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Autore: heliodor    15/03/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Re e sudditi

 
La porta era chiusa e non c’era chiavistello, solo una semplice serratura di metallo. Marq si concesse qualche istante per esaminarla con cura. “Sembra solida.”
“Ti ho visto combattere Occhi Blu” disse Nara. “So che sei capace di abbattere una porta.”
“Non senza uccidere il prigioniero nella cella. E c’è un altro problema. Se l’intera prigione è stata incantata, un’esplosione potrebbe scatenare gli incantesimi. Solo i demoni sanno quale reazione potremmo scatenare se mi mettessi a lanciare una sfera infuocata qui dentro.” Guardò la porta. “Intanto vediamo chi c’è dietro di essa.” Aprì lo spioncino e gettò un’occhiata.
Al centro della cella giaceva seduto un uomo di mezza età, capelli color sabbia e un fisico regolare. Indossava una tunica bianca e sudicia e la barba era folta e punteggiata di bianco.
Sollevò la testa rivolgendogli un’occhiata perplessa. “Tu non sei quello che di solito porta il pasto.”
“Mi chiamo Marq” rispose. “E tu sei la persona che stavo cercando.”
L’altro sorrise e si alzò. “Sei venuto a uccidermi o a liberarmi?”
“Per ora devo pensare a come farti uscire di qui. Non ho le chiavi e la porta sembra solida.”
“Potresti buttarla giù. Lo farei io stesso, ma ho paura che abbiano incantato le pareti dalla mia parte e che mi crolli tutto addosso. Sarebbe tipico di Skeli.”
“Potrebbe aver incantato anche il resto della prigione.”
L’uomo annuì grave. “Anche questo sarebbe tipico di quella donna. Sei solo?”
“Ho un paio di amici qui che mi aiuteranno, ma solo io so lanciare gli incantesimi di distruzione.”
“Siamo in due” rispose il prigioniero.
“Pensi di esserne capace? Voglio dire, sei da tanto tempo in questa cella.”
“Hanno cercato di fiaccarmi nel fisico, ma ho ancora abbastanza forza per lanciare un paio di incantesimi. E uno l’ho conservato per Skeli.”
“Se le cose vanno come temo, non avrai bisogno di usare quell’incantesimo con lei. C’è già chi si sta occupando della regina.”
“Chi?”
“Strega dorata ti dice qualcosa?”
“Lei è qui?” chiese sorpreso. “Pensavo fosse a nord a combattere al fianco di suo padre e la sua assurda alleanza.”
“Marq” disse Nara alle sue spalle. “O lo fai uscire o ce ne andiamo. Tra poco questo luogo non sarà più tanto sicuro.”
“Ci serve aiuto per buttare giù la porta.”
“Forse so che cosa ci serve” disse Brun.
Marq si accigliò. “Hai un incantesimo per aprire le porte?”
“Io no” rispose l’altro. Indicò il corridoio alle sue spalle. “Ma forse qualcuno dei prigionieri sì.”
 
L’uomo uscì dalla cella barcollando e Brun dovette afferrarlo per non lasciare che crollasse a terra.
Quanta forza è riuscito a conservare? Si chiese Marq. Tanta a giudicare dall’impegno che sta mettendo in questa cosa. Io ero a pezzi quando uscii dalla gabbia di Falgan. Forse l’ho sottovalutato.
L’uomo tossì e cercò di raddrizzarsi aiutato da Brun. “Mi chiamo Venn” disse con voce roca. “Voi chi siete?”
“Alleati” rispose Marq.
Venn lo guardò di traverso. “Alleati di Malinor?”
“Tu eri un soldato?”
“Ero aiutante di campo del maestro Machib. Portavo il mantello nero.”
Marq guardò Brun.
Lui annuì. “Dice il vero. Lo conosco, anche se non l’ho mai incontrato di persona.”
Venn gli scoccò un’occhiataccia. “Tu chi saresti?”
“Brun.”
“Mai sentito prima. Porti il mantello nero?”
“Lo portavo.”
“E ora dov’è?”
Brun si strinse nelle spalle.
Venn tossì. “Non importa. Che volete fare?”
“Liberare un prigioniero” disse Marq. “Ma dobbiamo buttare giù una porta.”
“Io non posso aiutarvi. Sono un illusionista e ho appena la forza di reggermi in piedi.”
“Ma saprai chi può farlo tra quelli rinchiusi qui sotto.”
“Mi vengono in mente un paio di nomi tra quelli che erano con me quando gli orfariani ci hanno catturato. Potrebbero esserci utili, se sono ancora vivi.”
Dalla cella successiva uscì solo un fetore nauseabondo e un cadavere che stava iniziando a decomporsi.
Il prigioniero successivo disse di chiamarsi Falyn e di essere un soldato di Malinor. Marq lo inviò a sorvegliare la cella in fondo al corridoio.
Alla dodicesima cella avevano radunato sei soldati e due mantelli neri. Una di essi era un’alteratrice.
“Mi chiamo Doraleh” disse la donna. Con i capelli arruffati e il viso sporco Marq non aveva idea di quanti anni avesse.
Era magra e col viso scavato, ma si reggeva ancora in piedi.
“Pensi di poter buttare giù una di queste porte?”
“Credo di sì” rispose la donna.
“Perché allora non sei andata via?” le domandò Brun stupito.
Doraleh lo guardò come se avesse abbaiato un cane. “Per andare dove? Sarei morta appena messo piede nel corridoio. Era pieno di guardie qui sotto e a volte uccidevano senza alcun motivo. Rezzen ci ha provato a fuggire nel modo che dici e quando l’hanno preso, gliel’hanno fatta pagare.” Scosse la testa come se stesse ripensando a qualcosa di molto brutto.
Venn annuì a sua volta.
“Andate alla cella in fondo al corridoio” disse Marq. “E cercate di tirare fuori il prigioniero. Senza usare incantesimi distruttivi.”
“Lui è lì?” domandò Venn.
“Sì” disse Marq.
I due malinoriani corsero verso il fondo della prigione.
“Le ultime due celle” disse Marq avvicinandosi alla prima. Fece scattare il chiavistello con un colpo deciso.
Dalla porta emerse un ometto dall’aria confusa. Indossava un saio grigio chiaro stretto in vita da una cintura color ambra.
