Che emozione, che emozione,
che emozione! Ragazze, siete pronte? Avete messo il vostro abito da cerimonia
migliore? Il trucco e i capelli sono perfetti? No, perché ci stiamo per
imbucare nel matrimonio dell’anno, non so se ve ne siete rese conto, eh! xD
Questo cap, l’ultimo prima
dell’epilogo, è lievemente più lungo del solito, ma già è molto se sono
riuscita a smetterlo di scrivere dopo 17 pagine ihih, dopotutto è un giorno
speciale e merita di essere narrato per bene.
E poi, una piccola
trasgressione: vi va di vedere l’abito della sposa prima della cerimonia? xD
Ecco qui (ovviamente non badate alla modella!) :
http://www.sisposa.com/images/Stefanie%20Sposa%202009.jpg
Grazie mille a coloro che
hanno recensito:
CriCri88: Grazie mille ^^
Se il precedente scorreva, beh, spero valga lo stesso per questo e soprattutto
che non sia noioso vista la lunghezza! Un bacione!
alina 95: Si, certo che Andrea
avrebbe potuto essere più cattivo, e di molto, solo che ha preferito essere
tagliente e conciso, anche perché sa che alla fine quei si sono resi conto
della cavolata commessa! Spero proprio che questo capitolo ti piaccia! Un bacio
enorme!
alina 81: Eheh, anche io
vorrei un ragazzo come Andrea, e purtroppo si è anche sposato, sigh! Mettiamo
un annuncio su internet e vediamo se troviamo un gemello identico, che dici? xD
Ti ringrazio per i complimenti, spero di essere stata all’altezza dell’occasione
e di averlo scritto bene questo cap. Un bacio!
Angel Texas Ranger:
Tranquilla per la descrizione, ho messo direttamente il link della foto, ok? ^^
Spero ti piaccia il vestito che la tua nometanea indosserà in questo giorno in
cui coronerà il suo sogno! Bacioni!
Cosa dirvi, vi lascio alla
cerimonia xD Buon divertimento ihih!
A martedì, con l’epilogo, sigh.
P.S. per questo cap niente
voce narrante…
La vostra milly92.
Capitolo 32
La Signora Romani e Il
Signor Di Bene
La mattina del 15 gennaio, dopo aver dormito per
poco più di quattro ore, anche a causa del folle addio al nubilato che le
ragazze avevano preparato per me, ovvero un giro in limousine per tutta la
città con sosta in decine di locali e negozi che erano rimasti aperti solo per
noi, aprii gli occhi e mi catapultai giù
dal letto quasi come se a svegliarmi fosse stato un getto d’acqua gelata. Non
potevo assolutamente credere che da lì a quattro ore sarei diventata una signora, che avrei cambiato casa, che
mi sarei dovuta occupare delle varie faccende domestiche, ma soprattutto del
fatto che a partire dal giorno dopo quel povero uomo che mi aveva amabilmente
chiesto di sposarlo sarebbe probabilmente morto di fame visto che ero una cuoca
pessima. Ringraziai mentalmente tutti i ristoranti e i fast food in cui avrebbe
pranzato e cenato di nascosto per non offendermi prima che mia madre, agitata quasi più di me,
varcasse la soglia della mia stanza e mi dicesse, come se me lo fossi
dimenticato: “Oggi è il grande giorno! Alzati, che tra un po’ viene la parrucchiera”.
Ubbidii, pensando al mio futuro marito, alla sua bellezza, alla sua gentilezza
e alla sua voce melodiosa per calmarmi. Doveva essere proprio un santo se aveva
deciso di sposare un disastro come me.
“Mamma,
non ce la faccio, mi tremano le gambe” mormorai, appoggiandomi alla parete
mentre lei rifaceva il letto. “E non voglio lasciare questa casa… E’ qui che io
e Andrea ci siamo dati il primo bacio dopo tre anni”.
Scleravo
senza dubbio. La casa che avevamo comprato, anche grazie ai soldi avuti dopo il
disastro del reality, era una villetta vicino al centro della città, poco
distante dalla casa che aveva comprato Max e l’avevamo aggiustata nel migliore
dei modi.
“E
quella sarà la casa in cui nasceranno e
vivranno i miei nipotini” sentenziò lei, sorridendo. “E’ ovvio che sei
agitata, ma da oggi per te inizia una nuova vita, devi essere felice, Andrea
sta bene e domani sarai in aereo per un favoloso viaggio di nozze in America…”
mi tirò su, e funzionò: sorrisi, ripensai ad Andrea, a cosa sarebbe significato
averlo tutto per me dopo quei casini e così andai in bagno, ancora avvolta nel
mio pigiamone pesante.
Ma
nonostante il freddo, quella giornata si annunciava soleggiata, ed era meglio
così, avevo sempre odiato i matrimoni festeggiati in giorni troppo caldi e
afosi. Bastava che non ci sarebbe stata la pioggia.
