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Autore: heliodor    19/04/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Scontro mortale

 
“Mi dici che cosa ci facciamo qui, Marq?” chiese Belia per l’ennesima volta.
Marq l’aveva ignorata nei due giorni precedenti, cercando di concentrarsi su quello che dovevano fare. Aveva trenta guerrieri e sei stregoni ai suoi comandi, oltre al suo gruppo di fidati combattenti. Belia, Lem, Brun e avrebbe voluto includere tra di essi anche Sibyl, se lei non fosse stata così poco propensa a collaborare.
C’erano stati due scontri in quei giorni, dai quali erano usciti vittoriosi ma con delle perdite e in entrambi i casi Sibyl si era rifiutata di combattere.
“Non ucciderò soldati dell’alleanza” aveva promesso quella sera nella tenda. E intendeva mantenere fede a quella promessa.
“A parte uno.”
Falgan, pensò Marq. È la sua ossessione. E non è una cosa buona. Devo tenerla lontana da lui o la ucciderà.
L’incarico ricevuto da Nimlothien gli era sembrata una buona cosa. Falgan e i suoi stavano puntando alla fortezza di Torfaren, quindi la scelta più logica era di starne lontani.
Facile a dirsi, pensò. Ma difficile a farsi.
La via per Torfaren attraversava la foresta e nei giorni in cui la stavano pattugliando si erano spinti, un po’ per caso e un po’ per necessità, proprio verso di essa.
In quel momento stavano seguendo un gruppo di soldati e stregoni dell’alleanza che stavano battendo quella pista, forse per conto di un’armata più grande.
Forse è quella di Galyon, pensò sgomento. In tal caso avrei commesso un errore enorme.
Dal punto in cui si trovavano poteva vedere Torfaren ergersi sul fianco della montagna, con le sue mura color grigio e le torri merlate che svettavano sopra tutto il resto. Oltre le mura vi era un cortile e dopo di questo il maschio, una struttura ottagonale alta quando trenta uomini adulti.
Non conosceva la storia di quel posto, ma sapeva che le fortezze del nord erano antiche, forse risalenti ai primi secoli della stregoneria, se non prima.
“Marq?” fece Belia con tono insistente. “Vuoi rispondermi o startene zitto come al solito?”
“Stavi dicendo?”
Belia sospirò. “Ti ho chiesto che cosa stiamo facendo qui.”
Sedevano nell’erba alta, sotto l’ombra gettata da un albero dal fusto possente e la chioma rigogliosa.
“Sorvegliamo il sentiero.”
“Da cosa? E da chi? Qui non è passato nessuno per tutto il giorno.”
“Non è detto che non passino.”
Belia sbuffò. “Dovremmo essere con tutti gli altri a combattere, invece di starcene qui a non far niente.”
“Ieri hai avuto un bel combattimento, no?”
“Quella era una scazzottata. Io parlo della battaglia vera. Dovevamo andare con Nimlothien.”
“Stiamo eseguendo i suoi ordini.”
“Che tu le hai suggerito di darci” rispose la donna. “E so anche il motivo per cui l’hai fatto.”
Marq stava per dirle che non voleva sentirlo, ma sapeva che Belia glielo avrebbe detto lo stesso, perciò tacque.
“Lo hai fatto per lei” disse.
“L’ho fatto per tutti” rispose.
Era la scusa che si era dato per giustificare quella decisione.
Così li proteggerò dalla battaglia, si era detto. Anche se hanno il diritto di combatterla. Hanno fatto tanta strada per essere qui oggi. Hanno rinunciato a tante cose, voltato le spalle ad amici ed alleati per seguire un sogno. Quello di essere liberi, di avere una dignità. E io li sto derubando di quel diritto. Per egoismo.
“Io ti capisco Marq” disse Belia. “Se Alyane fosse qui con me, farei di tutto per proteggerla e assicurarmi che non le accada niente di male. Ma lei non merita tutte queste premure da parte tua. Guardala, si è persino rifiutata di combattere al nostro fianco. È solo una stupida ragazzina che crede di poter fare di testa sua. Una ingrata.”
“Smettila, Belia” disse spazientito.
“Invece non la smetto, amico mio. Qui tutti la pensiamo così.”
“Tutti chi?”
“Lem, io. Gli altri soldati e i mantelli. Voglio che questo sia chiaro, Marq. Non ti abbandoneremo mai, ma non posso garantire fino a quando sopporteremo questa cosa.”
“Abbiamo degli ordini da seguire.”
“Siamo dei rinnegati, Marq. Tutti quanti. Se fossimo persone che seguono sempre gli ordini, non saremmo qui. Riflettici, amico mio.”
“È una minaccia?”
“È un consiglio da una buona amica che ci tiene a te.”
“Pretendi che ti ringrazi?”
Belia rispose con un’alzata di spalle e si spostò verso un albero strisciando nell’erba alta. Nel frattempo i soldati dell’alleanza si erano mossi, prendendo il sentiero a sud.
Per oggi non ci sarà nessuno scontro, si disse con sollievo. Almeno non dovrò discutere con Belia e cercare di coprire Sibyl.
La ragazza era in compagnia di Brun e Lem, cui aveva chiesto di occuparsene se non fossero stati impegnati a difendersi da un attacco.
Brun sembrava preoccupato, con l’espressione resa ancor più cupa dalla rete di cicatrici violacee che gli ricoprivano metà del viso.
Quando lo vide arrivare sembrò rilassarsi. “Ci sarà uno scontro?” chiese.
“Per oggi, no” rispose Marq.
Brun annuì solenne.
Aveva combattuto nei due scontri precedenti e si era dimostrato utile grazie ai suoi incantesimi. Con la corda era riuscito a bloccare due soldati che poi Belia aveva ucciso.
Brun era impallidito davanti ai cadaveri.
“Volevo farli prigionieri” aveva detto quasi a volersi giustificare.