Dall’altra porta, che Nara aveva spalancato, uscì un secondo uomo. Era alto e dal viso sottile su cui spiccava un naso adunco. Capelli castano scuro incorniciavano il viso dai tratti affilati. Si guardò attorno come studiandoli.
“Voi chi siete?” domandò Marq.
“È quello che volevo chiederti io” rispose l’uomo. Indicò l’altro. “Lui è Falcandro, l’erudito di corte.”
“Lieto di fare la vostra conoscenza” rispose l’erudito.
“Io sono Dodur” aggiunse l’altro prigioniero.
“Siete gli amici di Gladia, suppongo.”
Dodur sgranò gli occhi. “È lei che ti manda?”
“Diciamo che ha chiesto un favore alla strega dorata e lei ha passato l’incarico a me.”
“Sai se Gladia sta bene?” domandò Dodur.
“Non ne ho idea” rispose Marq.
Ma l’ultima volta che l’ho vista stava combattendo con Bryce, pensò. E visto che la principessa è viva, non ci sono molte speranze di rivedere l’inquisitrice.
Marq non attese che aggiungesse altro. “Sei uno stregone? Porti il mantello.”
Dodur annuì.
“Puoi aumentare la tua forza?”
“Purtroppo no.”
“Era troppo pretendere un secondo alteratore?” domandò Marq senza rivolgersi a nessuno dei presenti in particolare.
Dal fondo della caverna giunse un tonfo sordo e poi un grido. Allarmati, corsero fino alla cella del prigioniero.
Venn e altri due malinoriani stavano poggiando una porta accanto alla parete, mentre Doraleh era piegata sulle ginocchia e respirava a fatica come se avesse compiuto uno sforzo enorme.
Dalla cella era emersa una figura che ora camminava sicura per il corridoio. A ogni suo passo i malinoriani si inginocchiavano e lo salutavano alzando la mano destra.
“Maestà” disse Venn calando la testa. “Sono felice che siate vivo.”
“Non grazie a voi” rispose il prigioniero. Marciò verso Marq fermandosi a tre o quattro passi. “Sei venuto fin quaggiù per portarmi fuori?”
“Porterò fuori tutti” disse Marq sicuro.
“Allora andiamo.”
Venn squadrò Marq da capo a piedi. “Dovresti inchinarti dinanzi a re Alion di Malinor.”
“Malinor non esiste più” disse Nara con un mezzo sorriso. “Ma se a voi piace illudervi, chi sono io per spezzare il vostro sogno?”
“Taci, straniera” disse Venn.
“Siamo tutti stranieri qui a Orfar” disse re Alion. “Hai detto di chiamarti Marq. Da dove vieni? Qual è il tuo circolo?”
“Orvaurg” rispose sicuro.
“Lui è il famigerato Occhi Blu” disse Nara.
Alion annuì. “Un rinnegato. Ci servirà. Sono quelli che combattono meglio. Che ne direste di andare via adesso? Ne ho abbastanza di questo posto.”
Venn e gli altri malinoriani circondarono Alion e lui sembrò accettare la cosa.
Marq e Brun aprivano il piccolo corteo mentre Dodur, Falcandro e Nara erano proprio dietro di loro.
Lo stregone dal naso adunco si guardava attorno e un paio die volte sembrò annusare l’aria come un cane che cercasse di individuare una preda.
“Nemmeno tu sopporti la puzza?” gli chiese Nara.
“Correnti” rispose Dodur.
Nara si accigliò. “Correnti?”
Dodur annuì.
“Annusi le correnti d’aria?” fece la strega con tono ironico.
“Mi riferisco alle correnti di potere” rispose Dodur.
Marq si voltò di scatto. “Che genere di correnti?”
“Non posso dirtelo con certezza prima di esserne sicuro anche io. Ho l’impressione che questo posto ne sia pieno.”
“L’ultima volta che ci sono passato, la via era libera” disse Marq.
A parte l’esercito di malinoriani che ha invaso il palazzo e la città, pensò. Ma noi abbiamo il loro re, non dovrebbe essere un problema.
Poi ricordò che parte di quei soldati era lì per uccidere Alion.
E noi lo stiamo scortando fuori, si disse.
Si voltò verso Alion e gli altri.
“Che succede ora?” chiese il re. “Perché ci siamo fermati?”
“Forse non è una buona idea procedere oltre.”
“Si può sapere che stai dicendo, rinnegato?” fece uno degli stregoni di scorta.
Marq ingoiò l’offesa e non perse tempo a ricordargli che era libero grazie a lui. “I soldati di Malinor che hanno invaso la fortezza potrebbero non essere amichevoli.”
Alion si accigliò.
“Tua figlia li comanda” aggiunse. “Klarisa.”
“Stai dicendo che mia figlia vorrebbe uccidermi?”
E ora che cosa faccio? Si chiese Marq.
Non voleva offendere Alion senza un valido motivo e lì sotto la situazione era già complicata.
“Che tu mi creda o no” disse decidendo di rischiare. “Klarisa è venuta fin qui per ucciderti e non per liberarti.”
Alion rise. “E credi che questo mi sorprenda, Occhi Blu? Ha fatto esattamente quello che avrei fatto anche io al suo posto. Cercare di approfittare di un sovrano debole per prendere il potere. È davvero mia figlia, dopotutto. Forse ho commesso un errore nel metterla al secondo posto nella linea ereditaria.”
Marq fece per dire qualcosa ma alle sue spalle udì il suono di passi che marciavano.
“Arriva qualcuno” disse Nara.
“Nemico o amico?” chiese Brun.
“Non abbiamo amici qui sotto” rispose Marq.
Dal buio emersero gli scudi rotondi laccati di nero e argento e le lance spiegate in avanti e pronte a colpire.
Dietro le prime tre file di soldati, ognuna di sei uomini armati, seguiva una fila di mantelli neri e infine una figura che conosceva già.
“Gressen” disse a denti stretti.
“Dovevi andare via quando potevi farlo, Occhi Blu” disse il malinoriano.
Se Gressen è qui, pensò Marq, vuol dire che Jamar e Rossim sono morti.
“Consegnateci il prigioniero.”
Alion fece un passo avanti. “Sono il tuo re. Hai dimenticato come mi chiamo?”
Gressen serrò la mascella. “Non l’ho dimenticato. Sei tu che non hai saputo fare il re sul campo di battaglia. Sei fuggito via come un codardo lasciandoci da soli a combattere.”
“A volte bisogna sapere quando è il momento di ritirarsi.”