Appena
uscii dal bagno suonarono la porta e mia madre aprì in un battibaleno, agitata
quanto me, rivelando Vittoria.
“Bon
jour” cinguettò.
“Ehi,
Vittoria!” la salutai, dandole un bacio sulla guancia.
“Ciao,
cognatina! La parrucchiera sistemerà anche me, dopo” spiegò.
La
guardai con aria furba. “Di la verità, sei venuta a controllare che facesse un
ottimo lavoro, vero?” domandai, ricordandomi tutti i casini che aveva fatto per
farmi chiamare la parrucchiera che diceva lei e ci era rimasta male quando
avevo rifiutato. Insomma, i miei capelli erano difficili da gestire, troppo
lunghi e crespi, una parrucchiera del calibro di quella che aveva scelto era sprecata
visto che non poteva fare niente di che.
Lei
sbuffò. “Ok, si, ma dopo farà sul serio anche i miei capelli”.
Annuii,
poi la condussi nella mia stanza.
“Se
vedessi come sta lo sposo” ridacchiò, godendosi un mondo la mia espressione
curiosa. Come voleva la tradizione, una tradizione antiquata e vecchia come la
mia bisnonna, io e Andrea non ci eravamo visti il giorno prima delle nozze… Ma
avevamo messaggiato, eheh!
“Non
ha dormito per tutta la notte, è stato tre ore a guardare le vostre foto, poi
ha cercato di leggere un libro, poi ha iniziato un avanti e indietro dal
soggiorno alla cucina… Quando mi sono svegliata l’ho trovato che fissava il suo
abito da cerimonia, e da quel che ho capito voleva organizzare una serenata con
il resto dei ragazzi” aggiunse, continuando a sghignazzare perfidamente.
“Una
serenata?”. La guardai sconvolta e divertita. “E perché non l’ha fatto?”.
“Perché…”
esitò, prima di affacciarsi alla finestra, sorridere e alzare il pollice verso
qualcuno. “La fanno ora!” concluse, voltandosi verso di me per studiare la reazione.
Scossi
il capo e risi, giusto per nascondere la vergogna. Da giù si sentì un
inconfondibile rumore di chitarre, ed io mi affacciai, nonostante il pigiamone,
e sorrisi a Francesco, Dante, Giuseppe e Max che iniziarono a cantarmi una
serenata di serie A. Mia madre subito entrò nella stanza, fin troppo attiva
visto che erano solo le sei e dieci di mattina, e mezzo palazzo si affacciò, e
qualcuno iniziò ad urlare: “Auguri, congratulazioni!”, la signora Ernesta
compresa, la padrona di casa.
Sorrisi
goffamente, imbarazzata, fino alla fine, quando le chitarre smisero di suonare
e i quattro ragazzi salirono, dato che mamma li aveva chiamati per un caffè e
un dolcetto.
“Che
ne dici, vado bene come quarto Gold Boyz?” mi domandò Max appena entrò in casa,
abbracciandomi.
“Si,
ma per oggi non metterti niente in testa, ti voglio come mio testimone e basta”
risposi.
Abbracciai
gli altri tre, e mamma li fece accomodare in soggiorno. “Ragazzi, siete stati
bravissimi!” si congratulò.
Loro
sorrisero e mi guardarono con un’aria strana, la stessa che papà aveva fatto il
giorno in cui mi ero laureata.
“Era
poco più di una bambina quando l’abbiamo conosciuta, ed ora si sposa” mormorò
Giuseppe, senza smettere di fissarmi.
“Poco
più di una bambina? Avevo quasi sedici anni, che diamine…” protestai.
“Che
protesti a fare, anche ora resti sempre la piccolina del gruppo” mi ricordò
Francesco, ammiccando.
“Eppure,
piccolina e buona ha fatto perdere la testa al nostro Andrea” aggiunse Max,
prima che suonassero alla porta.
Vittoria
corse ad aprire, ed entrò Cinzia, la parrucchiera.
I
ragazzi se ne andarono, dicendo che sarebbero passati verso le nove, e Cinzia
subito mi rapì tra le sue grinfie. Si aggiunse anche Eva, appena sveglia, con i
capelli piastrati alla perfezione dal parrucchiere da cui era andata la sera
prima, per un ruolo di consigliera.
“Posso
vedere il vestito?” domandò curiosa la parrucchiera. “Così ci abbiniamo la
pettinatura”.
Glielo
mostrai, anche perché aveva subito qualche piccola modifica. Era senza
spalline, con il corpetto ricamato con delle specie di perline che andavano
verso il color oro, il gonnellone scendeva abbastanza sfarzoso ed era ricoperto
da un velo che scendeva con varie pieghe, come se fosse a balze. Dietro aveva
un piccolo strascico, e sopra ci avrei messo una sorta di copri spalle con gli
stessi ricami del corpetto visto che era gennaio.
