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Autore: heliodor    23/04/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Una nuova alleanza

 
Joyce rimase immobile. Non c’era spazio per la paura o il terrore, anche davanti a quei dardi puntati contro di lei.
In quel momento sentiva solo rassegnazione e vergogna.
Rassegnazione per aver fallito. Vergogna per aver sprecato un’altra occasione per uccidere Malag.
Ci sono andata vicina, si disse, ma quel pensiero non la consolava.
Andare vicino non significa riuscire, ma solo fallire di poco.
“Maestro?” fece Nimlothien.
Malag si rialzò a fatica, la mano sulla ferita che stillava ancora sangue. Il suo sguardo vagò per il cortile della fortezza, come se stesse valutando qualcosa.
“È morta abbastanza gente per oggi” disse con tono cupo. “Non c’è bisogno di versare altro sangue.”
Nimlothien si accigliò. “Ma questa infame merita di morire.”
“E morirà, ma non oggi e non qui” disse Malag. “Rinchiudila in una cella. Una di quelle dalle quali non si può scappare nemmeno con un portale o con il richiamo.”
“Come comandi” disse la strega bianca a fatica.
Malag si allontanò zoppicando.
Nimlothien tolse il piede dal suo petto e Joyce fu di nuovo libera di respirare.
“Sei fortunata, infame” disse a denti stretti. “Il maestro sa mostrare pietà per i suoi nemici, anche i peggiori infami come te.”
“Dovevo provarci” sussurrò Joyce.
“In piedi” ordinò Nimlothien.
Joyce pensò di disubbidirle. Sapeva che sarebbe morta nei prossimi giorni. Forse era meglio per mano della strega bianca. Lei le avrebbe concesso una fine rapida. Due dardi nel petto e si sarebbe spenta.
“In piedi ho detto.”
Mi ha lasciata in vita per qualche motivo? Si chiese Joyce. Che cosa vuole da me? Cosa spera di ottenere? Quanto ci metterà a capire che sto usando una trasfigurazione? Nel momento stesso in cui lo capirà, cercherà di annullare l’incantesimo per scoprire chi si nasconde dietro la maschera. E quando saprà che sono io…
Forse era meglio morire subito, ma lei voleva vivere.
Meglio sopravvivere un altro giorno, le aveva detto Marq qualche ora prima.
Si rialzò a fatica, vincendo il dolore e la stanchezza. Aveva tutte le ossa e i muscoli che le dolevano.
Nimlothien l’afferrò per il braccio e la costrinse a camminare davanti a lei. “Muoviti.”
Joyce ubbidì muovendosi un passo alla volta. Passarono davanti ai cadaveri di Galyon e Mardik. Solo qualche giorno prima erano certi di poter battere Malag e invece eccoli lì, riversi nella polvere.
Guardò in alto, verso le mura della fortezza. Dietro di esse si alzava il fumo di qualche incendio. Vide soldati e mantelli grigi percorrere i camminamenti avanti e indietro.
“Chi ha vinto?” domandò.
“Zitta” disse Nimlothien.
“Non importa” disse scrollando le spalle.
“Se proprio vuoi saperlo” disse la strega bianca. “L’alleanza è stata sconfitta. Quei maledetti hanno cercato di uccidere Malag e per farlo hanno sacrificato metà delle loro forze in un attacco suicida, ma hanno fallito.”
Quindi la guerra era persa, si disse. Malag ha vinto. Finché non arriverà Persym a spazzare via ciò che è rimasto dell’orda e dell’alleanza.
Il cortile si stava riempiendo di soldati e mantelli grigi. Uno in particolare attirò l’attenzione di Joyce, quello indossato da uno stregone dagli occhi di un blu profondo.
In quel momento stava venendo verso di loro, l’andatura incerta. La benda attorno alla tempia era zuppa di sangue, parte del quale era colato lungo la guancia e il collo.
Nimlothien si fermò di botto, fissando Marq con sguardo minaccioso.
“Dove la porti?” chiese lo stregone.
“Nelle segrete. Ordini del maestro.”
“Che cosa ha fatto?”
“Ha cercato di ucciderlo.”
Marq la fissò sorpreso. “Non è possibile.”
“Forse non hai sentito” disse la strega bianca. “Questa infame lo ha attaccato alle spalle. Domandalo a lei.”
Marq la guardò. “È vero?”
“Dovevo fare un tentativo” disse Joyce. “Mi spiace.”
“È tardi per dispiacerti, infame” disse Nimlothien.
“Sono dispiaciuta per non esserci riuscita” disse con sfrontatezza.
Nimlothien ghignò. “Soddisfatto ora?”
Le diede una manata sulla spalla per costringerla a camminare.
Marq le guardò sfilare davanti a lui in silenzio.
 
Dovettero scendere per due livelli della fortezza prima che Nimlothien le ordinasse di fermarsi davanti alla porta di una cella.
Durante il tragitto la strega bianca aveva chiamato due stregoni e quattro soldati che le avevano seguite nella fortezza.
“Entra” disse Nimlothien.
Joyce camminò verso il giaciglio si paglia piazzato nell’angolo a sinistra. A parte questo, non c’era altro nella cella.
Appena oltre la soglia la strega bianca chiuse la porta di erro con un tonfo.
“Questa qui non mangia e non beve finché non ve lo ordino io, intesi?” sentì dire a Nimlothien.
Joyce sedette sulla paglia a gambe incrociate. Il dolore pulsante che sentiva nelle ossa e nei muscoli non si era attenuato e si sentiva così stanca che sarebbe crollata per il sonno se non avesse fatto uno sforzo per restare sveglia.
Col passare delle ore, la stanchezza prese il sopravvento e si adagiò sulla paglia. Chiuse gli occhi dicendosi che lo faceva solo per riposare la vista, ma nel giro di pochi minuti si addormentò.
Si svegliò di soprassalto, la mente confusa.
Dove sono? Si chiese.
Il ricordo delle ultime ore tornò tutto insieme e si sentì di nuovo sprofondare nella disperazione. C’era qualcosa alla base della porta. Si trascinò fino a essa, muovendosi a tentoni nel buio, finché la vista non si abituò e vide il vassoio con la ciotola d’acqua e un pezzo di pane. C’erano anche delle noci già sgusciate e della carne secca.
Nimlothien aveva ordinato di non portarle da bere e da mangiare, ma forse ci aveva ripensato.
Sentì due tocchi contro la porta che la fecero trasalire.
“Sei sveglia?” chiese una voce dall’esterno attutita dal metallo.
Tacque.