“Comodo da parte tua, mio re. Tu non sei rimasto indietro a farti massacrare. Tu non hai visto i tuoi compagni, i tuoi amici, il tuo stesso sangue venire schiacciato da quei mostri.”
“Se ti riferisci a tuo fratello Remil, sappi che è morto da eroe, con onore, difendendo il suo re. Lo stesso non posso dire di te, Gressen. Tu ti sei comportato da infame.”
“Hai uno strano concetto di infamia, Alion. Ora vieni con me o ti ucciderò qui e ora. E in quanto a voi” disse rivolto agli altri malinoriani “Se adesso vi unite a noi, avrete salva la vita. Ma se decidete di restare fedeli al vostro re, condividerete il suo destino.”
Venn fece un passo avanti. “Nessuno osi rompere la formazione” disse fissando con disprezzo Gressen.
“Lo stesso vale per me” disse Doraleh.
“Avete scelto” disse Gressen.
A un suo comando i soldati di Malinor avanzarono proteggendosi con gli scudi.
“Evocate gli scudi” disse Alion con tono perentorio.
I malinoriani al suo comando si disposero davanti al gruppo ed evocarono gli scudi. Brun si piazzò in mezzo a loro.
“Che fai?” gli chiese Marq.
“Combatto” rispose l’altro.
Si voltò verso Falcandro. “Tu faresti meglio a nasconderti in un posto sicuro.”
“Penso che non ci sia luogo sicuro in questa prigione” rispose l’erudito con tono rassegnato.
“Forse non è del tutto esatto ciò che dici” disse Dodur. “Potrei trovare un’uscita, se avessi abbastanza tempo.”
Tempo, pensò Marq. È quello che ci manca. Perché Bryce non ha ancora ucciso Skeli? Forse quell’incantatore mi ha ingannato o delirava.
Le lance dei malinoriani avanzarono verso il fronte formato da Brun, Venn e gli altri. Le punte sfiorarono gli scudi magici e vennero respinte.
“Avanzate” ordinò Gressen.
I soldati spinsero nella direzione di marcia facendo arretrare gli avversari di qualche passo. Marq indietreggiò con loro.
Dalle file più profonde iniziarono ad arrivare i dardi magici. Il primo tiro si infranse sugli scudi alzati, ma già col secondo aggiustarono la mira e qualche colpo riuscì a passare.
Marq, protetto dallo scudo, intercettò tre dardi al volo.
“Sei mai stato in una battaglia?” gli chiese Alion.
Scosse la testa.
“Ci sono tre regole che devi rispettare” rispose il re. “Primo, non farti colpire.” Annullò lo scudo. “Secondo, osservare il nemico e approfittare delle pause.” Una sfera infuocata apparve tra le sue mani. “Terzo, colpire quando ne hai la possibilità.”
Alion sollevò le mani pronto a lanciare l’incantesimo.
Solo allora Marq si gettò verso di lui e lo afferrò per il braccio. “No” gridò. “Così ci ucciderai.”
Alion lo allontanò con una spinta decisa. La sfera infuocata era sparita. “Che cosa fai?”
“Il corridoio, la prigione. Tutto il palazzo. Sono incantati. È stata Skeli. Lo hai dimenticato?”
Gli occhi di Alion luccicarono mentre si guardava attorno. “Che i demoni maledicano quella donna se l’ha fatto davvero, ma non possiamo starcene senza fare niente.”
“Un’esplosione qui sotto ci ucciderebbe tutti.”
La fila che si opponeva ai malinoriani di Gressen indietreggiava sempre più e ormai era a metà corridoio. Prima della svolta successiva c’era una strettoia e poi un altro corridoio.
Vide Falyn crollare sotto i colpi delle lance e poi altri due colpiti dai dardi magici. Fulmini danzarono attorno agli scudi magici infrangendosi sopra di essi con una cascata di scintille.
Due soldati di Malinor giacevano a terra ma vennero rimpiazzati dai loro compagni della fila successiva, tornando ad avanzare con decisione.
Gressen e i mantelli ai suoi ordini ripresero a lanciare incantesimi contro la linea dei difensori.
Marq cercò Nara, ma la donna era sparita.
Dovevo aspettarmelo da un’alleata di Ryde, si disse. Sarà questa la mia tomba? Una prigione puzzolente?
Alion evocò un’altra sfera infuocata.
“Non mi hai ascoltato prima? Hai visto tu stesso che lanciarla qui dentro ci costerà la vita.”
“Tra poco saremo comunque morti” rispose il re. “E io non voglio morire. Dovrà essere uno dei miei figli, quello che io avrò scelto come successore, a mettere fine alla mai vita. È così che facciamo noi di Malinor.”
“Siete davvero pazzi” esclamò Marq.
Alion rise. “È vero, Occhi Blu. Tu non sai quanto.” Puntò le mani verso un punto al di sopra delle loro teste e lasciò partire la sfera infuocata.
Marq la guardò affascinato mentre volava sopra le teste dei soldati e si infrangeva contro una delle pareti. Dalla roccia sbocciò un fiore rosso fuoco e subito dopo un boato tremendo lo assordò.
Una forza invisibile lo scaraventò a terra nonostante avesse interposto lo scudo magico tra sé e l’esplosione. Rotolò sulla pietra sbucciandosi gomiti e ginocchia e si fermò qualche istante dopo.
Ansante, si rialzò di scatto. Era avvolto nel buio, la testa che gli doleva e le orecchie che fischiavano.
“Occhi Blu” disse una voce proveniente da un punto alla sua destra.
D’istinto preparò un dardo magico.
“Non essere sciocco” disse Alion. “Sono io.”
Dall’oscurità emerse la sua figura ammantata nella nebbia causata dai detriti e dalla polvere sollevata dall’esplosione.
Marq si aspettava che venisse giù tutto da un momento all’altro, ma non avvenne.
“Andiamo via” disse Alion prendendolo per un braccio.
Ancora frastornato si lasciò trascinare per qualche passo, poi la sua mente tornò a funzionare come prima e si divincolò.
“Ci sono delle persone sepolte lì sotto.”
“E verremo seppelliti anche noi se non ce ne andiamo subito” disse Alion calmo. “La prigione potrebbe crollare da un momento all’altro. Ho cercato di limitare i danni ma non posso assicurarti che un crollo non attivi gli incantamenti a catena.”
“Lì sotto c’è Brun” esclamò Marq sgomento. “Morirà se non lo aiuto.”
