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Autore: Fratilla    17/05/2020    0 recensioni
Pokemon Spada/Scudo — Dandel/Laburno, Hop/Gloria, femOC/femOC e altre coppie o tensioni assortite — Sopratutto Dandel, Laburno, Sonia, Azzurra, Kabu, Rose, Gloria, Hop — Storia in tre tempi incentrata su Dandel e i suoi compagni a dieci, sedici e vent’anni. Una storia di draghi, di surf, di fiducia in sé stessi e di amicizia, con un narratore sarcastico che ha deciso di non prendere il suo lavoro troppo sul serio. Ho aggiunto dei personaggi necessari laddove mancavano per forza di cose: la Campionessa prima di Dandel, soprattutto, e la Capopalestra di Knuckleburgh mentore di Laburno.
Genere: Angst, Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Naturalmente, a questo punto, il severo lettore potrebbe essere tentato di attribuire al futuro Campione la ricchezza interiore di un Gurrdurr. Ci riserviamo dunque di intervenire in difesa della sua sfera emotiva, in quanto il ragazzo avvertiva quella sera un nodo di sensazioni contrastanti, solo che non si era mai concesso il lusso di riflettere troppo su tali argomenti: a parte l’esigenza di impressionare un fratello minore col suo atteggiamento coriaceo, era l’unico Sfidapalestre ad avere un pubblico prima ancora di essere partito, e la sua stessa foto sui giornali, con la conseguente esigenza di aderire a quell’immagine, lo assillava come un Gastly infestante. Così adesso non aveva la minima idea di cosa gli stesse succedendo; sapeva solo che si sentiva uno straccio, e che c’era una sola persona nella zona con cui potesse affrontare l’argomento senza danneggiare irreparabilmente la propria reputazione. Di conseguenza, quella notte, smise di aggrovigliarsi nelle lenzuola con gli occhi sbarrati, portò con sé Charmander e scivolò fuori. Era la vigilia della sua partenza.  

 

“— E’ vero che lei non trova giusto che Agave sia Campionessa?

— Non ho mai detto questo. Agave è un’Allenatrice brava e fortunata. Certamente, se non fosse stato per l’incidente che ha ucciso mio nipote... ma non pensiamo al passato. Ho piena fiducia in Dandel!

— Alcuni dicono che lei coltivi un sentimento di vendetta.

— Si sbagliano di grosso.

— Allora è un caso che negli ultimi sei anni lei abbia sponsorizzato sempre Sfidapalestre maschi e giovanissimi?

— Mi limito a promuovere talenti emergenti che possano dimostrarsi più meritevoli della ‘Campionessa per caso’...” 

 

Nemmeno il più piccolo pezzetto di luna illuminava il cielo. Non era esageratamente tardi, ma a Furlongham la principale motivazione per restare vigili oltre le dieci era finire di leggere un appassionante psico-thriller o rincasare, strisciando per i campi con la consistenza di un Ditto, dal pub di Brassbury; per cui, le finestre erano tutte buie, almeno quelle poche che c’erano. Dandel pensò che sarebbe stato felice di vedere qualche città più grande invece di quelle tre case — e gli prese un groppo di nostalgia. Magari si sarebbe trasferito nella capitale come Campione — e gli tremarono leggermente le ginocchia. Normalmente, a quel punto, avrebbe già smesso di pensare, visto l’effetto deleterio che gli faceva quella pericolosa pratica, ma stavolta non riusciva a distrarsi, e i pensieri l’avevano stretto alla gola con una morsa di ferro. 

Arrivò alla finestra di Sonia col fiato mozzo. Non si era nemmeno accorto di aver corso. 

« Sonia. Sonia! » bisbigliò nella notte alla finestra buia, ma nessuno rispose*. Tentò la strategia consolidata del sasso contro il vetro, ma non successe nulla; all’ultimo sassetto, lanciato con un po’ troppo sentimento, il padre di Sonia emerse dalle tenebre, seduto sulla panchina in veranda a pochi metri da Dandel, il quale trasalì in maniera imbarazzante.

Il padre di Sonia era quel genere di persona che terrorizza i ragazzi venuti a trovare la figlia nel cuore della notte, indipendentemente da quali fossero le loro intenzioni... e in realtà, anche in qualsiasi altro momento della giornata. In effetti era quel genere di persona che probabilmente terrorizzava anche gli Spettri, col suo cipiglio perennemente belligerante, i suoi occhi azzurri scintillanti in una maniera vagamente malvagia e, naturalmente, il suo Manetric che non aveva un’espressione più bonaria della sua. 

