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Autore: sissi149    03/04/2020    3 recensioni
Dopo la fine del World Youth Tsubasa ha chiesto a Sanae di sposarlo e la ragazza ha accettato.
I festeggiamenti sono nel culmine, ma andrà davvero tutto liscio?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Nakazawa, Nuovo personaggio, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Roberto lavorava nel suo negozio indaffarato, faceva andare veloce le mani e proponeva alle clienti nuove soluzioni e tagli alla moda. Eppure c’era qualcosa che non andava, non era allegro e gioviale come al solito.
“Ecco qua tesoro!”
Disse togliendo la mantellina dalle spalle della moglie del sindaco.
“Grazie mille! Sei sempre il migliore!”
La donna rispose con un sorriso, mentre lo seguiva nella zona della cassa per saldare il conto.
“Sicuro di stare bene? Sei un po’ troppo taciturno.”
Il parrucchiere agitò una mano davanti al volto e agli occhiali  dalle lenti colorate.
“Non è niente. Ho solo parecchio lavoro da fare: nel pomeriggio è il turno dei bambini dell’orfanotrofio e quelle piccole pesti fanno sempre scompiglio in negozio. Mi toccherà nascondere tutti i flaconi delicati.”
Patty ridacchiò alla battuta e lasciò il salone con passo rapido.
Una volta rimasto solo, Roberto, invece di prepararsi a ricevere altri clienti, abbassò la serranda e chiuse a chiave la porta dopo aver esposto un cartello che annunciava che per quella mattina il salone sarebbe stato chiuso ed avrebbe ripreso l’attività nel pomeriggio.
Aveva altro da fare: il capo aveva ordinato di muoversi contro Oliver Hutton e gli aveva dato la mattina come termine ultimo.
Era parecchio preoccupato perché in realtà non sapeva esattamente cosa sarebbe successo nel momento in cui avrebbe effettuato la sua mossa. Tempo prima il capo gli aveva affidato una fialetta contenente uno strano liquido, raccomandandogli di utilizzarla solo in casi di estrema necessità e sotto un suo ordine diretto. Non gli aveva detto altro.
Si diresse sul retro ed aprì un piccolo armadietto chiuso da un lucchetto, accanto a quello in cui custodiva le sue scorte di flaconi dei colori e degli shampoo. Estrasse la fialetta chiusa ermeticamente e si mise ad osservare il liquido rosso al suo interno. Non aveva la più pallida idea di quale fosse il suo scopo: veleno? Sonnifero? Avrebbe provocato una reazione allergica? Doveva farla bere ad Oliver Hutton e poi andarsene.
L’idea non lo allettava, non era sicuro che il capo stesse facendo la mossa giusta, ma opporsi non era possibile. Temeva che se fosse successo qualcosa di male all’architetto sarebbero risaliti a lui ed avrebbe potuto passare grossi guai. Il fatto che fin’ora nessuno sospettasse dei loro movimenti nell’ombra non lo lasciava completamente tranquillo. D’altra parte il capo li aveva protetti fino a quel momento.
Mise la fiala nella tasca del giubbino ed uscì, pensando al modo di essere certo che la sua vittima bevesse l’intruglio.
Il quartiere latinoamericano era nel pieno delle sue attività, solo il locale di Francisco era immerso nella quiete e nella calma. Passò per un istante al Natura Viva.
“Buongiorno! – salutò cordiale – Avrei bisogno di qualche arancia per delle spremute.”
“Ma certo.”
Il proprietario lo servì col sorriso, come sempre.
“Per le spremute queste sono le migliori!” Disse, indicando un paio di cassette alla sua sinistra. Con cura scelse le più grandi e le più succose, infilandole in una busta di carta marrone.
“È a posto così?”
“A posto, grazie. Ho altre commissioni che mi attendono.”
