Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: Yuphie_96    27/04/2020    1 recensioni
~ Seguito di 'Il Portiere ha Fatto Goal', che a sua volta è il seguito di 'Non Senti la Mancanza?' ~
In questa storia vediamo le vicende della famiglia Wakabayashi/Ozora.
Tsubasa e Genzo riusciranno a stare dietro al frutto del loro amore o sarà più facile, per loro, giocare una partita di calcio?
Essere genitori non è semplice, ma non lo è neanche essere l'erede di due calciatori famosi!
Riusciranno, tutti e tre, a sopravvivere a quella partita piena di sorprese che è la vita?
Genere: Comico, Omegaverse, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Nuovo personaggio, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC | Avvertimenti: Mpreg
Capitoli:
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Angolino della Robh: Kombawa a tutti! ~ ♥
Sono tornata, dopo tanto, a rompervi i palloni da calcio, lo so che sentivate la mia mancanza *sbatte le ciglia*.
Scherzi a parte xD, sono tornata con la storia che conclude il ciclo della mia serie sull'omegaverse!
Devo dire che questa cosa mi emoziona un po' *-*.
Ma passiamo al contenuto!
Dunque, invece che una shot, questa è una long, perchè stavolta ho deciso di fare più capitoli? Perchè (anche se con salti temporali) in questa storia viene raccontato un arco di diciotto anni, racchiuderli tutti in un'unica shot sarebbe stato tremendamente complicato da scrivere per me, e dannatamente noioso e lungo da leggere per voi, con più capitoli siamo tutti più contenti... credo O.o ... comunque! Gli aggiornamenti della storia saranno tutti regolari, di lunedì sera, perchè la storia è già finita... quindi dovrete sopportarmi per un po', abbiate tanta pazienza che vi do tanti bacini in cambio ~ ♥.
Adesso vi parlo di questo primo capitolo, dunque dunque dunque (cit. Gas Gas), se avrete impressione che sarà un po' veloce... avete ragione, effettivamente lo è, ma ho dovuto racchiuderci dentro tutti i mesi di gravidanza di Tsubasa, abbiate pietà xD.
Ah, soprattutto, non guardatemi male se mi riferisco a quest'ultimo con dei termini femminili... chiamarlo 'mammO' mi faceva troppo strano o.O .
Parlando della gravidanza qui sopra citata, invece, sono andata a fare delle ricerche (manco fossi stata io in dolce attesa O.o) e ho cercato di attenermi il più possibilie ad esse, anche se qui stiamo parlando di una gravidanza maschile invece che femminile, quindi se rimarrete perplessi da quello che leggerete, chiedete pure e risponderò tranquillamente nelle risposte ai commenti ^^.
Potrei finire qui per questo capitolo ma... voglio parlarvi anche di un pezzetto che non citerò per non fare spoiler subito, ma credo che capirete subito quale sia... prendetemela per buona per favore, so che non funziona così nella realtà ma per esigenze della storia ho voluto cambiare, spero che questa cosa non faccia stocere il naso a nessuno >.>'''.
Con questo concludo qui e vi lascio finalmente al primo capitolo, con la speranza che vi possa piacere anche solo un pochino ♥ .
Buona lettura a tutti ♥.


Ps: Ringraziate insieme a me Serè (♥), perchè senza di lei non avrei mai un titolo decente da inserire >.>''' .

 