“Lo so che sei sveglia. Hai strisciato sul pavimento.”
“Chi sei?” domandò avvicinandosi alla porta.
“Un amico, credo.”
“Marq” esclamò sorpresa.
Lui grugnì qualcosa.
“Come hai fatto? Nimlothien ha messo delle guardie.”
“Lo so. Abbiamo poco tempo, Sibyl. La tua situazione è complicata. Davvero hai cercato di uccidere Malag?”
“Come stai?” gli chiese dimenticando per un attimo la sua situazione. “La ferita alla testa…”
“Non è grave. Falcandro l’ha già medicata. Mi riprenderò.”
“Falgan?”
“Morto nel crollo. Ho visto il suo corpo.”
Joyce sospirò.
Almeno quello, si disse.
“Grazie per avermi aiutata.”
“Di niente” rispose Marq. “Vorrei poterti aiutare anche ora, ma farti uscire è impossibile. È già tanto se sono riuscito a portarti da mangiare.”
“Ti ringrazio lo stesso” disse. “Sei un vero amico.”
“Sibyl” disse Marq con tono serio. “Devi sapere che cosa ti accadrà tra qualche giorno.”
Lo so già, pensò Joyce. Verrò trascinata fuori da questa cella e giustiziata. Ma non mi importa. L’alleanza è stata sconfitta, tutti i miei fratelli sono morti o dispersi. Mio padre e mia madre mi odieranno non appena verranno a sapere che cosa sono diventata. La morte sarà una liberazione per me.
“Malag vorrà parlarti.”
Joyce si accigliò. “Non gli dirò niente.”
“Non sarà un interrogatorio” disse Marq con tono paziente. “Lui parla sempre ai suoi nemici. E spesso questi diventano suoi alleati. È successo con Nimlothien e Rancey, ho sentito dire, anche se non ero presente di persona. Anche loro volevano uccidere Malag e sono diventati suoi alleati.”
“Io non mi sottometterò a lui” disse con orgoglio.
“Non importa. Lui troverà le parole giuste.”
“Non ci riuscirà.”
“Allora morirai. Quello che voglio dirti è che avrai una possibilità. Una sola. Non sprecarla.”
“Marq, io…”
“Adesso devo andare. Abbi cura di te, Sibyl.”
“Aspetta” disse, ma lui non rispose.
Strisciò fino al giaciglio ei vi si distese sopra cercando di trovare un po’ di pace nel sonno.
Per due giorni a due notti attese il ritorno di Marq o di qualcun altro, ma non avvenne. Il terzo giorno, anche se non era certa che fosse passato tutto quel tempo, la porta della cella si aprì.
Sulla soglia si stagliò Nimlothien. “In piedi” disse con tono deciso. “Svelta.”
Joyce si alzò con riluttanza.
Dietro la strega bianca intravide lance e scudi e mantelli grigi.
Quale onore, si disse.  Una scorta importante.
Rivolse a Nimlothien un mezzo sorriso. “Che giorno è?”
“Il più importante della tua vita, infame” rispose la strega. “Adesso stai zitta e seguici. Il maestro ti sta aspettando.”
Quindi Marq diceva il vero, pensò Joyce meravigliata. Malag vuole vedermi.
Era l’occasione giusta per cercare di ucciderlo. Aveva fallito le prime due volte, ma come dicevano su quel continente, la migliore occasione era la terza.
Nimlothien e la scorta la guidarono attraverso i cunicoli della fortezza. Mentre passava davanti al colonnato dove aveva lottato contro Falgan, notò le assi che erano state usate per sbarrare la via e impedire che qualcuno cadendo nella voragine al centro del corridoio potesse farsi male.
Per aggirare quel punto dovettero scendere di un livello e passare per il cortile. Qui ricevette le occhiate ostili e incuriosite di quelli che sostavano davanti alle tende e ai ripari di fortuna innalzati. Sotto di essi giacevano donne e uomini bendati. Vide ferite che potevano essere di poco conto e moncherini al posto di gambe e braccia.
Una ragazza aveva il viso fasciato a nasconderle gli occhi. Un uomo sedeva sui talloni cercando di scaldarsi vicino al fuoco acceso su di un braciere. Un paio di soldati giravano tra le tende come se stessero cercando qualcuno.
Joyce li ignorò e proseguì con la scorta e Nimlothien fino a una rampa di scale che salivano al livello superiore e, alla fine di essa, per un altro corridoio illuminato da lampade a olio che si allungava nelle viscere della fortezza.
Qui, dopo un centinaio di passi, si fermarono di fronte a una porta di legno davanti alla quale sostavano una decina di soldati e tre mantelli.
Uno di essi si fece avanti. “È lei?” chiese indicandola con un cenno della testa.
Nimlothien annuì.
“Lasciami due minuti con lei, strega bianca” disse lo stregone. “E libererò il mondo da una infame.”
Nimlothien scosse la testa. “Il maestro vuole vederla.”
“Non merita un simile onore.”
“Lo ha ferito.”
Lo stregone sembrò vacillare. “Quella lì?”
La strega bianca annuì. “Non la sottovalutare. Sembra un insetto innocuo, ma la sua puntura può essere mortale. Ora lasciaci passare. Siamo attesi.”
Lo stregone si fece da parte.
Nimlothien la condusse fino alla porta, l’aprì e la invitò a entrare.
Joyce esitò per un istate. L’interno della stanza era immerso nella penombra e faticava a distinguere le forme degli oggetti.
“Entra, svelta.”
Joyce ubbidì e varcò la soglia. Appena dentro, Nimlothien si piazzò alle sue spalle.
Vuole colpirmi mentre non la vedo? Si chiese Joyce. È una trappola?
Nella sua mente iniziò a recitare la formula dello scudo magico.
“Lasciaci soli, Nim” disse una voce gracchiante dal fondo della stanza.
“Maestro” disse la strega bianca. “Questa infame è pericolosa.”
Dal buio emerse la figura curva di Malag. Il viso grinzoso sembrava avesse più pieghe dell’ultima volta e le dita somigliavano a quella di uno scheletro. “Pensi che non lo sappia già? O che non sia in grado di occuparmene?”
“Non volevo mancarti di rispetto, maestro” disse Nimlothien con tono incerto.
“Sono sicuro di no. Ora per favore fai come ti ho chiesto e chiudi la porta alle tue spalle dopo che sarai uscita.”
La strega bianca inchinò la testa. “Come desideri.”
Malag non smise di fissarla finché la porta non venne chiusa, quindi disse: “Finalmente possiamo parlare da soli.”