I due uomini si salutarono e Roberto riprese la sua via verso la parrocchia, dove era quasi certo di trovare Hutton. Doveva ancora pensare ad una scusa per attirarlo fuori o per allontanare Padre Ross: il reverendo sapeva essere un impiccione di prima categoria ed aveva un fiuto incredibile per gli affari loschi. Non per niente stava rischiando di diventare una spina nel fianco per gli affari di Francisco, la sua ultima omelia contro vizi come alcol e droga aveva turbato molti parrocchiani.
Con discrezione bussò alla porta della canonica.
“Buongiorno, sono Roberto Sedinho.”
La porta si aprì e sulla soglia apparve Oliver Hutton in persona.
“Buongiorno, cosa posso fare per lei?” Gli chiese l’architetto.
“Sto cercando Padre Ross.” Disse con prudenza.
“Purtroppo non c’è: è fuori per il suo giro di visite agli anziani.”
Roberto non riusciva a credere al colpo di fortuna che gli era capitato: trovare il suo bersaglio da solo andava oltre le sue più rosee previsioni.
Oliver si grattò la nuca con una mano, segno di nervosismo.
“Ha bisogno del reverendo o posso aiutarla io?”
“In realtà credo che mi possa aiutare anche lei. – rispose scrutandolo pensieroso attraverso le lenti scure degli occhiali da sole – Ho portato delle arance come dono per la parrocchia.”
“Che pensiero gentile! Venga dentro.”
Hutton lo fece entrare e lo guidò fino all’anticamera dello studio di Padre Ross, un locale piccolo, ma pulito e ordinato, fornito di due poltroncine ed un piccolo tavolino per chi restava in attesa del reverendo.
“Lasci pure il sacchetto sul tavolo, così Padre Ross lo troverà. Posso offrirle qualcosa?”
Il parrucchiere appoggiò il suo dono con calma studiata, prima di rivolgersi al suo interlocutore.
“Se non è chiedere troppo, gradirei un caffè. Magari lei potrebbe farmi compagnia.”
L’architetto apparve sconcertato per un momento, poi annuì facendogli segno di seguirlo fino alla cucina. Si muoveva sicuro nei corridoi e tra il mobilio, segno che doveva aver passato molto tempo in compagnia del reverendo.
“La sua fisionomia non mi è estranea – esordì Roberto, accomodandosi al tavolo della cucina – ci conosciamo?”
“Forse di vista.”
Il parrucchiere tamburellò con le dita sul tavolo, simulando la ricerca di un possibile ricordo.
“Forse ci sono: lei è l’architetto che ha progettato il nuovo municipio.”
Hutton si irrigidì con la caffettiera in mano, un attimo prima di iniziare a versare il caffè bollente.
“Qualche problema?”
Toccò a Roberto stemperare la tensione.
“Oh no, affatto.”
“Bene.”
Con le mascelle serrate, Oliver riempì le due tazzine che aveva preparato sul tavolo.
“Per cortesia, c’è dello zucchero?”
L’architetto annuì e si voltò per andare a cercare la zuccheriera nella dispensa. Roberto ne approfittò per correggere il caffè del suo ospite con il contenuto della fialetta. Con perizia ruppe il sigillo e lentamente la rovesciò nella tazzina, tenendo sempre uno sguardo vigile sulla schiena di Hutton: se si fosse voltato prima che avesse finito, il suo gioco sarebbe stato scoperto in malo modo.
Quando anche l’ultima goccia di liquido fu rovesciata tirò un sospiro di sollievo.
Oliver si voltò senza essersi accorto dei suoi movimenti.
“Ecco lo zucchero.”
“Grazie.”
Roberto si versò un paio di cucchiaini, non amava quella bevanda troppo amara. Improvvisamente venne colto dal dubbio che il contenuto della fialetta non fosse insapore ed Hutton potesse accorgersi che c’era qualcosa di strano nel suo caffè. Cercò di trattenersi dal mostrare qualsiasi emozione, osservandolo bere con tranquillità.
Pareva non accorgersi di nulla di strano.
Aveva compiuto la sua missione. Ora poteva concentrarsi sulla conversazione di circostanza.  
 
