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Autore: heliodor    26/03/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il Divoratore

 
La torre svettava sopra ogni altro edificio di Nazdur. Prima che la cupola del circolo crollasse, era stato il secondo punto più alto della città, favorita dal fatto di sorgere su una piccola collina.
Dopo la distruzione del circolo era diventato l’edificio più alto.
Lei e Joane si erano allenate per giorni attorno a quel posto. A volte Bardhian si era unito a loro. Per scambiare un paio di colpi, diceva lui. Per studiare da vicino sua madre, pensava Joyce.
Tra i due è nato un legame? Si era chiesta più volte, sperando che Joane provasse un po’ d’affetto per il suo unico figlio.
Forse non c’era più spazio per un simile sentimento in lei, ma a Joyce sarebbe bastato anche solo mettere in dubbio l’assoluta convinzione della donna che Bardhian fosse un’arma pericolosa che sarebbe stato meglio eliminare.
E sembrava esserci riuscita.
Giunta ai piedi della torre, si librò fino alla cima.
Bardhian era lì, al centro della pedana di pietra che formava un leggero rialzo che permetteva di guardare oltre la merlatura.
Ciò che vide oltre di essa la lasciò senza fiato. Il colosso stava schiacciando i palazzi di Nazdur lasciandosi dietro una scia di edifici crollati e macerie avvolte da una densa nube che si levava verso l’alto.
Sembrava che non avesse alcuna fretta di completare l’opera, né sembrava intenzionato a ritirarsi prima di averla conclusa.
Bardhian osservava con sguardo fisso la scena, come se stesse studiando i movimenti del nemico per prepararsi a colpirlo.
Joyce atterrò al suo fianco.
“Non dovevi venire” disse il principe. Le sorrise. “Ma sono felice di vederti. Joane?”
“Ha detto che avrebbe cercato di rallentare il colosso.”
“Allora sarà meglio sbrigarsi. Non credo sarà facile rallentare quel mostro.”
“È diverso da quelli che hanno attaccato Malinor.”
“Ha importanza?”
Joyce si strinse nelle spalle. “Non lo so.”
“Ci sono molte cose che non sappiamo su di loro, ma oggi ne impareremo qualcuna. Per esempio, quanto è dura la loro pelle.”
Attorno a Bardhian apparve un cerchio di energia cangiante. Scintille brillavano mentre l’aria si agitava attorno alla sua figura, come se un piccolo vortice lo avesse avvolto.
Joyce avvertì la forza che emanava anche da quella distanza. Era come se la spingesse via e attirasse allo stesso tempo. Si chiese che cosa sarebbe accaduto se avesse cercato di superare quella barriera invisibile.
Niente di salutare, si disse.
Il colosso abbatté il palazzo del governo con una sola mano e poi lo calpestò con i piedi. Sperò che chiunque fosse rimasto all’interno se ne fosse andato in tempo.
L’anello di luce attorno a Bardhian si allargò e divenne più intenso, più forte. Joyce sentì la pressione dell’aria che veniva spinta verso di lei.
Non era spiacevole, ma nemmeno si sentiva sicura a stare lì vicino.
“È meglio se ti allontani” disse la voce ovattata di Bardhian dall’interno del piccolo vortice che lo avvolgeva. “Non so se riesco a controllarlo senza ferirti.”
“Resterò qui vicino” disse Joyce librandosi sopra la torre.
Il vortice crebbe d’intensità fino a inglobare l’intera parte superiore della torre. Era come se una fiamma di luce azzurra fosse stata accesa sulla sommità e brillasse con la forza di mille fuochi.
Joyce dovette distogliere lo sguardo per non rimanere abbagliata. E quando lo fece, vide il colosso guardare dalla loro parte.
Il suo sguardo era vuoto e privo di espressione, ma al tempo stesso Joyce percepiva la curiosità del mostro. E forse la sua rabbia.
Non ci fu un cambiamento visibile, ma il colosso fece un passo verso la torre. E poi un altro e un altro ancora. Ogni volta travolgeva e spazzava via un edificio o distruggeva una strada o una piazza.
Non c’era niente che riuscisse a fermarlo, niente che potesse anche solo rallentarlo. Se Joane avesse potuto fare qualcosa, avrebbe dovuto agire adesso.
Il colosso marciò deciso verso la torre e Joyce guardò in basso, dove ora la fiamma color azzurro aveva aumentato la sua intensità fino a essere abbagliante quanto il sole.