Joyce lanciò una rapida occhiata alla stanza. Era vuota e disadorna fatta eccezione per un paio di bracieri che ardevano in due angoli opposti spandendo una luce lugubre. Non c’erano tavoli, né sedie, né libri o focolari lì dentro.
Sembrava la cella delle torture o degli interrogatori di cui aveva letto nei libri d’avventura. Di quelle dove il cattivo conduceva la sua vittima per infliggerle un ultimo momento di terrore prima del supplizio finale.
“Abbiamo poco tempo, Sibyl” disse Malag.
Come sa il mio nome? Si chiese.
All’improvviso ricordò. Era stata lei a dirglielo quando lo aveva attaccato.
“Per parlare” proseguì Malag.
“Parlare?” fece Joyce. “Io e te non abbiamo niente di cui parlare.”
“Ti sbagli mia cara. Io e te dobbiamo discutere di molti argomenti.”
“Non ti dirò niente.”
“Dimmi che cosa ti ha condotta da me, tanto per iniziare” fece lui ignorandola.
“È stato un caso.”
“Stai mentendo. Sei venuta da me per uno scopo preciso. Non mi servono i poteri di Dyna per capirlo. Così come non ho bisogno della vista speciale per sapere che porti la maschera.”
Joyce si irrigidì.
Sa della trasfigurazione, si disse. Tra poco mi chiederà di annullarla e io rifiuterò. A quel punto avrà un pretesto per uccidermi qui e subito? O continuerà a prendersi gioco di me, tormentandomi? Forse dovrei rivelarmi subito e approfittare della sorpresa per colpirlo.
“Fai bene a portarla” proseguì Malag con tono bonario. “Anche io ne porto una. Tutti lo facciamo, no?”
Joyce si strinse nelle spalle.
Malag annuì. “È stata una buona mossa, la tua. Mi riferisco al nostro duello nel cortile. Hai atteso che fossi stanco e distratto prima di attaccarmi. Con quella tecnica, poi.” Sorrise. “Chi è stato a insegnartela? Conosco solo tre persone in grado di eseguirla, a parte te. Una è morta e l’altra serve me, quindi non resta che Joane di Barakzah. È stata lei, vero? Joane ti ha addestrata?”
“Ti sbagli” disse trovando la frase più banale. “Nemmeno la conosco.”
“Stai mentendo, di nuovo” fece Malag sorridendo. “Anche io lo faccio spesso.”
“Io non sono come te.”
 “Ho saputo che hai affrontato Falgan.”
“Meritava di morire.”
“Non ho alcun dubbio dopo il massacro di Theroda e quello che ha fatto a Gabadir. Ma meriterebbero di morire anche quelli che lo hanno aiutato, non trovi?”
Joyce non rispose.
“Ho sentito parlare di te, Sibyl. Ti chiamano la strega rossa. Ti sei scelta da sola il tuo soprannome o è stato un caso?”
“È stato un bambino di Mar Qwara” disse Joyce.
Malag annuì. “I bambini sanno vedere oltre le apparenze, a volte. Dovresti farlo anche tu, visto che sei ancora così giovane.
Il sorriso di Malag si allargò. Si chinò per raccogliere qualcosa e quando si rialzò reggeva tra le mani una spada.
La sollevò come a volergliela mostrare. “La riconosci?”
“È la spada di Bellir. Quella che usò per ucciderti.”
“Non è sempre stata la spada di Bellir” disse Malag. “E non è del tutto esatto che l’abbia usata per uccidermi. Come puoi vedere, sono ancora vivo.”
“Tu sei un demone” disse Joyce con tono accusatorio.
Malag rise. “Sono una persona come te, Sibyl. Ma i demoni esistono davvero, anche se vivono tra di noi travestiti da nobili stregoni ed eroi. Tu nei hai conosciuto qualcuno, vero?”
“Conosco te.”
Malag scosse la testa. “No, non mi conosci affatto, strega rossa. Ma se ascolterai ciò che ho da dirti, forse mi conoscerai meglio. È una storia vecchia di cento anni che pochi hanno avuto l’onore di ascoltare. Parla di un guerriero caduto in disgrazia e di un uomo che cercava vendetta. E la trovò, alla fine.”
 
***
 
L’entrata del santuario era un foro nel fianco della collina. Appena oltre di esso, il pavimento procedeva in discesa, per poi curvare verso destra per alcune centinaia di passi.
Il gruppo procedeva in una fila ordinata, uno dietro l’altro. Harcey camminava davanti a tutti, mentre Galison di Malinor guardava loro le spalle. In mezzo, Sairi di Nazedir e Reynhard di Valonde proteggevano il guerriero rinnegato di nome Bellir. Davanti a questi camminava Mundi di Taloras, il mantello verde avvolto sul corpo esile e slanciato.
Sopra le loro teste ondeggiavano le lumosfere che spandevano una luce chiara per il corridoio di roccia.
Bellir si guardava attorno con aria annoiata.
“Lui è alla fine di questo condotto?” chiese.
“Così ci ha fatto sapere” rispose Galison.
“È il santuario di un mago?”
Reynhard annuì grave.
Bellir emise una risata roca.
“Fai ridere anche noi” disse Galison. “Rinnegato.”
“Non penso che cogliereste l’ironia della nostra situazione.”
“Ironia?” fece Sairi. “Ti prendi gioco di noi?”
“Affatto” disse Bellir con tono di sufficienza.
“Il rinnegato ha solo paura” disse Galison. “Senza la sua sfrontatezza, tremerebbe come una ragazzina.”
“Come la tua voce, mantello nero?” chiese Bellir.
“Attento alle parole che usi” disse Galison minaccioso. “O userò la mia spada per vedere se il tuo cuore è nero come si dice che sia quello dei rinnegati.”
La risata di Bellir risuonò sulle pareti di roccia.
“Smettetela voi due” disse Mundi con tono teso. “Qui sotto non siamo soli.”
“Potremmo intrappolare qui dentro l’arcistregone e aspettare che muoia” disse Galison.
“Una mossa da vero codardo” disse Bellir.
Sairi posò una mano sul braccio di Galison.
“Un santuario ha molte uscite” disse Reynhard. “Questa è solo una di esse. Senza contare che non sarebbe leale.”
“E allora? Ci preoccupiamo di essere leali con l’arcistregone ora?” fece Galison.
“Dico solo che non si sarebbe intrappolato da solo qui sotto” disse Reynhard. “Se ha scelto questo luogo per l’incontro con Bellir, avrà avuto i suoi motivi.”
“E se invece avesse commesso un errore?” chiese Hercey.