“Niente prigionieri” aveva risposto Belia. “Loro non ne fanno e noi nemmeno.”
“Ci siamo meritati mezza giornata di riposo” annunciò. “Poi ci rimetteremo in marcia.”
“Per dove?” chiese Brun.
“Seguiremo il fiume fino al lago, in modo da tagliare la strada a eventuali pattuglie che risalissero la valle.” Era un piano prudente, che li avrebbe portati di nuovo lontani dalla battaglia.
Vigliacco, disse una voce dentro di sé.
Erano parole sue o era il ricordo di qualche antica discussione che aveva avuto? Non riusciva a ricordare quando e se l’avessero mai chiamato in quel modo.
Rinnegato lo ricordava, ma vigliacco, no.
Sibyl sembrava cupa in volto. “Posso parlarti?”
Non ora, avrebbe voluto risponderle, ma sapeva di doverle dire alcune cose e quella era l’occasione giusta.
“Non qui” rispose. La portò in un punto dove non potevano ascoltarli, poco distante dal sentiero dove si erano fermati per riposare.
“Io non posso restare, Marq” disse Sibyl.
“Non c’è un altro posto dove puoi andare. Non è sicuro allontanarsi ora. La foresta è piena di pattuglie, nostre e dell’alleanza. Uccidono tutti quelli che sembrano sospetti.”
“Posso usare l’invisibilità per muovermi” disse lei.
“Saresti invisibile per alcuni, ma brilleresti come un faro nella notte per altri.”
Era il punto debole di quell’incantesimo. Bastava un solo stregone con la vista speciale per individuare chiunque lo stesse usando.
“Allora troverò un altro modo.”
“Non conosci la foresta.”
“Marq” disse lei fissandolo negli occhi. “Io devo andare.”
“Morirai se ti separi da noi. Da me.”
Sibyl accennò un debole sorriso. “Finora ti ho procurato solo guai. I tuoi amici vorrebbero essere da tutt’altra parte, nel pieno della battaglia. E io vorrei essere altrove. Tu devi decidere con chi vuoi stare.”
“Ho già deciso” disse senza esitare.
Sibyl lo guardò sorpresa. “Allora vieni con me.”
Marq esitò. “Non posso.”
“Non puoi lasciare i tuoi amici al loro destino? Belia e Lem li possono portare alla battaglia evitando tutte le pattuglie. Sono esperti della foresta più di te.”
“Non è sicuro.”
“Io andrò via, che tu lo voglia o meno. Approfitterò di un tuo attimo di distrazione quando saremo sotto attacco o mi allontanerò quando nessuno mi nota. Ma io andrò via.”
“Sfidare Falgan e morire non riporterà in vita nessuno di quelli che sono morti. Lo so perché ho commesso questo errore prima di te.”
Sibyl lo guardò interdetta.
“Ti ho raccontato di come sono diventato un rinnegato?”
Scosse la testa.
“Ho ucciso una madre e sua figlia. Non volevo, ma è successo. Ed è stata colpa mia. Davo la caccia a un rinnegato. Falgan mi aveva detto di farlo e io volevo mettermi in luce con lui, in modo da entrare nelle grazie di Galyon. Ero giovane e stupido e pensavo che contasse solo quello. Così andai ad affrontarlo. Credevo di trovare un uomo solo, braccato, una facile preda. Ma non era solo. C’era la sua famiglia con lui. Non attesi che loro andassero via, lo affrontai lo stesso sicuro di riuscire a vincere. E vinsi. Il rinnegato morì e con lui la moglie e la figlia. Quando tornai da Falgan, lui si offrì di coprire il mio crimine. Avrebbero fatto in modo da far cadere la colpa sul rinnegato, accusandolo di essersi fatto scudo con i suoi cari. Me la sarei cavata con un richiamo che in poco tempo sarebbe stato dimenticato. Ma io non potevo dimenticare. Non volevo.” Scosse la testa a quel ricordo, come se un pugnale gli venisse rigirato nella carne. “Dissi a Falgan che sarei andato dai decani a confessare ciò che avevo fatto. Lui mi pregò di pazientare fino al giorno successivo. Avrebbe trovato una soluzione per salvare il mio onore senza compromettere la verità. Gli credetti e fu il mio secondo errore. Quella notte stessa vennero a prendermi con l’accusa di essere un pericoloso rinnegato che per vendetta aveva ucciso un confratello e sterminato la sua famiglia. Fui costretto a fuggire, diventando un fuggitivo.”
“Mi spiace molto Marq” disse Sibyl. “Quello che ti hanno fatto è ingiusto.”
“Non lo è” disse. “Io merito quello che mi è successo. Ogni cosa.” Fece una pausa. “Volevo uccidere Falgan” disse. “Lo ritenevo responsabile di tutto quello che stavo passando. Per intere Lune ho pianificato il modo migliore per eliminarlo, finché la guerra non è scoppiata ed è stato lui a venire da me.”
“Perché non l’hai fatto?”
“Per Belia e Lem” disse. “Se avessi affrontato Falgan, sarebbero venuti con me. E sarebbero morti per me. Non potevo sopportare l’idea che morissero per colpa mia.”
“Combatti da solo, muori da solo” disse Sibyl.
“Preferirei che vivessimo abbastanza da vedere la fine di questa guerra.”
Sibyl stava per dire qualcosa, quando sopra le loro teste risuonò il rombo di un’esplosione lontana. Un bagliore si accese alla loro destra, accecandolo.
D’istinto Marq afferrò Sibyl e la costrinse a terra. “Giù” esclamò mentre i dardi fischiavano sopra le loro teste.
Voltandosi di scatto vide i mantelli azzurri muoversi tra la boscaglia per cambiare posizione ed evitare i colpi di ritorno dei nemici.
