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Autore: MusicAddicted    26/03/2020    29 recensioni
Prendete due serie TV, shakeratele fra loro, trovate un punto d’incontro, stravolgete tutto lo stravolgibile… ed ecco che otterrete questa storia.
Crowley ha una delle sue brillanti idee e la propone ad Aziraphale.
E se Jessica e Kevin avessero ottenuto i loro poteri in tutto un altro modo? Se fosse un altro il loro primo incontro?
Forse stavolta tutto fra loro potrà essere più romantico, forse.
Degli Ineffabili Maritini invece… che ve lo dico a fare?
E in tutto questo che ne sarà dell’Anticristo?
La fine del mondo si eviterà?
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Jessica Jones, Kilgrave, Trish Walker
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi, grazie infinite a tutte per il vostro interesse (sono una frana, devo ancora rispondere a un sacco di voi, ma lo farò)

Che dire, lunga attesa, lungo capitolo… e c’è pure un po’ (un bel po’) di  angst

ineffably-inevitable-cover

Capitolo III: Born to do that

                                                       Cheltenham, Pittville Circus Rd, 9 April 2000

Prima di fare quel viaggio, Kevin ha preferito aspettare e nei tre giorni precedenti ha trovato più saggio prendere confidenza con i suoi poteri e levarsi qualche sfizio.

Come far camminare Riley per i corridoi della scuola con i pantaloni abbassati e come gran finale fargli abbassare anche le mutande in aula, non appena il professore si fosse palesato, cosa che gli ha fatto guadagnare un mese di sospensione.

Ha anche fatto scatenare una rissa all’intervallo fra tutti gli altri membri della gang di Riley, che ha dato dei sanguinolenti risultati, con relativi provvedimenti disciplinari.

Ha fatto anche scoppiare quella che forse era la coppia più popolare in tutta l’Università, non perchè quei due gli avessero mai fatto qualcosa, soltanto per il gusto di farlo e di sperimentare un pò.
È anche vero che li ha rimessi insieme il giorno seguente perché Kevin non vuole essere troppo cattivo.

Crowley lo ha encomiato per tutto: l'umiliazione, gli atti osceni in luogo pubblico, la violenza, l’infrangersi di importanti relazioni sentimentali…. tutte cose che tra la sua gente vanno per la maggiore.

Si è palesato in ognuno dei tre giorni alla sua scuola, rendendosi invisibile agli occhi di tutti fuorché quelli di Kevin.
L’unica cosa su cui ha avuto un po’ da ridire è la velocità con la quale lo studente ha risanato quel rapporto di coppia danneggiato fra i suoi due compagni di corso, ma appena ha visto Georgia e David il demone ha convenuto con Kevin che quella fosse una coppia davvero troppo adorabile per separarla e con uno schiocco di dita si è anche assicurato che nessuno ci sarebbe mai più riuscito.
Tutte cose che i suoi capi difficilmente andrebbero a verificare.

Kevin ha semplicemente detto a Crowley che aveva necessità di allontanarsi almeno per un giorno, senza fornirgli spiegazioni e chiedendogli di non seguirlo, almeno in quel frangente avrebbe preferito restare solo.

Ecco perché ora si trova a bordo di un taxi che lo sta per portare a destinazione, deve solo svoltare all’uscita seguente.
Dal suo alloggio universitario quel luogo dista due ore e mezza di macchina all’incirca, cosa che di sicuro non la rende una meta abituale.
Tuttavia la distanza chilometrica è nulla comparata a quella sentimentale.
Kevin ha deciso di far visita ai suoi genitori, non li rivede più da… nemmeno lui se lo ricorda.

“Siamo arrivati, ragazzo.” lo avverte il taxista.

Un’altra occasione perché Kevin possa far pratica col suo potere.

“Azzera il tassametro, sei contento di avermi portato qui e mi aspetterai fino a stasera.” comanda, con tono calmo.
L’uomo preme i tasti del suo dispositivo fino ad azzerare quella tariffa che fino a pochi secondi prima era già a tre cifre.
“Ma certo, ragazzo, ti aspetto qui, nessun problema.” replica docile e accomodante.

Kevin scende dal taxi, alla volta della casa di campagna dei due scienziati.