“Morirai anche tu se torni indietro.”
Marq gli voltò le spalle e corse nella direzione opposta. Udì Alion dire qualcosa ma lo ignorò. La polvere si stava depositando e ora riusciva a cogliere qualche dettaglio in più. Le pareti crollate avevano invaso il corridoio, schiacciando quelli che si trovavano in mezzo. L’esplosione doveva aver attivato qualche incantamento di Skeli, perché la sfera infuocata di Alion non poteva aver scatenato tutta quella distruzione.
Il re di Malinor doveva aver mirato a un sigillo incantato distante dagli altri e questo aveva potenziato il suo incantesimo senza attivarne altri.
Senza pensare oltre spostò le prime pietre che ostruivano il corridoio per farsi strada verso il punto dove dovevano trovarsi i soldati sepolti. Udiva dei lamenti in lontananza. Grida attutite dai detriti e dalla sofferenza a giudicare dalla loro debolezza.
Poteva immaginare Brun schiacciato da una pietra che lottava a ogni respiro. Quel pensiero gli fece raddoppiare gli sforzi, nonostante si sentisse già stanco per le lunghe ore passate a usare incantesimi.
Afferrò un grosso masso squadrato e con uno sforzo lo sollevò mettendolo da parte. Si concesse solo qualche istante per riprendere fiato e scegliere la prossima pietra da spostare, quando un tremito scosse il pavimento.
Ebbe appena il tempo di sollevare lo scudo magico prima che una grossa pietra si staccasse dal mucchio e volasse nella sua direzione.
Invece di arrestarla con lo scudo, usò i riflessi aumentati per evitarla. Non riuscì a scansare la pioggia di piccoli detriti che si sollevarono insieme alla pietra. A quelli pensò lo scudo magico.
Balzò all’indietro di alcuni passi e sollevò gli occhi verso il condotto crollato. Da questo si ergeva una figura umana.
Per un attimo pensò che si trattasse di Brun, ma era troppo imponente per essere il suo amico. Anche nell’alone della polvere riconobbe il viso dai lineamenti marcati di Gressen.
Lo stregone di Malinor era coperto di polvere e perdeva sangue da una decina di ferite. La tunica era macchiata di rosso e il mantello nero era ridotto a brandelli.
L’espressione del viso e gli occhi iniettati di sangue lo facevano somigliare a una bestia ferita ma desiderosa di lanciarsi subito sulla preda. Respirava a fatica ma avanzò lo stesso con decisione.
Marq alzò lo scudo e preparò un dardo magico nella mano destra.
“Levati di mezzo, Occhi Blu” disse Gressen.
Fu tentato di farsi da parte, ma restò al suo posto. “Sono un rinnegato. Non ubbidisco agli ordini.”
“Allora morirai implorando pietà come Rossim.”
Gressen partì all’attacco urlando e con un balzo lo raggiunse. Sorpreso dalla sua agilità, Marq alzò lo scudo e attese l’attacco dell’altro.
Il pugno di Gressen si infranse sullo scudo e lo superò, raggiungendolo al petto. Marq sentì l’impatto fargli scricchiolare le ossa, ma l’incantesimo di protezione che aveva lanciato prima di avventurarsi nella prigione lo protesse.
Nulla poté per il contraccolpo, che lo scagliò verso il fondo del corridoio. Atterrò sulla schiena e l’impatto gli mozzò il fiato.
Ruotò su sé stesso per rialzarsi ed evitare l’attacco successivo. Gressen era balzato verso di lui nell’istante stesso in cui era stato scaraventato all’indietro.
Marq sentì il pavimento vibrare dove il malinoriano colpì, scagliando una manciata di detriti tutto intorno.
È scoperto, pensò Marq mentre sollevava il braccio verso Gressen per colpirlo al fianco.
L’avversario ruotò sul bacino e lo colpì alle gambe con il braccio che aveva proteso. Marq crollò al suolo proteggendosi il volto con le braccia.
Gressen si alzò con uno scatto e torreggiò sopra di lui.
Marq alzò le mani per proteggersi con lo scudo magico, ma l’altro fu più rapido e lo afferrò per la tunica, alzandolo senza sforzo.
Marq si sentì sollevare in aria e poi scaraventare via come una bambola di pezza. L’impatto contro la parete di roccia gli tolse il fiato.
Il dolore avvampò all’istante lungo la schiena. Scivolò a terra annaspando per trovare un appiglio. Gressen lo colpì con il tacco dello stivale all’addome.
Il dolore gli annebbiò la vista e non vide arrivare il pugno successivo che lo scaraventò di lato. La bocca gli si riempì di sangue.
Mi ucciderà, pensò Marq in uno sprazzo di lucidità.
Gressen lo sollevò con entrambe le mani, portando la faccia di Marq all’altezza della sua. Da quella distanza poteva vedere gli occhi iniettati di sangue del malinoriano.
“Sei una delusione Occhi Blu” gli alitò sul volto.
Marq venne scaraventato contro il muro alle sue spalle.
Gressen lo alzò di nuovo.
“Mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere da rinnegato per tutti questi anni.”
Marq sollevò il braccio destro per colpirlo con un dardo, ma l’altro glielo afferrò. Nel farlo dovette lasciare la presa sul suo collo.
Marq scivolò verso il basso, inginocchiandosi ai piedi di Gressen.
Il malinoriano sollevò il pugno sopra la testa.
Marq attese il colpo finale, ma non arrivò. Alzò la testa e vide il braccio di Gressen avvolto da un filo d’energia pulsante fino al gomito. Un altro filo gli avvolgeva il braccio destro e un terzo stava risalendo lungo le gambe fino alle ginocchia.
Gressen digrignò i denti cercando di liberarsi dalla morsa.
Marq si sporse con un leggero movimento della testa e vide i fili sospesi nell’aria correre lungo il corridoio fino al punto dove la parete era crollata e terminare tra i palmi aperti di Brun.
Lo stregone aveva l’espressione concentrata nonostante la maschera di sangue che gli imbrattava il viso.
Marq evocò la lama d’energia e con uno scatto del braccio verso l’alto l’affondò nel ventre di Gressen.
Il malinoriano sgranò gli occhi davanti alla lama che lo attraversava da parte a parte e spuntava dalla schiena.
Marq si protese verso il suo viso. “Ho molti amici” disse con voce roca. Estrasse la lama con uno scatto deciso. Dalla ferita aperta sgorgò un fiotto di sangue.