L’infermiera alzò lo sguardo dallo schermo del suo computer, sorridendo si stiracchiò leggermente, godendosi quel silenzio calmo e tranquillo che regnava quella mattina per i corridoi dell’ospedale, sospirò beata, riportando lo sguardo sulle pagine aperte del pc, quello si prospettava essere un giorno assolutamente tran-
“TI UCCIDO!”
… Come non detto.
La donna rialzò immediatamente lo sguardo e si ritrovò davanti due alpha – abbastanza impanicati  – e un’omega – l’unica tranquilla della combriccola appena entrata in ospedale – che le comunicarono che il secondo omega dietro di loro – quello che stava urlando e prendendo a cuscinate il terzo alpha presente – doveva partorire.
“Faccio portare subito una barella, cercate di farlo tranquillizzare nel frattempo”
Disse l’infermiera alzandosi velocemente dalla sua postazione per poter andare a recuperare la barella e per informare i medici.
“Farlo…”
“… tranquillizzare?”
Chiesero in coro Kodai e Roberto, guardandosi perplessi e nel panico più totale.
“Beh, almeno ha smesso di prendere Genzo a cuscinate”
Fece notare Natsuko, giratasi verso il figlio non appena l’infermiera era scomparsa, portando anche gli alpha a girarsi per vedere come si era evoluta la situazione tra i due futuri – ma molto prossimi – genitori.
“Questa è la prima e ultima volta, mi hai sentito?! Osa solo pensare che mi farò mettere di nuovo in questa situazione e ti castro! Prima ti castro e poi ti uccido!”
Tsubasa fermò un attimo il suo sproloquio per lanciare un nuovo urlo di dolore mentre una nuova fitta – gli sembrava di essere lacerato da milioni di coltelli dall’interno – gli attraversava tutto il corpo, fermandosi ed espandendosi nel basso ventre gonfio.
“Ti odio! Mi hai sentito Genzo Wakabayashi?! Ti odio! Ti odio!”
Il portiere gli annuì, dandogli ragione - guai se avesse provato a fare il contrario, ci aveva provato a casa e si era visto lanciare contro una ciabatta -, facendosi stritolare il braccio senza fiatare.
Aveva il panico negli occhi, Genzo, la paura che gli scorreva nelle vene e l’ansia che gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa che non credeva di aver mai provato in vita sua, nemmeno la prima volta che era sceso in campo come portiere, si girò a guardare qualche secondo Natsuko per chiederle – ancora – se stesse facendo tutto giusto, quella gli sorrise e alzò il pollice in alto, cercando d’incoraggiarlo.
Ci riuscì per 1 minuto circa.
Poi Tsubasa urlò nuovamente e Genzo sprofondò di nuovo nel panico, era normale che provasse così tanto dolore?!
Gli accarezzò la fronte sudata fradicia mentre arrivava la barella insieme a un paio di infermieri, che aiutarono l’omega a stendersi così da poterlo trasportare velocemente in sala operatoria, dove lo aspettavano i dottori.
Durante il percorso fino all’ingresso della sala, Ozora continuò ad urlare tutto il dolore che sentiva, certe volte imprecando contro il compagno – a cui si rifiutava di lasciare il braccio -, certe volte cambiando lingua – Roberto si promise di fare quattro chiacchere con Pepe, lui di certo non gli aveva insegnato frasi del genere! -, certe volte ancora urlando e basta.
Si era aspettato di provare dolore, ma neanche nei suoi incubi più nascosti immaginava di provarne così tanto e così intensamente!
“Chi entra con lui in sala?”
Domandò un infermiere, una volta che si furono fermati davanti alla sala.
“Natsuko!”
“Genzo!”
Dissero in coro Kodai e Tsubasa, l’omega urlò nuovamente subito dopo.
“Forse è meglio che ci sia tua madre con te, io non saprei cosa fa-“
“Una sola cosa devi fare, portiere del cavolo, non devi lasciarmi!”
Urlò Ozora strattonandolo per il braccio per farlo avvicinare alla barella.
“Ma-“
“Vai”
Gli sorrise Natsuko accarezzandogli una spalla, anche il capitano e il brasiliano lo incoraggiarono sorridendogli.
Era lui il futuro papà, toccava a lui.
“Non lasciarmi”
Mormorò ancora Tsubasa, scosso dall’ennesima fitta.
“Allora?”
Chiese l’altro infermiere, il tono faceva intendere che doveva decidere in fretta.
“Vengo io”
Disse, allora, Wakabayashi stringendo la mano che lo stritolava.
“Bene, venga con me da questa parte”
L’infermiere lo condusse verso un’altra stanza, prima di richiudersi la porta alle spalle fece in tempo ad osservare Tsubasa, in preda al dolore, che portava la mano tornata libera a stringere il maglione sul ventre, quel ventre che era cresciuto davvero tanto…
 