 

- Non mi piace che mi si chiami ragazzo, men che meno Signorino Thompson ma nemmeno Kevin lo concedo a chiunque, forse dovrei trovarmi un nome più incisivo… ma non è questo il momento di pensarci. - rimugina, mentre percorre una strada che gli desta dei lontani ricordi.

Ogni cosa è rimasta invariata, dal prato Inglese perfettamente tagliato, alla siepe che lo costeggia, dal tetto spiovente al balcone coi mattoni a vista.

Kevin attraversa il prato, osservando tutto quello spazio verde, l’ideale per mettere un’altalena, un dondolo o un qualsiasi altro gioco da fare all'aperto.
Ma quel posto, anzi no, quella famiglia, non è mai stata a misura di bambini.

Prova a sbirciare in direzione della veranda se ci sia fuori qualcuno, ma non ha fortuna.

- Devono essere dentro, conoscendoli, a lavorare. - rimugina, raggiungendo il portone bianco, prima di premere il campanello piuttosto insistentemente.

Gli ci vuole un po’ prima che qualcuno venga ad aprirgli e quando accade gli si palesa davanti una figura alta, austera, dai folti capelli brizzolati e dall’espressione resa ancora più burbera dalle sopracciglie aggrottate.

“Che diavolo ci fai qui? I soldi per la retta e l’affitto te li abbiamo mandati!” sibila secco il proprietario di quella casa.

“Ciao anche a te papà e sì, sto bene, grazie. Alla fine da quant'è che non ci vediamo, due, tre anni?” replica Kevin, con uno sguardo non meno duro del suo, usando quell’appellativo in tono puramente sarcastico.
 

“Vattene, kevin, non ho tempo per te adesso!”
 

Kevin scoppia a ridere, sprezzante
 

“Sono ventitré fottutissimi anni che non avete tempo per me!” gli rinfaccia, prima di capire che se vuole smuovere un po’ le cose purtroppo l’unica alternativa è ricorrere al suo potere.
 

Qualsiasi cosa pur di vedere cambiare quell'espressione così ostile. -

“Ora però fammi entrare e sii un ospite gradevole.” aggiunge, con tono quasi ipnotico.

Ospite. nemmeno sotto forma di comando Kevin riesce a definirlo un padre.

Non si stupisce nemmeno quando lo vede cambiare completamente atteggiamento.

“Ma certo, caro, accomodati, posso offrirti qualcosa?” gli domanda affabile l’uomo sulla cinquantina, invitandolo ad entrare con un eloquente gesto della mano.

- La famiglia che non ho mai avuto, ma è un po’ tardi per questo. - considera tristemente Kevin, limitandosi a un cenno negativo del capo.

“Louise, tesoro, guarda chi è venuto a farci visita.” la chiama Albert, facendola uscire dal laboratorio, con ancora su il camice.

Una raffinata donna bionda alla metà dei suoi quarant’anni si avvicina ai due, con un’espressione assai confusa.
Per un attimo e solo per un attimo Kevin in quello sguardo coglie un guizzo, quasi un’impercettibile contententezza nel vedere lì suo figlio, ma viene subito mascherata da una freddezza senza pari.

 

“Sei qui, senza nemmeno avvisare prima di presentarti.” commenta, velenosa.

“Louise, non essere scortese!” la sgrida il marito, stupendola non poco.
“Albert, si può sapere che ti prende?” sbotta lei.

“Gli prende la stessa cosa che prende a te. Siete contenti di vedere vostro figlio, tutto qui.” proclama Kevin, con tono tranquillo, anche se in realtà vorrebbe mettersi a piangere.

“Ma certo che sono contenta di vederti, tesoro mio.” sorride lei.

“Allora, abbracciatemi.” li esorta il ragazzo e loro eseguono.

Kevin di quell’abbraccio si gode ogni momento, nonostante sia pienamente consapevole che non ci sia niente di autentico.

“Sono vostro figlio, cazzo, il vostro maledettissimo figlio, e questa cosa ve l’ho dovuta chiedere; no, peggio, ve l’ho dovuta ordinare.” li scioglie da quell’abbraccio Kevin, prendendo le distanze da loro. “Riflettete su quanto ciò sia patetico.”
“Kevin, io…” azzarda sua madre, ma qualsiasi cosa gli voglia dire, lui non gliene dà modo.
“No, zitti, tutti e due e seduti.”

I due adulti obbediscono e il ragazzo prende posto sul divano di fronte al loro.