“Wow”
commentò. “Ma cosa ne dici se tagliamo
un po’ questi capelli e fai una bella frangetta laterale?” propose, scrutando i
miei capelli che arrivavano fino a più metà schiena.
“Si,
dai” accettai. “Ma non li tagliamo molto!” aggiunsi, e mamma sospirò. Lei
adorava i miei capelli, se li avessi tagliati di molto lo avrebbe considerato
un omicidio.
Poco
dopo arrivò anche l’estetista, che iniziò a farmi la manicure mentre Cinzia,
dopo avermi lavato i capelli, li tagliava.
Alla
fine li tagliò in modo che arrivassero a quasi metà schiena, me li fece tutti a
boccoli e li legò con due fermagli brillantinati ai lati, con una particolare
elaborazione dietro e la frangetta laterale liscia che era libera dal resto
della pettinatura. L’estetista, dal canto suo, mi truccò magnificamente, e quando
finì erano ormai le otto, il sole era alto nel cielo e potevo dire che quella
sarebbe stata una magnifica giornata in tutti i sensi.
Papà
e Dario, appena si svegliarono mi abbracciarono calorosamente, e papà sembrava
non volesse più lasciarmi stare. Per la prima volta in vita mia lo vidi con le
lacrime agli occhi, e lui si giustificò ironico con il fatto che il fotografo
non fosse lui quel giorno, visto che era il suo mestiere. Lo avevo esonerato
semplicemente perché non volevo farlo lavorare e fargli godere la giornata, ma
comunque alla fine si sarebbe occupato lui di stampare le foto e farci il book
nuziale. Diciamo che il fotografo di quel giorno sarebbe stato pagato solo per
immortalare quei magici momenti. Per non parlare dei paparazzi che ci sarebbero
stati…
Quando
venne il momento di indossare l’abito, mamma, Eva e Vittoria, bellissime nei loro vestiti eleganti
e raffinati, mi aiutarono.
Vittoria
mi infilò prima di tutto una giarrettiera candida, con mio sommo imbarazzo, in
tinta con la biancheria ricamata che mi avevano obbligato ad indossare, poi mi
aiutò ad entrare nel vestito, ad allacciare il corpetto.
Per
infilarmi le scarpe, dei semplici decolté bianchi con il cinturino intorno alla
caviglia, ci vollero vari minuti visto che il gonnellone oscurava tutto, e poi
fu il turno del velo.
“Sei
magnifica tesoro mio” disse mamma, sorridendo in un modo nostalgico.
“Guardati”
aggiunse Vittoria, soddisfatta quasi come se fosse tutta opera sua. In un certo
senso lo era, mi aveva aiutata e consigliata in quei mesi, e non le sarei mai stata
grata abbastanza.
Sospirai,
chiusi gli occhi e mi voltai verso l’enorme specchio a muro che avevo nella mia
stanza. Poi allargai gli occhi, ammaliata dalla figura che avevo davanti, e per
la prima volta fui davvero fiera e soddisfatta di me stessa. Il trucco rendeva
i miei lineamenti più raffinati, il vestito si modellava perfettamente addosso,
i capelli sembravano naturali nella loro semplicità che comunque era costata
ore ed ore di fatica.
“Cavoli”
balbettai, girandomi e cambiando angolazione.
“Sei
bellissima” cinguettò Eva .
Restai
un altro po’ a guardarmi, prima che bussassero alla porta. Erano papà e Dario,
di nuovo, e li vidi sconvolti quanto me. Si persero in lodi finchè non
bussarono di nuovo alla porta, e in quel momento venne il fotografo con tanto
di camera man, e iniziarono a fotografare e filmare ogni singolo momento, fin
quando non vennero anche Manuela e Stella in qualità di damigelle e Max con sua
moglie, che si avvicinò a me insieme ad Eva visto che erano i testimoni.
“Non
ho parole, nipotina” sussurrò commosso
al mio orecchio, riabbracciandomi per la seconda volta. “E’ più forte di me,
non ci credo che stai per sposarti, che sei sul serio una donna… Sei stupenda,
Andrea è un uomo molto fortunato, il più fortunato di tutti”.
“Zio,
smettila che mi fai commuovere” lo rimproverai.
“Te
lo meriti dopo tutti i casini degli ultimi mesi” disse Eva seria, prima di
abbracciarmi a sua volta.
Suonarono
ancora alla porta, e sorrisi nel vedere entrare Silvia, avvolta in un abito
azzurro meraviglioso. Mi guardò e batté le palpebre,poi fece un risolino
incredulo.
“Deb,
sei fantastica! Sarai la sposa dell’anno” decretò, abbracciandomi.
“Grazie,
Silvia”.
“Goditi
questo giorno, anche perché conoscendo te e Andrea sono certa che sarà il tuo
unico matrimonio” sghignazzò.
Ridacchiai
nervosamente e la riabbracciai con slancio.
Il
fotografo ci fece varie foto, poi toccò alla mia famiglia, il camera man
riprese alcune scene e alla fine mi lasciarono libera. La casa era gremita di
gente, e sentii le voci di alcuni parenti, zia Laura compresa.
