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Autore: heliodor    29/03/2020    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Non è giusto

 
Arran sedeva sui gradini di pietra, le gambe raccolte contro il petto e la testa appoggiata alle ginocchia. Non ricordava da quanto tempo era lì, forse da ore. Di certo da dopo la conclusione di quel lungo pomeriggio.
Aveva gli occhi gonfi e arrossati. La gola gli bruciava ed era affamato, ma stava ignorando di proposito i brontolii dello stomaco.
Un soldato gli passò accanto e lo seguì con lo sguardo. Indossava un’armatura leggera, la spada corta che gli pendeva al fianco.  Risalì le scale degnandolo appena di un’occhiata e sparì oltre la porta socchiusa.
Arran si alzò e lo seguì barcollando.
È successo davvero? Si chiese mentre saliva le scale a una a una.
Prima di arrivare alla grande porta di legno che sbarrava l’entrata al tempio, si fermò. Per un attimo vacillò e temette di crollare sul pavimento, ma restò in piedi.
I ricordi di quel giorno si affollarono nella sua mente.
Era stato svegliato dal suono delle campane a festa, ma non annunciavano una ricorrenza gioiosa. Mentre si muoveva tra le strade che andavano affollandosi di gente, aveva ascoltato i discorsi che si facevano.
“Il tribunale ha emesso la sentenza?”
“È colpevole.”
“Dovrebbero giustiziarla oggi stesso, ma è più prudente aspettare l’annuncio.”
“Non dovrebbe mancare molto ormai.”
L’annuncio ea arrivato a metà mattinata. Gli araldi avevano srotolato le loro pergamene e letto la sentenza emessa dal tribunale.
“Oggi, nel settimo giorno della terza Luna dell’anno tremiladuecentosedici, davanti all’Unico e agli Dei, i giudici hanno condannato la maga di nome Sibyl. La sentenza verrà eseguita nella Piazza Grade davanti al palazzo del governo. La popolazione è invitata ad assistere ordinatamente. Gli infermi e i bambini al di sotto dei sette anni, così come le partorienti e i soldati di guardia, sono dispensati.”
Arran si era fatto trascinare dal flusso di persone dirette verso la piazza, come se si fosse immerso in un enorme fiume di carne che vociava eccitato all’idea dello spettacolo cui stava per assistere.
Appena entrato nella piazza, dovette lottare per raggiungere le prime file. Qui, tra due ali di folla, i soldati avevano ricavato un passaggio ampio una decina di passi che dall’ingresso delle prigioni portava al patibolo, una struttura in assi di legno che era stata eretta dai carpentieri in poche ore.
“Fate uscire la maga” aveva gridato qualcuno dalla folla.
“Datela a noi, datela a noi” aveva urlato una donna di mezza età trattenuta a stento da quelli che le stavano attorno.
“Che ha quella donna?” si era chiesto qualcuno.
“Suo figlio si è ammalato e i guaritori non riescono a curarlo.”
“Certamente è stato colpito da una maledizione lanciata da quella maga” aveva risposto una ragazza. “Il fidanzato di mia cugina l’altra luna ha…”
La sua voce venne coperta dal boato della gente. Arran si alzò sulle punte e guardò nella direzione della prigione. La porta era spalancata e sulla soglia era apparsa una figura.
L’aveva già vista prima di allora. Era quella di Tzaro.
L’inquisitore osservò la folla con sguardo severo, come a volerla ammonire. Si voltò e fece un cenno rivolto a qualcuno che si trovava all’interno della prigione.
Due soldati erano usciti, seguiti da un’altra coppia che nel mezzo reggeva una figura umana come se fosse aggrappata a loro. Poco più indietro, altri due soldati chiudevano il corteo.
Tutti erano armati di lancia e scudo e avevano tirato a lucido le armature.
Arran aveva avuto un tuffo al cuore riconoscendo Sibyl in mezzo alla seconda coppia di soldati.
Indossava un saio grigio chiuso in vita da una corda marrone. Non era cambiata da come la ricordava. I capelli erano neri e fluenti, anche se in quel momento non brillavano sotto il sole grigiastro che illuminava la piazza.