“Perché?” domanda ai genitori.
“Perché cosa?” gli chiede confuso il padre.
“Oh, ti prego, lo sai benissimo!” sibila Kevin. “Perché sono nato? Perché mi avete messo al mondo se non rientrava nemmeno lontanamente nei vostri piani essere dei genitori?” li mette alle strette. “Ditemelo!” ordina.

“Louise rimase incinta, non era previsto, non era programmato.”

A Kevin fa male sentirsi dire così palesemente che non è mai stato desiderato, ma ascolta impassibile.

“Proprio così ma siamo contrari all’aborto, quindi ecco perché ti abbiamo tenuto.” spiega Louise.

Kevin si alza dal divano, facendo loro un applauso canzonatorio.

“Ma bravi, i miei complimenti. Quindi è così che cercate di mettervi la coscienza a posto col creatore o chi per lui, da bravi cattolici?”
“Non ti azzardare a parlarci così, Kevin!” si inalbera il padre, in procinto di alzarsi dal divano.

“No! Ho detto zitto e seduto!” lo mette in riga Kevin. “E lo stesso tu!” anticipa qualsiasi possibile azione della madre.

“Fatemi capire, siete contro l’aborto ma non contro la possibilità di condannare un bambino a una vita senza affetto, senza sicurezze, senza un punto fermo? Un’intera esistenza passata come un pacco postale, a chiedermi cosa ci fosse di sbagliato in me, perché gli altri avessero dei genitori amorevoli e io a malapena un’ombra sfocata di famiglia.”

Come le è stato ordinato, Louise non dice niente, ma dai suoi occhi cominciano a sgorgare lacrime silenziose.
Questo almeno Kevin non glielo ha impedito, né sfugge al suo sguardo, ma non si lascia impietosire.

- Piange perché teme per sé stessa, non certo per un senso di colpa, ha avuto ventitré anni per provarne uno! -

“Avete una vaga idea delle ripercussioni che questo ha avuto su di me? Oh certo, mi avete sempre detto che non mi avete fatto mancare niente, le migliori scuole, la migliore istruzione, la migliore disciplina… ma, ultime notizie per voi, mi è mancato il calore di una casa, ho conosciuto solo quattro mura e un tetto sulla testa e vi assicuro che non sono la stessa cosa.” chiarisce lui. “Ora potete parlare ed essere i soliti voi.” decide.

 

“Come osi presentarti a casa mia, senza nemmeno un preavviso e atteggiarti così?” lo aggredisce il padre, prima verbalmente e lo farebbe anche fisicamente, con uno schiaffo che ha già caricato, se non fosse che Kevin lo anticipa.

“Schiaffeggia te stesso e poi resta fermo.”

Albert fa come gli è stato detto.

“Kevin… perché fai questo? E perché noi ti obbediamo come se non avessimo scelta? Che… che cosa ti è successo?” indaga la madre, apprensiva, rimanendo saggiamente ferma e seduta.
“È successo che mentre io credevo di essere sbagliato, qualcuno mi ha trovato giusto e mi ha fatto un regalo meraviglioso.” sogghigna Kevin, con aria inquietante.”Sapete cosa faremo? Usciamo, facciamo un giro da qualche parte, come una vera famiglia. Regalatemi quest’illusione per un giorno soltanto. Concedetemi un po’ del vostro tempo” propone loro. “In cambio io vi regalerò un’infinità di tempo libero.”

“Che vuoi dire?” si acciglia Albert.

“Quando torneremo dal nostro giro, io me ne andrò e voi darete fuoco al vostro laboratorio, le vostre ricerche, ogni file nei vostri computer. Tutto il lavoro di una vita. Non ne resterà niente. Ripartirete da zero. E non vi renderete nemmeno conto di essere stati voi.” annuncia Kevin.

“Non puoi farlo!” ringhia Albert.
“Sei un mostro!” gli urla Louise, velenosa.

Kevin non ne è toccato minimamente. Non più ormai.

“Posso eccome e lo farò, ma non vi chiederò di rimanerci dentro quel laboratorio che va a fuoco, anche se ve lo meritereste. E voi sarete felici di obbedirmi. Infatti, cosa sono quelle facce? Sorridete!” li esorta e i due mostrano subito due sorrisi smaglianti.

Kevin potrebbe facilmente abituarsi a tutto questo

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Di ritorno dal loro giro come un’allegra quanto fittizia famiglia, Kevin si allontana solo quando vede le prime fiamme palesarsi timidamente dalla finestra aperta.