“Debora,
ma quanto sei bella, a zia!” disse, raggiante, avvolta in un abito color crema.
La
nonna mi abbracciò, proprio come zia Marta, la madre di Eva, mio cugino Francesco
si avvicinò insieme alle mie cugine Rosa e Antonietta e si congratulò con
affetto, prima di avvicinarsi ad un Giuseppe appena entrato, avvolto in uno
smoking blu, e dirgli due paroline di chiarimento visto che lo aveva appena
visto salutare Eva, magnifica nel suo abito blu notte a tubino, con un bacio e
un complimento pieno di desiderio.
A
tutto ciò si aggiunsero i miei amici: Paris e Daniele, Rossella e Pierre,
Beatrice, Ada e Natascia che non mi avevano ancora salutato, e infine anche
Eliana e Niko.
“Debora,
l’essere sposa fa proprio per te” disse Eliana, sempre più magra ma sorridente.
“Sei favolosa”.
“Grazie,
tu piuttosto come stai?” domandai, cercando di non inciampare visto che avevo
fatto un paio di passi.
“Bene,
sto prendendo dei farmaci ma il tumore ormai è stato sconfitto” sorrise lei.
Poi
si allontanò, avvicinandosi a Stella che rischiava di sporcarsi con la crema di
un dolcetto del buffet che mamma aveva preparato, e restai solo con Niko, che
mi squadrava in un modo tale che mi metteva soggezione.
“E’
inutile che ti dica quanto sei meravigliosa” mormorò. “Non voglio rovinarti la
giornata, sappi solo che sono felice per te e che tra me ed Eli le cose sono
quasi alla normalità”.
Respirai
a fatica ed annuii. “Niko, non devi dirlo per me, devi farlo per te. Io sono
felice così, ho rischiato di perdere Andrea e le cose ci sono andate bene per
fortuna… Ora sei tu che devi sistemarti la tua vita, hai una moglie, una
figlia, il mestiere che ami, il tuo destino è stare con Eliana, tu l’amerai per
sempre, quello che hai provato per me è stato solo un momento di confusione e
posso capirlo…”.
“Lo
so, lo so. Ma tu resterai sempre e comunque la mia piccola fissa” ammise.
“Oppure può darsi che domani mi sveglierò e ti reputerò una semplice amica come
è successo quasi dieci anni fa”.
“Spero
sia così” dissi.
Lui
annuì. “Mi dispiace solo averti detto che non sarei venuto…”.
“L’importante
è che sei qui” sussurrai, e lui mi strinse rapidamente a sé prima di
allontanarsi.
“Lo
sposo sta uscendo dal palazzo” cinguettò Paris. “Quindi direi che tra cinque
minuti possiamo scendere”.
“Com’è?”
domandai, curiosa.
“Lo
scoprirai con i tuoi occhi” rispose perfida lei, prima di abbracciarmi con
slancio. “Non sai come sono felice di esserti amica, Deb, sul serio”.
“Lo
sono anche io” rivelai, stringendola. Dal palazzo si sentiva il trambusto dei
paparazzi, delle persone che erano venute
a vedere il loro idolo sposarsi, e dei semplici abitanti del condominio.
Cercai di immaginare Andrea in tutto il suo splendore, e sentii una scossa di
pura gioia invadermi quando mi ricordai che tra meno di un’ora sarei diventata
sua moglie.
L’ultimo
giorno da Debora Di Bene era passato, e di lì a poco sarei stata la Signora
Debora Romani.
“Direi
che possiamo andare” disse mamma a tutti gli invitati poco dopo, e loro
abbandonarono la casa velocemente, tranne Stella e Manuela, lasciandola
improvvisamente vuota e deserta.
“Andiamo?”
domandò papà, con una voce incerta, porgendomi il braccio, mentre le bambine si
avvicinavano entusiaste al velo.
“Si,
solo un secondo. Lasciami dire addio a questa casa” lo pregai, così passai
un’ultima volta per la cucina, il bagno, il soggiorno, le tre camere da letto…
Quanti ricordi, quante risate, quanti pianti aveva ospitato quella casa. Ed ora
l’avrei abbandonata, per iniziare una nuova vita. Probabilmente sarebbe stata
migliore, ma niente e nessuno avrebbe
potuto cancellare ciò che era successo tra quelle mura, tutto quello che mi
aveva aiutato a crescere e diventare quella che ero attualmente.
Alla
fine sospirai, mormorai un breve “Addio!” e presi papà sottobraccio, scendendo
lentamente, con le bambine dietro, cercando di non cadere. Fummo accolti con un
applauso e una decina di flash, tutti quelli che non avevo ancora visto si
congratularono con me, la padrona di casa mi salutò e le consegnai le chiavi
che avevo ancora in mano, e alla fine entrai con papà nell’auto d’epoca che
avremmo affittato per trasportarci fino alla chiesa.