Bellir si schiarì la voce. “Il mantello di Valonde ha ragione. Malag non commetterebbe mai un errore del genere.”
“Lui non sbaglia mai?” chiese Mundi.
“Sbaglia come qualsiasi altra persona” rispose Bellir. “Ma non ha commesso questo errore. Non oggi. Non sapendo che avrebbe incontrato me.”
“Perché non ci racconti com’è che vi conoscete voi due?” domandò Sairi.
“Chi ti ha detto che ci conosciamo?”
“Tu hai detto che sai molte cose di lui.”
“So quello che si racconta in giro” ammise Bellir.
Galison ridacchiò. “Vi avevo avvertiti.”
Mundi grugnì qualcosa. “Perché Malag vuole vederti?”
Bellir si schiarì la voce. “Una volta conoscevo una persona. Un romantico sognatore che pensava di poter cambiare il mondo aiutando i deboli e gli oppressi.”
“Questo lo hai letto in un romanzo?” chiese Galison ironico.
Bellir lo ignorò. “Era un uomo semplice e docile che amava la sua donna e la missione che si era dato. E un giorno perse ogni cosa. Tutto gli venne portato via nel modo più brutale concepibile.”
“Dovremmo avere pietà di lui solo perché ha subito delle ingiustizie?” chiese Reynhard con tono severo.
“Non credo che quell’uomo cerchi la tua pietà, stregone.”
“Cosa, allora?”
“Vendetta.”
Il corridoio si allargò diventando un’ampia sala rettangolare scavata nella roccia viva. Nella parete opposta si apriva un altro condotto circolare, davanti al quale sostava una donna.
Indossava un saio marrone e un mantello grigio buttato sulle spalle esili.
Reynhard avanzò in testa al gruppo. “Chi sei?”
“Mi chiamo Iolena. Oltre questo punto può proseguire solo Bellir. Voi dovete restare qui.”
“Chi ci assicura che non lo ucciderete appena si sarà separato da noi?” chiese Mundi. “Abbiamo fatto molti sforzi per portarlo qui oggi.”
“Il maestro vi ringrazia per questo” disse Iolena. “In cambio, vi concederà di tornare dai vostri comandanti.”
“Suona come una minaccia” disse Galison.
“È la riconoscenza del maestro” rispose Iolena. “Egli mantiene sempre la parola data.”
“Che cosa vuole da Bellir il tuo maestro?” chiese Sairi.
“Nemmeno io lo so” disse Iolena. “Ho solo l’ordine di scortarlo da lui. Chi di voi è Bellir?”
Il guerriero si fece avanti. “Eccomi qui.”
“Aspetta” disse Galison. Estrasse la spada dal fodero che portava al fianco e gliela porse. “Prendila. Potrebbe esserti utile.”
Bellir sembrò esitare.
“Se ne avrai l’occasione” sussurrò lo stregone. “Abbatti Malag con questa. È un prezioso cimelio della mia famiglia. Dicono che sia stata forgiata dagli elfi o qualcosa del genere. Così tutti diranno che è stata la mia spada a ucciderlo.”
Bellir prese la spada. “Non la rivedrai mai più, mantello nero.”
“Mi basterà sapere che ha bevuto il sangue di quel rinnegato” rispose l’altro.
“Io non credo che Iolena lo scorterà da Malag con quella spada” disse Mundi.
Bellir sollevò l’arma mostrandola alla donna col mantello grigio. “I miei amici insistono perché porti questa in dono al tuo maestro.”
Iolena scrollò le spalle. “Ho l’ordine di portarti da lui, armato o meno. Quell’arma non ti servirà.”
Bellir la infilò nel fodero al suo fianco, che era vuoto. “Devo dire che è molto bella, mantello nero. È un peccato gettarla via così.”
Galison si limitò a ghignare. “Fai il tuo dovere, rinnegato. E forse verrai ricordato come un eroe e non come un infame.”
“Di te si dirà in ogni caso che non sei né l’una, né l’altra cosa” rispose Bellir staccandosi dal gruppo.
“Da questa parte” disse Iolena. “Seguimi.”
Scesero per due livelli di scale prima di giungere a un’ampia sala circolare. Un’apia volta li sovrastava, mentre il suolo era disseminato di detriti e rocce che affioravano. Il pavimento era irregolare, con ampie zone prive di detriti e altre dove erano stati accumulati.
C’erano altri lì sotto, alcuni indossavano il mantello grigio e altri impugnavano lance e scudi.
“Avete un piccolo esercito” disse Bellir. “Vi preparate a una battaglia?”
“È la scorta del maestro.”
“Ora è così che si fa chiamare? Maestro in cosa, se posso chiederlo?”
“In qualsiasi cosa” rispose Iolena. “Un maestro è colui che sa le cose.”
“Un maestro è chi le insegna” disse Bellir. “I sapienti, sanno le cose.”
“Non è lo stesso?”
Bellir sorrise.
Sul fondo della sala vi era una parete dove erano state scavate delle nicchie e, davanti a queste, un trono di roccia che somigliava a uno sgabello.
Sopra di esso era seduto un giovane uomo, i capelli chiari e radi, lo sguardo attento che sembrava scrutare ogni palmo della sala.
Iolena lo condusse ai piedi del trono, dove Malag li osservava con sguardo perplesso.
“Ti ho portato Bellir come avevi chiesto” disse la strega col mantello grigio.
Malag si accigliò. “Sei proprio tu?”
Bellir allargò le braccia. “A meno che non abbiano commesso un grosso errore, direi di sì.”
“Iolena” disse Malag. “Puoi lasciarci da soli e dire a tutti di uscire da questa sala? Radunali nel livello superiore.”
Iolena rispose con un inchino e andò via.
Bellir sospirò piazzandosi di fronte al trono di pietra, a una ventina di passi di distanza.
Malag indicò la spada con l’indice ossuto. “Da quando possiedi una spada così preziosa?”
Bellir la estrasse con un gesto fluido. “Un dono da parte di Galison il malinoriano.”
“Ne ho sentito parlare. È un vero idiota.”
“Come al solito hai ragione.” Gettò via la spada che rimbalzò sul pavimento e si fermò vicino a un mucchio di detriti. Guardò Malag. “Che cosa vuoi da me?”
Malag raddrizzò la schiena. “Volevo vederti, amico mio.”
“Noi non siamo amici.”
“Una volta lo eravamo.”
“Quello era prima.”
“Che cosa è cambiato?”
Bellir rise. “Cosa? Tutto, dannazione. Io sono cambiato, il mondo che conoscevamo è cambiato.” Gli puntò contro l’indice. “Tu sei cambiato. Non sei più la persona che conoscevo.”