Pienamente appagato, torna al taxi, dove trova l’autista in condizioni tutt’altro che ottimali.

 

“S..sei to-tornato finalmente.” si rallegra vedendolo, mentre si stringe la pancia e la vescica in preda a forti dolori.

Solo in quel momento Kevin capisce cos’è successo: si è allontanato a metà mattinata, è rientrato al tramonto; quell’uomo lo sta aspettando da quasi sette ore.

“E vero, ho detto di aspettarmi, ma non intendevo che non potevi muoverti del tutto, mi bastava non andassi via con la macchina…. esci pure a fare quello che devi fare.” lo libera da quella prigionia .

“Graa… grazie, ragazzo.” si precipita fuori l’autista, disperato.

Kevin approfitta della sua assenza per riflettere.

- Devo stare più attento quando impongo qualcosa, a non fare questi scivoloni. ma soprattutto devo trovarmi un nome, ragazzo non lo sopporto. Serve qualcosa di incisivo… Killtime? Nooo, posso fare di meglio. Killjoy? Troppo deprimente… Kill… Killgrave. Sì, è così altisonante. Mi piace. -

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                                                                      New York, Columbus Ave, 10 April 2000

Jessica è stata dimessa dall’ospedale il giorno seguente al suo ricovero.
Solitamente, una diagnosi come la sua richiederebbe come minimo due settimane di convalescenza sotto stretto controllo medico, ma tutta l’equipe medica ha convenuto che, vista quella guarigione così miracolosa, sarebbe stata solo un’inutile tortura trattenere una paziente così giovane e così inspiegabilmente in ottima salute inutilmente rinchiusa in un ospedale.

 

Sono ormai più di quattro giorni che Jessica girovaga per quella grande villa dei Walkers nell’Upper West Side, uno dei più prestigiosi quartieri di New York. Ha perso il conto di quante stanze ci siano in quella casa e fatica a mantenere il senso dell’orientamento.
Tuttavia non è l’unico problema che sta avendo e di sicuro non il più grave.
Jessica ha capito che c’è qualcosa di strano in lei dal giorno in cui si è risvegliata in ospedale.
La prima avvisaglia l’ha avuta quando ha sradicato quella barra dal letto come se niente fosse.
Una volta raggiunta la sua nuova casa, mentre si spazzolava i capelli, ci ha messo un po’ troppa energia a districare un nodo e la spazzola si è spaccata a metà.
Il secondo giorno ha provato ad aprire un barattolo e anche questo è andato in mille pezzi.
E Jessica sa di non essere mai stata granché forzuta.
Il terzo giorno ha voluto verificare i suoi sospetti sollevando la scrivania della sua camera e riuscendoci fin troppo facilmente.
Ancora non le bastava come prova.
Il quarto giorno ha spostato l’asticella, provando a sollevare il letto a due piazze. Per lei è stato come sollevare una matita.
Trish è entrata in camera sua in quel momento e c’è stato ben poco da mascherare.
È quello di cui stanno ancora discutendo nel corso di quel quinto giorno.

“Ti ho già detto di dimenticarti di quello che hai visto, Trish, io cercherò di tenerlo a bada più che posso… magari è un effetto delle flebo che mi hanno fatto e tra qualche giorno sparirà…” sminuisce la situazione Jessica, alzando le spalle.
“Ma quale flebo? Tu hai un dono, è una cosa bellissima, dovresti mostrarlo al mondo, puoi salvare delle vite, puoi fare la differenza!” la incita Trish con ampi gesti delle braccia.
Ed è lì che Jessica si accorge del suo ennesimo livido.

 

“È stata ancora Dorothy, vero? Quando te l’ha fatto? Te lo mostro subito come salvo le persone, vado a spingerle un armadio addosso!” ringhia la mora, in procinto di uscire, ma la rossa - la madre la obbliga a continuare a indossare quella parrucca, nonostante lei sia bionda, per non farla uscire dal personaggio- la trattiene per un braccio.

“No, salva tutti, ma non me, io non ne ho bisogno, so come gestirla.” si impunta Trish.

Jessica la ascolta, ma al contempo si è accorta di un paio di scarpe marroncini coi calzini in fantasia tartan, dietro la tenda.
Come una furia si precipita in quella direzione, ma quando la scosta dietro non trova alcunché.