 
 
 
 
Padre Ross era rientrato circa una mezz’oretta dopo la partenza di Roberto Sedinho, il parrucchiere del quartiere latinoamericano, così Oliver aveva deciso di fare una passeggiata per riflettere su quello strano incontro.
Seduto su una panchina del parco meditava anche sul cantiere: stava cercando di capire fino a che punto poteva essere sincero con Benjamin Price e fidarsi a raccontargli delle sue scoperte su quanto realmente avvenuto il giorno del crollo. Avevano appena ricominciato a parlare civilmente, più che civilmente, e non voleva rischiare di rovinare tutto a causa di avventatezza. Per l’ex capocantiere era stato già un grosso passo ricominciare a considerarlo una persona degna di essere salutata, non voleva affrettare le cose puntando subito all’assoluzione completa.
All’improvviso ebbe un giramento di testa ed una specie di flash:
 
Era sul Belvedere della città di Nankatsu, dove si era appena trasferito con sua mamma. Era in compagnia di un ragazzino che aveva appena conosciuto, si chiamava Ishizaki. Stavano guardando verso una grande villa.
“Ti sei trasferito solo oggi e non sai come vanno le cose qui. -  Stava dicendo il ragazzino – Imparerai presto a conoscere Genzo Wakabayashi. Vedi quella bellissima villa laggiù in fondo in quel grande parco?”
Ishizaki aveva indicato col dito e lui aveva annuito.
“È là che abita Wakabayashi: la sua famiglia è una delle più importanti della città. Sai, a essere sincero non credo che riuscirai a batterlo, in tutto il campionato neanche quelli più grandi e robusti di te sono riusciti a segnargli un gol.”[1]
Lui non ci aveva badato più di tanto e si era accasciato, cominciando a scrivere parole di sfida sul pallone che aveva con sé. Voleva confrontarsi con quel portiere che sembrava essere imbattibile.
Prese la rincorsa e con un calcio lanciò il pallone oltre il parapetto fino a farlo atterrare nel giardino della grande villa, sotto lo sguardo meravigliato di Ishizaki.
Era così elettrizzato!
 
Holly si prese la testa tra le mani: che cos’era quella specie di visione? Un allucinazione?
Decise di non restare lì, di avviarsi verso la parrocchia per tornare al suo dormitorio. Faceva troppo freddo e la temperatura gli stava sicuramente giocando brutti colpi.
Si alzò e fece qualche passo dalla panchina.
Ebbe una nuova visione.
 
Stavano giocando a calcio, era una partita molto importante, dallo scontro dipendeva il risultato finale di tutto il torneo interscolastico. Purtroppo Ishizaki si era fatto male e non avevano nessuno con cui sostituirlo.
All’improvviso era apparso un altro bambino che nessuno conosceva: diceva di chiamarsi Taro Misaki e di essere un nuovo iscritto alla loro scuola.
Era entrato in campo al posto di Ryo.
Aveva sentito subito un grande feeling con quel nuovo giocatore. I passaggi e le giocate tra loro venivano naturali, non avevano bisogno di accordarsi prima, bastava un’occhiata per capirsi al volo.
Quella partita aveva segnato l’inizio della sua amicizia con Misaki che era seconda solo al rapporto speciale che aveva col suo amico pallone.
Insieme erano riusciti a segnare a Genzo Wakabayashi.
Poi erano andati al campionato nazionale.
 
Holly sbatté le palpebre e riprese a camminare più in fretta possibile. Non voleva credere di stare impazzendo, non ora che stava riprendendo in mano la sua vita.
Incrociò i bambini dell’orfanotrofio nella loro quotidiana passeggiata all’aria aperta. Uno di loro gli pareva avesse un’aria familiare. Scosse la testa e proseguì dritto per il vialetto che aveva imboccato.
A che stava pensando?
A Genzo Wakabayashi, cioè a Benjamin Price. Perché nella sua testa aveva associato quei due nomi che non c’entravano nulla l’uno con l’altro?
Il cantiere e Benjamin Price dovevano essere la sua priorità al momento. Voleva assolutamente risolvere la faccenda e fare in modo che i veri colpevoli pagassero per quanto accaduto. Non doveva farlo solo per sé stesso, ma anche per Benji.
 
Era a Parigi. Il tramonto dipingeva il cielo in tutte le tonalità dell’arancione mentre si avvicinava alla Tour Eiffel. Un'altra persona stava correndo nella direzione opposta alla sua. Quando lo incrociò vide che era Taro Misaki.
Si abbracciarono stretti, in fondo erano tre anni che non si vedevano, da poco dopo la finale del campionato delle elementari. Ora erano entrambi lì, in nazionale, come sognavano da bambini, per disputare il mondiale under 15. E insieme a loro ci sarebbe stato anche Genzo.
Erano di nuovo tutti insieme grazie al pallone.
Era felice.
 
Holly si mise a correre, non voleva pensare a quelle strane voci, a quegli strani echi di una vita che non gli apparteneva. Voleva solo che si allontanassero, che uscissero dalla sua testa.
Lui non era mai stato un calciatore, lui era un architetto.
Non conosceva nessun Taro Misaki e men che meno nessun Genzo Wakabayashi.
Una fitta di dolore lo travolse, come una pugnalata al petto.
 
