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Autore: steffirah    18/04/2020    1 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un cuore infranto



 
Seguii i suoi passi senza neppure fiatare, calpestando le sue orme nel terreno. Le sue falcate erano più ampie delle mie ma, in qualche modo, con un po’ di agilità riuscivo a starvi dietro.
Quando si accorse della stranezza di quelle mie azioni si voltò di poco, guardandomi interrogativo.
«Che stai facendo?»
«Cerco di raggiungerti.» Gli sorrisi, facendo un saltello per affiancarlo, contenta. «E ci sono riuscita.»
Si fece scappare una mezza risata, il che mi risollevò. E io che temevo potesse essersi arrabbiato con me.
«Cosa ti va di fare?» domandò di punto in bianco, riprendendo il cammino.
Ci pensai su mentre ci inoltravamo nel fitto della foresta.
«Mmm… Non saprei…»
«Decidi tu» concesse, lasciandomi libertà di scelta.
Scavai a fondo nei miei pensieri, infilando le mani nelle tasche del cappottino. Solo allora percepii della carta al di sotto dei miei polpastrelli. Giusto! La afferrai, distendendola per bene, mostrandogliela.
«Le hai scritte tu?» chiesi, indicando le note sul pentagramma.
Il giorno del mio compleanno non ci avevo fatto minimamente caso, essendo buio; soltanto in seguito, una volta tornata in camera, avevo ripreso la carta rosata coi cristalli disegnati che incartava il suo regalo, cercando di lisciarne le pieghe il più possibile. Quando la voltai, per pura casualità, mi accorsi che sulla parte bianca erano state tracciate cinque linee rette parallele in cinque righe, nelle quali erano incastonate note musicali. Non avevo ancora avuto modo di stare totalmente sola con lui per chiedergli cosa fosse.
Annuì, al che mi illuminai.
«Anche questo è un regalo?» ipotizzai eccitata.
«Sì, anche se…» Sviò lo sguardo, scompigliandosi i capelli, sembrando nervoso. «Ad essere onesto, avrei voluto farti un dono musicale. Avrei voluto suonartelo. Ma sarebbe stato incompleto.»
«Incompleto?» ripetei, cercando di capire cosa intendesse. «Vuoi dire che è una composizione tua?!» domandai basita.
Assentì imbarazzato ed io esultai sul posto, saltellando e facendo giravolte, esclamando felice: «Mi hai regalato una composizione tua!!»
Lo sentii ridacchiare mentre mi toglieva il foglio dalle mani, dandovi una rapida occhiata.
«Questo è un pezzo centrale.»
«Me lo fai sentire?» lo implorai, facendogli gli occhi dolci.
«Vuoi che te lo suoni? Anche se non è un brano finito?»
Annuii vigorosamente, gasatissima. Mi sarebbe piaciuto così tanto! In realtà, mi sarei accontentata anche se me la avesse soltanto canticchiata – purtroppo, riuscivo a leggere le singole note ma non avevo idea di che suono avessero gli accordi.
«Allora andiamo a casa mia?» propose.
«Sì!»
Mi riappropriai del foglio e lo piegai per bene per rimetterlo a posto, sentendomi fluttuante.
«Mi mostreresti anche i ritratti che fai?»
«Come fai a sapere dei ritratti?»
Mi rivolse un’occhiata sospettosa, alla quale mi strinsi nelle spalle.
«Sai, Meiling-chan e Tomoyo-chan.»
«Dovrei tagliare la lingua a mia cugina» meditò malignamente.
Mi finsi sconvolta, portandomi una mano alla bocca.
«Oh no, povera Meiling-chan!»
Emise una breve risata malvagia, giusto per dare un nuovo gusto al momento, facendomi ridere dilettata.
«Comunque, me li mostri?» insistei, sperando accettasse.
Lui sfuggì di nuovo dal mio sguardo, esitante.
«Potresti considerarmi male.»
«Male? Perché?»
«Perché…» La sua voce si spense, senza che concludesse. Sospirò, lasciando perdere, e mi prese in braccio senza alcuna anticipazione.
Sorpresa mi aggrappai a lui, giusto un secondo prima che cominciasse a correre nella sua velocità naturale. Poggiai il mento sulla sua spalla, approfittando del fatto che fosse ancora giorno per poter guardare gli alberi che sfrecciavano attorno a noi, simili a quando si guardavano i cespugli sul ciglio della strada dal finestrino di un’auto in corsa. Erano righe verdi e marroni, in diverse sfumature, di una tinta potente, in una scia che si estendeva oltre i nostri corpi, quasi continuando all’infinito. Era incantante.