“Jess, tutto bene?” la interroga la sorella appena acquisita.
“Devo essermelo immaginato…” borbotta l’altra. “E comunque, questo è l’ultimo sopruso nei tuoi confronti che tollero da parte di tua madre, se ti mette ancora le mani addosso, giuro che io….” si interrompe a metà discorso notando qualcuno dalla finestra, qualcuno che la sta fissando dalla strada.
Qualcuno che la sta ossessionando da cinque giorni.

Jessica non pensa lucidamente, vuole arrivare in strada e il modo più veloce per farlo è aprire quella finestra e saltar giù.
Anche se è al secondo piano.

“Oh, mio dio, Jessicaaaa!” urla Trish, vedendola saltare, ma è quasi più sorpresa di Jessica stessa quando la vede atterrare perfettamente a terra, senza alcuna difficoltà.
Un’altra delle capacità che ha acquisito, probabilmente, mentre seguire l’istinto senza pensarci è qualcosa che ha insito fin dalla nascita.

Senza perdere tempo, Jessica si precipita su quella misteriosa figura che si è resa materiale e che non sembra aspettare altro.
Ecco, magari non si aspettava di venir preso di peso per il colletto del giaccone e sbattuto contro il muro adiacente.
“Chi cazzo sei tu? Perché mi perseguiti? C’entri qualcosa con gli strani poteri che ho, vero?” lo sommerge di domande la manesca ragazzina.
“Cerchiamo un attimo di calmarci, mia cara…” la esorta lui, ma con una mano lei lo spinge ancora di più contro il muro, mentre la mano libera si chiude a pugno.
“Eri lì anche il giorno dell’incidente… lo hai causato tu, vero, bastardo?” ringhia, pronta a colpirlo, ma con suo enorme stupore, il misterioso biondo di quasi mezza età blocca il suo colpo con estrema facilità, senza impiegare nemmeno tutta la sua forza, che è molta più di quella che ha lei.
“Come dicevo, cara, faresti meglio a calmarti e magari ne possiamo parlare davanti a una tazza di tè.” dice lui, liberandole la mano.
“Io odio il tè!” fa una smorfia l’altra, dimenticandosi per un attimo l’attuale, assurda situazione, prima di allentare la presa su di lui.
“Una cioccolata, allora? Ti ringrazio.” le sorride affabile. “Sarebbe stato estremamente sconveniente se mi avessi discorporato e temo che la cosa avrebbe messo nei guai entrambi, mia cara Jessica.” spiega, riaggiustandosi il colletto.
“Disco che? Come accidenti sai il mio nome? Ma tu chi diavolo sei?” si spazientisce Jessica.
“Ecco, cara, partiamo già male, sono quanto di più lontano ci possa essere da un diavolo: mi chiamo Aziraphale, angelo Principato da seimila anni, e poco prima anche guardiano dell’Eden a Est.” le si presenta, tendendole la mano, che lei rifiuta, incrociando le braccia al petto e guardandolo truce, lunatica come solo una teenager può essere.

“Basta con le puttanate! Dimmi la verità!” 

“Modera il linguaggio, Signorinella!” la guarda con aria severa Aziraphale.

Approfittando del fatto che non ci sia nessuno nei paraggi - nemmeno Trish dalla finestra da quella angolazione non può vederli - Aziraphale schiocca le dita, facendo scaturire dalla mano una luce azzurra, accompagnata da un tintinnio celestiale.
Qualcosa di inequivocabile e infatti Jessica lo fissa esterrefatta

“Allora, sono puttanate anche queste?” la sfida con lo sguardo Aziraphale,facendo sparire la luce tintinnante.  “Oohh, accidenti, guarda che cosa mi fai dire!” alza gli occhi, facendola ridere.

“Jessica cara, non sto mentendo, sono un angelo e ti ho scelto come aiutante..” ribadisce l’angelo.

“E cosa ti aspetti che faccia? Che mi metta una tunica bianca e scocchi frecce alla gente per farla innamorare, magari mentre suono una cetra?” ribatte scettica la ragazzina.

“C’è molta disinformazione a riguardo.” scuote la testa il biondo. “I cupidi fanno innamorare, io come ho già detto sono un Principato. E comunque non capisco cosa tu abbia contro le tuniche bianche, sono così leggere e comode. Non ho mai suonato una cetra, ma mi hanno detto che sono discretamente bravo con il flauto traverso… ma vedo che sto tergiversando.” dice, accorgendosi di come lei lo stia guardando.
 

