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Autore: carlyxy    09/04/2020    1 recensioni
Con l’avanzare degli eventi si era inconsciamente accorta di non sopportare più nulla di Connor. Ma non era per i suoi interminabili silenzi o il modo improvviso in cui spariva per mesi interi senza dare notizia alcuna. No, il suo problema era che Connor era stato inevitabile.
Inevitabile era una parola opprimente e le sbatteva in faccia ogni cosa: l’inevitabilità di fissare la sua schiena quando le camminava d’avanti, l’inevitabilità del bisogno di sentire la sua voce, l’inevitabilità di lanciare uno sguardo in sua direzione con la coda dell’occhio e l’inevitabile dolore che provava quando scopriva che mai una volta l’indiano ricambiava il suo sguardo.
A quel punto le sarebbe piaciuto poter tornare indietro, riavvolgere il nastro e azzerare tutto.
Ma era conscia che qualsiasi cosa avesse fatto, non avrebbe fatto differenza. Era questo il problema: anche se fosse tornata indietro, in alcun modo avrebbe potuto fare a meno di innamorarsi di Ratonhnhaké:ton. [Connor x OC]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Connor Kenway, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quarta settimana di quarantena e quarto capitolo arrivato.
Facciamo nuovamente un balzo di un anno in avanti e finalmente entriamo un pò nel vivo di questa storia. Vi lascio subito al capitolo che spero sia di vostro gradimento e ci vediamo al prossimo! Baci 