Dovette di nuovo voltarsi per non farsi accecare e non poté vedere il raggio di pura energia che guizzava dalla fiamma e si dirigeva verso il colosso.
Il mostro sembrò attendere quell’attacco perché non si mosse né rallentò la sua corsa. Il raggio magico di Bardhian lo colpì in pieno petto ed esplose in mille cerchi di energia radiante che avvolsero il colosso e lo spinsero indietro.
Per qualche istante, il mostro e la forza che l’aveva avvolto lottarono avvinghiati, senza che nessuno dei due prevalesse.
Poi fu il colosso a cedere e inginocchiarsi, come se quella forza avesse costretto il suo corpo a piegarsi.
Joyce voleva esultare, ma qualcosa le diceva che non era finita.
Sulla torre la fiamma azzurra ardeva con meno vigore di prima e sembrava si stesse pian piano esaurendo, come la torcia che si spegne ormai consumata dal fuoco.
E poi, all’improvviso, un ultimo e violento guizzo, un vortice di energia che si sprigionò all’improvviso, come se Bardhian avesse atteso quell’attimo per sferrare il suo ultimo attacco.
Il vortice avvolse il colosso e lo scagliò all’indietro, facendolo crollare come una montagna in mezzo a ciò che restava di Nazdur, una nube di detriti che si posava su di esso.
Joyce atterrò a qualche passo di distanza da Bardhian. Il principe era in ginocchio e si reggeva sulle braccia.
Il vortice azzurro si stava disperdendo nell’aria, come se fosse fatto di fumo. Ogni tanto una scintilla luccicava attorno alla torre e subito si spegneva.
Joyce lo raggiunse a l’aiutò a sollevarsi.
“L’ho colpito?” chiese con voce affaticata.
“Sì” disse Joyce trattenendo a stento l’emozione. “Ce l’hai fatta.” Guardò in direzione della nuvola di detriti che stava cominciando a depositarsi. “È morto.”
“Non è stato difficile” disse Bardhian.
Joyce stava per ridere, quando sentì la terra tremare. Alzò la testa e vide un’enorme figura emergere dalla nube di polvere.
Il colosso aveva una lunga ferita sul petto e gli mancava una parte della spalla sinistra, ma era di nuovo in piedi.
“Un altro colpo” disse Bardhian.
“No” fece Joyce. “Ti sei già spinto troppo oltre.”
“Solo uno o sarà stato tutto inutile.”
“Morirai.”
“Moriremo comunque se non lo distruggo.”
Bardhian la respinse e tentò di reggersi in piedi da solo, ma crollò sulle ginocchia.
Il colosso uscì dalla nube di detriti e si diresse verso di loro con rinnovata foga, travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
 Joyce afferrò Bardhian per le ascelle e aiutandosi con la forza straordinaria lo issò sulle spalle. “Andiamo via” gridò mentre il colosso copriva la distanza che lo separava dalla torre con un paio di balzi.
Da quando è diventato così veloce? Pensò Joyce mentre si lanciava verso la parte opposta evocando la formula della levitazione.
Dietro di lei sentì la torre venire colpita dalla mano del colosso e poi esplodere in mille pezzi. Pietre grandi quanto lei le passarono accanto sfiorandola mentre precipitava con lentezza dalla torre.
L’edificio si sbriciolò sotto i colpi del colosso frantumandosi e disperdendo detriti in ogni direzione.
Joyce evocò lo scudo magico per deviare quei proiettili ma non poté evitare di essere investita dalla nuvola di detriti.
Per una manciata di secondi si ritrovò a cadere alla cieca mentre attorno a lei il mondo implodeva in un rombo assordante.
Un attimo dopo toccò terra e rotolò via a causa della velocità che non aveva potuto calcolare con precisione.
Afferrò Bardhian con entrambe le mani e tentò di capire dove si trovassero, ma attorno a lei vedeva solo polvere. Non aveva idea di dove fosse il colosso e se li stesse ancora cercando.
Forse se resto immobile ci lascerà stare, si disse.
Una mano gigantesca emerse dalla nuvola di polvere e si abbatté su di un edificio a un centinaio di passi di distanza, facendolo collassare. Poi una seconda mano colpì un palazzo dalla parte opposta.
Ci cerca a tentoni, pensò Joyce in preda al panico.