Marq dimenticò per un istante quello che voleva dire a Sibyl e si gettò al loro inseguimento. Corse nella boscaglia, lo scudo alzato e un attimo dopo venne investito da una pioggia di dardi.
Una cascata di scintille lo avvolse per un istante e quando si dissolse aveva i suoi dardi pronti e sapeva dove scagliarli.
Senza guardare il punto esatto evocò una salva di proiettili magici e li scagliò verso la boscaglia alla sua destra.
Vide i dardi scintillare a contatto con lo scudo magico e un mantello azzurro scivolare tra l’erba alla ricerca di una posizione sicura.
Non così di fretta, pensò mentre si gettava verso lo stesso punto.
Lo stregone dell’alleanza, una ragazza che poteva avere al massimo un paio di anni più di lui, se ne stava come in attesa, le mani protese in avanti.
Marq alzò lo scudo verso di lei un istante prima di venire investito dal raggio magico. L’impatto lo spinse all’indietro ma mantenne l’equilibrio puntando i piedi e protendendosi in avanti.
La ragazza aumentò la potenza. La vide stringere i denti e serrare gli occhi mentre cercava di superare la barriera magica che si frapponeva tra lei e l’avversario.
Marq attese che le sue forze diminuissero e quando sentì il raggio magico allentare la pressione sullo scudo, si gettò in avanti.
La strega dell’alleanza annullò il raggio magico e alzò lo scudo frapponendolo tra lei e l’avversario.
Marq evocò la lama magica e finse di attaccarla sul fianco destro. La ragazza si mosse verso lo stesso lato, lasciando scoperto l’altro.
Marq le scagliò contro i dadi magici colpendola alla spalla e al petto.
La forza dei dardi la scaraventò all’indietro contro l’albero, colpendolo con un tonfo sordo. La ragazza crollò in avanti e atterrò nell’erba alta a faccia in giù.
Marq non indugiò troppo sull’avversario abbattuto. Si voltò di scatto cercando con lo sguardo l’altro mantello.
Lo vide allontanarsi nella boscaglia e gli scagliò contro un paio di dardi, mancandolo. Volse la sua attenzione alla ragazza a terra, chinandosi.
Non respira, si disse.
Una macchia di sangue si allargava sotto il petto.
Si raddrizzò e corse verso il punto in cui pochi minuti prima stava parlando con Sibyl, senza trovarla.
Deve essersi spostata in un punto più sicuro, si disse per tranquillizzarsi.
Raggiunse Belia e gli altri. Una mezza dozzina di cadaveri giacevano nell’erba. Metà portavano il mantello azzurro di Valonde.
“Erano molti di più” disse la guerriera. “E altri ne arriveranno ora che sanno che siamo qui.”
“Ci spostiamo” disse guardandosi attorno. Scrutò ogni faccia alla ricerca dell’unica che gli premesse vedere. “Lei dov’è?”
“La tua amica è andata via” disse Lem. “L’ho vista dirigersi verso il sentiero a settentrione.”
A settentrione c’è la strada per Torfaran, pensò.
“Dovevi fermarla” disse con tono di rimprovero.
“Invece ha fatto bene a lasciarla andare” disse Belia. “Lem non è la sua guardia del corpo.”
Marq si morse la lingua per non ribattere a quelle parole. “Belia, conduci tutti alla battaglia. Marciate senza soste se necessario.”
“E tu?” chiese la donna.
Marq scosse la testa.
“Non lo fare” disse Belia. “Non abbandonarci per quella lì.”
“Belia” iniziò a dire senza trovare le parole giuste. “Mi dispiace.” Le voltò le spalle e corse verso il punto in cui Lem aveva visto Sibyl l’ultima volta.
 
***
 
Joyce inciampò ma si rimise subito in piedi. Non udiva più i suoni della battaglia, segno che Marq e i suoi avevano respinto l’attacco.
Non devono essere più di cinque o sei, si era detta mentre correva via approfittando della confusione. Brun, Lem e persino quell’antipatica di Belia potevano farcela senza il suo aiuto.
E Marq non ne aveva mai avuto bisogno. Era forte quanto Vyncent, se non di più. Forse non era al livello di Bryce, ma nessuno lo era, a pensarci bene, ma sarebbe sopravvissuto a quell’attacco.
Senza di me potranno combattere la loro battaglia, si disse mentre correva via. Non dovranno andarsene in giro per la foresta cercando di evitare lo scontro solo per proteggere me.
Marq poteva aver trovato una scusa convincente, ma tutti sembravano aver capito cosa stesse cercando di fare.
E alla fine l’aveva capito anche lei.
Non posso rubare loro il diritto di combattere, si disse. Se lo sono guadagnato. E anche io.
Solo che la sua battaglia era un’altra.
Uccidi Falgan.
Uccidi Malag.
Metti fine alla guerra.
Era un desiderio stupido e un piano elementare, degno di una bambina che non aveva compreso come funzionava una guerra.
Ma chi poteva dirlo?
Forse il suo piano, proprio perché semplice, poteva avere successo.
In fondo capitava spesso nei romanzi d’avventura che l’eroe si dimostrasse più intelligente dei nemici e li superasse ina astuzia, quando non era abbastanza forte per combatterli.
Nessun altro morirà per colpa mia, pensò. A parte Falgan. Lui deve morire. Oggi. Non importa come, ma sarà per mano mia.
Un altro pensiero stupido.
La fortezza, si disse. Concentrati sulla fortezza.
Da quando l’aveva intravista non aveva pensato che al modo di raggiungerla. Prima doveva sottrarsi alla sorveglianza di Marq.
Lui si assicurava che non muovesse un passo senza qualcuno che la sorvegliasse. Potevano essere Brun, Lem o un soldato di quel piccolo gruppo. Non importava chi fosse. Aveva sempre due occhi puntati su di lei.
Per un po’ le era sembrato di essere di nuovo a Valonde, col povero Mythey che faticava a starle dietro e doveva impedirle di scappare alla prima occasione possibile.
