isolata della prigione. Da lì non giungono molte voci.”
“Come fai a sapere che si trova lì?”
“I mantelli neri lo chiamano maestà. Qualcosa dovrà pure voler dire.”
Marq annuì e fece per andarsene.
“Non vuoi nemmeno pensarci, Occhi Blu?”
“Tu meriti di stare in questa cella” le disse con tono duro.
“E tu credi di non meritare una cella uguale a questa? O peggiore?”
“Mi avete torturato per giorni. E poi dato a Falgan.”
“E allora? Hai ucciso una madre con sua figlia. Meritavi una punizione.”
“E anche tu.”
“Sono qui da due Lune, forse tre, sinceramente ho perso il conto dei giorni. Credo di essere stata punita abbastanza per quello che Falgan ti ha fatto.”
“Io non credo.” Fece un passo indietro.
“Potrei esserti utile” disse la donna. “Con quello che sta accadendo lì fuori, ti serviranno un paio di dardi magici in più.”
Non se uno di essi finirà nella mia schiena, si disse.
“Qui fuori non sta succedendo niente” disse cercando di mostrarsi sicuro.
“Se sei sceso fin qui sotto, vuol dire che qualcosa sta accadendo. Posso aiutarti a trovare il tuo amico e poi a uscire da questo posto.”
Marq ci pensò su per qualche istante, poi disse: “Se fai una sola mossa sbagliata, ti uccido. Senza la banda di Ryde ad aiutarti non vali molto come strega.”
La donna sorrise. “Non è mai stata mia intenzione sfidarti Occhi Blu. E per quanto riguarda il passato, sappi che non era una questione personale. Ero pagata per darti la caccia, come i miei compagni.”
“Io non li chiamerei compagni se ti hanno abbandonata qui.”
“Chi ti dice che non li abbia abbandonati io?”
Marq fece scattare il chiavistello e aprì la porta. La donna venne fuori con esitazione, come se faticasse a stare in piedi e camminare.
Da quanto tempo è lì? Si chiese Marq. Ricordò quanto era stato difficile riprendere a camminare dopo che lo avevano liberato dalla gabbia.
La donna guardò nel corridoio in entrambe le direzioni. “Pare che siamo soli, ma ho come la sensazione che non lo saremo a lungo. Che ne diresti di sbrigarci?”
“Indicami tu la strada. Io ti seguirò.”
La donna fece un cenno con la testa e si avviò per il corridoio. Marq la seguì con lo scudo e un dardo pronti.
“Non mi hai detto dove vuoi andare.”
“Lo stregone di Malinor.”
La donna sembrò curvarsi in avanti. “È un tuo amico, Occhi Blu?”
“A te che importa?”
“L’ultima volta ti abbiamo catturato è successo perché cercavi di salvare i tuoi amici o sbaglio?”
Marq lo ricordava bene. Era tornato indietro per consentire agli altri di fuggire. Solo per quello Ryde e la sua banda lo avevano sorpreso da solo. “Io ho a cuore i miei amici. Tu no?”
“Io non ne ho mai avuti. E se per caso qualcuno ha pensato che fossi amica sua, a quest’ora sarà morto.”
“Ryde e la sua banda non sono amici tuoi?”
“Abbiamo un diverso concetto di amicizia, Occhi Blu. Io non vorrei che un amico rischiasse la vita per salvarmi.”
“Brun lo merita.”
“È quello il suo nome?”
“Parla di meno e accelera il passo.”
La donna scrollò le spalle e tacque. Si fermò dopo una trentina di passi e indicò una cella alla sua sinistra. “È dietro quella porta.”
“Ne sei certa?”
“Posso essere sicura di un luogo che non ho mai visto prima d’ora? Credo sia questa, non posso dire altro.”
Marq si avvicinò alla porta e aprì lo spioncino. Nella cella vi era una figura distesa su di una stuoia. “Brun?”
La figura sollevò la testa. “Conosco questa voce.”
Marq si lasciò sfuggire un sorriso. “E io conosco la tua, amico mio.” Fece scattare la serratura del chiavistello e spalancò la porta.
Brun era già in piedi. Sembrava dimagrito dall’ultima volta che lo aveva visto. La guancia destra era scavata e coperta da una leggera peluria, mentre l’altra era coperta dalla solita cicatrice violacea.
“Ho udito la voce di un’altra persona” disse Brun.
Marq indicò la donna.
“Sei venuta con lei?”
“Era già qui” rispose Marq.
Brun fece un leggero cenno con la testa. “Io ti saluto. Mi chiamo Brun.”
“E io sono Nara” disse lei con un sorriso. “Ma tutti mi chiamano la strega sorridente.”