Prese Bardhian per le spalle e lo trascinò via scegliendo una direzione a caso. Dietro di lei udì altri schianti ma non osò voltarsi. Sapeva che se lo avesse fatto, se avesse ceduto, sarebbe rimasta paralizzata dalla paura.
Era lo stesso terrore provato a Malinor, quando la calca l’aveva quasi soffocata e uccisa o quando i colossi avevano distrutto la città. Ed era la stessa, anche se di natura diversa, che aveva provato nel santuario di Urazma quando i ragni l’avevano intrappolata nel bozzolo.
Non voleva morire.
Non lì.
Non prima di aver rivisto almeno una volta i suoi genitori, Bryce, Vyncent, Oren e tutti gli altri.
Ma se non correva abbastanza veloce o se si fosse fermata a pensare, la paura l’avrebbe paralizzata e il colosso le sarebbe stato addosso.
Afferrò Bardhian ancora più forte e lo trascinò per la strada. Il principe sembrava svenuto. Doveva aver perso tutte le forze a causa di quell’attacco.
Ecco che cosa accade a spingersi oltre, si disse. Bryce ed Eryen devono sapere che cosa accade, così quando toccherà a loro saranno pronte.
La terra tremò quando il colosso strappò un edificio con le mani e lo scagliò sopra le case di Nazdur, distruggendole.
Di questo passo farà a pezzi la città, pensò Joyce.
Fu tentata di volare, ma aveva paura di farsi vedere dal mostro. La nube di detriti che aveva sollevato il crollo della torre la nascondeva alla sua vista e per ora doveva approfittarne per allontanarsi.
A fatica trascinò il principe fino a una piazza di forma circolare dove una dozzina di mantelli e soldati di Nazdur si erano radunati.
Non era sicura di avere mai visto uno di loro, ma a quel punto non le importava. Furono loro a riconoscere lei e Bardhian.
“È ferito?” le chiese uno dei soldati.
“Non lo so” rispose Joyce felice di poter rifiatare qualche istante. Anche con la forza straordinaria era difficile trasportare un peso per tutto quel tempo.
“Se neanche lui può fare nulla contro il colosso, siamo perduti” disse uno degli stregoni.
Un paio annuirono.
Il più anziano marciò verso la strada da cui era venuta Joyce. “Con me.”
“Da quella parte c’è solo la morte” si lamentò uno dei soldati.
“Moriremo lo stesso, o qui tremanti o lì combattendo” disse lo stregone indicando il colosso che si ergeva sopra i palazzi.
Anche da quella distanza era imponente.
Un paio di soldati lasciarono lance e scudi e corsero via, seguiti dal giovane stregone che si era lamentato.
Gli altri rimasero nella piazza.
Lo stregone anziano evocò i dardi e corse in direzione del colosso.
Joyce avrebbe voluto dirgli di andare via, ma non riuscì a parlare. Dall’alto calò un ruggito sommesso che fece vibrare le mura dei palazzi e le pietre che formavano la strada.
Il colosso si era chinato in avanti e aveva spalancato la bocca emettendo un soffio che stava spazzando via i palazzi sbriciolandoli.
Joyce si coprì le orecchie e un attimo dopo il vento la investì come una tempesta, portandosi dietro detriti e macerie.
Evocò lo scudo per proteggere sé stessa e Bardhian. Gli stregoni fecero lo stesso ma i soldati, che non erano protetti, vennero investiti da quella pioggia.
Un paio si protessero con gli scudi. Un uomo venne sollevato e spazzato via. Lo vide sbattere un paio di volte contro le mura dei palazzi. Un secondo soldato venne sollevato per aria e poi si schiantò sulla strada e rimase immobile.
Gli altri si aggrapparono a quello che non poteva essere divelto per resistere alla furia del vento. Quando pensava che non avrebbe resistito oltre, il vento cessò all’improvviso e ci fu un attimo di calma.
Joyce pensò con sollievo che fosse finita. Stava per rimettersi in marcia, quando dalla direzione opposta iniziò a spirare il vento.
Fu così forte e improvviso che le fece perdere l’equilibrio e la spinse a terra con violenza. Lei e Bardhian vennero trascinati via avvinghiati l’uno all’altra.
La stessa sorte toccò ai soldati e agli stregoni.
Girandosi di scatto, vide il colosso spalancare le fauci e risucchiare l’aria nella enorme bocca piena da file e file di denti appuntiti.
Quando qualcosa entrava nella bocca la chiudeva per un istante e la masticava per poi riaprirla.