Il giorno dopo aver scoperto di quella gravidanza tanto inaspettata quanto gradita, i due compagni si erano recati nuovamente dal dottore – stavolta insieme – per poter sapere tutto quello che dovevano sapere.
“E’ piccolissimo!”
E per poter vedere il frutto del loro amore, ovviamente.
“E’ normale che sia così piccolo?”
Chiese Wakabayashi stringendo forte la mano del compagno, gli occhi di entrambi fissi sullo schermo che mostrava il loro bambino.
“Normalissimo, il signor Ozora è entrato da poco nel secondo mese, alcune parti del feto stanno iniziando a formarsi solamente adesso, per questo deve fare particolarmente attenzione alle infezioni”
Tsubasa annuì serio e la dottoressa sorrise.
“Volete le foto dell’ecografia?”
“Sì può?!”
Domandò Genzo illuminandosi.
“Ma certo”
Rise la dottoressa.
Il centrocampista accarezzò la guancia al portiere con la mano libera, anche lui sentiva la stessa emozione che stava provando l’altro – forse addirittura ne sentiva un poco di più, visto che quel piccolino stava crescendo dentro di lui -, ma oltre all’emozione sentiva anche un peso sul petto che doveva assolutamente togliersi.
“Dottoressa”
“Sì?”
“Posso prendere l’aereo?”

Doveva tornare a Barcellona.
Non poteva fare altrimenti.
Doveva parlare con il mister, doveva parlare con Rivaul e lo voleva fare di persona.
La dottoressa gli disse che sì, poteva prendere l’aereo tranquillamente, ma non poteva sopportare un viaggio lungo come quello da Tokyo a Barcellona, non avrebbe fatto bene né a lui né al piccolo nonostante Tsubasa fosse in ottima forma dal punto di vista fisico, così – quella sera, una volta tornati a casa – Genzo, Kodai e Roberto si erano rimboccati le maniche per lui.
Si erano messi tutti e tre insieme e avevano organizzato tutto il viaggio con scali ogni tre/quattro ore di volo per rientrare nelle raccomandazioni che la dottoressa aveva dato loro, nel mentre Natsuko suggerì alcuni trucchi al figlio per poter viaggiare meglio, tipo sedersi sul lato del corridoio così da potersi alzare ogni mezzoretta circa per poter sgranchire le gambe.
Preparato tutto quanto e salutato la famiglia, i due erano partiti ed erano arrivati nella capitale dalla Catalogna stanchi e spossati per il lunghissimo viaggio, ma tranquilli, sicuri di aver fatto tutto come avevano programmato.
Wakabayashi avrebbe voluto fare comunque un piccolo controllo, ma il calciatore preferì andare direttamente al campo degli allenamenti della sua squadra dove trovò Rivaul e i compagni – felici e stupiti di rivederlo lì così presto -, Tsubasa parlò in disparte con l’asso del Barcellona e con lui andò dal mister, lasciando Genzo con i suoi compagni di squadra che ne approfittarono per metterlo un po’ in porta.
Ozora spiegò anche al mister la sua nuova situazione e, facendo un profondo inchino, gli chiese di aspettarlo per due anni, allo scadere di questi avrebbero deciso nuovamente cosa fare.
Era richiesta assurda e pretenziosa ma il centrocampista ci teneva davvero tanto a quella squadra, alla sua squadra, aveva lottato per arrivare fino a quel punto e non riusciva a rinunciarci con facilità, non in quel momento almeno.
Il mister guardò prima lui, poi il suo asso – aveva chiesto il suo parere, e quello gli aveva risposto che lui avrebbe potuto aspettare Tsubasa per due anni tranquillamente e, nel caso, andare avanti anche senza di lui, ma sarebbe stato un peccato perderlo subito -, alla fine sospirò.
“Due anni”
Disse solamente.
Ozora s’inchinò nuovamente, ringraziando a gran voce, facendo sorridere leggermente gli altri due; scompigliandogli i capelli, Rivaul lo riportò dal suo alpha.