“Quello che ti chiedo è proteggere le persone. Per questo ti ho dato quei poteri: la super forza, una maggior resistenza al dolore e una sbalorditiva capacità di ripresa. Inoltre non solo puoi saltare da grandi altezze, ma puoi anche salirci. Prova un po’ a saltare, quando hai tempo, vedrai se non ho ragione!” le sorride.
“Sì, okay, mi avrai anche dato tutti questi poteri fichissimi, sei un angelo e tutto quanto, ma perché io?” si acciglia lei.
“Ce l’hai insita in te la voglia di proteggere, la sento… così come senti il bisogno e il dovere di proteggere tua sorella Trish, beh immagina che il mondo sia pieno di Trish… ogni volta che salvi una persona, è come se salvassi lei.” le spiega.

“Un momento.. e tu che ne sai di Trish? Allora avevo ragione! Prima eri lì, dannatissimo stalker!” sbotta Jessica.

“Stalker, in un certo senso , può darsi, ma di certo non dannato.” puntualizza il biondo. “Sì, ammetto che ti stavo osservando… quello che non capisco è che facendolo restando invisibile tu non dovresti vedermi, eppure hai questa capacità… non mi era mai successo, con nessun umano… e c’ero quando è stato creato Adamo!” le fa l’occhiolino. “Io credo che questo sia un segno, come se in qualche modo fossi predestinata a me, come se fossi nata per fare questo.”

“Sì sento di poterlo e volerlo fare, anche Trish dice che dovrei esternare i miei poteri e fare del bene.”
“Oh, e tanto bene farai, piccola cara, magari non da subito, sei ancora così giovane, approfittane per prenderci un po’ confidenza per almeno due anni e magari quando sarai un po’ più grande comincerai a metterli seriamente in atto.”

Jessica non lo sta ascoltando più, racchiusa in un profondo silenzio di concentrazione.

“Ma se tu sei un angelo, allora, la mia famiglia, tu puoi…” azzarda, ma lui la anticipa.
“No, piccola cara, non sai quanto mi rincresce, ma non posso fare nulla a riguardo. Quando sono arrivato sulla scena dell’incidente, era troppo tardi per tutti gli altri, potevo solo salvare te.” le spiega mesto e rammaricato.

- Sei stata tu a chiedermelo. -

Quello che non può aspettarsi è che la teenager gli si butti fra e braccia in lacrime, per farsi consolare e lui lo fa, con fare paterno.
Del resto, data l’età umana che dimostra potrebbe essere benissimo scambiato per suo padre.

“Grazie, ora va meglio.” reprime l’ultimo singhiozzo la mora, prima di tornare a fare altre valutazioni.

“Potrei fare la detective, aiutare a ritrovare la gente scomparsa, proteggere qualche innocente da chi vuol far loro del male… potrei avere una mia agenzia!” fantastica ad occhi aperti la ragazza.
“Non è una cattiva idea, sono certo che avrai tempo per tutto. Nel frattempo puoi concentrarti sulle piccole buone azioni, quelle di ogni giorno, ma se dovesse capitare qualcosa di grosso sarai attrezzata e poi puoi sempre chiamarmi e verrò in tuo soccorso.” le sorride, svanendo.

“Aspetta, Razzi-fiele!” urla Jessica.

L’angelo ricompare all’istante.
“Vedi che sono di parola? Comunque, mia cara, è Azi-ra-phale.” scandisce, molto pazientemente.
“Facciamo Zira?” propone la teenager.
“E Zira sia!” acconsente il biondo.
“Perché tutta quella fretta di sparire? Quella cioccolata non ce la prendiamo più?” gli sorride lei.

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                                                                          London, Mayfair, Hill Street, 10 April 2000

Finita la sua cena, che per lo più ha consistito in tre o quattro bicchieri di vino rosso, Crowley si decide a fare quella chiamata.
Per il suo destinatario è ancora pomeriggio.

“Caro!” lo accoglie la melodiosa voce di Aziraphale, che smette subito di leggere il libro che ha sul grembo.
“Novità? Come sta la tua protetta?”
“Oh, ottimamente, ti avrei chiamato io, sai? Proprio stamattina sono riuscito ad avvicinarla, ora sa chi sono e perché è successo quello che è successo… ha un caratterino coi fiocchi, non c’è che dire, e anche un linguaggio che poco si confà a una Signorina,  ma io saprò domarla.” ridacchia il biondo.