Un soldato venne trascinato via urlando e volò verso la bocca del colosso. Joyce lo vide sollevarsi e roteare nell’aria come una girandola e poi finire tra le fauci del mostro, dove scomparve.
A quella vista moltiplicò gli sforzi per resistere. Afferrò Bardhian con una mano mentre con l’altra cercava un appiglio qualsiasi dove ancorarsi.
Trovò una pietra che sporgeva dalla strada e l’artigliò con tutte le sue forze. Attorno a lei volava di tutto trascinato dalla forza che li stava risucchiando verso il colosso. Uno stregone la sforò sbattendole contro il fianco e quasi perse la presa sulla pietra, ma strinse i denti e resistette.
Con la coda dell’occhio vide lo stregone volare verso le fauci del colosso e sparire al loro interno dopo aver sfiorato i denti.
Il colosso spalancò la bocca in maniera innaturale, come se potesse disarticolare la mascella.
Che sciocchezza, pensò Joyce. Forse nemmeno ce l’ha una mascella.
Era un pensiero sciocco ma era l’unica difesa che la sua mente aveva trovato a tutto quell’orrore e lei vi si aggrappò con tutte le sue forze come si era aggrappata alla pietra.
La forza del vento aumentò e lei sentì le dita scivolare sulla pietra.
Se usassi l’altra mano potrei aggrapparmi meglio, pensò, ma dovrei lasciare andare Bardhian.
Guardò il principe ancora svenuto e inerme davanti a tutto quello che stava succedendo.
Nemmeno si renderà conto di quello che gli accade, si disse. Ma lo saprò io.
Qualcosa di duro e pesante, forse una roccia diventa dal vento, la colpì alla spalla e perse la presa sulla pietra.
Lei e Bardhian, ancora legati, volarono via.
Joyce annaspò nel vuoto cercando un appiglio che non poteva esistere. Vide Bardhian volare via sospinto da una forza irresistibile come una foglia caduta. Cercò di afferrarlo ma riuscì solo a sfiorarlo.
Ruotando su sé stessa vide la bocca spalancata del colosso avvicinarsi. Da quella distanza i denti sembravano spade affilate di un candore innaturale pronte a dilaniare la carne e le ossa di chi fosse capitato loro a tiro.
Bastò quel pensiero a scuoterla dal torpore e a farla dimenare con più foga. Il buio calò sulla sua mente e lei dimenticò qualsiasi formula avesse imparato, anche quella più semplice.
Non c’era più spazio nella sua mente che per quell’immenso pozzo che si stava aprendo sotto i suoi piedi e che tra poco l’avrebbe ingioiata.
Il pozzo esplose con violenza, espandendosi in una sfera infuocata che la investì in pieno. Fece appena in tempo a coprirsi il viso con le braccia prima di venire circondata dal fuoco.
Senza scudo magico sentì il calore intenso morderle la pelle. Gridò e continuò a farlo anche quando la nuvola di fuoco si dissolse e lei vide solo il vuoto sotto i suoi piedi mentre precipitava e precipitava.
Una mano le afferrò la spalla e le gemette per la stretta dolorosa che avvertì. Alzò la testa e incontrò lo sguardo di Joane. Nell’altra mano reggeva Bardhian.
“Prendilo tu” disse lanciandolo verso l’alto.
“Aspetta” gridò Joyce.
“Vola, dannazione” la esortò Joane.
Joyce ricordò la formula della levitazione e usò la spinta di Joane per volare verso Bardhian. Lo afferrò al volo e proseguì verso il tetto di un palazzo.
Dietro di lei Joane lanciò una sfera infuocata contro il colosso, costringendolo a piegarsi sulle ginocchia.
Quanto sono forti quei colpi? Si chiese con una punta d’invidia.
Joane sembrava non fare alcuna fatica nello scagliare quegli incantesimi, ma le forze da cui poteva attingere non erano infinite.
Joyce atterrò sul palazzo e crollò in ginocchio lasciando andare Bardhian.
Joane planò dietro di lei. “Devi portarlo via subito.”
Joyce dominò a stento il tremore che avvertiva in tutto il corpo. Le parole di Joane le giungevano ovattate, come se la donna fosse distante e non lì a due passi da lei.
“Mi senti strega rossa? Devi andare via ora. Non è sicuro qui.”
Joyce sentì le lacrime travolgerla. “Mangiava le persone” disse piagnucolando. “Mangiava le persone.”