Erano passati solo due giorni, ma per lui erano stati come due anni.
“Prometti” le aveva sussurrato Sibyl. “Arran ti prego, prometti.”
Quanto erano pesanti quelle parole? Si era chiesto. In quel momento si sentiva schiacciato.
Si era fatto strada verso la prima fila, ma un muro si era frapposto tra lui e Sibyl. La muraglia umana era così compatta che gli fu impossibile avanzare oltre.
E forse fu un bene, poiché non aveva visto da vicino Sibyl. Se lo avesse fatto, se si fosse trovato a pochi passi da lei, come avrebbe reagito?
La folla riprese a urlare frasi sconnesse all’indirizzo di Sibyl.
“Uccidetela.”
“Maga.”
“Maledetta.”
Qualcuno era arrivato a protendersi in avanti per afferrarla, ma i soldati li avevano respinti con le lance e gli scudi.
Tzaro aveva fissato con disprezzo quelli che cercavano di avanzare. “Procediamo” aveva detto ai soldati.
Il corteo si era diretto al patibolo passando tra la folla. Gli insulti si erano mescolati alle grida e ai fischi, aumentando la confusione.
Arran aveva seguito i soldati prima con lo sguardo e poi facendosi strada tra la folla a spintoni, senza badare troppo a chi veniva colpito.
 Dopo una lotta durata alcuni minuti, aveva raggiunto un punto rialzato della piazza. Lì, nella calca che si faceva sempre più opprimente, aveva potuto osservare il patibolo.
Tzaro era salito per primo, come a voler misurare a lunghi passi la piattaforma di legno. I soldati di scorta lo avevano seguito due alla volta. Uno di essi aveva trascinato al centro della piattaforma un sediolino di legno.
Tzaro si era piazzato sulla destra mentre i soldati portavano Sibyl vicino al seggio. L’inquisitore aveva fatto loro un cenno con la testa e questi avevano fatto un passo indietro e poi di lato.
Sibyl, i capelli appena mossi dalla leggera brezza che spirava sulla piazza, aveva fissato i presenti come se stesse cercando qualcuno tra la folla.
Sta cercando me, si era detto Arran con una morsa allo stomaco. Se voglio fare qualcosa, devo farlo adesso.
Per tutta la notte aveva pensato e scartato decine di piani. Sibyl non voleva essere salvata mentre si trovava nelle prigioni e questo complicava le cose.
Arran aveva pensato di lanciare una palla di fuoco tra la folla per creare panico. Nello scompiglio avrebbe preso Sibyl e sarebbe scappato.
E poi? Si era chiesto. Dove andrò? Non conosco questa regione, non ho molti soldi e i nostri visi sarebbero troppo noti.
Chiunque li avrebbe riconosciuti come i rinnegati che erano fuggiti prima di una esecuzione.
Senza contare che non voleva compiere una strage.
Prometti, Arran.
Forse la gente di quella città non meritava di vivere, ma chi era lui per decidere? Non aveva mai ucciso in vita sua e se lo avesse fatto in quel modo, era sicuro che avrebbe fornito un motivo valido a Tzaro per volerlo morto.
Prometti, Arran.
È così difficile, si era detto mentre Tzaro sollevava un braccio per invitare la folla a tacere.
“La maga vuole confessare?” aveva chiesto a Sibyl.
Lei aveva annuito. “Voglio confessare.”
Tzaro aveva osservato la folla compiaciuto. “Molto bene. Puoi procedere con la confessione.”
“Confesso di aver praticato la magia” aveva iniziato a dire Sibyl.
“A morte” aveva gridato una donna.
“Uccidetela subito” le aveva fatto eco un uomo.
La folla si era agitata e Arran era stato spinto e trascinato via. Aveva lottato per riguadagnare il suo buon punto di osservazione.
Una donna con in braccio una bambina che poteva avere non più di tre o quattro anni gli aveva urtato il fianco.