Appena giungemmo sulla soglia di casa sua mi fece scendere e mi scrutò in viso, forse alla ricerca di qualche segno di paura o malessere; ma quel che ricevette da me fu unicamente una gioia infinita. Adoravo quando mi rendeva partecipe del suo vero io, permettendomi l’ingresso in quella che ritenevo essere la sua quotidianità.
Scrollò la testa rivolgendomi un sorriso sghembo, prima di aprire la porta, informandomi: «Oggi non c’è nessuno.»
«Come mai?»
«Meiling è uscita con Feimei e alcune sue compagne di classe, le altre mie sorelle sono a lavoro, mentre mia madre è a una riunione. Mi è parso di capire che intendono sviluppare un nuovo prodotto.»
«Oh, spero vada a buon porto.»
Allungò un braccio e io, capendo, lo ringraziai, togliendomi immediatamente il cappotto per permettergli di posarmelo su uno dei ganci uncinati dell’attaccapanni a muro.
«Quindi, mi dispiace dirlo, ma niente tè. A meno che non ti accontenti di qualcosa di più semplice e veloce della cerimonia stessa.»
Scoppiai a ridere, scuotendo la testa.
«Syaoran-kun, mi basta vedere i disegni e ascoltarti. Sarà quello a saziarmi.»
Mi contemplò tacito per un po’ prima di decidersi a proseguire, salendo verso la sua camera. Qui mi fece segno di accomodarmi sul letto e io non me lo feci ripetere, trovandolo sin da subito più morbido di quanto mi aspettassi. Presi un cuscino e lo posai accanto alla parete, appoggiandomici contro. Anche in esso quasi sprofondai. Che fosse in piume?
Le mie considerazioni andarono in fumo quando venne ad accomodarsi di fronte a me, dopo aver preso un raccoglitore da una cassettiera con apertura simile a quella di una porta scorrevole in carta di riso. Forse poteva somigliare di più ad un mobiletto.
Si sedette a gambe incrociate e aprì il raccoglitore, porgendomi diversi fogli. Li voltai verso di me, restando a bocca aperta sin dal primo, che rappresentava sua madre. Era perfetta, non le mancava assolutamente nulla. E l’espressione calma del suo viso sembrava così vera, quasi palpabile.
«È mille volte meglio delle fotografie…» sussurrai tra me, sfogliando le altre.
«È solo il mio modo di vedere gli altri» farfugliò con aria impacciata, in tono basso.
Sorrisi tra me, ammirando le sue sorelle, con tratti più adolescenziali di come le conoscevo. Andai avanti, trovando decine di persone diverse. Lui me le indicò poco alla volta: oltre ai membri della sua famiglia, c’erano tutti coloro che aveva conosciuto nel corso della sua vita, dai professori fino ai compagni di classe, rappresentando proprio scene di vita scolastica. Lo avevo sempre detto che lui si fingeva indifferente al resto, mentre in realtà aveva una cura particolare per ogni singola cosa e persona che incontrava sulla sua strada.
«Ritrai solo persone?» domandai proseguendo, notando che sebbene la maggior parte fossero realizzati a matita o col carboncino ce n’erano anche alcuni a colori, tra cui uno buffissimo di Meiling-chan che faceva una boccaccia. Chissà che non fosse stato eseguito per farle un dispetto.
«Ogni tanto dipingo anche paesaggi.»
Si alzò, forse per recuperare anche quelli, mentre io ammiravo Eriol-kun e Tomoyo-chan commossa. Sembravano veramente serafici.
«Hai colto appieno l’essenza di mia cugina ed Eriol-kun» gli dissi, sorridendo raddolcita.
«Sono bei modelli, in effetti» considerò, ridendo.
Seguii la sua risata per poco, finché non passai alla pagina successiva; e allora il cuore parve arrivarmi in gola. Lo riconobbi immediatamente, portandomelo accanto al viso. Ancora una volta, era come guardarsi allo specchio.
«Sei riuscito ad averlo?»
Lo si poteva chiedere al sensei? Anche io avrei tanto voluto avere con me il ritratto che gli feci, il primo giorno in cui parlammo.
«No, l’ho rifatto.»
«L’hai rifatto?!»
Alzai gli occhi su di lui, scioccata. Si ricordava di me in maniera così nitida, dettagliata e perfetta?