Rimasero in Spagna per una settimana per poter permettere a Tsubasa di sistemare alcune cose – prima tra tutte il suo appartamento – e per dargli il tempo di salutare per bene i suo compagni, gli sarebbero mancati molto in quei due anni, avrebbe continuato a fare il tifo per loro anche da lontano, poi partirono di nuovo, stavolta diretti ad Amburgo, dove l’omega si sarebbe trasferito per poter stare insieme al suo alpha, che non poteva nascondere di essere contento di averlo vicino, soprattutto in quel momento che stavano vivendo.
Ma tutti i sogni ad occhi aperti di Genzo vennero infranti, siccome dovette lasciarlo solo praticamente subito per riprendere immediatamente gli allenamenti, in vista di una partita contro il Bayern Monaco.
Partita a cui Wakabyashi aveva anche pensato di non partecipare, visto che coincideva con la prima visita che Tsubasa avrebbe fatto ad Amburgo, ma fu proprio l’omega a spingerlo a presentarsi, era importante per il centrocampista che almeno lui continuasse a giocare a calcio, così il portiere decise di giocare… ma magari era meglio se non lo faceva.
Troppo preoccupato e preso a concentrarsi su Ozora piuttosto che sul pallone che gli sfilava davanti, Genzo in quella partita subì molti più goal del solito, tanto che ad un certo punto fu sostituito, ma ormai il danno era stato fatto e l’Amburgo perse contro il Monaco.
“Senza offesa, ma hai fatto davvero schifo”
Commentò Kaltz una volta che rimasero soli negli spogliatoi.
“Lo so credimi, ma non riuscivo a concentrarmi…”
Mormorò Wakabayashi massaggiandosi la fronte qualche istante.
“Dici che è già tornato a casa? Quanto dura di solito una visita?”
Domandò poi, il biondo, cambiando l’argomento – era inutile girare il coltello nella piaga -.
“Dipende, soprattutto da cosa vedono nell’ecografia”
“Magari fai ancora in tempo per raggiungerlo”
“Non credo”
Disse Genzo tirando fuori il cellulare dal borsone.
Sgranò gli occhi vedendo un messaggio audio da parte del compagno, lo aprì immediatamente sentendo il cuore aumentare il battito per la paura che fosse successo qualcosa.
Un secondo battito, velocissimo, si unì al suo.
“E’…?”
Bisbigliò Hermann dopo qualche minuto di silenzio.
Il portiere annuì solamente con le lacrime agli occhi.
Quello era il battito del cuoricino del suo bambino, Tsubasa glielo aveva registrato durante la visita e glielo aveva mandato.
“Ma guardatelo, il portierone grande e grosso”
Ridacchiò Kaltz, andando ad abbracciarlo per le spalle mentre alcune lacrime gli sfuggivano e rotolavano giù per le guance.
“Possiamo dire che, almeno, non è stata una giornata da buttare”

Da buttare fu il terzo mese.
Con l’inizio di questo, iniziò anche il periodo delle nausee per il centrocampista.
Ogni mattina presto si alzava di corsa e andava a rimettere tutto quello che aveva nello stomaco, il portiere lo seguiva subito e gli accarezzava dolcemente la schiena e il ventre mentre rimetteva – tentando di dargli un poco di sollievo -, e lo riportava in camera in braccio ogni volta siccome Tsubasa era troppo spossato per tornare a letto con le proprie gambe.
Fu un mese lungo da sopportare, ma per fortuna, finì e con esso cessarono anche le nausee.

Alla visita del quarto mese fu comunicato loro che il bambino era abbastanza grande da poter riuscire a identificarne il sesso.
Così scoprirono che non stavano aspettando un bambino, ma una bambina.
Una piccola principessa, tutta da coccolare e viziare.
Pensò Genzo di notte, accarezzando il ventre del compagno mentre questo dormiva profondamente.
Gli sembrò di percepire un calcetto.