Arran l’aveva squadrata notando la sua espressione esaltata mentre si sbracciava per urlare qualcosa sballottando la piccolina che si reggeva alla sua spalla.
Per un attimo i loro sguardi si erano incrociati ma lei si era subito voltata dall’altra parte per piagnucolare sul collo della madre.
È così piccola, pensò Arran. Perché la lasciano assistere? Gli araldi non avevano detto che i bambini piccoli erano esentati?
Tzaro richiamò la folla all’ordine con un ampio gesto del braccio. “Continua” aveva detto a Sibyl. “Ma fai in fretta.”
Lei aveva annuito. “Confesso di aver praticato la magia oscura, di aver studiato i testi proibiti e le antiche formule ormai dimenticate e che sono state distrutte da migliaia di anni. Confesso di averlo fatto all’inizio per curiosità e poi spinta dal desiderio di scoprire fin dove potevo spingermi. Confesso di aver agito da sola, senza l’aiuto di nessuno.”
“Lacey, il tuo complice, ha già confessato” aveva detto Tzaro. “È inutile che tenti di difenderlo.”
Sibyl non aveva mutato espressione.
Sembra così serena, si era detto Arran. Come fa? Io tremerei dalla paura al suo posto.
“Confesso di aver proseguito nelle mie ricerche spinta dal desiderio di aiutare gli altri. Volevo sinceramente fare il bene, ma così facendo non mi sono resa conto di aver imboccato la strada peggiore.”
“Un errore comune a molti maghi” aveva detto Tzaro tronfio.
Sibyl l’aveva ignorato di nuovo. “Confesso tutte queste cose perché sono vere e tutti voi potete verificarle. Confesso, ma non mi pento di averlo fatto. Non mi pento di aver usato la magia per salvare un ragazzo che stava annegando, anche se mi è costato tutto. Se potessi, lo rifarei senza esitazione.”
Tzaro l’aveva guardata indispettito. “Può bastare.” Aveva fatto un cenno ai soldati che si erano avvicinati afferrando Sibyl per le spalle. “Procediamo.”
I soldati avevano costretto Sibyl a inginocchiarsi e poi a piegarsi in avanti, appoggiando la testa sul sediolino di legno.
Tzaro aveva poi fatto un cenno con la mano a uno dei soldati, il quale aveva estratto la spada dal fodero e l’aveva impugnata con entrambe le mani.
Ecco, è il momento, aveva pensato Arran. Se voglio tentare qualcosa, questo è il momento. Potrei buttarmi su Tzaro e cercare la morte, se questo servisse a qualcosa.
Mentre era immerso in questi pensieri, i suoi occhi avevano incrociato quelli di Sibyl. Il suo corpo e la sua mente si erano come arrestati e per un attimo la folla, il patibolo, Tzaro e i soldati erano spariti.
Sibyl gli aveva sorriso.
Il suo meraviglioso, sincero sorriso lo aveva scosso.
Sta sorridendo, si era detto. Nonostante tutto.
Poi Sibyl aveva mormorato qualcosa. Un paio di parole a fior di labbra che nemmeno aveva afferrato e aveva guardato in alto per un istante, per poi tornare a fissarlo.
D’istinto Arran aveva alzato gli occhi.
In alto nel cielo, contro lo sfondo delle nuvole grigiastre, si librava qualcosa. Un uccello dal piumaggio delicato e dai colori vivaci aveva spiegato le ali sopra le loro teste.
Chissà che tipo di uccello è, si era chiesto per un istante. Lo sto vedendo solo io o anche altri?
Si era guardato attorno e le teste di tutti erano rivolte verso il patibolo. Solo una, oltre alla sua, era sollevata verso l’alto.
Era quella della bambina che se ne stava aggrappata tra le braccia della madre. Aveva proteso una manina verso l’alto, come se volesse afferrare quell’animale dall’aspetto così nobile e delicato.
Voleva dirle che era troppo in alto per lei e che non le sarebbe bastato allungare la mano per afferrarlo, ma perché rovinare un così bel sogno?