«Non il giorno stesso perché stavo male, a causa della luna. Ma qualche giorno dopo tentai di riprodurlo» confermò, riaccomodandosi, mostrandomi piccole tele con paesaggi montuosi e boschivi, valli, villaggi e corsi d’acqua, ricchi di colori pastello in pennellate morbide, sottili.
«Wow» mormorai soltanto, incapace di esprimermi. Erano mozzafiato. Un incrocio tanto armonioso di toni caldi e freddi. «Sono tutti bellissimi, anche -»
Mi interruppi a metà frase, la saliva mi si bloccò in gola non appena tornai ai ritratti.
Con dita tremanti presi un disegno che ancora non avevo visto, a colori, che riconobbi immediatamente: me, la sera di Halloween. Poi ancora, c’ero io con la divisa da cheerleader, durante un’esibizione. E ancora, io che sorridevo nella neve, in montagna. Io, seduta serena in mezzo ai lupini in fiore. Io che carezzavo cauta lo shima-enaga, circondata da fiocchi di neve. Io protesa sulla balconata della veranda, con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Io che gli porgevo il regalo di Natale, avvolta da luminose stelle fluttuanti sulle rose, in una magica atmosfera. Io che dispettosa fingevo di mordere la cioccolata a lui riservata. Io che volteggiavo in mezzo ai loro pruni, coi capelli pieni di quei boccioli. Io abbracciata da ideali ciliegi in fiore, nel giorno del mio compleanno.
Lo guardai con le lacrime agli occhi, portandomi una mano sulle labbra.
«Sono stupendi…» piagnucolai.
«Sei tu ad esserlo, Sakura. Non i disegni» mormorò con un fil di voce, facendomi nuovamente trattenere il fiato. Il sangue parve pervadermi il viso, travolgendomi come uno tsunami. Il cuore sembrò saltarmi ovunque nel corpo, ballonzolando da un’estremità all’altra, come impazzito.
«Comunque» riprese rapidamente, forse per toglierci dall’imbarazzo, riappropriandosi di tutto; mise i fogli in ordine e li posò nel giro di un minuto, mentre parlava. «Ora potresti pensare che sono una sorta di stalker. So che potrebbero sembrare fraintendibili, ma da quando c’è il divieto per gli specchi e le fotografie lo facciamo tutti. Un po’ è per capire come siamo fatti, non avendo la possibilità di guardarci. Per quanto mi riguarda, parzialmente è per non dimenticare momenti importanti, ma soprattutto… Soprattutto, è per poter avere queste persone con me, anche quando non ci saranno più.»
Lo fissai un po’ stranita, ma non mi concesse il tempo di riprendermi e porgergli domande a riguardo che mi afferrò le mani, facendomi alzare per condurmi di sotto.
«Pronta ad ascoltarmi?»
Feci un cenno flebile col capo, sentendomi ancora intontita.
Mi sedetti sul divano, nello stesso posto occupato da sua madre la prima volta che misi piede in questa casa. Lo osservai in tacita contemplazione mentre si sistemava al pianoforte, chiudendo per un istante gli occhi. Quando li riaprì mi rivolse un tenero sorriso, prima di spostarli sulla tastiera dinanzi a sé. Suonò la prima nota con morbidezza, e ad essa ne seguirono tante altre, dolci, fluide, pastose. La melodia inizialmente era vivace, piena di vita e, contemporaneamente, sommessa, bloccata in un punto fermo che tornava, più e più volte; poi decadde in un suono più tenue e lento, che gradualmente diveniva sempre più caldo, fino a sistemarsi su un pentagramma sicuro, ricco di gioie e certezze.
Mi sentivo profondamente toccata e scaldata da quella dolce sinfonia per due ragioni: riuscivo a sentirlo, in essa, uno Syaoran-kun freddo e schivo che evolveva in uno Syaoran-kun più sincero e vero; non più da solo, perché con lui c’ero io. In quella musica, vedevo una rappresentazione di me stessa.
Come sotto incantesimo mi alzai, totalmente rapita, e mi avvicinai a lui.
Senza interrompere il suono si spostò, facendomi spazio; per cui scivolai al suo fianco sullo sgabello, permettendogli di confortarmi, mantenendo gli occhi fermi sulle sue dita. Come quella volta a scuola, sembravano a malapena sfiorare i tasti. C’era così tanta calma e pace nei suoi movimenti, così tanta felicità che mi stringeva il cuore.