L’ultimo viaggio in auto da
nubile, pensai. E non fu certo un pensiero pieno di rimpianti, anzi.
Alla fine, quando arrivammo
in chiesa, vidi decine di persone intorno all’edificio, vidi qualche flash
scattare, e tre passi prima di entrare
in chiesa sospirai.
“Ti voglio bene papà,
ricordalo” sussurrai, stringendogli il braccio ancora di più, emozionata.
“Te ne voglio anch’io,
piccolina mia, e chiamami per qualsiasi cosa” rispose lui, con la solita voce
rotta dall’emozione.
“Uno, due, tre, andiamo, mi
raccomando piccoline!” dissi alle bambine dietro di me, che reggevano il velo
in un modo esemplare.
“Tranquilla, zia!” disse
Stella.
Sorrisi, cacciai un ultimo
respiro e mossi due passi avanti, finchè non entrammo nella chiesa con la nota
marcia nuziale in sottofondo. Tutti si voltarono verso di me, mentre camminavo
in un modo lento ed estenuante, per non cadere, adocchiai tutti i miei parenti,
quelli di Andrea, finchè alla fine non guardai in fondo alla chiesa, vicino
l’altare, e lo vidi, bello come il sole.
Eccolo, colui che sarebbe
diventato mio marito a breve. Sorrideva radioso in mia direzione. Il suo corpo
perfetto era fasciato da un completo grigio perla, proprio come la sottile
cravatta e accompagnato da una camicia bianca. Quel giorno aveva rinunciato
alla consueta cresta, abbassando i capelli scuri in un modo comunque
particolare, ed i suoi occhi nocciola mi sembravano due fari in mezzo al mare aperto.
Vicino a lui, Giuseppe e Vittoria sorridevano, e alla sua destra Eva e Max mi
guardavano, gioiosi.
Papà mi strinse il braccio
più forte che mai poco prima di arrivare a destinazione, poi, una volta vicini
al mio sposo, mi baciò la fronte e portò la mia mano su quella di Andrea, che
fece un elegante baciamano, cosa così ormai inconsueta che però fatta da lui
risultava normalissima.
Mi guardava trionfante,
emozionato, e lanciai un ultimo sguardo a papà che prese posto al primo banco
vicino a mia madre, mio fratello e i genitori di Andrea per poi guardarlo
anch’io con intensità.
“Sei mille volte meglio di
come ti ho sempre immaginato in quest’occasione” disse. “Ti amo”.
“Ti amo anch’io” risposi, e
poi ci voltammo verso il prete, Don Eugenio, che ci sorrise bonariamente.
“Cari fratelli, siamo qui
riuniti per celebrare l’unione di questi due anime, così assorbite nell’amore
reciproco che hanno sostenuto molte sfide prima di raggiungere questo
traguardo. Ci hanno dimostrato che l’amore vero non consoce limiti, e lo hanno
fatto superando un coma e due persone meschine che hanno fatto di tutto per
ostacolarli. Dio vi benedica, ragazzi, anzi, lo ha già fatto, e voi lo sapete
meglio di me. Vi siete conosciuti dieci anni or sono, il destino vi ha separati
e ora siete qui, pronti a giurarvi amore eterno…” iniziò, alzando le mani con
fare profetico, ed io e Andrea ci sorridemmo.
La messa continuò con vari
discorsi e letture, e per la prima volta in vita mia l’ascoltai per filo e per
segno, comprendendo ogni singola cosa, finchè non arrivò il fatidico momento.
Stella si avvicinò con
grazia con in mano il cuscino con le fedi, e Andrea lo prese, mettendolo sul
piccolo banchetto davanti a noi.
Mi mancava il respiro quasi
quasi, ci scambiammo le promesse e poi venne il momento di Andrea, che slegò la
mia fede con fare rapido.
“Vuoi tu, Andrea Romani,
prendere la qui presente Debora Di Bene come tua legittima sposa, di
rispettarla e onorarla tutti i giorni della tua vita, nella gioia e nel dolore,
nella salute e nelle malattia, in ricchezza e in povertà finchè morte non vi
separi?” domandò Don Eugenio.
Il mio stomaco era un vero
proprio subbuglio nonostante fosse vuoto da più di dodici ore, sentivo caldo, e
non c’entrava il fatto che fossi circondata da riflettori per far venire meglio
foto e video, e il momento in cui Andrea mi guardò negli occhi prima di
rispondere mi parve durare in eterno.
Mi sorrise e prese fiato.
“Si, lo voglio” disse, con una sicurezza mai vista, ed io sorrisi trionfante
mentre mi metteva la fede all’anulare sinistro, sopra l’anello di fidanzamento.
Il prete sorrise a sua
volta e si volto verso di me. “Vuoi tu, Debora Di Bene, prendere il qui
presente Andrea Romani come tuo legittimo sposo, di rispettarlo e onorarlo
tutti i giorni della tua vita, nella gioia e nel dolore, nella salute e nelle
malattia, in ricchezza e in povertà finchè morte non vi separi?”.