L’uccello aprì il becco per lanciare un richiamo silenzioso e iniziò a dissolversi, come se le nuvole sullo sfondo lo stessero assorbendo un pezzo per volta.
Un istante prima si librava sopra la piazza e quello successivo era solo un’ombra che si stava consumando.
E nell’attimo preciso in cui sparì del tutto, dalla folla si levò un ruggito assordante.
 
Arran rabbrividì, immobile sulla soglia del tempio. Da oltre la porta lasciata socchiusa dal soldato che era entrato, proveniva un debole chiarore rossastro.
Appoggiò le mani al battente e spinse piano, come a non voler fare rumore. La porta cigolò sui vecchi cardini arrugginiti.
Si infilò nell’apertura quasi in punta di piedi.
Il tempio era di forma quadrata, con due gradinate contrapposte sui lati rispetto all’entrata. La luce doveva filtrare da gradi finestre poste in alto, ma in quel momento l’unica illuminazione proveniva da otto bracieri che ardevano lungo le pareti.
Al centro della sala c’era una piattaforma di pietra sulla quale era stato adagiato un corpo coperto da un velo grigio.
Sotto il muro a destra rispetto all’entrata era stata montata una gabbia. Dentro di essa, nell’ombra, contò sei o sette figure accucciate. Una di queste, un vecchio dalla barba folta e grigia, alzò gli occhi verso di lui.
Erano occhi velati dalla tristezza, che sembravano implorarlo di avvicinarsi.
Due soldati vegliavano il corpo con espressione annoiata. Un terzo soldato era seduto su uno dei gradini ed era intento a mangiare qualcosa.
“Mi domando a cosa serva tutto questo” stava dicendo il più anziano, un uomo con una folta barba castana.
L’altro doveva avere venti o trenta anni e si appoggiava alla lancia. Era piuttosto corpulento. “Ordini dell’inquisitore” rispose con tono annoiato.
“Quante premure per una maga” rispose l’anziano. “Quando mio cugino Sirr è morto il prete del culto gli ha dato una benedizione frettolosa prima di mandarlo sulla pira. Non gli hanno concesso la sala del Tempio come a questa qui.”
“La maga ha confessato” disse il soldato seduto sui gradini. “E per i monaci del culto non fa alcuna differenza se praticava la magia oscura. Per loro ogni anima è uguale alle altre e hanno insistito per la veglia notturna.”
“Che spreco” disse il vecchio storcendo il naso.
“È solo per una notte” disse quello seduto. “Domani mattina…” Si bloccò all’improvviso quando i suoi occhi si posarono su Arran. “E tu chi sei? Perché sei entrato?”
Arran sobbalzò. Era così assorto dal corpo sull’altare che aveva dimenticato di essere un intruso.
Il soldato seduto scattò in piedi. “Ti ho chiesto chi sei” disse poggiando la mano sull’elsa della spada. “E perché sei entrato.”
Arran si ritrasse. “Cercavo solo un poso caldo dove passare la notte. Sono inzuppato dalla testa ai piedi e non voglio prendermi un malanno.”
“E che cosa vuoi che mi importi?” chiese il soldato. “Vattene via o un malanno sarà l’ultima cosa di cui dovrai preoccuparti.”
“E dai Kolm” disse l’anziano. “Non lo vedi che è solo un povero straccione? Questo è il tempio dell’Unico, in fondo.”
Kolm fece una smorfia. “È entrato come un ladro.”
“Vieni qui, amico” disse il vecchio. “Vieni a scaldarti davanti al braciere.”
Arran si avvicinò con passi incerti. Arrivato davanti al braciere allungò le mani. Era davvero caldo e per un attimo si sentì rinfrancato.
“Niente male, vero?” chiese l’anziano. “Sempre meglio che stare lì fuori.”
Arran annuì.
“Come ti chiami?”
Arran aveva pensato a diversi nomi falsi nel caso gliel’avessero chiesto. Si era addestrato a rispondere a quel nome nel caso in cui qualcuno l’avesse chiamato all’improvviso. “Nalos.”