Nello stesso istante i fili scomparvero e Gressen crollò al suolo su di un fianco. Marq appoggiò la schiena alla parete nonostante il dolore e si lasciò andare sedendo sui tacchi.
Una figura dai contorni incerti si piazzò ai suoi piedi e con gesti lenti si protese verso di lui. Riconobbe Brun in quel viso devastato dalle ferite e dalla stanchezza.
“Marq” disse con voce appena udibile. “Marq?”
Tossì sangue, spargendolo tutto intorno.
Devo avere qualcosa di rotto dentro, pensò. O è il sangue che avevo già in bocca?
Non osava pensare a quali danni poteva avergli inflitto Gressen. In quel momento non gli importava di niente. Voleva solo stendersi sul pavimento di pietra e risposare.
Dormire.
Dormire.
Per sempre.
Buio.
Il pavimento venne trascinato sotto la sua schiena. Mani dalla presa incerta lo avevano afferrato sotto le ascelle. I tacchi degli stivali scivolavano sulla pietra.
“Dammi una mano” disse una voce flebile.
“Lascialo qui. Non sopravvivrà.”
“Aiutami.”
“Pensiamo ad andare via.”
“Non lo lascio qui.”
Di nuovo buio.
E silenzio.
Un cerchio di luce. Un viso dalla pelle scura che lo fissava divertito.
“È vivo?” chiese una voce.
“Devo averlo sottovalutato.”
“Aiutami.”
Fiamme.
Il viso di una donna e di una bambina.
Mi spiace.
Ho solo fatto la cosa giusta.
La cosa giusta.
“Resta sveglio” disse una voce femminile. “E forse vivrai. Ancora per un po’.”
“Hai finito, stregone?”
“L’uscita è qui.”
“Dove conduce?”
“Al sicuro. Spero.”
“Vado prima io.”
Figure si mossero nella penombra. Le stesse mani di prima lo afferrarono per le ascelle, sollevandolo.
“Tra poco saremo al sicuro” disse la voce flebile.
Stava per dire qualcosa. Voleva dire qualcosa, con tutte le sue forze. Ma non ne aveva abbastanza.
Aprì la bocca per parlare, ma dal fondo di un abisso di luce e ombra giunse un rombo, come un tuono che esplode troppo vicino a te. Non abbastanza da colpirti ma in modo sufficiente da farti avvertire la sua potenza.
“Viene giù tutto” gridò qualcuno.
“Da questa parte.”
Si sentì trascinare lungo qualcosa di stretto e buio prima di venire sollevato e portato via lungo un corridoio che sembrava stringersi e allargarsi a ogni passo.
“Svelti. Svelti. L’uscita è da quella parte” disse una voce ansiosa.
In un ultimo sprazzo di lucidità, vide le pareti di roccia piegarsi ed esplodere mentre all’esterno calava il buio.
 
***
 
L’aria era impregnata dal puzzo del sangue e del sudore. Soldati col mantello rosso e giallo, altri con quello nero, giacevano riversi al suolo, alcuni con la schiena appoggiata al muro, quando erano riusciti a trascinarsi fin lì per morire. Altri erano caduti in mezzo al pavimento e lì erano rimasti.
Bryce li ignorò, procedendo spedita per il corridoio dove risuonava il rumore secco dei suoi stivali.
Nelle sue braccia scorreva il potere che le dava la forza di piegare il metallo, spaccare la pietra e spezzare la schiena di un uomo.
O di una donna.
In quel momento le passò davanti l’immagine di lei che afferrava Skeli e la piegava fino a farle assumere una posa innaturale. E mortale.
Oltre a quel potere, ne aveva riservato un altro per la sua pelle, in modo da respingere le lance e le lame dei nemici. Aveva anche evocato lo scudo magico in modo che le coprisse tutti i lati.
Non aveva idea da dove potesse arrivare un attacco. E da chi.
Orfar o Malinor, lì non aveva alleati.
Immersa in quei pensieri si imbatté in una mezza dozzina di soldati malinoriani. Questi alzarono lance e scudi.
Bryce evocò i dardi magici.
“Lasciatela” disse una voce in mezzo al mucchio di soldati. “È amica nostra. Credo.”
Conosco questa voce, pensò Bryce mentre si avvicinava.
I soldati non le staccavano gli occhi di dosso. Nei loro sguardi colse ostilità e timore, come se la sua sola presenza scatenasse in loro quei sentimenti.
Klarisa l’attendeva in mezzo ai soldati. Per l’occasione aveva inossato un mantello nero con ricami dorati e un cappuccio che in quel momento non aveva alzato.
“Sei sopravvissuta allo scontro con l’inquisitrice” disse Klarisa squadrandola dalla testa ai piedi. “E non sembri nemmeno ferita.”
Bryce le mostrò lo squarcio all’altezza del fianco destro che Gladia le aveva procurato.
Klarisa annuì solenne. “Un ben misero prezzo da pagare per aver sconfitto una strega suprema.”
“È mia madre la strega suprema della sua generazione” disse Bryce.
E mia madre mi ha addestrata perché un giorno fossi capace di… questo, si disse.
Klarisa ghignò. “Se mia madre fosse sopravvissuta alle pene che mio padre le ha inflitto…”
“Parleremo dopo della tua storia familiare” tagliò corto Bryce. “Che intenzioni hai?”
“Tu cosa ne pensi?”
Bryce indicò il corridoio. “Non vuoi andare da Skeli?”
“Lo voglio, principessa dorata” disse Klarisa. Guardò il corridoio. “Ho inviato una trentina di soldati e cinque mantelli, ma nessuno di loro è tornato. Skeli ha concentrato in quella zona tutte le sue forze.”
“A quest’ora non saranno rimasti in molti.”
Fece per muoversi in quella direzione.
“Sei davvero così ansiosa di morire, principessa dorata?” le chiese Klarisa. “I miei soldati stanno circondando la sala del trono. Skeli non avrà scampo. Mi porteranno la sua testa.”
È proprio quello che temo, pensò Bryce.
“Io vado lo stesso” disse avviandosi lungo il corridoio.
“Sei pazza” le gridò Klarisa, ma non l’ascoltò.
Sì, pensò, sono pazza. E sto andando a salvare la mia peggior nemica.