Senza-titolo-1

  Icu Wana
    – 04 Capitolo –
 
Tenuta Davenport, 1777
 
Non c’era una sola prova in vista che desse segno di bel tempo.
Avide ed invidiose nuvole coprivano il cielo, portando via i colori, la bellezza e la serenità.
Il tempo invernale nella contea di Concord poteva essere a volte angoscioso: c’erano pochi rumori, poche sfumature, poco calore.
Piccoli fiocchi di neve cadevano leggeri su quegli alberi maestosamente grandi e stanchi, si afflosciavano i rami. Dicembre ormai era arrivato.
Lily si allontanò dalla finestra e tornò a dare una sbirciata alla teglia di dolcetti che stava cuocendo nel piccolo forno ad alveare della villa. Ci stava mettendo un’attenzione quasi meticolosa. Non poteva rischiare che venissero né troppo crudi né troppo bruciati altrimenti Achille, come al solito, si sarebbe fatto beffe di lei e della sua mancanza di attitudine nelle arti femminili, per giorni.
Buffo era pensare come quello fosse diventato il suo solito.
Sebbene la convivenza con Achille non era partita nel migliore dei modi, alla fine era riuscita a trarne dei vantaggi. I primi tempi però erano stati difficili: aveva provato ad incassare in silenzio, finché un giorno la sua pazienza, come un mormorio pulsante nel cervello, esplose e cominciò a replicare alle punzecchiature del vecchio. Achille, con sua grande sorpresa – e sollievo – invece di indispettirsi e punire la ragazza, rispose con ancora più calma e indisponenza, tanto da zittire la ragazza ancora una volta.
E così quei battibecchi si ripetevano quotidianamente e Lily aspettava con ansia il giorno in cui l’avrebbe finalmente avuta vinta sul vecchio.
Con sua sorpresa, alla fine, Achille si era rivelato essere la persona più intellettualmente stimolante che avesse mai incontrato.
Il vecchio possedeva una grande conoscenza che si diramava in vari campi: cultura generale, storia, geografia, filosofia. E così, da quella insolita collaborazione Lily ne ricavò ben più che qualche sterlina. In un anno imparò più di tutto ciò che aveva imparato in sedici anni di vita e qualche volta, nel primo pomeriggio, le chiedeva anche di giocare a dama e a Lily non importava di perdere perché quando ciò accadeva, il vecchio restava di buon umore per tutta la giornata e questo era molto più appetibile di una vittoria ad un gioco da tavolo.
E poi c’era Connor.
Non era stato facile, inizialmente, abituarsi alla presenza dell’indiano e i primi tempi aveva anche evitato di restare da sola con lui visto che riusciva a metterla in un notevole stato di disagio.
Lily aveva imparato che era per natura molto silenzioso e riservato, poco incline alle chiacchiere futili da salotto.
Per evitare quegli opprimenti silenzi la ragazza aveva così tentato, di volta in volta, di trovare un argomento che tirasse fuori più che qualche risposa secca senza speranza di replica.
Aveva scoperto che al ragazzo faceva piacere parlare del suo villaggio, Kanatahséton, e si dimostrava sempre disponibile a condividere piccoli stralci della vita che ormai si era lasciato alle spalle. Connor non le aveva mai rivelato il perché si era allontanato dalla sua gente né Lily era desiderosa di chiedere per paura di prendere una strada sbagliata con l’indiano, toccando tasti che non andavano toccati. Perché voleva che la loro amicizia funzionasse. Di punto in bianco si era ritrovata a desiderare un modo per andare d’accordo perché in fondo, le piaceva.
Il tempo aveva fatto il suo lavoro e di conseguenza il disagio iniziale che provava si era tramutato in imbarazzo e l’ansia e la paura di restare sola con l’indiano avevano preso sorprendentemente la forma di un’attesa perenne: i momenti che avevano a disposizione per stare assieme durate la giornata erano si e no una manciata visto che era sempre impegnato con lavori in giro per il villaggio oppure in allenamenti fisici estenuanti di cui Lily non riusciva a capirne appieno l’utilità.
Così, durante il tempo libero o prima di addormentarsi, aveva iniziato a fantasticare e a rimuginare sulle parole che il ragazzo le rivolgeva, cercando in ogni gesto o in ogni sguardo innocente un qualsiasi appiglio che potesse farle sperare di essere in qualche modo ricambiata.  Ma niente, Lily non era riuscita a trovare nemmeno un indizio che le facesse intuire ciò che pensasse l’indiano.
Se Connor era un libro aperto allora era di certo scritto in una lingua che Lily non riusciva a comprendere.
Aveva sempre pensato che l’esistenza si suddividesse in capitoli, come nei libri che era solita leggere, e che quelli più importanti fossero i capitoli finali mentre i centrali erano soltanto un intermezzo per riempire la storia. I due anni trascorsi alla tenuta le fecero capire che spesso, nel modo in cui si racconta una storia, le parti centrali sono le più importanti. E’ ciò che c’è nel mezzo che ci porta a delle scelte. Non come iniziamo o quello che scegliamo di fare alla fine ma le esperienze che ci sono a metà strada.
Se due anni prima, quando fermarono il loro carro lungo una strada qualunque di Concord, qualcuno le avesse detto che con l’indiano sarebbe finita in quel modo, non ci avrebbe mai creduto. Non avrebbe mai potuto immaginare né accettare che potesse avere un lato così buono.