L’anziano annuì. “Piacere di conoscerti Nalos. Io sono Celeb e quella specie di gigante è Rodomias, ma noi lo chiamiamo Rod. Il tizio seduto invece è Kolm.”
Kolm sbuffò.
“Piacere di conoscervi” disse Arran.
Celeb rise. “Sei una persona educata. Scommetto che hai anche una certa istruzione. Come sei finito in mezzo a una strada?
Anche per quella eventualità aveva pensato a una storia credibile. “Avevo una bottega, vicino al porto” disse. “Fabbricavo piccoli monili lavorando l’argento. Avevo ereditato l’attività da mio padre. Le cose andavano bene, ma poi ci fu un incendio e persi tutto.”
L’incendio era accaduto davvero pochi anni prima in prossimità del porto.
“Me lo ricordo” disse Rod. “Morì parecchia gente.”
Celeb annuì. “Brutta faccenda” disse scuotendo la testa. “Davvero brutta. Faresti bene a darti da fare. Se sei così abile come artigiano, forse posso trovarti un lavoro per conto di qualcuno che conosco. Dovresti ricominciare dal nulla, ma sarebbe sempre meglio di quello che hai adesso, no?”
Arran annuì. “Ti ringrazio.” I suoi occhi corsero di nuovo all’altare.
Celeb dovette notarlo. “L’hai vista anche tu, vero? Dico stamattina, la maga. C’eri anche tu quando le hanno staccato la testa?”
Sì, ma non ho visto, pensò.
Annuì con uno sforzo.
“Mai vista tanta folla a un’esecuzione” disse Rod. “C’era mezza città e forse anche qualcuno dai villaggi vicini.”
“Vero” disse Celeb. “Gran spettacolo. Tzaro sa come organizzare certe cose.”
“E quelle persone nella gabbia?” chiese Arran.
“Quelli lì? Fanno parte dello spettacolo di domani” disse Celeb allegro. “Tzaro ha ordinato di ripulire le campagne circostanti. Sai, cono infestate da questi vagabondi. Sono stranieri, vengono da regioni lontane e nemmeno parlano la nostra lingua.”
“Non è vero” lo interruppe Rod. “Ho sentito il vecchio con la barba chiedermi del pane, prima. A che gli serve avere la pancia piena? Domani sarà morto comunque.”
Celeb guardò prima Sibyl adagiata sull’altare e poi Arran. “La vuoi vedere? Da vicino, intendo dire.”
“Gli ordini” disse Kolm. “Sono di non far avvicinare nessuno. Per nessun motivo.”
“Agli inferi gli ordini” disse Celeb. “Il nostro amico Nalos non se la sta passando bene e merita di distrarsi un po’. Vieni, dai un’occhiata.” Si avvicinò all’altare.
Arran lo seguì con passo incerto. Era sicuro che le gambe avrebbero ceduto e invece resistette fino a trovarsi di fronte all’altare.
Celeb scostò il velo che copriva il corpo, rivelando il viso di Sibyl.
Arran sobbalzò. Aveva già visto altri cadaveri, quando all’accademia ne avevano sezionato uno davanti agli apprendisti, ma non era pronto a quello.
Il viso di Sibyl era grigiastro e smorto, del tutto privo del colore.
Dove sono finite le guance arrossate per la corsa? Si chiese. E le labbra che si increspavano nel suo dolce sorriso? Dove?
Celeb rimise a posto il velo. “Strano. Mi chiedo come possa una donna così bella praticare la magia proibita.”
“Tutte le maghe sono belle” disse Rod. “Dicono che Malvina la nera fosse bellissima.”
“Quella che ha ucciso tutta la sua famiglia?” chiese Celeb.
Rod annuì.
Arran deglutì a vuoto. “Dove” iniziò a dire cercando il coraggio necessario. “Dove la seppelliranno?”
“Seppellire?” fece Celeb sorpreso. “Questa qui non verrà seppellita affatto.”
Arran si accigliò.
“Ordini di Tzaro” disse Kolm. “La maga sarà smembrata e ricoperta di pece perché si conservi più a lungo.”