« E’ a fare da baby sitter a Gloria, » disse, da sempre uomo che aveva poche parole, e quelle poche erano pronunciate come se avesse voluto ucciderti. 

« Oh... grazie mille. Mi scusi il disturbo, » rispose Dandel, facendo del suo meglio per ergersi in tutta la sua altezza di bambino di dieci anni. 

« Hai un bello sponsor, ragazzo, e sei su tutti i giornali, » disse ancora il padre di Sonia. « Bisogna che tu valga qualcosa ».

Dandel non aveva mai sentito un complimento più aggressivo. Ammesso che fosse un complimento, comunque. 

« Se ti dimentichi di Sonia e la lasci indietro per girare a fare la star, non pensare nemmeno di ripassarmi di qui davanti. A buon intenditor poche parole ». 

Dandel salutò educatamente, ma quel discorso lo aveva messo ancora più in difficoltà di prima. All’epoca dei fatti, era fin troppo piccolo e fin troppo sovreccitato per rendersi conto di cosa preoccupasse il padre di Sonia; ed era ben lontano dal pensare che la sponsorizzazione di uno Sfidapalestre fosse una questione assai spinosa, irta di responsabilità, pericoli e, curiosamente, conti da regolare. 

 

« Sonia, senti! » sbottò Dandel con passione nell’istante in cui Sonia ebbe aperto il portone. 

« Shhh! Me la svegli! » lo zittì subito la ragazza, mettendogli una mano sulla bocca. 

Dandel venne fatto entrare in salotto, dove la piccola Gloria, coetanea di Hop, dormiva profondamente avvolta in un plaid tartan dai colori vivaci, abbracciando ermeticamente il peluche di un Sirfetch’d; questi era in tutta evidenza Gawain, il Sirfetch’d di Agave, come dimostrava il nastro viola legato all’elsa del porro, proprio come nella realtà. Dandel al momento non aveva molta voglia di confrontarsi con i fasti della Campionessa: la voglia di darsi da fare che la cosa gli metteva addosso era tanta da fargli quasi male al cervello, e per giunta il cuore gli batteva come un pazzo. 

« Dopo l’amichevole in TV, non voleva più dormire. Stesso problema? » disse Sonia. 

« A Hop ci sarebbe voluta una botta in testa per addormentarsi, dopo quella lotta, » replicò Dandel, apparentemente tranquillo. 

« Io parlavo di te ».

Improvvisamente, il ragazzo gettò le braccia al collo di Sonia, stritolandola come Gloria (con forza rimarchevole per una bambina di sei anni) stava stritolando Gawain. « Sono così nervoso! » esclamò sottovoce, dandosi un gran da fare per conferire all’esibizione la maggior carica teatrale possibile. 

« E non fare il drammatico, ti dico che Gloria si sveglia! » protestò Sonia, con un riluttante sorriso sulle labbra. « Usciamo, dai ».

 

Sedettero sul muretto di pietra che delimitava il disordinato cortile di casa di Gloria. Il portone aperto alle loro spalle dipingeva un allegro rettangolo giallo sul viale sterrato davanti a loro, e i due sedevano in controluce, guardando le loro ombre allungarsi all’interno della pozza di luce. 

Per un po’ non parlarono, e stettero ad ascoltare lo strano lamento degli Hoothoot. 

« E se fossero troppo forti per me? » disse infine Dandel. Una carrellata di enormi, altissimi, malvagi e pugnaci adulti con sei Ultraball alla cintura, tutte contenenti torreggianti Pokemon alti sei metri, sfilava davanti ai suoi occhi sbarrati. Ogni volta che un suo Pokemon veniva schiacciato da uno dei loro, la notizia veniva accuratamente ed esaustivamente riportata sui giornali. Il più giovane rivale di Agave — come non si rendeva conto di venir chiamato — diventava il più giovane perdente della storia di Galar, sotto gli occhi di tutta Furlongham. Non che a Furlongham ci fossero tanti occhi, certo.

Charmander, percependo il suo sudore freddo, pensò di consolarlo mordendogli il piede con ardore. Ciò comportò che Dandel si riscuotesse dalla sua visione nefasta, ma anche che la sua scarpa destra si bruciacchiasse. 

« Che ci sarebbe di male se fossero più forti di te? » chiese Sonia, quando i due amici si furono ricomposti. 

« Non lo so... »

« E’ per Hop, vero? Scommetto che lo fomenti continuamente e ora hai paura di non essere all’altezza di come ti vede ». 