Joane tacque e la fissò in silenzio.
Per quanto si sforzasse non riusciva a smettere di tremare e piangere. “Li ha mangiati” disse con voce roca. “Li ha mangiati.”
Joane l’afferrò per le spalle e per un attimo temette che volesse scuoterla o scaraventarla giù dal palazzo.
Invece la strinse al petto. Joyce affondò il viso nella spalla di lei e pianse. “Ho paura” disse, come se non sapesse dire altro.
Joane le accarezzò la nuca e le spalle. “Andrà tutto bene” sussurrò. “È normale avere paura.”
Joyce le artigliò le braccia e strinse, incurante che le facesse male o meno.
Joane non si lamentò limitandosi a cullarla tra le sue braccia.
“Adesso sei al sicuro” disse. “Sei stata brava. Devi solo fare un altro sforzo e poi sarà tutto finito. Nessuno ti farà del male.”
Joyce respirò a fondo e sollevò la testa. “Dobbiamo scappare. Devi venire con noi.”
Lei scosse la testa. “Io resto qui. Voglio vedere quanto è resistente questo colosso. Diciamo che è una sfida personale.”
“Morirai.”
“Sapevo che un giorno sarebbe accaduto. Preferisco che sia così, piuttosto che per un motivo sciocco.” Sorrise. “E pensare che ero venuta qui per distruggere questa città e uccidere mio figlio e ora sto difendendo entrambi. Fai questo effetto su tutti quelli che conosci, strega rossa?”
Joyce tirò su col naso come una bambina. “Solo su quelli a cui voglio bene.”
“Riserva il tuo affetto a persone migliori di me, Sibyl. E fai in modo che se lo meritino. Tu hai un grosso potere, non dimenticarlo.”
“Potere?”
Joane annuì. “Cambiare le persone. È un potere raro e pericoloso, nelle mani sbagliate. Siete in pochi a possederlo, non usarlo male.”
Joyce guardò Bardhian che era disteso a terra e si lamentava. “Non sta bene.”
“Starà così per qualche giorno, ma poi si riprenderà. Forse. Se non è andato troppo oltre.”
“Credevo potesse battere il colosso.”
L’espressione di Joane si incupì. “Ora sa qual è il suo limite. La prossima volta dovrà andare oltre se vuole vincere.” Sciolse l’abbraccio. “In piedi, strega rossa. Sibyl.”
Joyce si raddrizzò e annullò la trasfigurazione. “Questo è il mio vero aspetto” disse. “E il mio nome è Joyce. Vengo da Valonde.”
Joane ghignò. “Sei ancora più ragazzina di quanto pensassi. Quanti anni hai?”
“Ormai dovrei averne diciassette” rispose con tono spavaldo.
“Ne avevo uno più di te quando affrontai Vulkath per la prima volta. Ora vai via, Joyce di Valonde. Sul serio.”
Joyce tornò a essere Sibyl e prese Bardhian. Il principe si lamentò e scosse la testa. Per un attimo temette che si fosse svegliato e l’avesse riconosciuta mentre parlava con la madre.
“L’ho ucciso?”
“La prossima volta” disse Joyce afferrandolo con entrambe le mani.
L’edifico tremò sotto i loro piedi. Il colosso si stava rimettendo in piedi.
Le fiamme avvolsero le braccia di Joane. “Andate ora.”
Joyce si gettò dal tetto e pensò alla formula della levitazione, dandosi uno slancio deciso. Volò senza voltarsi. Nemmeno quando sentì il calore di una sfera infuocata accendersi e il bagliore illuminare il cielo si fermò.
La piazza davanti al circolo distrutto era vuota. Si chiese se la battaglia si stesse svolgendo altrove, ma non le importava. Quello che voleva era portare Bardhian nei sotterranei, dove Halux doveva aver già preparato il portale che lo avrebbe condotto a nord.
O almeno lo sperava.
In quelle ore passate in giro per la città poteva essere accaduto di tutto. Scese nei sotterranei col cuore che le martellava sostenendo Bardhian che ora riusciva a reggersi in piedi.
“Mia madre? Joane?”
“Ci raggiungerà dopo.”
Il principe balbettò parole incomprensibili.
Joyce faticò a orientarsi nei meandri del sotterraneo, ma alla fine trovò il corridoio giusto e raggiunse la sala che Halux aveva usato fino a poco prima di trasferirsi nell’accademia.