Arran si sentì afferrare le viscere da una mano invisibile.
“Poi” continuò Kolm. “Ogni pezzo verrà spedito a cinquecento miglia di distanza ed esposto in tutte le città e i villaggi lungo la strada.”
La morsa si fece più dolorosa. Arran ebbe l’impressione che qualcosa stesse scavando al suo interno, tentando di farsi strada.
“E continueranno finché la carne non sarà completamente sparita dalle ossa. Quando non sarà rimasto che uno scheletro, la maga sarà data in pasto a qualche animale” concluse Kolm.
Celeb rise. “Tzaro è un vero genio.”
Qualcosa si ruppe dentro Arran.
“Non è giusto” disse con un filo di voce.
“Cosa hai detto Nalos?” fece Celeb.
Arran si voltò verso il soldato dalla folta barba castana. “Non è giusto” ripeté a denti stretti. “Non è giusto.”
“Come?”
“Non è giusto” gridò, la voce che rimbombò sulle pareti del Tempio.
“Basta così” disse Kolm. “Caccia via questo straccione prima che lo tagli in due con la spada.”
Celeb fece per afferrargli il braccio, ma Arran si ritrasse.
“Non è giusto” disse.
“Non rendere le cose spiacevoli” disse il soldato.
“Non è.” Arran mormorò la formula della spada magica. “Giusto.”
La spada prese forma nella sua mano destra.
Celeb lo guardò sorpreso. “Quella che cos’è?”
Prometti, disse la voce di Sibyl.
Prometti.
Prometti.
“Non è giusto” urlò Arran, la voce di Sibyl che si riduceva a un sussurro.
Alzò la spada e la calò sul braccio di Celeb, tagliandolo via con un colpo netto. L’arto saltò via e rotolò sul pavimento fermandosi ai piedi dell’altare.
Il soldato lo seguì con gli occhi sgranati. “Che hai fatto? Che hai…” Solo allora iniziò a gridare.
Arran sollevò di nuovo la spada e la conficcò nella gola di Celeb, soffocando le sue grida. Il soldato cadde in ginocchio, le mani strette intorno alla gola nel tentativo di arrestare il fiotto di sangue che ne stava uscendo.
Rod fece per muoversi e afferrare la lancia.
Arran annullò la spada magica ed evocò i dardi. Li lanciò verso il soldato, colpendolo alla gamba destra e al torace.
Rod crollò in ginocchio.
Arran si voltò di scatto, un attimo prima che la spada di Kolm lo colpisse. Evocò lo scudo magico respingendo l’attacco.
Kolm fece un passo indietro, la spada ancora sollevata. “Ti uccido” disse lanciandosi in avanti.
Arran evocò il raggio magico e lo colpì al petto, scagliandolo all’indietro. L’armatura di Kolm assorbì l’impatto.
Arran si voltò di nuovo e si diresse verso Rod, che si stava rialzando, la lancia stretta nella mano.
Prometti.
Prometti.
Prometti.
Pro…
Arran evocò la spada magica e calò un fendente verso Rod, colpendolo sulla spalla destra. La lama penetrò per un paio di dita nell’armatura leggera, mordendo la carne del soldato.
Rod gridò e sollevò la lancia, puntandola verso il petto di Arran. Lui respinse l’attacco con lo scudo magico, sollevò di nuovo la spada e colpì di il soldato, stavolta vicino al collo.
Il fendente fu così forte da staccargli quasi la testa.
Rod crollò al suolo, la mano ancora stretta attorno alla lancia.
Arran perse ogni interesse per lui e tornò verso Kolm, che si stava rialzando. Quasi inciampò nel corpo di Celeb, che era disteso al suolo in una pozza di sangue che si allargava all’altezza della sua testa.
Kolm si rimise in piedi, la spada stretta tra le mani.
Arran evocò la lancia infuocata. Era l’ultimo incantesimo che aveva imparato. Dalle sue mani protese in avanti eruppe un dardo di fuoco vivo che investì in pieno Kolm.
Il soldato urlò e si gettò in avanti, la spada sollevata.