Brun si accigliò e Nara allargò il sorriso mostrando due file di denti affilati come zanne.
“Li usi per mordere?” chiese Brun.
“Solo nelle occasioni davvero speciali. Tu lo hai un soprannome?”
“Credo di no.”
“Ti chiamerò Brun il bruciato, allora” rispose Nara.
“Direi di andare” disse Marq. “Ora portaci dal prigioniero più importante.”
Nara fece un leggero inchino e si mise in marcia.
Brun gli rivolse un’occhiata profonda. “Nara ha detto la verità. Usa davvero si suoi denti per mordere le persone.”
“Ti stupisce, amico mio?”
“Perché sei venuto?”
“Per salvarti.”
Brun si accigliò.
“Credevi che ti avrei lasciato in mano agli Orfar?”
“La principessa sta bene?”
“L’ultima volta che l’ho vista stava andando a salvare Skeli.”
“Mi sembra una buona cosa. Speravo volesse ucciderla.”
“Non direi” fece Marq ricordando le parole dell’incantatore morto tra le sue braccia. “Se lo facesse, saremmo in grave pericolo.”
Brun lo fissò interdetto. “Non stai mentendo.”
Raggiunsero il fondo di una galleria scavata nella roccia prima di doversi fermare. Gli occhi di Nara luccicarono nel buio.
“Vedi qualcosa?” le chiese Marq.
“Quattro figure. Soldati, direi.”
“Ci sarà da combattere, allora.” Guardò Brun. “Ti senti abbastanza forte?”
“No, ma ho altra scelta, amico mio?”
“Non so perché, ma sapevo che l’avresti detto. Forse non usando queste esatte parole ma… mi hai capito, no?”
“Alludi forse alla mia stupidità?” fece lui con tono scherzoso.
“Io non ti considero stupido. Solo avventato. So che cosa hai fatto per la strega dorata.”
“Mi spiace di averti ingannato” disse Brun. “E se mi avesti abbandonato qui sotto, non ti avrei biasimato.”
“Se pensi che avrei potuto abbandonarti allo sei stupido davvero” disse Marq sorridendo.
“Sono commossa dalle vostre parole, dico sul serio” fece Nara. “Ma quei soldati potrebbero non essere altrettanto sensibili.”
“Non è vero” disse Brun. “Sta mentendo.”
Marq gli fece un cenno con la testa.
Nara scrutò nel buio. “Vengono dalla nostra parte.”
Marq preparò lo scudo magico.
Dall’oscurità emersero quattro figure. Notò subito le guance scavate e le espressioni stravolte. Avevano tutti la barba e i capelli lunghi e unti e l’odore che emanavano copriva persino quello di muffa che aleggiava nel sotterraneo.
Una delle guardie, quello con lo sguardo meno spiritato, si fece avanti con le mani alzate. “Non vogliamo combattere” disse con voce tremante.
I tre dietro di lui gettarono via le lance e gli scudi che rimbalzarono sul pavimento di pietra con un tonfo metallico.
Marq guardò Brun che si strinse nelle spalle.
“Non sta mentendo.”
Marq si rivolse al soldato. “Venite avanti lentamente. Voglio vedere quelle mani e se fate una mossa azzardata vi colpiremo.”
Quello che aveva parlato si fece avanti per primo. “Davvero non vogliamo combattere. Ci hanno rinchiusi qui sotto con l’ordine di uccidere tutti i prigionieri se la prigione fosse stata invasa.”
“Immagino che non sia mai giunto quell’ordine.”
“Non vediamo Takis da tre giorni” rispose il soldato.
Marq non aveva idea di chi fosse. “Come ti chiami?”
“Manolis, straniero.”
“Disertare vi renderà dei rinnegati.”
“Ci pensiamo da tre giorni. Ne abbiamo anche discusso. Orfar cadrà e quando succederà, vogliamo essere con le nostre famiglie, rinnegati o no.”
Marq annuì. “Conoscete la strada.”
Manolis e gli altri si avviarono a passo svelto per il corridoio.
Nara li guardò sfilare con l’espressione di un predatore che sta scegliendo la sua preda. Quando furono lontani disse: “Potrebbero dare l’allarme. Forse non è stato così saggio lasciarli andare.”
“Se lo faranno, dovranno spiegare perché non sono rimasti al loro posto” disse Marq.
Nara rispose con un’alzata di spalle.
“Per quanto mi riguarda hai fatto la cosa giusta” disse Brun.
Marq abbozzò un leggero sorriso. “E ora portaci alla cella del prigioniero” disse rivolto a Nara.

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