Era diventata brava a sfuggire al controllo del vecchio cavaliere, anche se le mancavano i suoi pazienti rimbrotti e la calma con la quale ogni volta la riprendeva all’ultimo prima che potesse lanciarsi in qualche pericolosa avventura.
Lì non era diverso.
Devo solo attendere, si era detta. Avere pazienza. Cogliere l’attimo propizio e allontanarmi senza essere vista.
E alla fine, dopo tre giorni passati a vagare per la foresta, quel momento era arrivato e lei era andata via.
Sapeva che Marq l’avrebbe seguita, ma sperava che Belia e Lem glielo impedissero. Lui amava i suoi amici e non li avrebbe mai abbandonati.
Brun le aveva raccontato cosa era accaduto a Orfar, la sua battaglia nei sotterranei del palazzo di Skeli per liberarlo.
Aveva appreso di Bryce, della brutta esperienza che aveva subito e delle ferite profonde che ora aveva. E anche di Vyncent, della sua partenza verso nord in compagnia di Desmodes e di quell’odioso principe di Malinor, Ronnet.
Di Oren non aveva avuto notizie da quando si erano separati, ma sperava che stesse bene, o almeno meglio di come stava lei.
Perché sto andando verso la morte, si disse. Oggi morirò.
Ma non aveva paura.
Combatti da sola, muori da sola.
Per un buon motivo.
La fortezza apparve come all’improvviso, adagiata su di una collina che svettava al di sopra della foresta. Da quella distanza erano ben visibili le mura color grigio e la grande torre centrale.
Malag è lì, si disse. Ne sono certa. Nei romanzi il malvagio comandante dell’esercito nemico è sempre asserragliato nella torre più alta e imponente del suo castello, perciò è lì che devo andare.
Vide balenare il riflesso dei fulmini e il bagliore delle esplosioni prima ancora di avvicinarsi abbastanza da vedere i particolari.
È in corso una battaglia, pensò.
Galyon e gli altri dovevano essersi fatti strada attraverso l’orda per raggiungere la fortezza prima che Malag potesse organizzare una valida difesa.
Lo immaginò terrorizzato dentro la torre intento a osservare le sue forze indebolirsi sempre di più mentre quelle dell’alleanza premevano per superare le mura.
Augurava loro ogni fortuna, ma il suo obiettivo era un altro.
Falgan.
Solo lui contava in quel momento.
Non ci sarebbero state un’altra Theroda o una nuova Roxarr, né un altro Marq rinchiuso in una maledetta gabbia per colpa sua.
Combatti da sola, muori da sola.
Pensò alla formula della forza straordinaria per darsi lo slancio necessario e poi a quella della levitazione. Con un alzo si sollevò da terra e volò verso la fortezza.
Sfiorò le chiome degli alberi avvolta nello scudo magico. Mentre volava verso le mura occidentali un paio di dardi scintillarono vicino a lei infrangendosi sullo scudo.
Chi li avrà lanciati? Si chiese. Amico o nemico?
Nemmeno lei avrebbe saputo dirlo.
Atterrò sul camminamento lungo le mura e si accucciò, scrutando con la vista speciale i dintorni alla ricerca di un nemico nascosto. La luce abbacinante del pieno giorno la accecò per un istante, ma subito adattò la vista socchiudendo gli occhi.
Voltandosi a destra e sinistra si assicurò che non ci fosse nessuno a osservarla di nascosto. Verso sud vide i soldati e i mantelli lottare tra loro vicino all’ingrasso principale.
Lì il portone e parte delle mura erano crollate.
Hanno aperto una breccia, pensò trionfale. Vuol dire che Falgan è già dentro.
Annullò la vista speciale e discese le scale che portavano al livello inferiore. Qui si infilò dentro una porta trovando un corridoio che seguiva la forma delle mura. Lo seguì fino a una nuova porta, oltre la quale vi erano delle scale che portavano al livello superiore.
Percorse un paio di sale vuote, poi udì dei rumori. Tornò sui suoi passi e si infilò dentro una cella laterale, un ambiente che era piccolo anche per lei.
I rumori, passi che risuonavano sulla pietra, si allontanarono.
Soldati dell’alleanza o dell’orda? Si chiese. Non ha importanza. Non sono qui per loro.
Uscì dal nascondiglio e riprese ad avanzare lungo le sale vuote e silenziose. Vide dormitori con i letti ancora in ordine e sale con le rastrelliere delle armi vuote.
Qualcuno vive qui, si disse. La guardia personale di Malag? La sua fidata scorta, l’ultima linea difensiva prima della disfatta?
“Controlla quell’ala” udì dire a una voce. “Vedi se riesci a trovare la sala del tesoro.”
Rumore di passi che si allontanavano.
Camminò verso la fonte del rumore, appiattendosi contro il muro di pietra. A mano a mano che si avvicinava, la voce divenne più chiara.
“Trovate quella dannata sala prima che quei tre tirino giù l’intera fortezza.”
Joyce emerse da dietro la svolta per ritrovarsi all’estremità di un lungo colonnato. Su entrambi i lati si aprivano ampie finestre che davano a sinistra sul cortile interno della fortezza e a destra sulla torre che la dominava.
Vide due soldati correre nella direzione opposta e sparire dietro un angolo, mentre una terza figura si ergeva al centro della sala.
Riconobbe con una sola occhiata la stola di pelle gettata sulle spalle, gli stivali neri e consunti e il corpo tarchiato.
“Falgan” disse, la voce che risuonò nella sala.
Falgan si voltò di scatto, gli occhi scuri e incassati nelle orbite che la fissavano divertiti e irriverenti allo stesso tempo. “Strega rossa” disse mostrando i denti in un sorriso perfetto. “Ti sei unita anche tu alla battaglia? Non ti avevo vista lì fuori. O forse eri già dentro?”