Aveva appena ricevuto la notizia: Taro aveva avuto un grave incidente per salvare la sua sorellastra da un investimento.
La sua  gamba era stata terribilmente compromessa.
Era fuori discussione che tornasse per terminare di disputare il World Youth. Rischiava addirittura di dover rinunciare per sempre alla sua carriera.
Il suo migliore amico avrebbe dovuto rinunciare al loro sogno.
 
Corse più forte che poteva, fino a perdere il fiato. Arrivò fino all’uscita opposta del parco.
Nella sua testa le immagini che fin’ora gli si erano presentate con un certo ordine cominciarono a vorticare sempre più forte ed impazzite. Di molte di loro non riusciva a cogliere il senso, vedeva solo chiazze di colori e volti che per un attimo gli sembrava di conoscere e poi l’attimo dopo cadevano nella nebbia.
 
Il sindaco Becker era seduto alla scrivania del suo ufficio e lo liquidava senza troppi problemi asserendo che non doveva immischiarsi nelle faccende del cantiere. Improvvisamente il suo viso si sovrappose a quello di Taro Misaki, quasi che fossero la stessa persona.
 
L’architetto si accasciò a terra, respirando affannosamente. Non era solo la fatica della corsa, non capiva più nulla di quello che stava succedendo nella sua testa e ciò lo mandava in panico. Tutto stava crollando sotto i suoi piedi.
Non capiva come Tom Becker e Taro Misaki potessero essere la stessa persona, a cominciare dal fatto che non conosceva nemmeno un Taro Misaki. Eppure doveva ammettere che per come li aveva visti nella sua testa i due uomini era praticamente identici, due gocce d’acqua, manco fossero gemelli.
Chi era questo Taro Misaki?
E perché lo considerava il suo migliore amico?
Cosa c’entrava il calcio con lui?
Ma, soprattutto, chi era lui?
Era sempre stato convinto di avere una passione viscerale per l’architettura che l’aveva portato a primeggiare durante gli studi, fino al tragico avvenimento del cantiere. Ora dentro di lui sentiva innestarsi un’altrettanto viscerale passione per il calcio, come se un’altra personalità stesse nascendo dentro di lui. Com’è che si chiamavano? Personalità multiple, forse.
Non capiva più nulla. Percepiva ricordi di un’altra persona eppure li sentiva quasi come fossero suoi.
Cosa stava succedendo?
Chi era?
“Holly! Che ti succede?”
Sollevò il volto e si trovò davanti Kitty, estremamente preoccupata, che lo guardava con gli occhi spalancati e la mano davanti alla bocca.
La sua prima reazione di difesa fu quella di mentirle, di dirle che andava tutto bene e che era solo inciampato, tuttavia non ci riuscì:
“Non lo so. Non so che mi sta accadendo.” Esalò.
Kitty si inginocchiò davanti a lui, appoggiandogli una mano sulla spalla e scrutandolo attentamente.
“Tsubasa Ozora, sei tornato?”
Quel nome gli esplose nella testa come dinamite.
 
Lui era Tsubasa Ozora, capitano della Nankatsu. Avevano vinto il torneo delle elementari, poi alle medie avevano ottenuto tre storiche vittorie consecutive. La sua generazione era conosciuta come Generazione d’Oro e lui ne era il leader. Aveva sollevato vari trofei con la maglia della nazionale, fino ad arrivare all’ambita coppa del World Youth. Aveva realizzato tutti i suoi sogni.
 
“Tsubasa, ci sei?” Chiese ancora Kitty.
“Credo di sì.”
 

[1] Il dialogo è ripreso fedelmente dalla prima puntata della serie classica dell’anime.




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Oh, oh, oh, Roberto versa uno strano liquido nel caffé di Holly e questo comincia a ricordare qualcosa alla rinfusa....
Probabilmente non è la mossa che ci aspettavamo dal nostro misterioso cattivo, per cui c'è da chiedersi cosa possa avere in mente....

In ritardo di 24 ore, ma ce l'ho fatta a consegnarvi il capitolo. :)
Settimana prossima non so se ci sarà l'aggiornamento o se salterà tra 15 giorni.
  
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