Meno di un anno prima aveva girato per quei corridoi parlando con Vyncent o scherzando con Elvana, quando la sua amica era di buon umore. Aveva ascoltato paziente gli sfoghi di Bato quando si sentiva troppo debole o troppo inesperto per fare qualsiasi cosa che non fosse commiserarsi. Aveva percorso le sale silenziose con Djana mentre lei ascoltava i suoi sfoghi, quando Elvana era troppo presa con chissà quale problema e Vyncent pensava a Bardhian.
Sbucò nel cortile, un giardino quadrato di duecento passi per lato. Colonne sottili reggevano il tetto. L’intero giardino era coperto da una cupola che dall’esterno non era visibile. Finestre a forma di losanghe gettavano una luce cupa all’interno, lasciando gli alberi rinsecchiti in un’eterna penombra che il clima nuvoloso di Orfar non aiutava.
Attraversò il giardino aggirando la fontana rotonda che sorgeva al centro e si diresse all’ingresso opposto.
Porte di bronzo e ferro battuto l’avevano una volta chiuso e, in casi disperati, sbarrato. In quel momento era aperto come se la stesse invitando a varcarne la soglia.
Oltre di esso, un pavimento color rosso cupo e pareti di un giallo acceso conducevano alla sala del trono vera e propria dopo un breve corridoio.
Qui, sulla destra, vi erano due figure. Una si ergeva in piedi, l’altra se ne stava accucciata in un angolo, le braccia raccolte attorno alle ginocchia strette al petto.
La figura in piedi evocò due dardi magici.
Bryce si arrestò e gli mostrò lo scudo.
L’uomo aveva il viso coperto di sangue rappreso, non seppe dire se fosse il suo o se fosse appartenuto a qualcun altro.
Non è il suo, pensò Bryce.
I suoi occhi vagarono per il corridoio, soffermandosi sui corpi disseminati in giro. Vide mantelli rossi e gialli mischiati a quelli neri e colse lo scintillio delle corazze sotto la luce delle torce che ardevano.
Due soldati di Malinor erano morti uno sopra l’altro, trafitti al petto e all’addome dalla lance. Mantelli neri giacevano a terra, la pelle bruciata.
L’uomo dal viso insanguinato indossava un mantello rosso e giallo sbrindellato ai bordi.
Bryce alzò una mano mostrandogli il dardo che aveva evocato. “Puoi lottare o farti da parte. Non voglio la tua vita, ma se mi costringi me la prenderò.”
L’uomo abbassò le mani e annullò i dardi magici. “Io ti conosco” disse.
Lei si accigliò. “Non posso dire lo stesso di te.”
“La prima volta che sei venuta qui, non avevo ancora il comando. Era Stevios in carica.”
“Mi ricordo di lui” disse Bryce. “Fu uno dei pochi comandanti di Orfar a unirsi a noi per riprendere la città.”
L’uomo annuì. “Skeli. La regina, li fece giustiziare tutti. Li accusò di averla tradita, di aver complottato contro di lei per rovesciare il trono. Ma la verità è che voleva vendicarsi perché si erano schierati con te, strega dorata.”
“Cos’ha di sbagliato quella maledetta donna?”
L’uomo ghignò. “Quando Stevios e gli altri morirono, Bek, Desmodes e io ricevemmo il comando. Allora la vidi come la mia grande occasione. Finalmente ero fuori dall’ombra dei miei comandanti. Pensavo di poter fare la mia parte per il bene di Orfar.” Scosse la testa affranto. “Quanto mi sbagliavo. Ho solo fatto il gioco di quella malefica donna. Orfar non è mi stata in cima ai suoi interessi. Rimpiango il giorno in cui re Nicolatos la portò a corte prendendola in sposa. Ero giovane e già allora pensavo che fosse un errore. Solo dopo molti anni ho compreso che sarebbe stata la rovina per tutti noi.”
Bryce indicò la porta di bronzo alla fine del corridoio. “Dici che è stata la vostra rovina, ma sei qui a difendere la sala del trono.”
L’uomo indicò la figura accucciata dietro di lui. “Io difendo la corona, non chi la porta.”
Bryce si sporse appena e guardò meglio. La figura accucciata era Kymenos, il figlio di Skeli. I loro occhi si incrociarono per un istante e lui nascose il viso tra le braccia.
Si fece da parte lasciando libero il corridoio. “Se vai adesso, potrete trovare una via che vi porti fuori da questo palazzo” disse. “Klarisa e i malinoriani non hanno ancora occupato tutte le sale.”
L’uomo aiutò Kymenos a rimettersi in piedi. “Mi chiamo Takis.”
“Io sono” iniziò a dire.
Chi sono davvero? Si chiese. Una volta ero la principessa Bryce di Valonde, ma lei è morta quando questa maledetta guerra è iniziata. Poi sono diventata la strega suprema, capace di guidare in battaglia l’esercito che avrebbe annientato Malag, ma l’ho uccisa quando ho deciso di partire per il continente vecchio. Infine, sono diventata la Strega Dorata, ma anche lei è morta quando ho deciso di disertare.
“Io sono la principessa dorata” disse con una punta d’orgoglio. “Sai che Skeli ha incantato l’intero palazzo?”
“L’ho aiutata anche in questa ultima follia” ammise Takis. “Che i demoni mi prendano.”
“Vai. Adesso” lo esortò Bryce.
Takis si trascinò dietro Kymenos.
Senza attendere oltre Bryce marciò decisa verso la porta di bronzo. Si era aspettata di doverla abbattere con un incantesimo, ma appena vi appoggiò le mani la porta scivolò sui cardini, spalancandosi.
La sala del trono era come la ricordava. Più lunga che stretta, con una scalinata alla fine della navata. Tappeti rossi e gialli portavano al trono, un seggio coperto di cuscini per accomodare l’’enorme corpo di Skeli.
La regina sembrava attenderla sdraiata sul trono.
Bryce camminò fino alla scalinata prima che la donna muovesse la testa per guardare dalla sua parte.
“Sei arrivata finalmente” disse con voce impastata.
Aveva le gote arrossate e il suo corpo sembrava più grande dell’ultima volta che l’aveva vista, se possibile.
Ma non sembra ingrassata, si disse. È solo più grossa.
Bryce accennò a mettere un piede sul gradino più basso.
“Se fossi in te non lo farei.” Skeli estrasse un pugnale e lo agitò nell’aria. “Sono armata, come vedi.”
“Non sarà quel pugnale a salvarti.”