Joyce marciò verso di lui. “Oggi morirai” disse evocando il raggio magico.
Falgan fece scivolare a terra la stola di pelle ed evocò lo scudo davanti a sé. “Vieni pure maledetta rinnegata.”
Joyce protese le braccia in avanti e lasciò partire il raggio magico. La lancia di energia colpì lo scudo di Falgan nascondendolo dietro una pioggia di scintille.
Lo stregone balzò di lato e Joyce faticò a seguirlo nella nuova posizione. Ogni volta che gli puntava contro il raggio lui si spostava a destra o sinistra eseguendo un salto.
Joyce evocò i dardi magici e li lanciò in tutte le direzioni cercando di colpire Falgan durante i suoi spostamenti.
Lo stregone assorbì i dardi con lo scudo e si lanciò verso di lei con un salto.
Joyce pensò alla formula della forza straordinaria e balzò verso Falgan per colpirlo. Lui scartò di lato mentre era in volo e la evitò.
Joyce andò a vuoto e perse l’equilibrio, atterrando su di un solo piede. Stava per appoggiare a terra anche l’altro quando una mano l’afferrò per la spalla e la costrinse a voltarsi.
Il viso di Falgan era davanti al suo, il sorriso irriverente più ampio che mai.
“Dovevi restare nascosta” le disse prima di darle un pugno nello stomaco.
Joyce si sentì sollevare verso l’alto, il fiato che le usciva dai polmoni.
Falgan l’afferrò per il collo e caricò un nuovo colpo. Il pugno si abbatté sullo sterno e le ossa scricchiolarono.
La forza fu tale da strapparla alla presa dello stregone e farla volare all’indietro per alcuni passi.
Joyce inspirò una boccata d’aria, la mente annebbiata dal dolore e la fatica. Pensò alla formula del buio.
Nella sala calarono le tenebre, nascondendola al suo avversario.
“Ti troverò lo stesso” disse Falgan.
Joyce si immobilizzò come le aveva insegnato Elvana Lune prima.
Calma il battito del cuore, respira con calma, si disse ripensando alle parole della strega.
Nel buio e nel silenzio, sentiva solo il sangue che le ronzava nelle orecchie con un ritmo martellante.
Così mi sentirà, si disse. Devo calmarmi e pensare a come colpirlo.
Un rumore alla sua sinistra la fece scattare. Evocò i dardi e li lanciò nella stessa direzione. Un attimo dopo, qualcosa la colpì alla schiena scaraventandola in avanti. Atterrò col viso sulla dura pietra e rotolò in avanti.
“Così è troppo facile, strega rossa.”
Joyce si raddrizzò e mise la mano sul pavimento marchiandolo. Quindi si spostò di lato evitando d’un soffio il calcio di Falgan, che andò a vuoto.
“Lo so dove sei. Ti sento” disse lo stregone.
Joyce rotolò sulla schiena cercando di allontanarsi dalla fonte delle parole, ma qualcosa le diceva che Falgan la stava seguendo.
Faccio troppo rumore, si disse.
Marchiò un atro punto del pavimento e si spostò di lato. Stavolta Falgan era già lì ad attenderla perché gli rovinò sulle gambe.
Lo stregone la colpì all’addome sollevandola in aria e lei sentì avvampare il dolore nella zona colpita.
Così mi ucciderà, si disse.
Annullò il buio e si spostò di lato evocando lo scudo magico. I dardi di Falgan crepitarono quando incontrarono la barriera di energia.
Joyce strinse i denti e si sollevò. Nella mano destra aveva evocato la corda magica. Ricordando le parole di Elvana la sollevò sulla testa facendola roteare.
Falgan si gettò di lato per evitare l’attacco e Joyce lo mancò colpendo il pavimento e sollevando schegge di roccia che volarono in tutte le direzioni.
Mentre lei faceva roteare la corda e poi la rilasciava contro Falgan, questi saltava da un punto all’altro della sala evitando ogni colpo.
Voleva urlargli di restare fermo ma sarebbe stato sciocco e inutile.
Falgan evitò il suo attacco che si infranse contro la colonna alle sue spalle. Joyce indugiò sulla cicatrice che aveva scavato nella pietra. Lo stregone ne approfittò per attaccarla con i dardi magici.
Lei rispose alzando lo scudo, ma non così in fretta. Uno dei dardi riuscì a passare e la colpì alla spalla destra.
Joyce volò all’indietro e atterrò sulla schiena. Stava per rialzarsi quando Falgan atterrò vicino a lei e le piazzò lo stivale sul petto.
Lei lo sentì premere appena e le mancò il fiato.
“Ti schiaccio come uno scarafaggio” disse Falgan ridendo. “Si vede che non hai mai combattuto sul serio.”
Joyce evocò la lama magica e tirò un fendente alla gamba di Falgan per tagliargliela in due. Lo stregone balzò via un attimo prima, ruotò su sé stesso e la colpì al viso con un calcio.
La botta le fece perdere i sensi per un attimo, abbastanza da vedere la sala vorticare su sé stessa. Poi capì che Falgan l’aveva afferrata e sollevata in alto per scaraventarla via.
Joyce cercò di afferrargli il collo ma senza riuscirci. Un attimo dopo volava attraverso la sala e in quello successivo colpì la colonna alle sue spalle.
Il dolore alla schiena le annebbiò la vista.
“Finiamola qui” disse Falgan col fiatone. “Non vale la pena sprecare altro tempo con te.”
L’afferrò per la gola, sollevandola con uno strattone deciso.
Joyce gli afferrò il braccio con cui la teneva e usando la forza straordinaria cercò di spezzarlo facendo leva sul gomito.
Falgan le diede un pugno in pieno viso, seguito da un calcio nello stomaco che la fece volare via di una decina di passi.