Al quinto il portiere pensò di morire per infarto.
Tsubasa non aveva molto da fare in casa – se non allenarsi quel poco che poteva e provare le ricette che la madre gli inviava ogni tanto -, così Genzo aveva pensato di portare a casa Kaltz dopo gli allenamenti per farlo distrarre un po’.
Al posto del compagno, però, una volta che arrivarono a casa, trovarono solo un biglietto dove Tsubasa aveva scritto che si sarebbe recato in ospedale perché si sentiva strano.
Il tedesco non riuscì a tenere a bada l’amico che corse come un matto in ospedale, arrivato lì non perse altro tempo e interrogò il dottore che – con un sorriso del tutto tranquillo – gli spiegò che non era successo nulla di grave, Tsubasa aveva solo esagerato con gli zuccheri e questo aveva fatto agitare la bambina.
Wakabayashi decise che, da quel momento fino alla fine della gravidanza, avrebbe nascosto i dolci ad Ozora.

Il sesto e il settimo li passarono nella tranquillità più totale.
Le visite andarono bene, la piccola era sana, forte ed era giunto il momento di sceglierle il nome.
Fu una scelta difficile da prendere, per aiutarsi fecero una lunga lista dove ne scartarono tanti ma ne tennero da parte altrettanti, chiesero anche dei pareri agli amici ma quelli non furono d’aiuto siccome ognuno ne scelse uno differente, pensarono anche di scegliere sul momento dopo il parto, ma Natsuko li sconsigliò, sarebbero stati presi da altro per poter pensare al nome giusto.
Alla fine, fu proprio la loro piccola a scegliere per loro.
Erano sul letto con una delle lunghe liste che avevano fatto e, ad un nome detto ad alta voce, Tsubasa ricevette un calcio degno di sua figlia – lo aveva fatto sussultare da quanto era forte -, Genzo gli disse ridendo che dovesse essere per forza il nome giusto per ricevere una reazione del genere.
I loro amici rimasero un po’ delusi dal fatto che non avessero scelto il nome che avevano suggerito, ma presero tutti la palla al balzo per poter iniziare a fare dei regali personalizzati per la bambina – s’iniziò con un completino mandato da Yayoi e Yoshiko, passando per i peluche di Taro, fino ad arrivare ad una magliettina della nazionale giapponese fatta fare da Roberto e Mikami -.

All’ottavo Genzo rischiò nuovamente l’infarto.
Tsubasa aveva deciso di tornare in Giappone.
All’ottavo mese di gravidanza.
Voleva farlo morire, evidentemente.
Il centrocampista gli spiegò che non voleva partorire non capendo niente di quello che dicevano i medici durante il cesareo, e se fosse successo qualcosa? E se il portiere non avesse potuto stargli accanto? Lui come avrebbe fatto a capire, non poteva mica chiedere ai medici di parlare in inglese in un momento come il cesareo, impegnati come sarebbero stati nel far nascere la loro bambina, Wakabayashi non poté ridire su nulla, ma non voleva comunque che il compagno affrontasse un viaggio del genere.
L’omega – complice anche i cambi d’umore sempre più frequenti – , però, non mollò la presa, e alla fine fu l’alpha a capitolare… dopo la quinta notte passata sul divano.
Il portiere passò letteralmente dei giorni d’inferno pieni di ansia e paura, nonostante Tsubasa lo chiamasse ad ogni scalo, nonostante i messaggi rassicuranti di Roberto – andato a prendere il suo pulcino per accompagnarlo a casa, siccome Genzo non poteva allontanarsi da Amburgo per via degli allenamenti –, che il brasiliano gli inviava per informarlo sulle reali condizioni del calciatore ad ogni partenza, nonostante le rassicurazioni che avevano ricevuto dal dottore sul far viaggiare Ozora, Genzo aveva una paura folle che succedesse qualcosa – qualsiasi cosa – al suo compagno e alla loro piccola.
Tirò un grosso sospiro di sollievo solo quando Tsubasa lo chiamò e, di sottofondo, sentì le voci di Jun – che aveva aspettato l’amico all’aeroporto per portarlo nel migliore ospedale che conosceva – e di Roberto parlare con il medico che li informava dell’ottimo stato di madre e figlia, farli stare fermi un giorno intero tra uno scalo e l’altro era stata un’ottima idea, ma li sconsigliava dal riprovarci una seconda volta.
Wakabayashi giurò che lo avrebbe ascoltato a costo di dormire vita natural durante sul divano.

