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Autore: Saeka    22/03/2020    12 recensioni
INTERATTIVA | Iscrizioni chiuse
Dopo aver terminato gli anni di Medimagia, i nostri aspiranti guaritori dovranno vedersela con la specializzazione all’Ospedale San Mungo dove dovranno dimostrare ai loro mentori di essere più che semplici matricole.
Per essere bravi guaritori non è sufficiente guarire i mali della pelle e della mente, bisogna guarire le ferite che si hanno dentro.
Way to heal è il percorso giusto per chi vuole dedicare la propria vita a curare gli altri, ma non deve dimenticarsi di se stesso. Forse le cicatrici del passato non si rimarginano mai del tutto.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1
Running after shadows
Wendy Elizabeth Chilloak




 

Portava scarpe da ginnastica insulse.
Era il suo primo giorno di lavoro, in piedi di fronte al San Mungo, e l’unica cosa a cui Wendy riusciva a pensare erano le sue scarpe: piccole, consunte e coi lacci sporchi. Era sicura che l’avrebbero notato tutti, che l’avessero notato tutti: la Signora Davidson del secondo piano, l’autista dell’autobus che aveva preso per arrivare al Purge&Dowse Ltd, il manichino in plastica che le aveva aperto il passaggio e adesso l’infermiera che compilava i moduli di accettazione per l’uomo con il moccio blu che gli usciva dal naso. Questo pensiero la fece sentire ancora più miserabile.
Alla fine si fece coraggio e, stringendosi il più possibile nella sua mantella, spezzò la paralisi e cominciò a camminare in avanti. Sua madre la aveva assillata per tutta la settimana perché mettesse il mantello; diceva che presentarsi al tirocinio vestita da strega le avrebbe fatto fare bella figura. Tutta apparenza, ovviamente.
Era così concentrata su se stessa che non notò nemmeno gli altri ragazzi che si agitavano per la sala, chissà quante volte li aveva incontrati per i corridoi dell’Accademia di Medimagia, senza vederli. E ora ci passava a fianco, attraverso, senza degnarli di uno sguardo.
Non guardatemi, si ripeteva nella testa, sono brutta, non guardatemi. Pensò che se non avesse mangiato il porridge quella mattina, prima di uscire di casa, sarebbe stata meglio. Sarebbe stata più bella, perfetta. Era tutto nella sua testa, chiaro; nel profondo sapeva che non sarebbe mai stata perfetta.
Giunta davanti all’infermiera mugugnò qualcosa di incomprensibile. Mrs Foyer, lesse sull’etichetta, la guardò  con un misto di pietà e compassione.