Joyce atterrò sulla schiena e rotolò sul fianco, ritrovandosi ad ansimare sul pavimento di pietra. Le facevano male tutti i muscoli e le ossa ma riuscì lo stesso a rialzarsi prima che Falgan la raggiungesse.
Pensò alla formula del richiamo apparendo al centro della sala. Falgan era distante una trentina di passi e si stava voltando.
Joyce evocò la sfera infuocata e gliela lanciò contro. Il fuoco avvolse Falgan e lo scagliò nella direzione opposta. Lo stregone atterrò sul fianco e rotolò per una decina di passi prima di fermarsi vicino a una delle colonne. Si rialzò di scatto ancora avvolto dalle ultime fiamme.
Joyce stava preparando un nuovo incantesimo evocando un’altra sfera magica.
Falgan afferrò la base della colonna e la sollevò senza sforzo sopra la testa. Pietre e calcinacci piovvero dall’alto colpendogli la testa e le spalle ma lui sembrò ignorare quei colpi.
Joyce gli puntò contro la sfera infuocata nello stesso momento in cui Falgan le scagliava addosso la colonna spezzata a metà.
L’incantesimo si infranse sulla pietra a metà strada, avvolgendola. La colonna attraversò le fiamme e continuò la sua corsa verso di lei.
Joyce si gettò di lato evitando la colonna che le passò accanto, infrangendosi sul muro alle sue spalle. La parete venne scossa e si piegò in avanti, le pietre che precipitavano di sotto.
Joyce ne evitò una che le sfiorò la gamba e una seconda che la mancò d’un soffio alla testa. Vide un masso staccarsi dal soffitto e precipitare di sotto e fece per spostarsi, ma le forze le stavano venendo meno e non era agile e veloce come all’inizio del duello.
Una mano le afferrò il braccio e la tirò a sé, allontanandola dal punto in cui il masso di infranse seminando schegge in tutte le direzioni.
Sollevò la testa e vide Marq, l’espressione concentrata che guardava altrove, oltre la sua spalla.
“Marq” esclamò sorpresa.
“Ti avevo detto di non sfidare Falgan.”
Lo stregone aveva spezzato una seconda colonna e la stava sollevando per scagliarla. Aveva gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in una sorta di grottesco sorriso che somigliava più al ringhio di un animale rabbioso.
Marq evocò una sfera infuocata che danzò tra le sue mani come un piccolo sole che cresceva e acquistava forza.
Falgan scagliò la colonna verso di loro e Marq diresse l’incantesimo verso di essa. La sfera viaggiò rapida verso il proiettile di pietra e lo avvolse con lingue di fiamma. L’esplosione fece tremare le pareti della sala. La colonna esplose in mille pezzi che volarono ovunque.
Joyce protesse entrambi con lo scudo magico.
Falgan balzò verso di loro urlando. Marq la spostò di lato per evitare l’attacco. Lo stregone atterrò spaccando la pietra del pavimento con un calcio.
Marq gli danzò attorno con la lama magica in una mano e lo scudo nell’altra. Falgan cercò di afferrarlo ma lui saltò all’indietro e affondò la lama, tagliando l’aria.
Joyce evocò i dardi e li puntò verso Falgan. Lui afferrò una delle pietre e gliela lanciò contro. Lei cercò di pararla con lo scudo magico ma fu troppo lenta e il proiettile la colpì all’addome e la scagliò indietro.
Marq evocò un’altra sfera magica e la puntò contro Falgan. Questi gli saltò addosso e gli afferrò le braccia.
Marq gridò ma non annullò l’incantesimo. Falgan gli diede una testata sul viso mentre con le mani cercava di spezzargli le braccia.
La sfera infuocata partì diretta verso il pavimento, nello spazio tra i due stregoni che stavano lottando. L’esplosione li sollevò entrambi, scagliandoli via insieme ai frammenti del pavimento. La pietra collassò su sé stessa, formando un cratere che ingoiò tutto quello che si trovava attorno. Il corridoio crollò portandosi dietro il pavimento e le colonne che su di esse poggiavano e poi il soffitto di pietra che si piegò e precipitò con il resto.
Joyce vide Marq sparire nel pozzo, le pietre che gli precipitavano addosso e si lanciò verso di lui afferrandogli la mano.
Falgan, che era atterrato a pochi passi da lei, la raggiunse trascinandosi su di una gamba mentre l’altra era piegata in una posizione innaturale.
Joyce lo vide sollevare le mani per afferrarla quando una delle colonne si abbatté sulla sua schiena.
Tirò via Marq un attimo prima che il soffitto crollasse su di loro. Massi grandi quanto un pugno la colpirono alla schiena e al fianco ma strinse i denti e gattonò lontano da lì trascinando Marq per la collottola.
L’ultima pietra cadde e venne ingoiata dal cratere finché metà del colonnato non sparì. Solo allora Joyce si lasciò andare al fianco di Marq.
 
***
 
Polvere. Buio. Dolore.
La polvere la stava soffocando e a ogni respiro sentiva i polmoni bruciarle. Il buio aveva invaso la sala. Il dolore pulsava in ogni parte del suo corpo appena cercava di muoversi.
Spalancò gli occhi, il respiro che si faceva meno doloroso mentre la polvere si posava e i particolari si schiarivano.
Marq era accanto a lei, gli occhi chiusi e l’espressione sofferente sul viso. Il suo petto si alzava e abbassava con ritmo regolare.
Joyce provò a mettersi in piedi ma una fitta alla schiena la fece desistere. Guardò la voragine che aveva inghiottito metà della sala. Da quella parte si vedeva l’ala della fortezza che si estendeva oltre di essa, comprese le scale di pietra che portavano a quel livello. Il soffitto crollato aveva ostruito il corridoio, sigillandolo.
Dalla parte opposta si poteva proseguire verso l’ala opposta, dove il corridoio curvava verso destra seguendo la forma delle mura esterne.
Marq emise un debole lamento e mosse la testa. “Succede?” chiese con voce appena udibile.