Le lacrime mi pizzicarono gli occhi, soprattutto quando il suo tocco, pur facendosi ancora più leggero, risuonò persino più intenso, sopravvivendo nelle mie orecchie, risuonando nella mia anima. Era come se lui mi stesse plasmando, ci stesse plasmando, e stesse raccontando per noi una storia ricca di amore e serenità. Forse era soltanto una mia impressione, forse era il mio modo di percepire ed interpretare quel componimento. Forse significava tutt’altro, ma anche se così fosse stato, almeno per il momento non volevo rinunciare a quel sogno che mi stava facendo vivere. Seppure si fosse trattata di una chimera. Così, mi lasciai avvolgere da quegli accordi piacevoli: lasciai che mi abbracciassero, mi scaldassero, mi cingessero, mi baciassero. Finché non giunse all’ultima sequenza, interrompendosi improvvisamente.
Non appena smise di suonare mi voltai verso di lui, consapevole di essere in lacrime.
Lui mi rivolse un piccolo sorriso, asciugandole con la punta delle dita, chiedendomi: «Ti piace per ora?»
Annuii col capo, tirando su col naso, finendo di asciugarmi le gote bagnate. Era già meraviglioso così, una volta completo sarebbe stato un capolavoro.
«Perché piangi?» domandò impensierito.
Lo guardai accorata, decidendo di essere onesta.
«Perché ti ho sentito più vicino che mai.»
Sbatté le ciglia, sorpreso, prima di annuire, addolcendosi.
«Doveva parlare di noi.»
Lo fissai incredula, ma lui sviò repentinamente lo sguardo, posandolo sui tasti. Li sfiorò superficialmente con una delicatezza e una tenerezza disumana, mentre io piano piano rielaboravo le sue parole.
«Ho cominciato a comporre questo brano dopo averti conosciuta. È come con i disegni: dapprincipio doveva trattarsi soltanto di una replica che volevo tenere con me, ma poi ho iniziato a ritrarti per poterti ricordare per sempre e averti eternamente al mio fianco, così come sei. Nello stesso tempo ho cominciato a buttare giù una bozza di questa nuova sinfonia partendo da qualche nota e… la musica è venuta da sola. Mi bastava pensare a te e a tutto ciò che desideravo potesse accadere tra di noi. Tutto ciò che speravo potesse avvenire. Così hai preso forma tu, così come sei, e io, totalmente cambiato. Noi, in un’unica melodia che, per quanto sia mera musica, ci permette di coesistere, di vivere in simbiosi, di restare uno accanto all’altra.»
Chiuse gli occhi, sorridendo con mestizia.
«In questa canzone, Sakura, posso toccarti senza dovermi preoccupare di nulla. Posso abbracciarti, stringerti a me con tutte le mie forze, senza temere di farti del male. Sentire su di me il tuo calore, senza impazzire – almeno, non in senso negativo» ridacchiò lievemente, guardandomi con dolcezza e intensità, tornando immediatamente serio. «Posso baciarti, senza macchiarti col mio peccato.»
Sgranai gli occhi, sentendomi mancare. Ecco cosa stava facendo: aveva creato una versione di noi stessi realizzabile, in un mondo in cui secondo lui non avremmo potuto realizzarci. Ma si sbagliava!
«Puoi farlo. Sai che puoi farlo.»
La mia voce tremava, così come notai stessero facendo anche le mie mani, per cui le strinsi sulla mia maglia. Era per quello che si tirava sempre indietro? Perché temeva di “sporcarmi”?
Quando riprese a parlare lo fece con un’immensa tristezza, e la mia stretta sulla stoffa si fece talmente forte che vidi le mie nocche divenire bianche.
«Non posso assolutamente farlo. Forse tu non te ne rendi conto, Sakura, ma la mia bocca è… è la mia arma principale.» Abbassò lo sguardo, come se provasse ribrezzo nei confronti di se stesso. «È ciò che io uso per uccidere, per rubare la vita. Questo non devi dimenticarlo.»
«Ti sbagli» scossi la testa, provando a parlargli col cuore. «La tua bocca chiama il mio nome. Mi parla, mi conforta, mi sorride.»
«Non dovrebbe osare fare neppure questo» mi interruppe, digrignando i denti, frustrato. «Già ho commesso innumerevoli errori toccandoti, anche soltanto con le mie mani. Ma per quanto io mi ammonisca ogni volta di non farlo, di non ricascarci, non riesco proprio a fermarmi. Sono così debole, così schiavo dei miei sensi, così terribilmente egoista. A volte penso che se ti baciassi, potrei ripulirmi di tutto il sangue di cui mi sono macchiato ma… una simile espiazione non me la merito.»
