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Autore: KindlyLight    27/04/2020    1 recensioni
Di quando Eddie disse due parole che non avrebbe mai voluto dire, se ne pentì e poi si pentì di essersene pentito perchè a Richie, probabilmente, quelle parole piacevano.
I paragrafi che iniziano con una parola in grassetto sono nel presente.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Missing Moments, OOC, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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In fondo lo avevano capito anche loro, uno senza l'altro non potevano vivere e, quella mattina, quando Eddie aprì la porta e non se lo trovò davanti ne fu la prova finale.
Tornò in case e, velocemente, digitò il numero del telefono di casa Tozier mentre la madre gli gridava qualcosa dal soggiorno.
"Casa Tozier, chi parla?" Una voce di donna, gentile, rispose dall'altro capo del telefono.
"Sono Eddie... Kaspbrak..."
"Oh certo, un amico di Richie."
Ed Eddie si ritrovò a pensare Un amico, un amico certo.
"Esatto, per caso Richie è ancora a casa?" Domandò mentre il cuore gli palpitava nel petto.
"Oh mi dispiace caro, Richie ha una brutta febbre da ieri sera, non verrà a scuola oggi."
Eddie rimase in silenzio qualche attimo. "Da ieri sera?"
"Si, da quando è tornato a casa dopo esser stato al fiume."
"La ringrazio e... E scusi il disturbo."
Eddie riagganciò la cornetta, salutò nuovamente sua madre e uscì di casa, diretto verso scuola.
Aveva un passo lento e agonizzante. Era la prima volta da quando aveva memoria di conoscerlo che Richie si ammalava così tanto da restare a letto.

"Richie! Cosa ci fai qui?" Domandò Eddie, la voce acuta di un bambino e gli occhi sgranati dalla felicità.
"Sono venuto a salutarti ovviamente."
"Tua madre ha detto che hai la febbre."
Richie rise e, in preda alle risate, gli si mossero tutti gli occhiali, storzandodi irrimediabilmente di lato. "Credi davvero che un po' di febbre mi fermerà?" Disse senza smettere di ridere.
"Evidentemente no." Rispose mentre prendeva la palla il più piccolo, anche quel pomeriggio avrebbero giocato insieme.
Quando finalmente Richie smise di ridere parlò con un tono stranamente serio per un bambino e, soprattutto, per un bambino come lui. "E poi, ti avevo promesso che sarei venuto, non potevo deluderti."
Nessuno dei due, a quel tempo, ne era veramente cosciente, ma il loro amore nacque proprio da lì.

Quella giornata passò così lentamente che Eddie quasi si addormentò sul banco di storia e, senza Richie a tenerlo sveglio col suo chiacchiericcio, sarebbe sicuramente sprofondato in un sonno senza fine.
"Allora, com'è la quiete senza Boccaccia?" Chiese Stan visibilmente rilassato, anche se era chiaro a tutti che mancasse anche a lui quel ragazzo così cocciuto.
"Dannatamente lenta. - Rispose Beverly. - Rendiamoci conto, ho dovuto ascoltare per davvero la lezione di storia."
"Tu Eddie? L'hai ascoltata?" Chiese Ben.
"Cosa?"
"Storia Eddie. Storia. L'hai ascoltata?" ripeté Stan.
Eddie scosse la testa. "Credo di essermi quasi addormentato."
"Ma ci credete che quando Richie è qui e ci prende in giro vorremmo che fosse a casa e quando è a casa preghiamo affinché torni?" Domandò Ben.
"Io non chiedo mai che non ci sia." Obiettò Eddie.
"Neanche quando non stavate insieme?" Chiese Mike che, nella sua ingenuità, non aveva fatto caso al poco tempo trascorso da quando si erano lasciati.
"No, sinceramente no Mike." Rispose Eddie cercando di non sembrare troppo offeso.
Per fortuna, però, arrivò Beverly a cambiare discorso. "Ci vediamo ai Barrens?"
"No oggi non riesco. Ci vediamo domani." Disse Eddie svoltando velocemente verso casa sua.
Tutti, colti di sopresa da quel così repentino cambio di direzione di Eddie, non fecero in tempo a fermarlo o a parlargli.
"Ho sbagliato?" Chiese Mike non capendo se era colpa sua o meno.
"No, tranquillo, voleva solo una scusa per andare da Richie." Disse Bill sorridendo.