Sorpreso da quell’attacco, Arran fece un passo indietro ma non riuscì a evitare il fendente, che gli aprì uno squarcio sul petto.
Urlò ma non smise di puntare la lancia di fuoco verso Kolm. Dovette usare per quattro volte l’incantesimo prima che il soldato cadesse in ginocchio e poi restasse immobile.
Quando le fiamme si estinsero, di lui era rimasto solo un tizzone annerito.
Arran crollò in ginocchio, boccheggiante. Si sentiva esausto e sul punto di cedere. Intanto le fiamme che aveva evocato con la lancia si stavano propagando agli oggetti in legno presenti nel tempio. Gli oli usati per lucidarlo dovettero accelerare l’incendio che divampò pochi attimi dopo.
Arran raccolse le forze rimaste e si trascinò fino all’altare. Sollevò Sibyl ancora avvolta nel sudario e la portò fuori dal Tempio mentre il fuoco iniziava a consumare tutto ciò che lo circondava.
“Straniero” gridò qualcuno all’interno della gabbia.
Arran si bloccò sulla soglia del tempio le fiamme che guizzavano in tutte le direzioni. Guardò verso la gabbia. Il vecchio si era alzato e con mani ossute stringeva le sbarre.
“Straniero” disse. “Facci uscire, ti prego.”
Arran esitò, incerto su che cosa fare.
“La nostra è una condanna a morte.”
Arran depose il corpo di Sibyl in cima alle scale e rientrò nel tempio. Andò alla gabbia e si concesse qualche attimo per studiare il lucchetto che la chiudeva. “È troppo pesante” disse. Guardò i corpi dei soldati che venivano consumati dal fuoco. Uno di essi doveva avere la chiave, oppure era nascosta chissà dove o nelle mani di Tzaro. “Mi spiace” disse al vecchio. “Non so come farvi uscire.”
Il vecchio andò a sedersi in un angolo, accanto a una ragazza dai capelli scuri che poteva avere dodici o tredici anni. Le cinse le spalle con il braccio per calmare i suoi singhiozzi.
Arran si alzò in piedi e respirò a fondo l’aria che si stava riempiendo di fumo. Distese le braccia in avanti e le diresse verso il lucchetto. Recitò la formula delle mani infuocate. Dai suoi palmi eruppe un getto di fuoco liquido che investì il metallo.
Resistendo all’istinto di allontanarsi dall’intenso calore che gli scottava la pelle, tenne il getto puntato sul lucchetto. Il metallo divenne dapprima rosso e poi bianco e infine si fuse, sciogliendosi e cadendo al suolo.
“Uscite” ordinò a quelli nella gabbia prima di voltarsi e tornare da Sibyl. Individuò i cavalli dei sodati e ne scelse uno. Caricò Sibyl sulla schiena dell’animale e usò le ultime forze che gli restavano per issarsi in sella.
“Straniero” disse il vecchio barcollando verso di lui. “Ti siamo debitori.”
Arran fece schioccare le redini e si allontanò al galoppo. Viaggiò per due giorni e due notti, fermandosi solo per far riposare il cavallo. Aveva dolore ovunque e la ferita che aveva al petto, anche se le aveva fasciata, bruciava da morire.
Non importa, si disse. Niente importa.
A metà del terzo giorno trovò il posto che stava cercando. Non era lontano dalla loro vecchia casa, quella vicina alla scogliera, dove aveva vissuto con Sibyl gli anni più belli della sua vita.
Non verranno a cercarmi qui, si disse. E nemmeno lei. Nessuno la troverà.
Scavò una fossa profonda e vi adagiò all’interno il corpo di Sibyl, ricoprendola di terra con delicatezza.  A un occhio distratto quel tratto di terreno sarebbe sembrato solo smosso. Col tempo le piante ci sarebbero cresciute sopra e attorno, donando a Sibyl il riposo eterno che meritava. Esausto, si abbandonò sulla tomba, il respiro che si faceva sempre più difficile e il dolore che aveva riempito il suo mondo facendo sparire tutto il resto.

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