All’inizio del nono mese, il portiere riuscì a raggiungere il compagno a Nankatsu.
Quel giorno, Natsuko aveva deciso di festeggiare l’Hinamatsuri* per la nipote, stava sistemando le bambole facendosele passare dal figlio seduto sul divano, quando la bambina decise che era arrivato il momento di nascere, nonostante mancassero ancora più di due settimane piene alla data di scadenza.
Per fortuna Genzo era arrivato il giorno prima.
 

Wakabayashi entrò di corsa nella sala operatoria e si avvicinò altrettanto velocemente ad Ozora, gli accarezzò la fronte fradicia, spostandogli i capelli bagnati di sudore.
“…Gen…”
“Sono qui”
Gli mormorò cercando di fare il miglior sorriso rassicurante che riusciva, nonostante fosse ancora nel panico più totale.
Stava per nascere sua figlia, d’altronde.
“Mi dispiace di averti trattato male, non volevo dire quelle cose”
Bisbigliò Tsubasa chiudendo gli occhi.
L’anestesia che gli avevano praticato mentre aspettavano il portiere aveva portato via tutto il dolore che aveva provato fino al momento prima, ad averlo saputo l’avrebbe chiesta appena entrato in ospedale.
“Tranquillo, ci vuole ben altro per offendermi davvero”
Rispose Wakabyashi baciandogli la tempia.
“Però avrei fatto a meno della ciabatta in faccia, lo ammetto”
Aggiunse, facendolo ridacchiare.
L’omega allungò una mano e l’altro gliela strinse, con l’altra continuò ad accarezzargli la fronte mentre in silenzio ascoltavano il dottore parlare con gli infermieri accanto a lui, dandogli direttive.
Sembrava stesse andando tutto per il meglio ma Tsubasa tenne ostinatamente gli occhi chiusi per tutto il tempo, aveva paura che aprendoli avrebbe scoperto una realtà diversa da quella che sentiva.
Li riaprì solo quando sentì un pianto forte e disperato esplodere nella sala.
Guardò Genzo sorridendo, l’alpha stava osservando i dottori, non appena scorse un esserino tutto insanguinato, tornò anche lui a guardare il suo omega negli occhi lucidi, un sorriso enorme sul volto.
“Congratulazioni, è una bellissima bambina”
Esclamò il dottore, poggiando la piccola ancora tutta sporca e piangente tra le braccia del calciatore, che la strinse delicatamente contro di sé, fregandosene del fatto che si sarebbe sporcato anche lui.
Non aveva importanza in quel momento, stava stringendo la sua bambina.
“Senti come piange”
Rise Tsubasa, nonostante avesse cominciato a piangere anche lui.
“Chissà che notti passeremo d’ora in avanti”
Disse Genzo, ridendo con lui e accarezzando piano la testolina alla figlia.
La piccola stava iniziando pian piano a smettere di singhiozzare, ma appena un’infermiera andò a prenderla dalle braccia della madre ricominciò a gran voce, come per protestare di essere stata allontanata da Tsubasa.
“Il papà vuole farle il primo bagnetto?”
Domandò la donna sorridendo.
Il portiere annuì vigorosamente, dando un casto bacio al compagno prima di raggiungerla.
Ozora lo osservò prenderla in braccio per la prima volta e allontanarsi verso il fondo della sala, si asciugò con calma le lacrime e tornò a chiudere gli occhi.
“Benvenuta Hime”
Bisbigliò sentendola continuare a piangere.