«Come hai detto, cara?» 
Wendy odiava che la si chiamasse “cara”, lo trovava infantile, addirittura imbarazzante. Aveva lasciato Hogwarts con ottimi voti, non eccelsi ma buoni, e aveva superato la quinquennale di Medimagia con successo. Aveva ventisei anni compiuti a settembre e assolutamente non voleva venir trattata come una bambina. Tuttavia, quello era il prezzo da pagare per il suo aspetto così dismesso. 
«S-Sono qui per il tirocinio.» disse. Subito aggiunse: «Inizio oggi».
Mrs Foyer parve capire. Indicò a Wendy la strada per gli spogliatoi: infondo al corridoio, a sinistra. Le disse anche di non preoccuparsi; tutti gli specializzandi che erano passati di lì erano entrati pieni di ansie e di paure e ora giravano per l’ospedale con abilitazione e divisa verde lime. 
«Vedrai che troverai la tua strada, cara. Qui è un po’ caotico, ma col tempo ci si fa l’abitudine.» Sorrideva. Wendy cercò di sorriderle di rimando ma sulla sua bocca si formò solo un’orrenda increspatura. Riusciva a sentire il disagio condensarsi tra loro, divenire palpabile. Una parte di lei sperò che qualche paziente alle sue spalle avesse le convulsioni, che venisse colpito da un’infezione fungina al sistema nervoso e morisse, magari l’uomo col moccio blu. Voleva che si contorcesse sul pavimento della sala accettazioni e che gridasse così forte da far accorrere tutto il personale dell’ospedale: infermieri, guaritori, gli altri tirocinanti. Tutti lo avrebbero accerchiato, soccorso, guardato morire e Wendy sarebbe rimasta sola, nel buio, nel silenzio, lontano dalle persone e dai morti. Si diede subito della stupida. Aveva fatto un giuramento al termine del suo percorso accademico: avrebbe usato la magia per guarire, non per uccidere. Come aspirante guaritrice era suo dovere allontanare la morte, anche dai suoi pensieri.
Mimò un lieve segno di gratitudine e andò verso gli spogliatoi. Era insieme eccitata e terrorizzata all’idea di cominciare il tirocinio. Ovviamente temeva di non esserne all’altezza, di non essere pronta ad affrontare i pazienti, quelli veri, quelli che muoiono se non riesci a salvarli. Ma era da tutta la vita che aspettava questo momento. Senza più sprecare un singolo pensiero di troppo, prese un respiro profondo e varcò la soglia.
Come si aspettava, la vista che le si presentò davanti era parecchio confusa: c’erano altri ragazzi, non troppi, che agitavano le braccia nel tentativo di infilarsi le divise. Non le sembrava di conoscere nessuno di loro, ma non si fidava troppo di quella impressione; era agitata, circondata da rumori e voci che si sovrapponevano in una sinfonia aritmica, era preoccupata, era spaventata. Avrebbe potuto passare accanto a suo fratello e non l’avrebbe nemmeno visto. L’unica immagine che solleticò in qualche modo la sua memoria fu una chioma di capelli biondi e ricci a qualche metro da lei. Non ricordava certo il nome del ragazzo, ma era quasi sicura che avessero frequentato qualche lezione di pozioni curative assieme. Era strano, entrare in una stanza piena di sconosciuti. La mente cerca sempre di catalogare le cose di cui fa esperienza, di dividerle, di dare loro un nome. Cerca di conoscerle perché vuole dare un ordine al caos della realtà, perché il caos non si può gestire, non si può comprendere. Non ci si può relazionare al caos, nel caos si è completamente soli. Ed è così che Wendy si sentiva: sola, spogliata delle sue illusioni ordinatrici, indifesa davanti alla volontà anarchica dell’esistenza.
Si fece largo tra quei corpi giovani fino a che non ebbe trovato un armadietto vuoto. Di lì a breve sarebbero comparse fotografie e cartoline appese per agghindare ogni armadietto. Non era ancora sicura di cosa mettere sul proprio, forse non avrebbe attaccato niente. Quello che la gente attacca sull’armadietto, racconta. Dice: ehi, l’armadietto è mio. E in quel mio c’è una persona con un passato, con una famiglia, con dei sogni. Wendy non era certa di voler raccontare di sé, e non era certa neanche che ci fosse qualcosa da raccontare.
Sfilò il mantello nero e lo posò dentro all’armadietto. Era l’unico indumento che aveva fatto scegliere alla madre, per il resto portava jeans scoloriti che le arrivavano quasi alle ginocchia ma cadevano strappati e sfilacciati, una maglia grigia e larga di una vecchia Wrock band che ascoltava quando ancora frequentava Hogwarts e una giacca enorme verde pallido che aveva già riposto nell’armadietto insieme al mantello. Wendy si sentiva insulsa, dentro e fuori, e voleva che i suoi abiti rispecchiassero quel suo lato di sé.
Alla fine la divisa bianca da specializzando le andava un po’ larga, anche se aveva ordinato la taglia più piccola. Forse allora c’era qualcosa per cui festeggiare in quella giornata lugubre.
Rimase in disparte a contorcersi le mani e osservare gli spigoli che correvano a perimetrare la stanza nel punto in cui il soffitto si infrangeva contro la parete. Poi si fissò su un nato babbano, dall’altra parte dello spogliatoio. Sapeva che era un nato babbano per i vestiti che portava, o almeno lo sospettava. C’era sempre la possibilità che fosse semplicemente un filobabbano, ma ne dubitava; i filobabbani erano famosi per esagerare con le mode babbane al punto da apparire eccentrici. Quel ragazzo, invece, era del tutto anonimo nella sua maglietta a righe rosse e gialle e i pantaloni della tuta da ginnastica. Non era bello, non per i canoni della società, e nemmeno in forma. Sembrava in ansia, come Wendy, eppure riusciva a sostenere una conversazione con altri due ragazzi. Facevano quello che si dice “passare il tempo”, in attesa che qualcuno li venisse a chiamare.
Alcuni di quei ragazzi sarebbero stati al suo fianco per il resto della specializzazione. Non sapere chi fossero rendeva Wendy inquieta, chissà se anche loro si stavano chiedendo la stessa cosa. L’attesa la stava lacerando, sentiva il porridge ribollire nel suo stomaco in attesa di venir assorbito dal corpo, digerito e infine espulso. Wendy non voleva pensarci, solo l’idea di avere una poltiglia di avena e succhi gastrici dentro le dava la nausea. Voleva fare la guaritrice, era lì per quello, ma il corpo umano … era disgustoso.