Percorse gli ultimi passi respirando a fatica e quando varcò la soglia della sala era esausta.
Al suo interno c’erano quattro figure, di cui una sdraiata sulla schiena. Riconobbe subito quelle in piedi.
Halux sembrava assorto o concentrato.
Razt, il valletto che l’aveva servita come spia era rannicchiato in un angolo e si dondolava nervoso, le braccia attorno alle ginocchia.
L’ultima figura era quella di Kallia e guardava con espressione assente il corpo disteso a terra. Quando si accorse della sua presenza alzò la testa di scatto.
“Sei ancora viva” disse con tono sorpreso. Gettò un’occhiata a Bardhian. “Ce l’avete fatta? È stato distrutto?”
“Non stavolta” disse Joyce. “Ma ce la farà la prossima. Ora sa come deve fare. Gera.”
Halux aprì gli occhi, l’espressione sofferente sul volto gli fece fare una smorfia.
“Prepara i portali. Bardhian deve andare via adesso.”
Halux strinse i denti. “C’è un problema.”
Joyce ne aveva abbastanza di cattive notizie per quel giorno, ma non poté far altro che aspettare che l’erudito proseguisse.
“Ti avevo detto che qui sotto era più difficile” disse Halux. “Devo consumare molte più forze per aprire e tenere stabile il portale.”
“Vuoi dire che sarai meno preciso? Che non ci porterai esattamente dove vogliamo?”
Scosse la testa. “Posso aprirne solo due. A malapena.”
“Solo due” disse Joyce. “Ma dobbiamo usarlo in tre.”
“Uno di noi dovrà restare qui.”
Joyce respirò a fondo. “Apri il portale per Bardhian.”
Halux annuì e puntò le braccia verso un punto al centro della sala. Un brivido sembrò scuotere l’aria mentre appariva un cerchio di luce cangiante che andava dal viola intenso all’azzurro chiaro. Il portale era attraversato da linee di forza che apparivano e sparivano nel nulla.
Joyce portò Bardhian al centro del portale. “E se lo usassimo in due?”
Halux scosse la testa. “Sarebbe molto spiacevole, strega rossa. Credimi.”
Joyce lasciò la presa su Bardhian e si allontanò.
Il principe venne avvolto dall’energia sprigionata dal portale come da un bozzolo e poi si dissolse nell’aria in una cascata di scintille.
Halux si piegò in due e respirò a fatica.
“Ti senti bene?” gli chiese Joyce.
“Devo solo riposare un po’ prima di evocare il prossimo portale.”
Joyce lo lasciò solo e andò da Kallia. Solo allora gettò una rapida occhiata al corpo disteso a terra. Era quello di Ames. Sul petto aveva i segni dei dardi, ma c’era ancora della vita in lui. Emise un debole lamento e scosse la testa.
“Non è pericoloso portarlo qui?”
“Il pericolo è ovunque” disse Kallia con tono cupo. “Qui o fuori, non importa.”
“La maledizione può essere curata?”
“Come tutte le maledizioni. Se uccidessi chi lo ha maledetto, lo potrei salvare.” Guardò l’entrata della sala. “Sono rimasta solo per farti un favore. L’ultimo. Appena sarai andata via, andrò a cercare quella persona.”
“Io non andrò” disse Joyce. “Sarà Gera ad andare.”
Halux sollevò la testa di scatto e la guardò stupito. “È altruismo quello che leggo nelle tue parole, strega rossa?”
Joyce abbozzò un sorriso. “È il mio modo di ripagarti per quello che ti ho fatto passare, amico mio.”
Halux annuì grave. “Vedo che hai imparato la lezione.”
Sì, pensò Joyce. L’ho imparata. Guardò Razt. “Mi spiace anche per te. Vorrei fare qualcosa ma come vedi condivideremo lo stesso destino.”
Il soffitto tremò e della polvere cadde.
“Sta venendo qui” disse Kallia. “O ci verrà quando avrà finito col resto della città.”
Razt affondò la testa tra le braccia e piagnucolò.
“Sono pronto” annunciò Halux. Puntò le mani verso il centro della sala evocando un nuovo portale. Anche questo come quello precedente brillava di una luce azzurra e viola.
L’erudito si avvicinò al cerchio di luce. “Non avrei mai creduto di poterlo evocare. Ho sempre pensato di essere uno stregone pessimo.” Guardò Joyce. “Ma tu sei riuscita a farmi fare questo, strega rossa. Credo di dover essere io a ringraziarti.”