Strinse anche lui i pugni sulle ginocchia, tremando, fissando gli occhi sul pianoforte. Sapevo che per lui fosse impossibile in quel periodo, ma mi sembrava di vedere lacrime sgorgare da essi, rigandogli il viso.
«Io non ti merito. E sono stato egoista anche nel regalarti una parte di me. Da un lato vorrei tu non mi dimenticassi, ma dall’altro mi dico che sarebbe molto meglio se tu lo facessi. Così potrai andare avanti con la tua vita, tornando alla quotidianità spensierata in cui hai vissuto prima di venire qui, a Reiketsu, e conoscermi. Una volta che sarai ritornata a Tomoeda continuerai il liceo, ti innamorerai, un giorno ti sposerai, avrai una famiglia e dei bambini e in futuro anche dei nipoti, vivendo appieno la tua vita.»
Era la seconda volta che mi confondeva con quei discorsi; non capivo dove voleva andare a parare, ma poi fu come se venissi colpita in pieno da un fulmine. Spalancai le labbra, sconvolta, capendo la sua implicazione. Era per quello che aveva composto quella storia! Perché nella vita reale lui non aveva immaginato un futuro insieme a me! Syaoran-kun mi vedeva crescere e invecchiare, da normale umana qual ero, mentre lui a un certo punto si sarebbe fermato ad una determinata età. Lui non pensava di mordermi. Lui non pensava di rendermi una sua simile. Lui non sognava di trascorrere l’eternità con me.
Tale realizzazione mi fece crollare il mondo addosso. Chinai lo sguardo, non volendogli mostrare tutta la mia devastazione. Mi sentivo ferita, lacerata, strapazzata e schiacciata. Per lui non significavo niente? Sarei stata unicamente un mero ricordo? Un sogno infranto?
Mi alzai di scatto, prossima al cedimento. Senza degnarlo di parola gli voltai le spalle, correndo fuori di lì. Via. Dovevo assolutamente andare via.
Quando misi piede oltre la casa nuove lacrime avevano già ricominciato a scivolarmi sul viso. Ma stavolta era diverso. Stavolta erano manifestazione di dispiacere, espressione di sofferenza. Mi aveva rifiutata. Senza che neppure fossi riuscita a dichiararmi, Syaoran-kun aveva già posto dei limiti alla nostra “relazione”, non prendendola minimamente in considerazione. Senza che potessi confessargli quel che provavo da mesi ormai, lui aveva spezzato ogni cosa, sciogliendo i nostri legami, cancellando i miei sentimenti, mostrandomi l’impossibilità dello stare insieme. Non era altro che la realtà dei fatti, eppure faceva così male. Avrei preferito mille volte chiudermi eternamente in una gabbia di sogni irrealizzabili, piuttosto che dover affrontare tutto questo.
Corsi a perdifiato, ma una volta oltre il sentiero che conduceva al bosco dietro casa Daidouji me lo ritrovai davanti. Mi bloccai nei miei passi, trattenendo i singulti, e solo allora mi accorsi che pioveva, unicamente perché la pioggia aveva bagnato totalmente il suo volto, ora contorto in una maschera di dolore. Diveniva sempre più offuscato, sempre più velato, al che chiusi gli occhi, singhiozzando.
Delusione. Sofferenza. Ma anche rabbia. Ero così arrabbiata, perché lui non mi aveva dato possibilità di esprimere la mia opinione. Lui non aveva chiesto il mio parere, non si era interrogato sui miei sogni e le mie speranze.
Scivolai sul suolo e mi portai le mani sul viso, non volendo farmi vedere in un momento di tale debolezza. Soprattutto non da lui.
Lo sentii coprirmi con quello che supponevo essere il mio cappotto, ma non appena percepii una sua mano posarsi tra i miei capelli, forse per calmarmi, mi feci istintivamente indietro, respingendolo.
Il suo guardarmi ferito, tuttavia, mi pugnalò nuovamente. Ma che stavo combinando, con l’unica persona che avessi mai amato? Perché non mi sforzavo di guardare le cose dal suo punto di vista? Perché non cercavo di capirlo?
Presi un respiro, guardandolo dritto negli occhi – anche se, attraverso le lacrime, si faceva per dire. C’era un unico modo per uscirne, indenne o dilaniata, e quello era essere totalmente sincera.