- Smettila, Crowley, non puoi essere geloso di una teenager! - si impone il demone, trovando utile versarsi un altro bicchiere.

“E tu, notizie del tuo?” si interessa Aziraphale.

“Oh sì, ti dirò, mi hanno appena mandato i tabulati delle cattive azioni, a quanto pare per la mia corsa ai peccati ho scelto un Purosangue!” sogghigna Crowley, guardando i fogli che ha in grembo mentre si dondola con la sedia, i piedi appoggiati sul tavolo in marmo.

Sente una voce che lo chiama, ma non ne è sicurissimo, anche perché al quinto bicchiere di vino a stomaco vuoto di voci gli capita di sentirne anche più di una.

“Oh beh, io temo che la mia puledra dovrà stare ancora per un po’ in stalla, prima di poter correre col tuo stallone… oh, buon cielo, guarda cosa mi fai dire!” borbotta Aziraphale, facendolo ridere. “Voglio dire, avendo scelto una ragazza così giovane mi sono preso dei rischi in più, servirà un po’ di rodaggio, almeno all’inizio… consideralo un piccolo vantaggio che ti concedo.” minimizza l’angelo.

“Alla velocità a cui va il mio protetto potrebbe essere un grande vantaggio!” sogghigna il bel demone, prima di tendere l’orecchio.

Ancora quella voce così familiare che invoca il suo nome.

Se non fosse per il vino che gli offusca il cervello Crowley se lo ricorderebbe benissimo di aver dato delle precise istruzioni a un certo qualcuno qualche giorno prima.

“Addirittura?” si preoccupa il biondo. “Non puoi… come dire, rallentarlo un po’?”
“Oh no, davvero, ormai credo ci abbia preso troppo gusto!” ridacchia il rosso, prima di sentire con chiarezza quel richiamo nella sua testa.

- Oh, per Satana, devo andare subito da Kevin!- si impone, svanendo con uno schiocco di dita.

“Lo immaginavo. Non importa, a breve la mia protetta potrà dargli filo da torcere.  Sai, caro, pensavo che, visto che ora lei è al corrente di tutto, posso prendermi qualche giorno per tornare a Londra, potremo vederci, magari cenare o pranzare insieme, che dici?” propone Aziraphale, raccogliendo il coraggio necessario.

Silenzio dall’altra parte.

“Crowley? Pronto?”

Aziraphale fa un ultimo tentativo, poi riattacca sconsolato.

- Deve essersi addormentato. Ci riproverò… forse. -

*********** (Contemporaneamente)

                                           London, Goldsmiths University, Surrey House, 10 April 2000

Alla fine di una proficua giornata di studio, in un momento di relax nel suo alloggio del residence universitario, Kevin prova a mettere alla prova quanto suggerito dal demone.

“Crowley!” lo chiama, ma non accade nulla.

“Crowleeey!” riprova dopo un po’, alzando la voce.

 

Mentre attende senza successo, gli squilla il telefono.

In un primo momento pensa che sia Crowley che in qualche modo cerca di mettersi in contatto con lui, ma guardando il display si accorge che il mittente è decisamente un altro: suo padre.

“Sì?” risponde con distacco.
“Keviin, è successa una tragedia… stamattina, quando ci siamo alzati… il nostro laboratorio non c’era più, solo ceneri e macerie al suo posto… non s è salvato nulla. Il lavoro di una vita andato in fumo, letteralmente” racconta disperato Albert.

- Oh, ma non mi dire! - sogghigna Killgrave.

“Ma è terribile!” si ritrova a dire, con tono apprensivo, mentre si chiede se quella telefonata possa portare ad altro.

- Magari sta per dirmi che si sono resi conto di aver sprecato i migliori anni, forse vogliono recuperare i rapporti, magari questa è una mano tesa… -

“Ho chiamato solo per dirti che, vista la situazione, capirai meglio di me che non possiamo più provvedere a te.” chiarisce freddamente il padre, distruggendogli così anche l’ultimo barlume di speranza di poter sanare quella ferita.