Quando Eddie arrivò a casa mangiò velocemente quello che la madre gli aveva preparato e, poco dopo, tornò ad uscire, era così preso dai suoi pensieri che neanche fece caso alle parole della madre che gli chiedevano un saluto degno di tale nome.
Prese la sua bici scassata, ma mai quanto quella di Richie, e si mise a pedalare verso la casa del corvino.
Dopo meno di quanto pensasse si ritrovò davanti alla porta della casa del ragazzo.
Era arrivato lì, ma con che scusa avrebbe potuto bussare a quella porta?
Senza rendersene conto vi si trovò davanti, le nocche appoggiate contro la tavola legnosa e il bussare ritmico contro di essa, quando si accorse di cosa aveva fatto era troppo tardi.
Pensò se fosse il caso di scappare, ma poi la voglia di incontrare Richie gli inchiodò i piedi a terra; magari avrebbe potuto usare la scusa dei compiti, ma non aveva dietro nemmeno un foglio; forse poteva chiedergli come stava, è una cosa che fanno i fidanzati chiedere come si sta quando si è malati.
Eddie cercò di autoconvincersi che essere lì fosse la cosa giusta.
Dopo un tempo che sembrò infinito sentì la serratura scattare e, quasi per magia, dimenticò tutte le parole che doveva dire.
"Eddie. -Fu la prima esclamazione di Richie. - Ti farò ammalare, che ci fai qui?" Domandò.
"Volevo... Io... Sapere... Solo come... Si come stai..." Disse.
"Bene. - Rispose per abitudine Richie che, però, notando lo sguardo perplesso del minore e la sensazione di naso gocciolante si corresse. - Meglio, tranquillo."
Eddie annuì gravemente. "Sei a casa da solo?"
"Si, i miei sono a lavorare..." Disse.
Eddie fece qualche passo e Richie, per istinto, ne fece alcuni indietro permettendo così al più piccolo di entrare nella casa.
Il castano si guardò un po' attorno, ogni cosa era sempre al suo posto, mai un solo oggetto veniva spostato.
"Eddie, tutto bene?" Domandò il castano accorgendosi che stava fissando qualcosa che, però, lui non riusciva a vedere.
Senza prestare troppa attenzione alle parole di Richie si avvicinò ad un mobiletto, era pieno di cornici; c'erano dei parenti della famiglia Tozier, sia da parte di madre che di padre, c'era Richie insieme ad altri ragazzi e ragazze, alcuni più grandi, altri più piccoli, ma una in particolare colpì Eddie e, senza neanche chiedere il permesso, la sollevò.
Era una foto un po' sbiadita, con i bordi rovinati, non era dentro una cornice ma era semplicemente appoggiata lì.
Stampati in nero su bianco c'erano proprio Richie ed Eddie, al compleanno del primo.
Avevano forse undici o dodici anni, davanti a Richie c'era una torta, probabilmente fatta da sua madre, ma a parte Eddie, non c'era nessuno.
Eppure il corvino sorrideva, uno di quei sorrisi che aveva imparato a conoscere, quel sorriso che faceva solo a lui. Il minore credeva che quei sorrisi, quei modi di essere del ragazzo che lo stava osservando, fossero nati solo nell'ultimo periodo, e invece, evidentemente, erano sempre esistiti.
"Cosa c'è che non va?" Domandò Richie.
"Niente. Assolutamente nulla. È solo che... Me ne ero dimenticato." Rispose Eddie senza smettere di guardare la fotografia.
"Di cosa?" Domandò Richie senza capire, forse a causa della febbre o forse perché Eddie non sapeva spiegarsi.
"Di quanto tu fossi carino da piccolo. - Rispose il ragazzo. - E poi adoravo quando avevi le lenti più spesse." Terminò il minore.
Sul viso del corvino si dipinse una smorfia quasi di disgusto ed Eddie fu sul punto di pensare che dovesse vomitare. "Odio gli occhiali."
Eddie sorrise e, poco dopo, riappoggiò la foto esattamente dove si trovava prima.
"Forza, a risposare." Disse facendo cenno a Richie di andare in camera sua.

   
 
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