“Quell’uomo è morto” disse Malag. “Ma io porto in me tutti i suoi ricordi. E i suoi affetti.”
“Se in te c’è ancora qualcosa di quell’uomo” disse Bellir facendo un paio di passi avanti. “Allora chiedigli che cosa sta facendo. Chiedigli se tutto questo era necessario. Chiedigli perché ha dovuto causare tante morti e sofferenze. Quell’uomo è responsabile di una guerra che sta sconvolgendo due continenti. Ci sono città in rivolta, regni che si sollevano contro i loro governanti e signori della guerra che stanno seminando distruzione.”
“Per creare un nuovo mondo bisogna distruggere quello vecchio.”
“Non puoi creare un nuovo mondo sulle rovine di quello vecchio” esclamò Bellir. “Se vinci che cosa farai? Governerai su un mondo di morti e di disperati.”
Malag sospirò. “Sei qui per darmi una lezione, amico mio?”
“Sono qui per chiederti di smetterla ora. Hai ottenuto la tua vendetta. Tutti quelli che ti hanno fatto del male sono stati puniti e sono morti. Non c’è bisogno di tutto questo.”
“E i torti subiti dagli altri? Non sono stato l’unico a soffrire. Anche tu hai subito la mia stessa sorte.”
“Io ho imparato a convivere con quella sofferenza.”
Malag si alzò di scatto. “Io invece non riesco a scordarla. È più forte di me. E su una cosa ti sbagli. La mia vendetta non è completa. Non ancora. Ma lo sarà tra poco.”
Bellir annuì grave. “Ti manco solo io, vero?”
Malag tacque.
“Uccidimi subito e metti fine a tutto questo.”
“Non posso. Non so come fare.”
“Se Arran fosse qui, lui saprebbe dirtelo.”
“Non pronunciare quel nome in mia presenza” gridò Malag. “Non farlo.”
“Di che cosa hai paura? Che ti sconfigga?”
“Io non lo temo. Non più. L’ho scacciato già una volta, ma se tornerà, lo distruggerò per sempre.”
Bellir scosse la testa. “Non puoi.”
“Invece sì” disse Malag tornando calmo. Alzò una mano e la rivolse verso Bellir. Nel palmo brillava un dardo magico. “Tu sei l’ultimo, amico mio. Quando avrò finito con te, procederò per la mia strada.”
Bellir si inginocchiò. “Sono venuto qui senza oppormi” disse.
“Questo non ti salverà la vita.”
“Non chiedo di vivere. Potevo fuggire a quei due idioti e sparire, per anni. Sarei morto nel mio letto, o in un vicolo buio, ma ti avrei privato per sempre della tua vendetta. Invece sono qui.”
Malag abbassò la mano. “Mi stai chiedendo qualcosa in cambio? Io non ti devo niente.”
“E io non dovevo niente a te, ma nondimeno adesso hai un debito di riconoscenza nei miei confronti.”
“Forse hai ragione.” disse Malag sedendo sul trono di pietra. “Potevi sfuggirmi per anni, ma sei venuto lo stesso. Un debito. Sai che non mi piace averne. Che cosa vuoi in cambio?”
“Pace” disse Bellir.
“Questo non è possibile.”
“È l’unica cosa che ti chiedo.”
“Chiedimi altro” fece Malag con tono perentorio.
Bellir chiuse gli occhi, l’espressione concentrata. Quando li riaprì erano pieni di lacrime. “Una tregua.”
Malag si accigliò. “Questo potrei farlo. Ma per quanto lunga possa essere, prima o poi la guerra riprenderà e tu non avrai ottenuto niente.”
“Io ti chiedo cento anni di tregua.”
Malag sorrise. “È una richiesta che non posso accettare.”
“Ma dovrai farlo. Cosa sono per te cento anni, in fondo? Hai il segreto dell’immortalità.”
“Come fai a saperlo?”
Bellir sorrise. “So che hai rubato il segreto ad Arran Lacey, l’ultima volta che vi siete confrontati.”
“Quello stupido non avrebbe mai saputo cosa farsene” disse Malag. “Sarà più al sicuro nelle mie mani invece che nelle sue.”
“Ciò non cambia che l’hai rubato a lui.”
“E allora?”
“Puoi attendere cento anni per la tua vendetta.”
“Perché proprio cento e non mille?”
Bellir sospirò. “Non accetteresti mai.”
“Chi ti dice che accetterò questa proposta?”
“La guerra non sta andando bene nemmeno per te” disse Bellir. “C’è una nuova alleanza. Malinor e Nazedir su questo continente hanno unito le loro forze con Valonde e Taloras su quello maggiore. E altri potrebbero unirsi alla lotta. Ti batteranno. Al costo di molte sofferenze e lutti, ma lo faranno. E tu lo sai. Non puoi sconfiggere un intero mondo, amico mio.”
Malag sembrò soppesare quelle parole.
“La tregua serve anche a te. Cento anni ti daranno la possibilità di organizzarti, di imparare dai tuoi errori, di trovare nuovi alleati. E magari di riflettere.”
“Lo stesso vale per i miei nemici.”
“Dovrai essere più abile di loro per batterli.”
Malag si sollevò. “Io vincerò questa guerra. Domani o tra cento anni. E per un motivo molto semplice. Io sono l’eroe prescelto, colui che guiderà il mondo fuori dall’oscurità nel suo momento più buio.”
“Puoi credere in ciò che vuoi” disse Bellir. “Ho la tua parola che rispetterai la tregua?”
“Cento anni a partire da oggi.” Scese le scale una alla volta fino a trovarsi di fronte a Bellir. Allungò la mano verso la sua spalla e la sfiorò facendo una leggera pressione col palmo.
Le labbra di Bellir si incresparono per un istante come se avesse avvertito una fitta di dolore che era passata subito.
Malag si voltò per tornare al suo scranno di pietra. “Due giorni e tre notti” disse senza guardarlo. “È il tempo che ti rimane. Ti spegnerai senza soffrire, amico mio.”
Bellir annuì, l’espressione serena. “Anche io l’amavo.”
“Ora vattene. Informa i tuoi nuovi amici che hanno cento anni di tempo per prepararsi al mio ritorno.”
Iolena apparve al fianco di Bellir. “Da questa parte” disse con tono gentile ma risoluto.
Bellir la seguì in silenzio.
Un’ora dopo emergeva dal condotto per raggiungere la superficie. Mundi, Sairi e tutti gli altri erano lì ad attenderlo.