“Sbrigatela da solo d’ora in poi con le rette universitarie, l’affitto… trovati un lavoro, rapina una banca, non mi importa, ma con noi hai chiuso.” riattacca l’uomo.

Kevin in un primo momento sente di voler piangere e non certo per la questione dei soldi, ma poi cambia drasticamente idea.

- Oh, non preoccuparti, non ho mai avuto bisogno di voi, ora men che meno. Ora posso avere tutto. - sorride a se stesso.

“Crowley!!” riprova nuovamente e stavolta funziona perché il demone si materializza da lui all’istante.

 

“Sul serio è così facile?” gli domanda lo studente.
“Mi sembra di avertelo detto, no? Tutto quello che dovevi fare era chiamarmi.” ribadisce il demone. “Ci ho solo messo un po’ perché ero al telefono.”
“Ah, buono a sapersi! Quindi se io ti chiamassi perché sono in pericolo di vita, tu te la prenderesti comoda!” borbotta offeso Kevin.
“Oh, andiamo, non sei in nessunissimo pericolo di vita!” ottiene l’ultima parola il demone, con un gesto infastidito della mano.

 

 

“E comunque pensavo che invocarti fosse molto più complesso!”

“Ah sì? Eppure te l’ho detto che bastava chiamarmi. Complesso come?” ridacchia il rosso.

“Non lo so.. tu che mi regalavi una sorta di talismano o mini scrigno da aprire quando avevo bisogno di evocarti.. oppure mi insegnavi un rito satanico col pentacolo e qualche candela da oscillare ..” mugugna il castano.

Crowley ride più forte.

 

“Oscilla una bottiglia di vino rosso e sarò lì da te all'istante, senza nemmeno bisogno che mi chiami.. Una bottiglia di Chateau Latour e sono praticamente tuo… hai capito in che senso.” puntualizza, ridacchiando.

 

Kevin  lo scruta meglio.

“Crowley… sei ubriaco?” inarca un sopracciglio, inclinando la testa da un lato.

“Non al punto di dovermi rendere sobrio.” ribatte il demone, ciondolando un po’. “E comunque, anche se non mi avessi invocato tu, sarei passato io da te, mi sono arrivati i risultati delle tue azioni di ieri, i miei complimenti, sembri proprio nato per fare questo: hai fatto appiccare un incendio… questo avrà mandato su di giri anche Hastur!”

Kevin non ha ben chiara l’ultima parte del discorso, ma preferisce ignorarla..

“Indovina? Mi sono trovato un alter ego: Killgrave.” lo informa fiero il giovane.
“Non so perché, ma ti si addice.” gli sorride Crowley. “Allora, Killgrave, me lo racconti nel dettaglio che cos’hai combinato ieri?”

 

 

TBC

Sorry per quel microscopico riferimento a Georgia e David, ma non ho resistito ^^’ due nomi a caso proprio XD

Io non sopporto i genitori di Kevin nella serie, ma questi mi sa che sono anche peggio.
Spero che il suo confronto con loro vi abbia emozionato almeno un po’, non è stato affatto facile da scrivere.

Per chi non conoscesse bene Killgrave, sappiate che far sorridere le sue vittime è un po’ il suo marchio di fabbrica.

 

Azi che cerca di redarguire quella scaricatrice di porto che è Jessica lo trovo molto canon, lol, spero vi siano piaciute le loro interazioni.
Quando dopo alcune ricerche fatte da qualcuno che ha guardato GO è emerso che Aziraphale è dotato di una forza spropositata, ho fatto i salti di gioia per quanto la cosa si sposasse bene con questa fanfic.

Ora, domandona da mille dollari (che non ho): nel prossimo capitolo vorreste vedere un altro incontro degli Ineffabili e Jess e Kev che sperimentano ancora un po’ coi loro poteri (non so se si diverte più Kevin o la sottoscritta nel fargli usare il suo <3 ) oppure faccio il salto temporale di sei anni e passiamo al fatidico primo incontro fra i due protetti? ;)

A voi la scelta, nel frattempo spero continui a piacervi ^^

Il prossimo aggiornamento sarà quello dell’altro crossover, poi tornando in zona JJ potrei andare avanti con la rossa (mini spoiler, ci sarebbe un confronto con il padre di Kevin anche lì… sono un po’ fissata, vero?)  o potrei riprendere quei personaggini della verde che mi stra mancano ^^’

a presto, abbracci a un metro di distanza! ^^’
   
 
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