Ci volle un’eternità prima che Wendy potesse scorgere una figura alta e longilinea affacciarsi allo spogliatoio. Non aveva mai visto un uomo così alto in vita sua, eppure non incuteva timore. Era sì alto, ma scarno, tutto ripiegato su se stesso nel tentativo di guardarli tutti, col volto arrossato e i capelli biondo paglia che gli ricadevano sulla fronte. Portava gli occhiali spessi, neri come il carbone, e la divisa verde lime gli scivolava addosso senza carisma. Era vecchio, relativamente parlando, ma sembrava più giovane. 
«Ehm, è ora di cominciare, ragazzi.» disse. 
Tutti gli altri si voltarono nella sua direzione, smettendo di parlare. Si aspettavano una presentazione, come minimo, un discorso di benvenuto, delle linee guida sul programma che avrebbero seguito, ma l’uomo alto e allampanato non disse nulla di tutto ciò. Saltò tutti i convenevoli, come se le regole sociali non lo toccassero.
«Chilloak, Moreen, O'Sullivan, siete con me. Gli altri aspettino il loro supervisore.» 
Era stata chiamata per prima. Era così sorpresa dai modi di fare del guaritore che non riuscì a metabolizzare quello che era appena successo. Il suo corpo si mosse da solo e seguì quell’ombra lunga e verde tra le corsie dell’ospedale, doveva sbrigarsi perché l’ombra divorava il pavimento con passi lunghi, sbilenchi, sgraziati, e non rallentava né si girava per assicurarsi che i suoi nuovi tirocinanti le stessero dietro. Wendy correva, correva attraverso il tempo, s’infrangeva contro la vita pastosa che non la lasciava passare, soffocava tra quei cunicoli dai colori pastello, pareti immense che si prolungavano all’infinito davanti a lei come la passerella di una nave di pirati che aveva deciso di gettarla in pasto ai pescicani. Era solo la sua testa, la sua folle ansia, a immergerla in quei viaggi fantasiosi e terrificanti. Sperò che fosse davvero solo la sua testa, che non stesse per annegare sui fondali bui dell’oceano, che non ci fossero acque e abissi ad attenderla, solo luce, solo sole. Ma non credeva di meritare il sole.
Si fermarono davanti a una bacheca di sughero su cui erano appesi fogli di un bianco accecante con poche parole, grandi e chiare. Qualcuno cercava coinquilini e metteva a disposizione una bella casa in un bel quartiere di Londra, a pochi kilometri dall’entrata segreta del San Mungo. C’era un corso di musicoterapia infantile alle cinque di ogni lunedì pomeriggio. C’era l’elenco delle festività e degli eventi più importanti dell’anno. C’era persino un volantino sulla taumaturgia.

«Tutti gli avvisi più importanti vengono appesi qui.» disse l’ombra verde. Ora che si erano fermati Wendy poteva leggere la sua targhetta: B. Folkoy. 
Folkoy si rivelò alquanto sbrigativo, su tutto quanto. Fece fare loro un giro di tutto l’ospedale fornendo loro le informazioni principali di ogni piano e di ogni dipartimento. Ricordò loro che il tirocinio si componeva di due anni di medimagia generale e successiva specializzazione. Non si dilungò in spiegazioni complesse e dettagliate, non diede loro consigli, non si preoccupò nemmeno di chiedere loro se avessero qualche perplessità. Probabilmente riteneva che una laurea quinquennale in Medimagia costituisse già di per sé la giusta spinta a iniziare il lavoro in quarta, senza tanti preamboli. Se la vita di Wendy fosse stata un libro, sarebbe cominciato in medias res, senza prefazione. Sperò quantomeno che avesse un epilogo.
Quando finirono il giro Wendy valutava le parole di Folkoy scarne quanto il suo corpo, blande quanto la sua divisa e piuttosto bizzarre come il suo modo di fare. Se ne andò nello stesso modo in cui era apparso, piantandoli in mezzo alla sala di accettazioni soli e sbigottiti.