“Sbrigati ad andare” disse Joyce.
Halux allargò le braccia. “Nelle mie terre c’è l’usanza di scambiarsi un abbraccio quando ci si dice addio.”
Joyce sospirò e gli andò incontro. “Mi mancherai” disse mentre lui la stringeva tra le braccia. A causa dell’altezza dell’erudito si ritrovò a parlargli sopra il petto.
“Anche tu, nonostante i guai che mi hai portato. Mi hai fatto sentire di nuovo vivo, come quando ero più giovane. Credevo che avrei passato la mia vita a Malinor, rubando libri nella biblioteca di quegli idioti e invece ho potuto rivedere il mondo esterno.” Sospirò. “Mi mancherai davvero, Sibyl. Ho avuto una vita soddisfacente, nonostante tutto.”
Joyce si accigliò.
“Kallia. Quello che ci siamo detti prima. Sai già cosa devi fare, vero?”
Joyce sollevò la testa di scatto e in quel momento mani forti, dalla presa ferrea, l’afferrarono e la spinsero verso il portale.
“No” disse lottando e puntando i piedi, ma Kallia la sospinse senza esitazione.
Cercò di guardare per l’ultima volta Halux, ma il vortice di luce azzurra e viola l’avvolse e la sala sparì.
Si sentì precipitare per un tempo che le sembrò non finire mai. E poi all’improvviso apparvero il cielo e la chioma di un albero e si ritrovò a cadere con la schiena verso il suolo.
L’impatto le tolse il fiato facendola affondare nel terriccio e le foglie secche.
Rimase a fissare il cielo azzurro appena velato da qualche nuvola per qualche minuto, incapace di parlare o muoversi.
Poi si portò le mani al volto e scoppiò a piangere. “Gera, Kallia, Joane” disse tra un singhiozzo e l’altro. “Mi sbagliavo. Perdonatemi.”
 
Infilò la sacca a tracolla nell’incavo dell’albero assicurandosi di non spingerla troppo a fondo per paura di perderla. Con il raggio magico incise la corteccia dell’albero e di quelli accanto, in modo che sembrasse casuale a un’occhiata distratta.
All’interno della sacca aveva sistemato il compendio, il libro di Hopott e il vestito con cui era andata via da Nazdur.
Al suo posto aveva indossato la tunica che aveva preso prima di andarsene. Prima di farlo aveva approfittato di un torrente vicino per lavare via di dosso lo sporco accumulato nell’ultimo giorno a Nazdur.
Aveva conservato solo gli stivali che in quella foresta potevano esserle utili.
Halux l’aveva trasportata in mezzo a una fitta macchia di alberi dal fusto imponente e le chiome frondose e verdi che sembrano estendersi per miglia a miglia.
Era levitata fino alla cima di un albero per guardarsi attorno e capire dove era finita, ma non osava volare più in alto. Non aveva idea di chi si trovasse lì attorno e non voleva diventare un bersaglio facile.
Dall’alto aveva visto il sentiero che ora stava seguendo e, più distante verso nord, la sagoma di una montagna dalla vetta innevata e le pareti grigie e spoglie.
Era quella la montagna che Halux credeva ospitasse il nodo che stavano cercando? Se fosse stato così, avrebbe dovuto trovare il modo di entrare nel santuario del mago, se ne esisteva uno. Poi doveva capire come usare il potere del nodo a suo vantaggio.
Tante cose da fare e poco tempo per farlo, ma adesso era a nord. Non era mai stata così vicina all’alleanza da quando aveva lasciato Valonde e questo le dava nuove forze.
Ma quello era il piano per eliminare i colossi. Prima di quello, venivano Malag e la sua orda. Per loro aveva pensato ad altro.
Era molto più pericoloso, ma se avesse avuto successo, la guerra sarebbe terminata lo stesso giorno. Doveva solo trovare l’occasione giusta e questa si presentò il giorno dopo.
Dopo essere levitata sulla cima di un albero aveva intravisto delle figure muoversi poco più avanti. Non aveva idea di chi fossero e quanti fossero, ma per saperlo doveva avvicinarsi senza sembrare una minaccia.
Era tornata a terra e aveva annullato la trasfigurazione. Poi, con passo lento, si era incamminata lungo il sentiero certa di incontrare a un certo punto una di quelle figure.