Un rivolo di sangue scorreva dalla tempia fino al mento. Una pietra doveva averlo colpito alla testa quando il soffitto era crollato.
Joyce strappò un lembo della tunica e lo avvolse attorno alla ferita.
Basterà a contenere il sangue finché non tornerò, si disse.
Con uno sforzo si rimise in piedi lottando contro il dolore e la nausea che rischiava di afferrarla e piegarla in due.
Sistemò Marq vicino a una colonna ancora in piedi formando un cuscino con quello che restava del suo mantello.
“Sibyl” sussurrò Marq.
“Devo andare” disse. “Starai bene. Tornerò per aiutarti.”
Lui le afferrò il braccio. “Non andare.”
Joyce allontanò la sua mano con delicatezza. Marq non si oppose e chiuse gli occhi, rilassandosi.
Camminò fino al bordo del cratere e gettò un’occhiata di sotto. Tra la polvere che si stava ancora posando intravide ciò che restava del pavimento e del soffitto crollato. Per un attimo temette che Falgan saltasse di nuovo fuori per continuare il duello, ma i secondi passarono senza che niente accadesse.
Distolse lo sguardo e si voltò dall’altra parte. Diede un’ultima occhiata a Marq per assicurarsi che respirasse e si avviò verso il capo opposto del corridoio.
 
Joyce si fermò in cima alle scale che portavano al cortile interno della fortezza. Le scese di corsa, senza badare se vi fosse qualcuno ad attenderla di sotto e quando toccò il pavimento di terra battuta si guardò attorno.
Mura di pietra alte quanto dieci adulti circondavano lo spiazzo, ampio almeno un migliaio di passi da un capo all’altro. Nella parte opposta alla sua sorgeva la torre che aveva visto da lontano. Ora che poteva vederla da vicino si accorse che non era rotonda, ma di pianta ottagonale, con i lati che si stringevano a mano a mano che salivano verso l’alto. La punta era troncata e ospitava una merlatura e forse un camminamento, ma da lì non poteva vederlo.
Ciò che le interessava di più stava accadendo al centro del cortile. Vide tre figure circondarne una terza.
Una era quella di Mardik.
Il comandante dell’alleanza aveva evocato lo scudo magico e sembrava stesse aspettando il momento giusto per attaccare.
Dalla parte opposta intravide Galyon, la figura curva e la testa incassata tra le spalle. Indossava una lunga tunica bianca e il mantello azzurro gli scendeva fino alle caviglie ondeggiando per la leggera brezza.
Al centro, ma più distante, c’era Adler di Berger, la spada di Bellir sguainata e in bella mostra.
Tutti e tre erano rivolti verso la quarta figura.
Malag, pensò Joyce.
L’arcistregone dava le spalle alla torre, come un topo messo in trappola. Indossava il saio grigio col quale l’aveva incontrata giorni prima e stava gesticolando con le mani.
Joyce sostò vicino alle scale, indecisa se unirsi a quel duello o meno.
Mardik fu il primo a partire all’attacco. Balzò verso Malag con la lama magica evocata tra le mani, mulinando l’arma sopra la sua testa per eseguire un fendente contro l’avversario.
Malag parò l’assalto con lo scudo magico e indietreggiò di qualche passo.
Galyon evocò i dardi magici e li lanciò contro l’arcistregone. Lo scudo di Malag assorbì i colpi con una pioggia di scintille.
Mardik incalzò Malag con la spada, frapponendosi tra Galyon e l’arcistregone.
Quest’ultimo smise di usare i dardi magici e si mosse di lato per accerchiare il nemico.
Malag si mosse dalla parte opposta, mantenendo Mardik tra lui e Galyon.
Adler sembrava indeciso e si limitava a guardarli combattere.
Che aspetta a lanciarsi anche lui all’attacco? Pensò Joyce. Ha la spada di Bellir. Che la usi una buona volta.
Mardik si lanciò di nuovo all’attacco mulinando la spada. Malag deviò il fendente con lo scudo, respingendolo indietro.
La lama magica sparì dalle mani del comandante dell’alleanza, che si piegò in avanti e appoggiò il palmo destro sul terreno.
Malag sembrò attendere le mosse dell’avversario. Il terreno tra i due stregoni si sollevò all’improvviso, come se una montagna stesse sorgendo proprio in quel momento.
Mardik agitò le braccia come se stesse eseguendo una complicata danza e la montagna assunse l’aspetto di una figura umana.
Un gigante di roccia, penò Joyce.
Aveva già visto una cosa del genere, quando avevano combattuto contro Mirka e lo stregone che lo accompagnava.
Wei Fu era morto combattendo contro quella evocazione.
Le braccia di Mardik si mossero disegnando figure nell’aria e il gigante si mosse verso Malag.
L’arcistregone avvicinò le mani formando un triangolo con gli indice e i pollici. Al centro di questi apparve una luce intensa che per un attimo l’accecò.
Dalla luce eruppe un raggio magico che colpì il golem al centro del petto passandolo da parte a parte.
La roccia si sgretolò all’istante, crollando come un palazzo distrutto alle fondamenta. Mardik gridò, non seppe mai se per la frustrazione o per il dolore e si gettò in avanti con la spada magica evocata.
Malag indietreggiò di un passo e diresse verso il comandante dell’alleanza il raggio magico.
Mardik alzò lo scudo ma fu troppo lento e il raggio lo attraversò, proseguendo la sua corsa nel suo petto e oltre.
Lo stregone percorse un altro passo e crollò al suolo a faccia in giù.
Un cerchio di fuoco avvolse Galyon mentre avanzava verso Malag. Dall’anello infuocato si sollevarono lingue di fiamma che sferzavano il suolo come se stessero cercando la loro preda.
Malag si mosse di lato per evitare uno dei tentacoli ma non riuscì a evitare il secondo che lo colpì al petto, spingendolo indietro.