“Guardala come ride! Sono già il suo zio preferito!”
Urlò Taro tutto felice, stringendosi la piccola ridente contro il petto.
“La cosa non è valida, sei entrato portando un orsacchiotto gigante e glielo hai fatto vedere subito, è ovvio che ride adesso, l’hai corrotta!”
Protestò Hikaru accanto a lui.
“Siamo gelosi, per caso, Hikaru?”
“Ovviamente!”
“Non dovrei essere io, quello geloso?”
Li interruppe Genzo, seduto accanto al letto di Tsubasa che cercava di nascondere le risate con la mano.
Erano passati due giorni dalla nascita di Hime Wakabayashi, la piccola stava bene nonostante fosse nata prematura di un paio di settimane, anche il taglio del centrocampista non stava dando troppi problemi, madre e figlia avrebbero potuto lasciare l’ospedale tranquillamente il giorno dopo ma gli amici avevano voluto far loro una sorpresa, andando a trovarli in ospedale e portando vari regali, come ad esempio l’orsacchiotto gigante grande quasi come Misaki stesso.
Misaki che ignorò bellatamente il neo papà e l’amico di fianco a lui per concentrarsi sulla piccolina che aveva tra le braccia.
“Vero che sono io il tuo preferito? Vero, Hime?”
Chiese toccandole delicatamente il nasino, scatenando così delle nuove risate.
“Ascoltatela, già mi ama, Tsubasa posso sposarla quando cresce?”
“Qualcuno gliela tolga dalle braccia!”
Urlò Hikaru a quel punto.
“Arriva lo zio Ryo!”
Intervenne a quel punto Ishizaki prendendo Hime dalle braccia di Taro, facendo protestare quest’ultimo e facendo scoppiare a piangere la prima.
“Vedi come succede a togliermela dalle braccia?”
“Non ti rispondo perché ti voglio bene, Taro”
Lo scambio di battute tra i due fece ridere tutti quanti, Jun approfittò del momento per prendere la piccola Wakabayashi in braccio, siccome con Ryo non faceva che piangere disperata, facendo disperare così anche il difensore, ormai sicuro di non piacerle per niente.
Tra le braccia di Misugi la neonata si zittì immediatamente, i suoi occhioni verdi presero ad osservare con attenzione il viso del calciatore dal cuore di cristallo, il quale, sorridendo, le diede un piccolo bacino sulla fronte – osservato con attenzione da una Yayoi altrettanto sorridente -, prima di lasciarla a Wakashimazu.
Non potevano monopolizzarla tutti come aveva fatto Taro, anche se sarebbe stato bello farlo.
In braccio al portiere karateka, Hime allungò le manine nel tentativo di afferrargli i lunghi capelli, così Ken la cedette praticamente subito a Hyuga, il quale ghignò in direzione dell’artista del campo.
“Osserva e impara Misaki, tutti sanno far ridere i neonati, la vera sfida è farli addormentare”
Esclamò iniziando a cullare la neonata, dondolandosi su se stesso, come aveva fatto in passato con i suoi fratelli minori.
“Non potrei essere più d’accordo”
Concordò Tsubasa.
“Ehi, tu dovresti essere dalla mia parte! Siamo o non siamo la coppia d’oro?!”
Scoppiarono nuovamente tutti a ridere e Genzo decise di prendere in mano la situazione, alzandosi per andare a recuperare la figlia ormai addormentata tra le braccia di Kojiro.
Jun prese il suo posto vicino al centrocampista.
“Sembra ieri che ci hai chiamati per dirci della gravidanza”
“Lo so, questi mesi sono volati”
Mormorò Tsubasa.
Restarono qualche momento ad osservare gli altri, poi Misugi si fece serio, voltandosi verso l’omega.
“Nove mesi sono già passati, sei davvero sicuro di voler restare fermo per un altro anno?”
Ozora capì dove volesse andare a parare l’amico con quel discorso, eppure non perse il sorriso, continuò a guardare con dolcezza Genzo che teneva in braccio Hime e parlava con Morisaki, e disse di sì.
Non era mai stato così tanto sicuro in vita sua.

“Non è giusto comunque, è riuscito a farla addormentare solo perché è pratico, il suo preferito rimango io!”
“Taro, sappi che anche se non ti rispondo perché ti voglio bene, posso sempre picchiarti”



 

* L'Hinamatsuri è la festa delle bambole o feste della bambine che cade il 3 Marzo ^^.
In questa festa vengono esposte su delle piattaforme con un tappeto rosso delle bambole ornamentali che rappresentano l'imperatore, l'imperatrice, gli attendenti e i musicisti della corte imperiale con vestiti di corte del periodo Heian.
I famigliari delle bambine pregano affinchè venga data loro bellezza e salute, si pensa infatti, che tutta la sfortuna delle piccole possa essere passata alle bambole.
Grazie Wikipedia ~ ♥



 
   
 
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