Fu Galison ad andargli incontro per primo. “Sei vivo e la mia spada non c’è. L’hai lasciata nel petto dell’arcistregone, rinnegato?”
Bellir si limitò a guardarli, poi disse: “Cento anni.”
 
***
 
“L’ultima volta che ci siamo visti” stava dicendo Nimlothien la strega bianca. “Eri prigioniero. E lo sei anche adesso, principe senza corona.”
Vyncent cercò di ignorarla, ma era difficile farlo. Dopo giorni passati in cella senza vedere la luce, faticava a camminare sotto i raggi del sole.
“Sembra quasi che tu ti stia abituando” disse la strega sorridendo.
Quella mattina lo aveva prelevato dalla sua cella. “Il maestro vuole parlarti” gli aveva detto.
Il maestro è Malag, aveva pensato. Oggi lo incontrerò. Forse vuole interrogarmi. Poi morirò. Oggi o domani poco importa. Nel momento in cui Malag capirà che non gli dirò nulla e che non gli sono utile, mi farà giustiziare.
Respirò a fondo.
Si sentiva pronto ad affrontare la morte, ma fino a quel giorno era certo che sarebbe accaduto sul campo di battaglia, combattendo al fianco dei suoi amici.
E di Bryce.
In quel momento non pensava che a lei. Se almeno l’avesse rivista per l’ultima volta.
Le notizie che giravano sul suo conto lo lasciavano inquieto. Nimlothien gli aveva detto che Bryce aveva disertato abbandonando il campo dell’alleanza.
Vyncent era sicuro che gli avesse detto quelle cose solo per distruggere il suo morale e indebolire la volontà. Ma adesso il dubbio lo stava lacerando.
C’era stata una battaglia tra il momento in cui era stato catturato e quello in cui era stato portato a quella fortezza.
Non c’era bisogno di chiedersi chi avesse vinto. Aveva visto i vessilli di Valonde e dei suoi alleati sparpagliati in giro. Aveva visto i corpi nascosti dai mantelli azzurri giacere lungo la via che conduceva alla fortezza, lì dove erano caduti. Aveva visto i soldati armati di scudo e lancia arrendersi al nemico o morti e allineati lungo il sentiero.
E insieme a essi aveva visto i morti col mantello grigio e quelli che non avevano colori o vessilli.
Nimlothien lo condusse fino a una porta chiusa, sorvegliata da mantelli e soldati.
“Il maestro è ancora dentro con l’infame” disse uno di essi.
“È almeno un’ora che stanno parlando” disse Nimlothien perplessa. “Credevo avessero già finito.”
Il soldato si strinse nelle spalle.
La strega bianca bussò alla porta due volte. “Maestro” disse parlando con calma. “Ho qui l’altro ospite che attendevi.”
“Fallo entrare.”
Nimlothien aprì la porta e invitò Vyncent a entrare.
Lui si fece coraggio e varcò la soglia. Oltre di essa vi era un ambiente spoglio e immerso nella penombra.
A sinistra intravide una figura curva, i capelli grigi e radi e la pelle cadente. Indossava una tunica bianca legata in vita da una cinta marrone.
Sul lato opposto, una ragazza dai capelli neri e arruffati, il viso coperto di sporcizia e sangue e l’espressione sorpresa.
Stava dicendo qualcosa.
“Non credo a una sola parola” la sentì dire con veemenza. Si fermò quando gli rivolse una rapida occhiata.
“Sibyl” disse Vyncent senza riuscire a credere ai suoi occhi.
“Vyncent” disse lei. “Sei vivo.”
“Benvenuto, Vyncent di Londolin” disse Malag con tono cortese. “Stavo giusto raccontando alla tua amica una vecchia storia. La racconterei anche a te, ma si sta facendo tardi e ci sono cose più importanti di cui parlare.”
Vyncent avvertì la presenza alle sue spalle di Nimlothien.
“Secondo Ronnet” disse la strega bianca. “Questo qui sarebbe venuto per avvelenarti.”
“È vero?” chiese Malag.
“Aveva un potente veleno con sé” disse Nimlothien. “Lo abbiamo fatto esaminare a degli eruditi. Un veleno creato da Falcandro, a quanto pare.”
Malag si accigliò.
“Un erudito giunto da Orfar insieme a Marq e il suo amico con la faccia sfregiata per unirsi a noi.”
Parlano di Marq Occhi Blu? Si chiese Vyncent.
Nimlothien scosse la testa. “Marq ha portato qui anche questa infame” disse indicando Sibyl. “Forse dovrei mettere in cella Occhi Blu, maestro.”
“Si è battuto bene” disse Malag. “Dicono che abbia ucciso Falgan il macellaio.”
La strega bianca storse la bocca. “Il suo comportamento è comunque sospetto, specie sapendo quanto è attaccata a questa qui.”
Sibyl arrossì.
“Ronnet mente” disse Vyncent. “L’ho accompagnato solo per scortarlo. Sosteneva di avere degli alleati che poteva convincere a passare dalla nostra parte. Non sapevo niente del veleno. Era un suo piano.”
“E come mai l’avevi tu?” chiese Nimlothien divertita. “Non sei bravo a mentire.”
Malag annuì grave. “In un altro momento, ti avrei fatto giustiziare” disse con tono calmo. “Ma ora quel momento è passato e tu mi servi vivo, Vyncent.”
“Io non ti dirò niente” disse con orgoglio.
“Ti ho forse fatto una domanda?” ribatté Malag.
Vyncent fece per dire qualcosa ma si fermò. “Perché Sibyl è qui?”
“Ha cercato di uccidere il maestro” disse Nimlothien. “Dopo essersi infiltrata tra le nostre fila con l’inganno.”
Ben fatto, pensò Vyncent.
Fece un cenno di assenso verso di lei.
“Io avrei fatto lo stesso” ammise.
Malag si accigliò. “Da quello che mi hanno sempre riferito, sei un avversario leale, Vyncent di Londolin. L’ultima volta che ci siamo battuti, tu e la strega dorata mi avete messo in grande difficoltà.”
“Ti abbiamo quasi ucciso” disse.
Peccato che Bryce avesse pensato a salvare me invece di finirti, si disse.
Malag si strinse nelle spalle ossute. “E io ho quasi ucciso voi due. Ma non è per parlare del passato che ti ho fatto venire qui. È del futuro che dobbiamo discutere. Mi riferisco al futuro della nostra alleanza, ovviamente.”
Vyncent si accigliò. “Di quale alleanza parli?”
“Di quella che dovremo formare per combattere contro Persym e la sua orda.”