“Ma io non lo rivolgerò contro di te, principessa” replicò Skeli. Si raddrizzò sul trono con un movimento agile per la sua stazza e si carezzò il braccio scoperto con la punta del pugnale. “Sono sicura che l’inquisitrice ti ha messa al corrente.”
“Ha raccontato una strana storia su degli incantatori” disse Bryce mantenendosi sul vago. Mentre parlava cercava di guadagnare tempo per trovare il modo di disarmarla.
“Dimmi. L’inquisitrice è morta? Sai, le avevo detto di ucciderti e se tu sei qui…”
“L’ultima volta che l’ho vista era a terra” ammise Bryce. “Ma non saprei dirti se è viva o morta.”
Skeli ghignò. “Sei davvero forte come dicono, dunque. Sei la strega suprema della tua generazione. Ciò rende la mia vittoria ancora più significativa.”
“Vittoria? Io non la chiamerei così, Skeli. Hai portato alla rovina Orfar. Credi che i malinoriani si limiteranno a ucciderti? Faranno a pezzi il tuo palazzo e raderanno al suolo mezza città. Orfar non si rialzerà mai più.”
“Non me ne importa niente di Orfar” gridò Skeli agitando il pugnale minacciosa. “Non ho mai avuto alcun interesse in questa puzzolente città. Quando Nicolatos mi prese in moglie ero giovane e ingenua. Lui mi promise che avrei avuto tutto ciò che desideravo, ma la verità è che mi rinchiuse in questo luogo dimenticato dal mondo” piagnucolò. “Lontano da tutto ciò che c’era di bello e significativo in questo mondo, in mezzo a una pianura desolata abitata solo da mercanti e campagnoli pezzenti.” Tornò a sedersi con un movimento plateale. “Ho cercato di cambiare questa gente, che cosa credi? Anche dopo la morte di Nicolatos ho fatto di tutto per favorire la cultura e le arti, ma gli orfariani sono troppo stupidi per apprezzare i miei sforzi. Per loro contano solo gli affari e i commerci. E allora ho deciso che non valeva la pena fare tanti sforzi per degli ingrati. Che i demoni se li prendano tutti quanti. Se oggi morirò, Orfar non dovrà avere una sorte migliore. A iniziare da questo palazzo.”
Bryce salì di un atro gradino. Era giunta a metà scalinata durante lo sfogo di Skeli.
La regina si accigliò. “Se ti avvicini troppo morirai, principessa.”
“Credi che mi importi qualcosa?”
Skeli la guardò perplessa. “Hai fatto tanta strada solo per vendicarti?”
“Non ho disertato per vendetta” disse.
Skeli annuì grave. “Lo hai fatto per l’amore della tua vita, per quel damerino di Londolin, il mezzo stregone che hai dovuto salvare tu stessa perché troppo debole per farlo da solo.”
“Attenta a quello che dici” ringhiò Bryce.
“Ti secca se offendo il grande amore della tua vita?”
“Sacrificherei la mia esistenza per riportare in vita Vyncent” disse stringendo i pugni. “Se solo ci fosse il modo…”
La regina rise e scosse la testa. “Quanto sei stupida, ragazzina.”
Bryce si fermò interdetta.
“Chi ti dice che quel damerino sia morto?”
“Era a Malinor quando è stata distrutta. Ho visto i resti bruciati del palazzo reale.”
“Lui è stato qui” disse Skeli sorridendo. “Davanti a me come lo sei tu adesso.”
“Stai mentendo.”
“Perché dovrei farlo, principessa? Per me sarebbe più semplice tacere e lasciarti soffrire per la perdita del tuo amato, piuttosto che darti una speranza.”
“Perché…” iniziò a dire Bryce.
Speranza, si disse. In tutti questi giorni è stata quella a mancarmi. Sono venuta qui convinta che sarei morta, che non ci fosse altro scopo nella mia vita, che non mi fosse rimasto niente.
Skeli stava annuendo. “Non mi chiedi dove è andato?”
Bryce si trattenne dal colpirla con un dardo magico. A un tratto non voleva più morire. Voleva vivere, anche solo un altro giorno, per poter rivedere Vyncent.
“È qui?” le chiese. “Dimmelo” esclamò.
“No, non è qui” disse Skeli. “Cercalo pure in tutto il palazzo o in tutta Orfar, se ne rimarrà qualcosa in piedi. Non lo troverai perché è ripartito poco dopo essere arrivato.”
“Per dove?”
“È andato a nord, insieme a quel maledetto principe di Malinor che tu conosci bene, l’arrogante che ti ha presentata a me.”
Ronnet, pensò Bryce. Che ci fa Vyncent con lui? E perché stanno andando a nord?
“Per quanto possa sembrare assurdo, quei due sono sicuri di poter trovare Malag e ucciderlo” disse Skeli. Scosse la testa affranta. “Secondo me stanno andando incontro alla morte.”
Bryce sentì fremere ogni muscolo del suo corpo. Dovette fare uno sforzo enorme per non colpire subito quella maledetta donna.
Skeli alzò gli occhi verso di lei. “Ormai non ha più importanza, principessa. Tra poco tu, io, Orfar e quelli che si trovano in questo palazzo saremo morti. Tutti quanti.”
Io non voglio morire, pensò Bryce. Non più. Non ora che so che Vyncent è ancora vivo e al nord.
Salì un altro gradino.
Skeli agitò il pugnale. “Un altro passo e mi taglierò la gola” disse mettendo la lama sotto il suo mento.
Bryce si arrestò all’istante. “Non deve finire per forza così” disse cercando le parole giuste, quando invece voleva che quella dannata donna morisse. “Puoi sopravvivere a tutto questo.”
Skeli ghignò. “Io non voglio sopravvivere, principessa. Sono già sopravvissuta troppo a lungo in questo posto. È tempo che io mi congedi da questo mondo che non mi merita.”
“Non lo fare” la implorò Bryce.
La mano di Skeli tremò. “Vuoi che mi fermi?”
“Metti giù il pugnale.”
Skeli allontanò la lama dalla gola. “Cosa sei disposta a fare per me, principessa?”
“Qualsiasi cosa” disse.
Qualsiasi cosa che mi dia tempo per riflettere, pensò.
Skeli sospirò. “Qualsiasi hai detto? Allora fai questo per me, principessa. Inginocchiati.”
Bryce la guardò perplessa.