Andrea mi passò l’anello e
lo guardai un’ultima volta, sentendomi orgogliosa di tutto quello che stava
avvenendo perché un marito migliore non lo avrei trovato mai, nemmeno se avessi
messo un annuncio per strada. Presi un
po’ di fiato, cercando di non tremare. “Si, lo voglio” dissi, e nel momento
esatto in cui finii di pronunciare la frase mi sentii il cuore esplodere di
gioia: ecco, ce l’avevo fatta, ora ero ufficialmente la signora Romani, niente
e nessuno mi avrebbe mai potuto separare da Andrea.
Lui, dal canto suo, fece un
sorriso a trentadue denti. “Allora io vi dichiaro marito e moglie!” annunciò il
prete, e non aveva neanche finito la frase che Andrea mi abbracciò prima di
baciarmi con trasporto. Subito risposi al bacio, il nostro primo bacio da
marito e moglie, circondandogli il collo con le braccia, e attorno a noi
scoppiò un applauso fragoroso, seguito da decine di flash.
“Ti amo, signora Romani”
sussurrò lui quando si separò.
“Finalmente ce l’abbiamo
fatta! Ti amo alla follia” dissi, prima che le damigelle iniziassero ad
abbracciarci verso i fianchi, ovvero fin dove arrivavano, e le nostre famiglie
iniziassero a circondarci e congratularsi.
“Tesoro, vieni qui!”
piagnucolò mamma, con le lacrime agli occhi e un fazzolettino merlettato in
mano.
“Allora ti sei sposata,
sorellona” borbottò Dario, con lo sguardo basso.
“Si” dissi, emozionata.
“Mi sei mancata in questi
anni, ma... Ora sarà diverso, ora avrai una famigli tutta tua, si sentirà di
più la tua assenza” ammise, prima di abbracciarmi. Mi fece male vederlo così,
ma quello era il costo che si pagava dopo il matrimonio, mi dissi.
“Potrai sempre essere mio
ospite se vorrai venire anche tu qui” dissi.
Lui scrollò le spalle.
“Come potrei lasciare quei due piagnoni da soli?” domandò retorico, accennando
ai nostri genitori. “Per tanti anni sei tu che hai badato a me, ora tocca a me
badare a loro”.
Annuii, cercando di non
piangere, e mi persi nelle braccia di papà che mi strinsero poco dopo.
Lo stesso fu con Elisa,
Giulio e Vittoria; Eva si gettò tra le mie braccia, felice per me, Giuseppe
abbracciò sia me che Andrea contemporaneamente…
“Congratulazioni, ormai sei
una delle mie pronipoti” disse la prozia Linda, tuttavia aprendosi in un
sorriso.
“Si… Posso chiamarla zia
allora?” domandai speranzosa e desiderosa di andarci sempre c’accordo.
“Permesso accordato, ma
qualche volta vieni da me e facciamo un po’ di scuola di cucina”.
“Certo, ma dopo che avrò
pubblicato il libro, ok?” domandai, cercando di svignarmela, e lei rise,
annuendo.
Fu tutto un susseguirsi di
emozioni finchè non salimmo nell’auto che ci avrebbe condotto al ristorante,
“Il pozzo dei desideri”.
Mentre l’autista suonava il
clacson a più non posso con aria festosa, mi appoggiai al petto di Andrea, che
mi stringeva a sé.
“Ci credi? Un anno fa ero a
Milano, nostalgico e pieno di voglia di vederti e di sposarti, ed ora sono qui,
con te e questa fede che mi fa capire che il nostro sogno si è realizzato…” disse,
alzando la mano per mostrare l’anello dorato.
“Ci credo, devo crederci
dopo che ho agognato questo momento da sempre, probabilmente dalla prima volta
che ti ho visto, inconsciamente. Sono tua moglie!” aggiunsi, ridendo, alzando a
mia volta la mano con la fede e intrecciandola con la sua.
“Sono tuo marito, Andrea Di
Bene” ironizzò, prima di calarsi e baciarmi con una passione mai vista per
chissà quanto tempo.
“Ti amo, ti amo, ti amo, ti
amo…” dissi contro le sue labbra, stringendolo sempre di più verso di me.
“Con quest’abito sei ancora
più spettacolare del solito” mormorò contro il mio orecchio, facendomi venire i
brividi lungo la schiena.
Per arrivare al ristorante ci
volle circa mezz’ora, durante la quale restammo stretti a sussurraci dolci
frasi all’orecchio, e alla fine uscimmo dall’auto, io con molta difficoltà a
causa del vestito e grazie a lui che mi aiutò elegantemente, sotto lo sguardo
di tutti e ulteriori applausi degli invitati. C’erano decine di fotografi e
ospiti VIP ovviamente.