Vyncent si sentì afferrare dalla rabbia. “Osi parlare di alleanza, rinnegato?”
“Attento a come parli” lo ammonì Nimlothien.
Malag le fece un rapido cenno con la testa e la strega fece un passo indietro. “So che la mia proposta può sembrare assurda, dopo la battaglia che è stata appena combattuta, ma prova a considerare la vostra situazione.”
Vyncent attese che proseguisse.
“L’alleanza è spezzata. Re Andew è stato tradito dai suoi comandanti. Galyon, Mardik, Falgan e altri si sono schierati con Adler, seguendo il suo folle piano. Attaccarmi usando la spada di Bellir.” Guardò Sibyl. “Se non credi a me, chiedilo a lei. Potrà confermare le mie parole.”
“È vero” disse Sibyl. “Ho visto Adler fuggire dal cortile della fortezza dopo aver gettato via la spada.”
“Ciò non prova alcunché” disse Vyncent. “E io non mi fido di te” aggiunse puntando l’indice contro Malag. “Hai attaccato a tradimento Valonde e Londolin. Hai ucciso centinaia di brave persone. E hai rapito la mia Joyce.”
Sibyl sembrò trasalire a quelle parole.
Malag annuì solenne. “Anche voi avete ucciso tante brave persone e forse quello che dici è vero, tranne per un punto. Non ho mai rapito la tua promessa sposa.”
“Stai mentendo.”
“Non ne avrei motivo. Sarebbe facile per me costringerti a collaborare con la minaccia di fare del male alla tua promessa sposa.”
“Se lo farai, mi darai solo un altro motivo per odiarti.”
“Tuttavia,” disse Malag. “Lei è stata qui”
Vyncent ebbe un tuffo al cuore. “Joyce era qui? Quando? E dov’è adesso?”
“Nimlothien l’ha trovata nella foresta meno di mezza Luna fa, prima che l’attacco iniziasse” spiegò Malag. “Cercava di raggiungere il campo dell’alleanza, ma l’abbiamo trovata noi per primi.”
“Dimmi dov’è.” Vyncent fece per avventarsi contro Malag ma Nimlothien gli afferrò la spalla.
“Mi basta una parola e dieci mantelli entreranno in questa stanza e ti faranno a pezzi, principe senza corona” disse la strega bianca.
Vyncent respirò a fondo e fece un passo indietro.
Prima devo scoprire dove si trova Joyce, si disse. Poi penserò al modo di punire questi due rinnegati.
“Ho rimandato al campo dell’alleanza la tua promessa sposa” disse Malag. “Nimlothien l’ha affidata a uno dei migliori luogotenenti.”
“A quest’ora Garrik avrà riportato indietro la principessina” disse Nimlothien. “Se non è ancora tornato è solo per via della battaglia. Avrà pensato bene di fare un giro molto largo per evitare i soldati sbandati che infestano ancora alcuni sentieri.”
“State mentendo” disse Vyncent. “Tutti e due.”
Nimlothien guardò Malag. “Te lo dicevo che era inutile, maestro. Il principe senza corona sarà anche leale e coraggioso, ma è anche stupido. Meglio ucciderlo subito e farla finita.”
Vyncent si preparò a combattere. Non sarebbe morto senza portare almeno uno dei due con sé.
“No” disse Malag. “Vyncent di Londolin ha solo bisogno di tempo per riflettere. Potrà farlo mentre è sulla via per il campo dell’alleanza.”
“Non me ne andrò senza Joyce” disse gonfiando il petto.
“Vyncent” disse Sibyl. “Io l’ho vista. La principessa, intendo.”
“Che stai dicendo?”
Nimlothien ghignò. “Questa è una novità anche per me.”
“Ho visto la principessa Joyce” disse Sibyl seria. “Mentre mi avvicinavo al campo di Galyon, ho intravisto un gruppo di cavalieri col mantello grigio. E in mezzo a loro una fanciulla dai capelli rossi.”
“Sei sicura che fosse Joyce?” le chiese Vyncent.
Sibyl annuì. “L’ho vista più volte mentre ero a Valonde. Puoi chiedere a Oren, quando ne avrai tempo.”
Vyncent ricordava che Sibyl era stata a Valonde prima che partissero per il continente antico. “Era lei, ne sei sicura?”
Sibyl annuì di nuovo. “Era lei. Puoi credermi.”
Posso fidarmi di lei? Si chiese. Ha già mentito altre volte, ma sarebbe capace di dirmi una menzogna tale, sapendo quanto significhi per me?
Nimlothien gli rivolse uno sguardo tronfio. “Soddisfatto, adesso? Possiamo avere un po’ della tua fiducia, principe senza corona?”
“Qual è la tua proposta, arcistregone?” chiese rivolgendosi a Malag.
“Una tregua, tanto per cominciare” disse con tono sereno. “E un incontro tra i nostri comandanti per stabilire una tattica comune contro Persym e i suoi colossi. Tu e la strega rossa li avete visti in azione, ma noi no.”
“Ero in una cella quando hanno distrutto Malinor” disse Vyncent. “Ma ho potuto vedere le conseguenze del loro attacco. La città era in rovina.” Guardò Sibyl. “Tu eri a Malinor quando è stata attaccata?”
Sibyl annuì. “È stato terribile. Una vera strage.”
“Bardhian?”
“L’ultima volta che l’ho visto era vivo.”
Vyncent annuì. Non voleva fare altre domande a Sibyl per non rivelare troppe informazioni a Malag e Nimlothien, ma gliele avrebbe fatte in seguito, se ne avesse avuto il tempo.
“Posso riferire le tue parole” disse a Malag. “Ma non so se accetteranno di incontrarti. È più probabile che non mi credano. O che mi considerino un rinnegato.”
“Io penso che ti crederanno” disse Malag. “Sei un alleato fedele di Valonde. Re Andew tiene in gran conto la lealtà.”
“Tu non lo conosci affatto” disse Sibyl.
Malag scosse le spalle. “Vi sorprenderebbe sapere quante cose so su Valonde e i suoi alleati. Ora andate e riferite le mie parole. Quando avrete una risposta, mandate un messaggero con un drappo verde, così non verrà attaccato dagli esploratori.”
“Un’ultima cosa” disse Vyncent. “Se riusciamo a battere Persym, che cosa accadrà dopo? Chi ci assicura che non rivolgerete contro di noi le vostre armi?”
“Tu cosa faresti?”
Approfitterei di ogni vostra debolezza per attaccarvi, pensò.
