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Autore: ilovebooks3    09/05/2020    0 recensioni
Chi è Sophie Miller? Perché è così importante per Jane? E perché Lisbon è così nervosa?
Scopriamolo in due one-shot, scritte ognuna dal punto di vista di uno dei protagonisti e ambientate durante l’episodio 1x10, in cui il mentalista fa un tuffo nel passato.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 “ON THE CHEEK”
 
 

Sono seduta al volante della mia macchina, ad aspettare che Jane saluti il suo passato e la bella psichiatra che gli aveva salvato la vita e che, per fortuna, non è colpevole di omicidio.
Forse, però, una microscopica parte di me avrebbe preferito che lo fosse  per avere la soddisfazione di vederla dietro le sbarre. Anche solo per un giorno, per vedere come se la sarebbe cavata.
È un pensiero malvagio, e non ne vado fiera, ma è la verità. Mi irritano i suoi capelli biondi e lunghissimi; mi irritano i suoi occhi celesti; mi irritano i sorrisi radiosi che rivolge a Jane.
Eppure è innocente.
Mi riscuoto dalle mie perfide elucubrazioni senza senso e torno la solita integerrima agente Lisbon.
Per deformazione professionale (o almeno credo) non posso fare a meno di tenerli d’occhio a distanza. Parlano su una panchina, sono molto vicini. Jane a un certo punto la bacia. In un angolo della bocca, se la mia postazione non mi inganna.
Il mio consulente odia i contatti umani. Evidentemente il contatto con la sua Sophie Miller non gli risulta poi tanto spiacevole.
Poi la saluta e si allontana. Ora Jane viene verso di me, e io devo camuffare l’assurda fitta allo stomaco che mi sta tormentando con una battuta idiota.
Devo prenderlo in giro, altrimenti sarà lui a farlo con me. Da fine osservatore com’è, non gli sfuggirà il mio turbamento.
In realtà è proprio il mio turbamento a turbarmi.
“Hai baciato una ragazza”, inizio a canzonarlo come se fossi la sua compagna di banco di seconda media.
Brava Teresa, peggio di così non potevi fare. Jane si accorgerà che sei a disagio, ti sfinirà con le solite domande trabocchetto, tu andrai in confusione e gli dirai che è vero ma non per i motivi che lui crede, lui ti chiederà quali sono questi motivi, tu arrossirai e ti vorrai sotterrare. Scenetta tipica e imbarazzante. Peccato che quali siano questi motivi non lo sai neanche tu.
“Sulla guancia”, puntualizza quel farabutto di Jane, dopo una piccola pausa che segnala il suo disappunto. Non gli piacciono le domande troppo private, anche se si sente perennemente in dovere di farle agli altri.
“Vale uguale”, sottolineo io, sempre in versione compagna di banco di seconda media.
“Vale per cosa?”, mi chiede, sospettoso.
Sì, infatti, vale per cosa? Cosa volevo dire?
Non lo so. Quindi tergiverso, consapevole che il consulente dei miei stivali non si lascerà sfuggire questa occasione per scandagliare i miei propositi e i miei pensieri più reconditi.
O forse no.
Jane è strano, meditabondo e poco reattivo.
Non è da lui non avere l’ultima parola.
Salutare quella donna gli dev’essere costato molto.
Ma certo.
Come ho fatto a non pensarci prima?
È ovvio che Jane non sia il solito Jane e che, per una volta, non abbia la forza di nascondere i suoi veri pensieri dietro un’impenetrabile maschera di battute e sorrisi.
Quella donna gli ricorda la tragedia, e il periodo buio in cui era caduto nella follia.
Chiunque sarebbe turbato.
E io sono un’idiota.
Devo anche ammettere che, se non fosse per Sophie Miller, forse oggi io non sarei qui, in questa macchina con il mentalista più bravo e irritante del pianeta. Forse molti dei miei casi non sarebbero stati neanche risolti.
Sono costretta a essere grata a quella bionda perfettina.
Lo sarei, se solo non mi fosse così antipatica.
Ma non importa.
Quello che mi importa è Jane, come sempre.
È triste, come raramente l’ho visto. La sua muraglia di ironia è crollata, mattone dopo mattone, e ora vedo solo il vuoto dei suoi occhi.
Sale in macchina in silenzio, senza approfondire il discorso, senza provocarmi, senza farmi venire volontariamente voglia di tirargli un pugno sul naso.
Questo è il vero Patrick Jane, quello che, per una volta, non finge.
Devo fare qualcosa. Devo tirarlo su di morale. I colleghi fanno anche questo.
“Vuoi guidare tu?”, mi sforzo di proporgli.
Odio quando guida, va troppo veloce, ma perfino i 200 km all’ora sarebbero meglio di questa sua aria malinconica.
“È un’offerta molto carina. Sembro davvero così triste?”.
È colpito. Ovviamente ha capito che sono disposta a sfracellarmi per lui, come sempre, d’altronde.
“Tu vuoi avere il controllo, ma per tirarmi su il morale vinci le tue paure. È un bel gesto”.
Ed eccolo. Il ghigno alla Patrick Jane, quello troppo sicuro di se’ di chi ha capito troppe cose. Quello bellissimo che illumina il suo volto e la mia giornata.
Cambio idea all’istante.
“Ma che sei matto?”
Metto in moto e parto.
D’altronde il mio obiettivo l’ho già raggiunto.
Patrick Jane mi ha sorriso.
  
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