“Inginocchiati, dannazione. Per una volta nella tua vita ubbidisci a un ordine, principessa. Ammetti che ti sono stata superiore in tutto.”
“Tu non…” iniziò a dire.
“Piegati di fronte a me e mostrami il rispetto che mi devi” esclamò Skeli con rabbia.
Bryce deglutì a vuoto. “Io non ti devo nessun rispetto.”
“Fallo e basta.”
Trasse un profondo respiro e piegò il ginocchio destro finché non toccò il gradino.
“Non devi inchinarti come un suddito” disse Skeli con tono sprezzante. “Usa tutte e due le ginocchia come fanno i servi.”
Bryce strinse i pugni e abbassò anche l’altro ginocchio.
Skeli annuì soddisfatta. “Brava, così. Inginocchiati dinanzi a me, la regina di Orfar. Ti ho battuta, strega dorata. Ti ho sconfitta in tutti i modi in cui potevi essere sconfitta. Per me hai tradito due volte il tuo popolo. Ti ho umiliata. Ho mandato verso morte certa il tuo amato e nonostante questo ti ho costretta a venire qui per salvarmi la vita. E infine, ti ho fatta inginocchiare davanti a me.” Rise. “La strega dorata in ginocchio davanti a Skeli. Chi mai l’avrebbe detto? La mia vittoria è completa, tranne che per un piccolo particolare. Vuoi sapere quale?”
No, ma credo che me lo dirai lo stesso, pensò Bryce.
“Nessun altro a parte me ti vedrà inginocchiata e umiliata” disse Skeli con tono trionfante. “Nessun altro a parte…”
“Io posso vederla” esclamò una voce.
Skeli alzò la testa di scatto e in quel momento due dardi la colpirono al petto. Il contraccolpo la spinse verso il trono. La regina oscillò, gli occhi e la bocca spalancati. Un terzo dardo la costrinse a sedersi sui cuscini di preziosa seta. Il sangue che sgorgava dalle tre ferite le imbrattò il vestito, disegnando altrettante macchie rosso scuro che si allargavano in fretta.
Bryce si sollevò di scatto e voltandosi incrociò lo sguardo di Klarisa, ai piedi della scalinata.
“Sembra che io sia arrivata appena in tempo” disse la principessa di Malinor.
I soldati e i mantelli che la scortavano stavano già risalendo le scale.
“Tu non ti rendi conto di ciò che hai fatto” disse Bryce con tono calmo.
Klarisa sogghignò. “Sono solo a metà del lavoro. Uccidete la principessa dorata” ordinò alla scorta.
Bryce vide le lance e gli scudi puntare verso di lei e, appena dietro, tre stregoni preparare gli incantesimi.
Guardò Skeli. Il petto della regina si alzava e abbassava, gli occhi e la bocca ancora spalancati. Sollevò la testa rivolgendole un sorriso a metà di sofferenza e soddisfazione. “La mia vittoria è completa.”
La regina di Orfar chiuse gli occhi e il suo petto si abbassò senza rialzarsi. Il corpo si rilassò per un istante, poi prese a gonfiarsi come se qualcosa volesse emergere da quella massa ormai inerme.
Solo che non è affatto inerme, pensò Bryce. Chi può sapere quanti e quali incantesimi ha sigillato dentro di sé e che ora stanno per attivarsi?
Si voltò verso i soldati che avanzavano. “Venite” gridò evocando una sfera infuocata.
Gli stregoni evocarono gli scudi per proteggere i soldati e loro stessi.
Per un attimo Bryce fu tentata di scaricare su di loro tutta la sua rabbia e la frustrazione. Dalle ferite di Skeli proruppero lingue di fuoco e fiamma così alte da lambire il soffitto.
A quella vista i soldati guardarono stupiti quello che stava accadendo e persino gli stregoni persero per un attimo la loro concentrazione.
È il mio momento, pensò Bryce.
Concentrò tutto il suo potere nelle gambe ed eseguì un balzo che le fece superare i soldati e i mantelli ancora intenti a osservare il corpo di Skeli che liberava i suoi incantesimi.
Atterrò in mezzo alla sala e rotolò in avanti per una decina di passi.
Klarisa, che era rimasta in basso, le saltò addosso e la colpì alla spalla con la spada magica, strappandole un lembo di pelle e un grido di dolore.
Bryce l’afferrò per le spalle e la scagliò contro una delle porte di bronzo ancora socchiuse. Ignara di cosa stesse accadendo alle sue spalle, raggiunse l’altra porta e concentrò tutto il potere che le restava nelle braccia. Afferrò il battente e tirò verso di sé.
I cardini scricchiolarono ma ressero. Bryce raddoppiò gli sforzi e, dopo aver puntato i piedi sul pavimento, trasse un profondo respiro e tirò più forte.
Stavolta i cardini saltarono via e la porta di bronzo si staccò dall’intelaiatura portandosi dietro una parte delle pietre che formavano la parete della sala.
Con la coda dell’occhio colse il bagliore che si sprigionava dalla cima delle scale. Lingue di fuoco stavano avvolgendo il trono, consumando il corpo di Skeli e liberando altra energia incantata al suo interno.
Fiamme liquide sgorgarono dalle ferite aperte e come un fiume in piena investirono i soldati e gli stregoni che ancora stavano discendendo la scalinata.
I loro corpi bruciarono nell’istante stesso in cui le fiamme li lambirono.
Klarisa balzò in piedi e le puntò contro un dardo magico. “Proprio non sai quando è il momento di morire, vero?” Il suo sguardo venne catturato dalla visione delle fiamme che avanzavano verso di loro come un fronte compatto.
La strega annullò il dardo ed evocò lo scudo magico che l’avvolse come il bozzolo di una farfalla.
Non reggerà a lungo, pensò Bryce. Per fermare le fiamme ci vorrà ben altro.
Piazzò la porta di bronzo di traverso, usandola come uno scudo. Le fiamme si infransero contro il metallo arroventandolo.
Anche se protetta dalla pelle resistente, l’immenso calore sprigionato dagli incantesimi racchiusi nel corpo di Skeli le strapparono grida di dolore mentre con quella barriera cercava di tenere il fuoco lontano dal suo corpo.
Le fiamme deviarono dal loro percorso e si espansero raggiunsero il soffitto e le pareti, gonfiandole e deformandole fino al punto di farle esplodere.
Il frastuono delle pietre che crollavano l’assordò prima che un buio innaturale avvolgesse tutto quanto.

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