Joyce trattenne il fiato vedendo l’arcistregone in ginocchio. Lingue di fuoco lo circondarono formando una gabbia attorno al suo corpo.
Malag allargò le braccia come a volerle respingere. L’anello di fuoco attorno a Galyon prese a vorticare più forte, crescendo e pulsando come se fosse vivo. Una colonna di fuoco si sollevò verso l’alto come un gigantesco serpente pronto a colpire e si abbassò verso l’avversario.
Malag, ancora circondato dalle fiamme, sembrò sparire nel fuoco che lo aveva avvolto. Il serpente calò verso di lui nel momento in cui sembrò alzare le braccia come a proteggersi.
L’esplosione fu così fragorosa da assordarla anche a quella distanza. Joyce dovette chiudere gli occhi davanti alle fiamme che urlavano la loro rabbia e avvertì il calore dell’esplosione sulla sua pelle.
Un vortice di fiamme avvolse Malag mentre l’anello di fuoco attorno a Galyon si attenuava fino a sparire.
Joyce attese, certa di assistere alla fine di Malag, ma quando le fiamme si dissolsero, vide l’arcistregone ergersi al centro di un anello di terreno bruciato da cui si alzavano i fumi di un incendio.
Il calore aveva fuso la roccia creando una zona circolare annerita al centro della quale Malag era in piedi con le braccia larghe.
Galyon, il petto che si alzava e abbassava a fatica, sollevò le braccia facendo apparire un globo infuocato tra i palmi.
Malag si mosse per primo, i fulmini che scaturivano dalle sue mani viaggiarono veloci verso Galyon, avvolgendolo.
Il corpo dell’arcistregone venne scosso dai fulmini che l’avvolsero e lo scagliarono a decine di passi di distanza.
Galyon rotolò su sé stesso per una ventina di passi e quando si fermò giacque in una posa scomposta, il mantello azzurro ridotto a brandelli.
Adler si voltò di scatto e corse nella direzione opposta, verso le scale dove Joyce osservava con occhi sgranati la scena.
Malag si era inginocchiato al centro del cerchio di roccia fusa, reggendosi sulle braccia, la testa chinata in avanti.
Adler rallentò solo quando la vide vicino alle scale.
“Quel demone è imbattibile” disse con voce tremante.
“Tu hai la spada” disse Joyce. “Usala.”
Adler la gettò ai suoi piedi. “Fallo tu. Io non voglio morire.”
Salì le scale due alla volta e sparì oltre la volta che portava nella fortezza.
Joyce fissò l’elsa della spada di Bellir per qualche istante, poi si chinò e la raccolse. La soppesò tra le mani, indecisa. Guardò verso il centro del cortile, dove Malag era ancora in ginocchio, ansimante.
Strinse l’elsa tra le dita e avanzò di corsa verso l’arcistregone. Nella mano libera evocò il raggio magico e lo diresse verso Malag.
Questi alzò la testa di scatto ed evocò lo scudo magico, deviando il colpo.
Joyce accelerò mentre recitava a memoria la formula del raggio magico una, due, tre volte di seguito.
L’incantesimo guadagnò potenza a mano a mano che recitava le formule. Malag venne avvolto da una pioggia di scintille mentre era ancora in ginocchio.
Recitò la formula della levitazione e si diede uno slancio deciso verso l’alto, sollevandosi mentre continuava a dirigere il raggio magico verso Malag.
Lo vide stringere i denti e piegare la schiena per dirigere lo scudo verso di lei.
È il momento, pensò Joyce. Se non lo faccio ora non avrò un’altra occasione.
Sollevò la spada sopra la testa e annullò la levitazione, scendendo verso Malag mentre continuava a evocare un raggio magico dopo l’altro.
Le scintille prodotte dai due incantesimi che si fronteggiavano l’avevano accecata, ma non ebbe paura di attaccare alla cieca, sapeva che Malag era lì da qualche parte, dietro quel muro di luce magica. Doveva solo affidarsi alla spada di Bellir e tutto sarebbe andato per il meglio.
Gridò mentre affondava il colpo con la spada, tagliando l’aria con tutta la forza che aveva. La lama sfiorò qualcosa e udì un grido, seguito da un’esplosione che la investì proiettandola all’indietro.
Cadde in ginocchio e la spada le sfuggì di mano, finendo chissà dove. Le scintile si dissolsero insieme ai due incantesimi, permettendole di vedere Malag ancora in ginocchio, lo sguardo fisso su di lei.
La sua tunica aveva uno squarcio all’altezza del petto e sotto si intravedeva la pelle bianchissima percorsa da una striscia rossa lunga un palmo.
L’ho colpito, pensò.
Strinse i denti per rialzarsi con le ultime forze rimaste.
Malag rimase come in attesa. “Chi sei tu?” chiese con tono sofferente.
“Mi chiamo Sibyl.”
Malag sgranò gli occhi.
“Sono qui per vendicare Arran Lacey” aggiunse, come se quello potesse significare qualcosa per Malag.
Sul viso dell’arcistregone apparve un mezzo sorriso. “Allora vieni. Avanti. Io sono qui.”
Joyce avanzò su gambe incerte, le forze che le stavano mancando.
Un solo incantesimo, pensò. Me ne serve solo uno.
Evocò un dardo magico e lo puntò contro il viso dell’arcistregone. “Da questa distanza non ti mancherò” disse con voce impastata.
Malag non si mosse, limitandosi a fissarla negli occhi.
“Ora” iniziò a dire.
Qualcosa la spinse di lato facendola ruzzolare al suolo. Un dolore intenso le avvampò nel fianco dove era stata colpita.
Quando cercò di rialzarsi, un piede le calò sul petto e vide due dardi puntati verso il suo viso.
Nimlothien, la strega bianca, torreggiava sopra di lei.
“Concedimi l’onore di uccidere questa infame, maestro.”

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