«Syaoran-kun» lo chiamai, tentando di suonare il più ferma e decisa possibile. «Non voglio dimenticarti. Non voglio vivere una vita in cui tu non esisti. Non voglio andare avanti fingendo di non conoscerti, lasciandoti indietro.»
«Ma devi -»
«Non interrompermi!» esclamai con durezza, scaldandomi, per subito riprendere tremante. «Ammetto che inizialmente mi sono avvicinata a te per… curiosità. Sì, curiosità, ma è stata di breve durata, perché essa è stata immediatamente sostituita da apprensione. Sono sempre, sempre, stata preoccupata per te, sempre stata coinvolta da te. Non sono mai riuscita ad ignorarti, neanche quando tu mi imponevi di farlo o io stessa tentavo di convincermi che fosse la cosa più giusta. Così mi sono avvicinata a te, ti ho conosciuto, ti ho visto per ciò che realmente sei. Mi sono affezionata a te, ho cominciato a volerti un bene indescrivibile, un bene mai provato per nessuno prima. Un sentimento così diverso da quello che sento per i membri della mia famiglia o per i miei amici. Un sentimento sconosciuto, che impeccabilmente, inevitabilmente, mi porta da te. Stando al tuo fianco mi sono sempre sentita protetta ma, prima di questo senso di protezione, c’è la felicità. Una gioia incommensurabile, senza pari, che soltanto tu riesci a donarmi. Se sparissi sparirebbe anche questo. Se mi lasciassi mi sentirei totalmente abbandonata e svuotata. E lo so che parlo quasi come se noi fossimo una coppia, ma è perché con te… con te ho instaurato un rapporto tanto particolare, che solo noi due condividiamo. E so che lo stesso vale per te. Ti conosco, Syaoran-kun, e so che non mi vuoi fuori dalla tua vita. So già che avrai da ridire che la tua non è vita, ma credimi, lo è. Finché c’è un cuore che batte, anche tu sei vivo. Anche tu sei umano. Siamo più simili di quello che credi, quindi ti prego, non dividerci così. Non separarci come se appartenessimo a due mondi diversi, perché tu ormai sei parte essenziale del mio mondo, così come io sento di essere divenuta parte portante del tuo mondo. Se dovessimo prendere strade diverse, entrambi perderebbero le loro fondamenta e crollerebbero.»
Mi ascoltava senza ribattere nulla, ma mi accorgevo di quanto fosse partecipe di quel che stavo dicendo. Sapevo che si trovava d’accordo con me, ma se non me lo diceva era sicuramente perché “voleva farmi vivere la mia vita”. Come se io fossi stata in grado di viverla senza di lui. Era sciocco anche soltanto a pensarlo.
«Adesso ho capito. In realtà, l’ho capito già da un po’ di tempo, ma non ho trovato mai il coraggio di dirtelo perché… avevo paura di rovinare tutto» aggiunsi flebilmente, calmandomi parzialmente. «Ma ormai non c’è più molto che resta da rovinare, quindi posso essere del tutto onesta.»
Alzai la testa, fronteggiandolo determinata.
«Ti amo. Ti amo, tantissimo. Immensamente.»
Lo vidi sgranare gli occhi come se avesse ricevuto una notizia sconvolgente, il suo volto perse totalmente colore, divenendo bianco quanto un lenzuolo. Mi sfuggì un breve sorriso in mezzo alla mia afflizione.
«Ammetto che, proprio a causa di questo amore, ho immaginato spesso che un giorno tu decidessi di mordermi e trasformarmi, affinché potessimo stare insieme per sempre. Ma sembra che abbiamo aspirazioni divergenti» conclusi fiacca, spezzandomi in una nota rotta. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a celargli il mio cuore infranto. Per quanto tentassi di raccoglierne i cocci, dei meri cerotti non bastavano a tenerli insieme e risanarli.
Mi misi in piedi e abbassai la testa, passandogli oltre. Ormai non mi restava più nulla da dirgli, per cui me ne andai, bagnata dalla pioggia e le lacrime.










 
Angolino autrice:
Buonasera! Vorrei parlarvi di cose belle, ma dopo questo capitolo mi sono depressa. Non mi sembra ci sia nulla da spiegare, quindi vi confesso soltanto una cosetta: quando ho immaginato il componimento avevo in mente "L'allodola" di Balakirev e "Liebesleid" di Kreisler (lo scrivo per darvi un'idea di come dovrebbe essere; solo che in certi punti è un po' più dolce e allegro di questi). 
A presto
  
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