«Io so chi è quello.» disse la ragazza che le era stata a fianco per tutto quel tempo. «È Barrius Folkoy, un ricercatore. I ricercatori sono tutti strambi.»
Non era la prima volta che sentiva commenti acidi sui ricercatori. Era comune sparlare di loro in Accademia. Non del loro lavoro –facevano cose incredibili- ma del loro modo di relazionarsi. I più cattivi sostenevano che i ricercatori passassero troppo tempo da soli, rinchiusi in un laboratorio a sperimentare o fuori per il mondo ad esplorare, e che avessero perso la capacità di stare con gli altri, di comunicare. 
«È anche un fitoterapista!» aggiunse sempre la ragazza. Poi, senza che nessuno glielo avesse chiesto, disse: «La fitoterapia è quella disciplina che studia il potere curativo delle piante e il suo rapporto con la magia.»
Wendy la guardò per un intero minuto e capì che non sarebbero mai andate d’accordo. Quella ragazza sembrava troppo sicura di sé, troppo compiaciuta di se stessa per accettare l’insignificante presenza di Wendy, figuriamoci per comprenderla. Non voleva dare un’opinione azzardata perché non la conosceva, ma il suo istinto parlava chiaro e le intimava di starle alla larga. Questo non vuol dire che quella ragazza fosse cattiva o tossica, semplicemente non era la persona giusta per Wendy.
Non capirono che la giornata fosse finita finché non ritrovarono gli altri ragazzi in spogliatoio che si levavano la divisa bianca da specializzandi.
«Alla fine era solo un giro.» disse uno di loro.
«Già, pensavo che ci avrebbero messo alla prova, invece niente.»
«Meglio così.» scrollò le spalle il natobabbano con la maglietta a strisce. «Abbiamo la giornata libera.»
Wendy si rivestì in fretta e senza lanciare un ulteriore sguardo ai suoi due compagni uscì dalla stanza e scivolò tra i corridoi del San Mungo, verso l’uscita. Camminava guardando per terra, stringendosi nella giacca verde pallido, ascoltando il rimbombo delle voci, sperando di non inciampare e infrangersi al suolo. Quello era solo l’inizio della sua scala ed era una scala a gradoni alti, pietrosi e gelidi.
 


Il mio angoletto ♣

Cos’è meglio di un’interattiva in queste giornate di quarantena?
Sarò molto sintetica: questa storia è ispirata ai Medical Drama (Grey’s Anatomy, Dr House MD, ER, malattie misteriose, Chicago Med, vite al limite e molti altri). Spero davvero che partecipiate in molti perché ho voglia di mettermi in gioco.


 
Informazioni da tenere in considerazione

✎ La storia è ambientata in un momento imprecisato che non verrà mai specificato per evitare i vincoli della storia canon. Ad ogni modo il periodo storico a cui fare riferimento sono gli anni '80;

✎ Rating arancione per la presenza di malattie e situazioni conflittuali che possono turbare il lettore;

✎ La storia sarà narrata in terza persona e ogni capitolo sarà dedicato a un singolo personaggio di cui seguirà il punto di vista;

✎ Mi serve un numero imprecisato di specializzandi. Gli OCs saranno sottoposti a selezione;

✎ Per partecipare, la procedura è la stessa delle altre interattive: compilate i campi della scheda sotto riportata nel modo più originale e particolareggiato possibile e inviatemela per messaggio privato;

✎ Nell’oggetto del messaggio scrivetemi il nome del personaggio, così poi mi è più facile recuperare la scheda;

✎ Gli autori i cui pg non verranno scelti potranno sempre proporre pazienti dell’ospedale, quindi personaggi che sono ricoverati o verranno ricoverati al San Mungo. In questo secondo caso, non è necessario che la scheda sia particolarmente dettagliata, è a discrezione vostra. Per i pazienti accetto anche i soli sintomi. Le schede dei pg patients potranno essere mandate in qualunque momento, anche a metà storia. Davvero, appena vi viene in mente un possibile caso clinico che avete voglia di veder rappresentato, compilate la scheda e mandatemela. Nell’oggetto del messaggio scrivete PgP nome personaggio.