“Limitati a riferire la mia proposta a re Andew” disse Malag. “È un uomo saggio. Saprà quale è la scelta giusta da fare.”
 
Nimlothien e una dozzina di mantelli li scortarono nel cortile, dove due cavali erano in attesa.
Poco lontano da questi, intravide una sagoma familiare. Il principe Ronnet di Malinor sostava accanto a un gruppo di soldati e mantelli grigi. Quando li vide arrivare si staccò da questi avvicinandosi.
Vyncent si sentì fremere ma si trattenne dominando la furia che rischiava di assalirlo.
Ronnet esibì un largo sorriso. “Vedo che sei ancora vivo” disse. “E che stai tornando tra i tuoi amici. Non ti è andata tanto male, principe senza corona.”
Vyncent si accigliò. “Era il tuo piano fin da quando siamo partiti? Vendermi al rinnegato, intendo.”
“No, ma ho iniziato a pensarci subito dopo aver lasciato Orfar.”
“Perché l’hai fatto?”
“Preferivi morire cercando di avvelenare Malag? Quel piano era assurdo, devi ammetterlo, per quanto tu sia ottuso.”
“Tu non avresti corso alcun rischio.”
“Dici? Avrei garantito io per te e quando ti avrebbero scoperto, sarei stato giustiziato subito dopo.”
“Potevamo uccidere Malag e mettere fine alla guerra.”
Ronnet non smise di sorridere. “Per me la guerra è finita, principe senza corona. Non importa chi la vincerà, alla fine io regnerò sul trono di Malinor.”
“Dopo che hai tradito Persym e l’alleanza, devi sperare che sia Malag a vincere.”
Ronnet scrollò le spalle. “Chiunque ne esca vincitore, dovrà avere a che fare con Malinor e i malinoriani. Io sono il legittimo re e gli servirò se vorranno tenere a bada quelle terre.”
“Malinor non esiste più, idiota” disse Vyncent perdendo la calma.
Ronnet sembrò vacillare per un attimo. “Ma un giorno tornerà grande come e più di prima.”
“Non grazie a te che l’hai tradita bruciando il palazzo reale e consegnando la città a Persym. Che l’ha rasa al suolo.” In quel momento voleva solo gettare tutta la sua rabbia contro il principe di Malinor. “I tuoi concittadini non dimenticheranno, re senza corona. E io farò in modo di ricordarglielo.”
Ronnet smise di sorridere. “Tu cerca solo di morire alla svelta.”
“Litigherete un’altra volta voi due” disse Nimlothien con tono divertito.
La scorta li trascinò verso i cavalli e lui dimenticò Ronnet e le sue parole.
 
Vyncent fissò il sentiero in silenzio, i pensieri che gli affollavano la mente. Rivolse una rapida occhiata a Sibyl, in sella accanto a lui.
La strega era rimasta in silenzio da quando avevano lasciato il villaggio dell’orda e le era grato per questo.
Ora che erano a qualche ora di distanza sentiva il desiderio di rivolgerle alcune domande.
“Hai trovato Joane?” le chiese.
Sibyl annuì. “Era dove avevi detto tu. A Barakzah. Ha addestrato Bardhian. Ora è un erede a tutti gli effetti e sa usare i suoi poteri.”
“È una notizia magnifica, ma non sembri contenta.”
“I poteri degli eredi potrebbero non bastare” disse. “Bardhian ha affrontato uno di quei mostri e gli ha fatto appena un graffio.”
“Ci penseremo dopo. Con l’aiuto di Joane…”
“È morta” disse Sibyl, come se pronunciare quelle parole le costasse uno sforzo enorme.
“Faremo a meno di lei. In qualche modo Bardhian ed Eryen riusciranno a distruggere quei mostri. E Malag.”
“E Bryce. Anche lei è una erede, no?”
“Lei è la strega suprema ed è forte” disse Vyncent. “Ma essere un erede è un’altra questione.”
Sibyl gli rivolse uno sguardo accigliato.
Vyncent sospirò. “Malag ha ragione, anche se mi ripugna ammetterlo. Senza l’aiuto dell’orda non potremo mai contrastare Persym. Quel maledetto non ha alcuna intenzione di appoggiare l’alleanza contro Malag.”
“Che cosa vuole ottenere?”
“Vendetta. Re Andew lo ha esiliato a Krikor e lui non ha dimenticato.”
“Come ha fatto a tornare da Krikor?”
“È stato Roge di Valonde.”
“Roge?” fece lei sorpresa. “Non riesco a credere che l’abbia fatto.”
“Eppure è così.”
“Ed è vivo?”
“Non ne ho idea, ma farebbe meglio a essere morto. Con i guai che ci ha procurato.”
“Credi che” ebbe un’esitazione. “Re Andew accetterà la proposta di Malag?”
“Non ne ho idea, ma se l’arcistregone ha detto il vero e ha riportato Joyce al campo dell’alleanza, potrebbe considerare l’offerta.”
“E se non l’avesse fatto? Se per qualche motivo la principessa non fosse tornata?”
“Tu hai detto di averla vista.”
“L’ho vista andare, ma non arrivare.”
“Allora sarà molto difficile che vi sia un accordo.”
Sibyl esitò. “È così importante per te Joyce?”
Vyncent rifletté su cosa risponderle. Secondo Elvana, Sibyl provava qualcosa per lui. Quando gliel’aveva detto aveva riso al solo pensiero, ma adesso, vedendola così in apprensione, si sentiva a disagio.
Bryce ha ragione, si disse. Somiglia davvero a lei.
“È la mia promessa sposa” disse. “Ho giurato di prendermene cura.”
“Quindi sei legato a lei solo da un giuramento?”
“È complicato.”
“Bardhian mi ha detto che tu e Bryce vi siete scambiati i voti nuziali.”
Vyncent trasalì. “Bardhian ti ha detto questo?”
Sibyl tacque.
“Non doveva.”
“Era un segreto?”
“No” disse subito. “Ma non doveva lo stesso. Ha sbagliato a dirtelo.”
“Quindi è vero?”
“Non penso di doverti rispondere” disse in maniera sgarbata. “Scusa” aggiunse subito dopo.
“Non è a me che devi chiedere scusa” disse accigliata.
Mi sta rimproverando? Si chiese Vyncent.
“È una questione che non ti riguarda.”
“Ma dovrai renderne conto alla tua promessa sposa o no?”
“Basta” disse alzando la voce. “Discorso chiuso.”
Sibyl volse la testa dalla parte opposta.
“Spiegherò io a Joyce come stanno le cose” disse dopo qualche minuto di silenzio. “E risolveremo ogni problema.”

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