I camerieri ci diedero il
benvenuto e ci condussero verso un gazebo per il buffet, e poi entrammo
nell’enorme sala che avevamo prenotato per il pranzo.
Io e mio marito prendemmo
posto con i testimoni più Beatrice e Manuela, al centro della sala, e poco dopo servirono
l’antipasto.
“Lo dicevo che ti saresti
sposata prima di me” ridacchiò Eva, mentre addentava un gamberetto.
La guardai e Andrea rise.
“Amico, questo è un modo indiretto per dirti: “Chiedimi di sposarti!”, lo sai
no?” disse, facendo l’occhiolino.
Giuseppe arrossì e Eva
rise. “Ma no, ci tengo ai miei giorni da nubile, io” specificò, facendomi una mezza linguaccia.
“E tieniteli stretti, tanto
io ho quelli da sposata che inizieranno con un bel viaggio in America” ghignai.
Ridemmo di cuore, prima di
proseguire con il pasto. Ancora realizzavo per bene di essere sposata, e ogni
volta che vedevo la fede sorridevo.
Poi fu il turno delle
danze, aperte ovviamente da me e Andrea, per poi procedere con papà, che
rivendicò il suo ruolo con una fierezza unica mentre ballavamo “You’re
beautiful” di James Blunt.
Seguì mio fratello, mentre
Andrea ballava con sua madre, poi con Vittoria e mia madre, e poi io con Daniele, Max e altri
miei cugini, oltre mio suocero ovviamente.
Durante una delle pause dal
menù, Andrea si avvicinò al pianobar. “Sono secoli che non canto una canzone in
pubblico, ed oggi mi sembra il momento adatto per ricominciare” disse,
guardando verso di me che sorrisi come un’ebete mentre tutti si voltavano
a guardarmi a loro volta. “Questa
canzone la cantai con il mio gruppo dieci anni fa a Music’s Planet e durante le
prove Debora divenne la mia musa ispiratrice mentre ci guardava, tanto che
arrivai a guardarla così fisso che Francesco non la smetteva di ridere,
ricordi, amore?” domandò, sorridendo, mentre Francesco, Giuseppe e Dante
sghignazzavano.
Come dimenticarla? Erano le
prime prove a cui assistevo come life caoch…
“Si” risposi.
“Perciò… Una canzone
vecchia, certo, ma che per noi avrà sempre un grande significato, “A te”!”.
Applaudimmo, prima che i
ragazzi lo raggiunsero e iniziassero a suonare chi il pianoforte, chi a fare il
coro.
A te che sei l’unica al
mondo
L’unica ragione per arrivare fino in fondo
Ad ogni mio respiro
Quando ti guardo
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente
Tutto si fa chiaro
A te che mi hai trovato
All’ angolo coi pugni chiusi
Con le mie spalle contro il muro
Pronto a difendermi
Con gli occhi bassi
Stavo in fila
Con i disillusi
Tu mi hai raccolto come un gatto
E mi hai portato con te
A te io canto una canzone
Perché non ho altro
Niente di meglio da offrirti
Di tutto quello che ho
Prendi il mio tempo
E la magia
Che con un solo salto
Ci fa volare dentro all’aria
Come bollicine
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita
E ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo
Senza misurarlo
A te che sei il mio amore grande
Ed il mio grande amore
A te che io
Ti ho visto piangere nella mia mano
Fragile che potevo ucciderti
Stringendoti un po’
E poi ti ho visto
Con la forza di un aeroplano
Prendere in mano la tua vita
E trascinarla in salvo
A te che mi hai insegnato i sogni
E l’arte dell’avventura
A te che credi nel coraggio
E anche nella paura
A te che sei la miglior cosa
Che mi sia successa
A te che cambi tutti i giorni
E resti sempre la stessa
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei
Essenzialmente sei
Sostanza dei sogni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che non ti piaci mai
E sei una meraviglia
Le forze della natura si concentrano in te
Che sei una roccia sei una pianta sei un uragano
Sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
A te che sei l’unica amica
Che io posso avere
L’unico amore che vorrei
Se io non ti avessi con me
a te che hai reso la mia vita bella da morire, che riesci a render la fatica un
immenso piacere,
a te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più,
a te che hai dato senso al tempo senza misurarlo,
a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore,
a te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni
miei...
e a te che sei, semplicemente sei, compagna dei giorni miei...sostanza dei
sogni...
Una volta finito scese dal
palco e ballò con me una canzone del suo gruppo.
“Grazie…” mormorai.
“E di che, dovere
coniugale” disse, facendo l’occhiolino.
La cerimonia proseguì
allegra, fino a poco prima della torta, ovvero quando, dopo Rossella ed Eliana,
Niko si avvicinò al pianobar.
“Questa è la mia ultima
canzone, sono riuscito a scriverla dopo mesi bui e vorrei dedicarli ad Andrea e
Deb per questo giorno così felice che stanno vivendo” disse, prendendo il
microfono dopo aver messo la base.