“Fermati” disse una voce alle sue spalle.
Joyce si voltò di scatto emettendo un balzo. “Non farmi del male” disse al soldato con la lancia e lo scudo.
Il soldato la guardò incuriosito. “E tu chi saresti? Una del villaggio? Ti sei allontanata e persa per caso? Sei una di quelle che serve presso Naevis?”
Scosse la testa. “Non so chi sia e non vengo da un villaggio, ma da Valonde.”
Il soldato si accigliò. “Valonde è dall’altra parte del mondo, ragazzina. Mi stai per caso prendendo in giro?”
“No, te lo giuro. Mi sono persa. Stavo cercando qualcuno che mi aiutasse.”
L’altro grugnì. “Hai trovato noi. Vieni con me e vedremo che fare. Scommetto che mi hai raccontato un mucchio di bugie, ma sappiamo come smascherarti.”
Il soldato la condusse verso un gruppo di cavalli e soldati seduti lungo il lato del sentiero. In mezzo a loro c’era anche chi indossava un mantello grigio.
Tutti alzarono la testa quando la videro passare.
“Che hai pescato di buono, Shinnon?” chiese uno di quelli che portava il mantello grigio.
“Una spia” disse il soldato. “Stasera banchetterò con doppia razione mentre voi digiunerete. Di nuovo.”
L’altro rise. “Tanto ci siamo abituati al digiuno.”
Joyce sentì salire la tensione mentre il soldato la conduceva verso una piccola tenda montata lì vicino.
Vicino a essa una ragazza dall’aspetto minuto e i capelli neri e lucenti raccolti in una graziosa treccia sembrava fare la guardia.
“Chiamala, Dyna” disse Shinnon.
La ragazza lo guardò con sguardo impassibile.
“Dille che ho preso una spia. La comandante sarà felice.”
Dyna scrollò le spalle e si infilò nella tenda. Quando ne uscì non era sola. Dietro di lei c’era una donna dalle forme slanciate e il viso scavato, lunghi capelli bianchi le scendevano lungo le spalle.
Joyce fremette a quella vista.
La donna rivolse un’occhiata severa a Shinnon. “È solo una povera vagabonda che si è persa. Portala al villaggio e consegnala a Naevis. Lei saprà cosa farne.” Fece una pausa. “E dividerai con lei la razione. Per avermi disturbata per niente.”
Fece per rientrare nella tenda e Joyce scelse quel momento per parlare.
“Io non sono una vagabonda” disse con tono appena incrinato dall’emozione. Quello era il passaggio più pericoloso.
La donna la fissò con ostilità. “Sai parlare? Bene. Se non sei una vagabonda allora cosa sei? Una spia?”
“Il mio nome è Joyce e vengo da Valonde” disse con orgoglio. “Sono la principessa Joyce di Valonde, quintogenita di Re Andew e della Regina Marget.”
La donna la fissò per qualche istante e poi scoppiò in una risata rauca. “Joyce di Valonde è morta. Quello stupido di Re Andew blatera da intere Lune che è nostra prigioniera, ma è un pazzo. E tu sei più pazza di lui.”
“Sono chi dico di essere” fece Joyce con tono deciso.
La donna guardò Dyna. “Di cosa puzzano le sue parole, amica mia?”
Dyna si accigliò. “Maestra Nimlothien” disse con voce appena udibile. “Le sue parole non puzzano. Hanno uno strano odore, ma decisamente non puzzano.”
Nimlothien rivolse una lunga occhiata a Joyce. “Che io sia maledetta.”
Volessero gli Dei che tu lo fossi, pensò Joyce.
“Portate un cavallo per la principessa” ordinò Nimlothien. “E in quanto a te, Shinnon. Ottimo lavoro.”
“Grazie” disse il soldato. “Dirai a lord Malag che l’ho servito bene?”
“Sarà informato di tutto appena saremo rientrati.”
I soldati raccolsero le loro cose e smontarono la tenda. Un cavallo venne portato a Joyce che vi montò sopra con un gesto agile.
Nimlothien l’affiancò subito. “Lord Malag sarà deliziato dalla notizia” disse sorridendo. “Penso che non veda l’ora di incontrarti.”
Joyce abbozzò un timido sorriso che scomparve non appena la donna si voltò dall’altra parte.
Anche io non vedo l’ora di incontrarlo, pensò mentre si mettevano in marcia.

Prossimo Capitolo Domenica 29 Marzo
  
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