 
Regolamento

✎ La scadenza per le iscrizioni e la consegna della scheda è fissata per il 31 marzoProroghe su richiesta;

✎ Le schede superficiali o contenenti parecchi errori sintattico-grammaticali non verrano prese in considerazione;

✎  Nel corso della storia potrei porvi alcune domande relative al vostro personaggio, sia nell’angolo autrice alla fine del capitolo sia per messaggio privato. Per questo motivo vi chiedo un po’ di disponibilità e partecipazione.


Non si accettano:

☒ Personaggi senza carattere, stereotipati, superficiali o piatti;
 
☒ Gary Stu o Mary Sue: non voglio personaggi perfetti che sanno fare tutto né personaggi che non sanno fare niente e che hanno tutta la sfiga addosso;
 
☒ Personaggi imparentati con altri personaggi canon;

☒ Personaggi di età inferiore ad anni 26, questo perché gli OCs devono aver concluso il proprio ciclo di studi alla facoltà di Medimagia (se hanno più di ventisei anni, spiegate perché hanno cominciato la facoltà in ritardo);
 
☒ Tutto ciò che viola il regolamento di Efp;

☒ Temi delicati come la violenza sessuale: pedofilia, stupro. (sono accettati invece problemi relativi alla sessualità personale)

 
In questo primo capitolo avete avuto modo di conoscere un po’ Wendy. Vi consiglio di creare personaggi con una personalità che si discosti da quella del mio personaggio; è più facile che prenda personaggi variegati che un manipolo di personaggi troppo simili tra loro.

 
Scheda
Nome completo: (eventuale spiegazione)
Stato di sangue:
Casa a Hogwarts:
Bacchetta: legno, pollici, nucleo, flessibilità
Molliccio:
Ambito di specializzazione*
Punti di forza e di debolezza (in medimagia):
Motivazione: (cosa lo spinge a diventare guaritore?)
Età (+26):
Descrizione fisica (e vestiario):
Stato economico: (famigliare e personale)
Breve storia personale e rapporto con la famiglia:
Personalità e modo di porsi:
Orientamento sessuale/romantico:
Relazioni: (sì/no, perché? Ne ha già avute? Come si approccia all'amore? Che tipo di partner è?)
Interessi/Hobby:
Abitazione attuale: (vive nelle vicinanze? Si è appena trasferito e cerca casa? è alla ricerca di un coinquilino?)
Prestavolto:

*1: maledizioni e lesioni da incantesimi
2: virus e malattie magiche
3: ferite da creature magiche
4: incidenti da manufatti
Inizialmente studieranno tutto e solo in seguito si specializzeranno in qualche ambito.
Importante: se volete che il vostro Oc si specializzi in un determinato ambito della medimagia specificate il nome babbano nella scheda e io provvederò a creare un nome per la corrispondente disciplina magica. Es: da pediatria a pedimagia.


Ho intenzione di pubblicare un'altra interattiva che si svolge sempre nell'universo di Harry Potter e che è parallela a questa. Volevo che le due storie potessero intrecciarsi in qualche punto, ma non troppo. Non voglio obbligare nessuno a seguire due storie per poterci capire qualcosa, le vicende di ogni interattiva saranno autonome così che qualunque lettore, pur leggendone una sola, possa avere una visione chiara degli accadimenti senza buchi di trama.
Pubblicherò la storia tra oggi pomeriggio e domani. È un progetto ambizioso, dedicarsi a due interattive in contemporanea, ma mi conosco abbastanza da sapere che funziono meglio se dimezzo la concentrazione, la fatica e l'entusiasmo in più progetti. Se faccio una cosa sola e mi punto solo su quella vi dedico giornate e giornate, ma poi l'energia esaurisce e mi stufo. Mentre con più progetti, mi ricarico sempre.


   
 
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