Io e Andrea ci guardammo e
lui sospirò, stringendomi a sé.
Quando ero ancora pieno di illusioni credevo che il mondo potesse
crollarmi addosso senza ferirmi, ma poi
poi ho incontrato te e tutto è crollato con un rumore dieci volte più
forte
un dolore dieci volte più forte
ma solo perché sapevo che eri impossibile da raggiungere,
eri la ciliegina sulla torta di un sogno che stavo vivendo ma solo a
metà
poi di nuovo l’illusione, un piccola gioia, una bugia
un bacio rubato, una speranza appena nata
e poi un altro crollo, lui, che conoscevo bene ma non molto
ti ha rapito, rubato da me,
ed io…
Io idiota non capivo di amarti
credevo fosse affetto
una cotta passeggera come se fosse un piccolo giochetto
poi mi sono scottato, alla faccia della cotta,
e col cuore in pezzi, mi sono bruciato.
Poi venne lei, la vita mia cambiò
e ormai di te, niente mi importava
di nuovo, bastardo, idiota, la verità dilagava,
non m’importava che tu ci avessi ripensato
Io idiota non capivo di amarti
credevo fosse affetto
una cotta passeggera come se fosse un piccolo giochetto
poi mi sono scottato, alla faccia della cotta,
e col cuore in pezzi, mi sono bruciato.
Alla fine toccò a te, trovare il vero amore, sempre con lui
ed io con lei, eravamo perfetti
felici, radiosi, nacque anche mia figlia…
Ed oggi che ti sposi, sono qui tra i tuoi maggiori affetti!
Tutti applaudirono, ed io
dissi che ci era andata bene, alla fine la canzone non era triste più di tanto.
Ci fu il taglio della
torta, la distribuzione delle bomboniere, il lancio del bouquet preso da una
meravigliata Paris, e alla fine, dopo un’infinita valanga di abbracci, di “Ti
voglio bene!”, e aver indossato l’abito post nozze, una gonna a tubino nera con
una camicia di raso di un azzurro intenso, salimmo in auto e andammo nella
nostra nuova casa.
“Aspetta!” mi ammonì
Andrea, una volta aperta la porta della nostra villa. Mi prese in braccio e
sorrisi, stringendomi a lui.
“Tradizionalista al
massimo, eh?”.
“Ovviamente”.
Non mi portò nemmeno a fare
il giro turistico della casa, ormai la conoscevamo a memoria, eppure gli dissi
di condurmi nello studio.
Mi guardò interrogativo ed
ubbidì. Scesi dalle sue braccia e restò
sconvolto quando mi vide accendere il computer.
“Non mi dire che ti è
venuto un attacco di ispirazione per la fine del tuo romanzo!” mi ammonì.
Risi e scossi il capo. “Ma
no, guarda….”.
Restò sconvolto quando vide
che ero nella home page di Facebook, precisamente nel mio profilo.
“Ma che…?”.
“Cambio il mio stato”
spiegai, e da fidanzata passai a sposata.
Andrea fece una faccia
comprensiva prima di ridere di cuore e scuotere il capo. “Ti adoro quando fai
queste cose” sussurrò, mentre spegnevo il computer.
“E se faccio così mi ami?”
domandai, falsamente ingenua, aggrappandomi a lui e baciargli il lobo
dell’orecchio.
Lui sospirò e mi prese in
braccio di nuovo, questa volta con le mie gambe che stringevano la sua vita.
“Ti venero” ridacchiò, e in un battibaleno mi ritrovai sul gigante letto
matrimoniale della nostra stanza da letto, coperto da un copriletto oro e
pesca.
“Sarà la cinquantesima
volta che te lo dico, ma non ci credo ancora di essere tua moglie” sussurrai,
mentre mi baciava in un modo estenuante il collo.
“Nemmeno io. Come me la sto
cavando come marito?” domandò.
“Bene”. Sorrisi
apertamente, e accarezzai il suo volto con dolcezza. “Ed io come moglie?”.
“Egregiamente”.
“Aspetta a quando
ritorneremo dal viaggio e ti preparerò
il primo pranzo!” ridacchiai.
“Sopravvivrò” disse. “Non
devi preoccuparti di nulla, ora ci siamo solo io e te, abbiamo compiuto questo
passo e saremo la coppia più felice del mondo” mi rassicurò, prendendo la mia
mano e incastrando le sue dita tra le mie.
“Hai ragione” ammisi, e ci
baciammo con foga, prima di dimenticare tutto intorno a noi che non fosse
l’altro.
Prese a slacciarmi la camicetta mentre io facevo lo
stesso con la sua cravatta.
“Buona prima notte di
nozze, signora Romani” annunciò.
“Buona prima notte di
nozze a te, signor Di Bene” risposi,
facendo l’occhiolino, e mi persi nell’oblio di quell’intensa notte, finalmente
felice nell’aver realizzato il mio sogno d’amore con la persona che più amavo
al mondo.