Era così abbagliata dalle convinzioni che le erano state cucite sulla pelle durante tutta la sua esistenza che vedere qualcosa di diverso si era rivelato complicato. E poi era così occupata con la sua condizione di martire da dimenticare che nella vita esistono cose peggiori che fare la domestica in un luogo così lontano da tutto ciò a cui era sempre stata abituata.
Alzò lo sguardo quando udì la porta della villa aprirsi: era Connor.
Le fece un cenno col capo e la raggiunse in cucina. «Avrei un favore da chiederti».
«Se si tratta ancora dei maiali di Prudence la risposta è no», disse. «Sai com’è finita l’ultima volta».
«Niente di simile», le sorrise mentre si sedeva sulla panca in legno vicino al tavolo. «Solo una domanda».
«Chiedi pure allora», disse mentre si piegava nuovamente per analizzare la teglia in metallo. Ancora qualche minuto e sarebbero stati perfetti.
«Cosa farebbe piacere ricevere ad una donna come regalo?».
«Cosa?». Si accorse che la propria voce era impastata, improvvisamente arida.
«Un regalo per una donna», disse allargando le braccia. «Ho bisogno di sapere cosa vorrebbe una donna in regalo».
Lily si scoprì a ingoiare un nodo che le si era formato in gola. «Dipende da chi deve riceverlo, immagino. Chi è la fortunata?».
«Meglio non dirlo, per ora», rispose. «Norris sta cercando di corteggiare una donna».
«Oh. Oh!». Se Lily avesse potuto schiaffeggiarsi da sola senza sembrare completamente fuori di testa lo avrebbe fatto in quell’esatto istante.
«E ti prego, non dirmi dei fiori. Non hanno funzionato».
«Beh, non saprei. Ogni persona ha gusti differenti», disse mentre si voltò per tirare fuori la teglia. «Norris dovrà conoscere un minimo questa donna, sapere ciò che può esserle utile oppure no».
Appoggiò la teglia sulla pietra cotta, aspettando che si raffreddasse. Almeno l’odore sembrava buono.
«Immagino di si», commentò l’indiano mentre sollevava le spalle, la sua attenzione ormai rivolta alla teglia di dolcetti.
«Quale mi consigli?».
Lily guardò attentamente la teglia. Aveva cercato di dare una forma ad ogni biscotto ma ora che erano usciti fuori dal forno avevano assunto una figura ben lontana da quella che aveva creato in partenza.
«Solitamente quelli al centro sono quelli che vengono cotti meglio».
«Ok, mi fido».
Passarono il successivo quarto d’ora a chiacchierare. Forse, quel termine non era propriamente adatto ma la conversazione fu piena di commenti sui dolci e cose così.
Lily non aveva idea di quello che stava facendo ma quei pochi minuti trascorsero come uno di quegli eventi che vedi sfilare davanti agli occhi senza fare niente.
«Vuoi che ti accompagni oggi? Sarà buio fra poco».
«Non preoccuparti, la locanda è vicina».
«Non è un problema, devo ancora allenarmi oggi», arcuò le sopracciglia. «Mazza ferrata».
«Uhm. Non so nemmeno che aspetto abbia»
«Se vuoi te lo mostro».
«Certo, come no».
Connor rise e Lily sorrise di piacere perché non era una cosa che il ragazzo faceva spesso.
«Di che diavolo state parlando? Vi sentivo ciarlare dal piano di sopra».
Achille, si diresse verso Lily rubando un biscotto che in principio doveva essere a forma di omino. Lo decapitò e poggiò i gomiti sul ripiano.
«Com’è?», chiese la ragazza.
«Troppa cannella».
«Non si chiamerebbero biscotti alla cannella, sennò».
Il vecchio decise di chiudere subito quella discussione con un gesto infastidito della mano.
Quando Achille era entrato in stanza non le era sfuggita, anche se fu solo per un attimo, l’espressione tesa che si era formata sul volto del ragazzo.
Le cose non andavano esattamente nel migliore dei modi da quando era tornato da New York. O meglio, erano tornati.
Dopo circa due settimane dalla partenza dell’indiano, alla tenuta arrivò una lettera che mise visibilmente in apprensione il signor Achille.
Il contenuto della lettera, come molte altre cose in quella casa, le era oscuro ma l’agitazione del vecchio e soprattutto la sua improvvisa decisione di partire per New York le fecero capire che qualcosa doveva essere andato storto con Connor.
Quella fu la prima volta che si sentì in apprensione per il ragazzo. Se avesse saputo che quello non era niente, probabilmente si sarebbe fermata quel giorno.
Dopo due interminabili settimane, i due fecero ritorno e Lily poté vedere la conferma delle sue paure sul volto segnato da lividi in via di guarigione del ragazzo. Nessuno però né parlò mai o almeno non quando Lily era presente. Che ci fosse qualcosa di teso fra i due era chiaro ma ogni qual volta la ragazza metteva piede in una stanza i due interrompevano i loro discorsi e tornavano alle loro faccende.
«Preparami il thè e poi torna a casa, farà buio presto», le ordinò mentre si recava nuovamente in salotto. «E portami anche qualcuno di quei biscotti». Lily sorrise. Sapeva che l’avrebbe attesa seduto sulla sua poltrona preferita, proprio vicino al camino.
Come se fosse stato punto improvvisamente da qualcosa, Connor si alzò di scatto dallo sgabello, lasciandola quasi interdetta.
«Devo recarmi agli allenamenti, qui non ho nulla da fare».
Quella frase sembrò spiazzare la ragazza, la delusione che calava come un velo sui suoi lineamenti.
«Se non hai di meglio da fare, vai».
Stava per prendere la porta quando si voltò il tempo di un attimo.
«Scusami, non volevo dire che stare con te è tempo sprecato».
Lei rimase a fissare la sua schiena mentre spariva dietro al corridoio.
   
Due giorni dopo, mentre stava riscaldando gli avanzi dello stufato di mezzogiorno in un tegame, udì le voci di Connor e Achille provenire dal piano di sotto.
Provenivano dall’unica stanza in cui non le era assolutamente concesso entrare: lo strano passaggio celato da un meccanismo a comparsa che conduceva ad un piano sottostante.
Si avvicinò al muro che combaciava proprio con la cucina e tese le orecchie, in ascolto.
Inizialmente non riusciva a distinguere ciò che dicevano ma era sicura stessero discutendo ancora una volta.
«La tua è un’idea stupida, priva di qualsivoglia logica». A quel punto udì distintamente la voce del vecchio, probabilmente si erano avvicinati all’uscita del passaggio nascosto.
«Perché ciò che fai tu ha senso?». Adesso era stato Connor a parlare. «Anzi no, perdonami. Ciò che non fai e non hai mai fatto in tutta la tua vita».
Lily si stupì per un attimo. Non aveva mai sentito così tanta rabbia nel tono di voce del ragazzo.
«Come ti permetti?», urlò Achille e poi avvertì il rumore di passi pesanti salire delle scale. «Connor!».
Lily si appiattì contro la parete mentre avertiva il ragazzo passarle accanto dall’altra parte del muro e uscire sbattendo la porta d’entrata della villa.
Il vecchio arrancò su per le scale mentre continuava a chiamare il nome del ragazzo. Per lui la discussione non era conclusa e fu ancor più ovvio quando cercò di inseguirlo anche al di fuori della villa.
In quel momento Lily pensò che quei due le avrebbero portato via la sua già precaria sanità mentale.
Con un sospiro si affacciò sul corridoio e la prima cosa che i suoi occhi captarono fu l’entrata per il piano di sotto lasciata aperta.
Senza nemmeno avere la decenza di pensarci si affacciò con la punta del naso verso l’entrata ma visto che le scale finivano a ridosso del muro non vi fu modo di soddisfare la sua curiosità.
Lanciò uno sguardo incerto verso la porta per l’esterno che era appena stata utilizzata dai due e si disse che se avesse sceso un paio di gradini non se ne sarebbe accorto nessuno. Ma due gradini diventarono quattro.
La prima cosa che avvertì fu un brivido che le attraversò le ossa. Era ormai dicembre e quella stanza sotterranea risentiva la mancanza di pareti in legno e un bel camino acceso.
La stanza era grande e quasi completamente buia, se non fosse stato per una piccola apertura posizionata in alto, verso il fondo della stanza.
Una specie di fantoccio fatto di stracci e legno era stato messo al centro della stanza mentre alle sue spalle vi erano altre figure in legno, alcune delle quali reggevano delle vesti.
Prima ancora che potesse pensarlo le sue gambe l’avevano condotta più vicino e ne sfiorò una con le punta delle dita che in qualche modo le ricordò quella che aveva visto indossare a Connor in alcune occasioni.
Proseguì verso destra e strabuzzò gli occhi quando si accorse della moltitudine di armi presenti, l’acciaio affilato che risplendeva sotto la luce della piccola finestrella.
La colpì anche la meticolosità con la quale erano sistemate. Pistole erano fissate su dei ripiani, file di spade e coltelli appesi vicino a degli scaffali in legno. E poi ancora mazze, bastoni, fionde, frecce, dardi e qualsiasi altra diavoleria con cui si poteva immagine di togliere la vita ad un animale.
Ma dentro di se si fece spazio l’angosciante sensazione che quelli non erano affatto strumenti da caccia e non erano fatti per uccidere bestie.
Si voltò e s’affrettò a raggiungere le scale prima che uno dei due tornasse. L’ultima cosa che desiderava era una strigliata da parte di Achille che ormai sapeva di essere di pessimo umore.
Prima che raggiungesse la sua destinazione scorse, con la coda dell’occhio, qualcosa che prima non aveva notato.
Sulla parete vi erano appesi sette ritratti, disposti in maniera quasi piramidale fra loro. Inizialmente, la ragazza, ipotizzò si trattassero di figure appartenenti alla famiglia Davenport ma scartò subito l’idea quando si rese conto che tutti erano uomini bianchi.
Accanto ad ognuno vi era un nome e un cognome e sotto alcuni di essi vi erano delle informazioni accompagnate da punti interrogativi che si accavallarono alle domande che si stavano formando nella mente della ragazza.
Il fatto che su alcuni di essi vi era segnata una croce non fece altro che aumentare il vortice che le si era creato nello stomaco.
Sollevò lo sguardo sul quadro posto al di sopra di tutti. La candela lasciata accesa sul tavolo illuminava il volto dell’uomo e ne accentuava l’aspetto severo, che quasi intimidiva lo spettatore.
Per qualche assurda ragione, la sua mente portò alla luce il volto di Connor che però risultava essere tutto l’opposto di quello sguardo freddo e distaccato.
Spostò lo sguardo verso la scritta al suo fianco. Haythan Kenway. Gran Maestro.
A quel punto, Lily sussultò per la seconda volta quel pomeriggio. Trattenne il respiro e affondò le unghia nei suo stessi palmi quando avvertì il bastone piantato fra le scapole.
Si voltò lentamente, indecisa se inventare una scusa plausibile o fuggire di corsa su per le scale e chiuderci Achille dentro, una volta per sempre.
Avrebbe voluto dire qualcosa.
Una cosa qualsiasi.
Ma le parole non volevano lasciare la sua gola.
«Hai bruciato la cena».
 
   
 
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