Dandel cominciava a pentirsi di avergli garantito che non sarebbe stato mai sconfitto. A dire il vero, ora come ora, cominciava a pentirsi di aver mai voluto partire, in generale. Ora non poteva più tirarsi indietro dalle promesse che aveva seminato a destra e a manca. Tuttavia, è abitudine delle persone disorganizzate placare le proprie ansie con una robusta gabbia di impegni e propositi per l’anno nuovo. « E tu come mi vedi? »

« Beh... non lo so... » rispose Sonia esitante, arrossendo a quella domanda improvvisa. Ma pensò che l’amico era davvero troppo fuori di sé, in una maniera stranamente adorabile, per non dargli una risposta. « Per me ce la puoi fare. Ma non è una cosa che devi fare per forza. Nessuno deve farlo per forza, » aggiunse con una certa amarezza.

« A parte te, » ribatté Dandel a bassa voce.

Non conosceva esattamente la dinamica della cosa, ma conosceva bene i genitori di Sonia, che probabilmente stavano sfilando in mezzo al corteo dei gargantueschi adulti spaventosi che la sua mente aveva evocato poco prima. Eppure qualcuno era ancora più terrificante di loro, perfino più della madre di Sonia, che aveva lottato contro la Campionessa: la Professoressa. Non era tanto il fatto che fosse l’autrice di tante scoperte nella regione di Galar: queste cose cominciano a interessarti quando vai all’università, e raramente per genuino coinvolgimento, quanto piuttosto perché sarà oggetto di domanda in sede d’esame. In realtà, era lo sguardo. La nonna di Sonia, che non urlava mai, non si arrabbiava mai e non si era mai scomposta, non aveva mai nascosto di disapprovare l’incostanza della nipote; all’epoca, nessuno dei due sapeva cosa voleva dire “incostante”, ma se non piaceva alla Professoressa, che, con calma, ti guardava come se tu l’avessi delusa su tutta la linea, era una motivazione sufficiente per lasciare casa a dieci anni per girare il mondo. 

« Figurati! » sbottò Sonia, agitando la mano per scacciare una simile sciocchezza. Poi cambiò discorso, più veloce di Agave il Fulmine. « Sono contenta che partiamo insieme ».

« E finiremo anche insieme? »

« Beh, non è possibile, ti pare? Quando c’è una competizione, solo uno alla fine vince ».

 

In quel momento, si trovava a passare dalle parti di Furlongham una creatura conosciuta come Sherazade. Era in realtà conosciuta anche con molti altri nomi, perché la sua età centenaria, i suoi colori insoliti per la sua specie e la sua abitudine a viaggiare molto le erano valsi una vasta gamma di epiteti — alcuni dei quali offensivi, spesso volgari, qualche volta decisamente blasfemi, data la sua tendenza a sfuggire costantemente dalle Pokeball che le venivano lanciate.

Si trattava di una Musharna errante. In quella precisa serata, si era recata al Bosco Assopito per andare in visita da certi pronipoti Munna, uno dei quali si era coperto di gloria in un combattimento rituale — che, come potete immaginare, si era rivelato particolarmente grazioso, e sanguinario e violento più o meno come un primo giorno di scuola — e veniva festeggiato quella sera con complesse a adorabili danze all’ombra della luna nuova. 

Sherazade ormai andava circa per i 210 anni, però. Per lei ormai non era più tanto semplice viaggiare in sicurezza. A parte il fatto che la vista cominciava a giocarle brutti scherzi e che era sorda come una campana, non riusciva nemmeno a trattenere le tossine psichiche contenute nel vapore che le usciva dalla testa. Il che, l’avrete già capito, risultò in Dandel e Sonia abbracciati sul muretto, addormentati profondamente al suo passaggio. 

 

Come spesso accade in casi del genere, Sonia si ritrovò, nello spazio di un secondo, in una terra che non aveva né capo né coda. Reggimenti di Wooloo rotolavano per i fianchi delle colline, in alto e in basso, come se la gravità avesse perso il filo; stormi di Pokemon grassocci a forma di tapiri rosa roteavano nel cielo. Un bizzarro spicchio di luna dal sensazionale color fucsia, tappezzato di sconcertanti adesivi della Macro Cosmos, pendeva dal cielo come un giocattolo rotto. 

Una voce nefasta tuonava nel cielo lilla. « Ti ricordi quando si era fissata con la poesia. Dopo un mese era finita. Scriveva dei versi più che accettabili... »

« Dandel, dove sei? » gridò Sonia, ma le uscì una vocina piccola piccola, come lo squittio di un minuscolo topo di campagna. 

« E l’uncinetto? E il tennis? Tutto abbandonato ».

« E le lotte Pokemon? Non ci mette il cuore ».

« Incostanza ». 

« Dandel! » gridò al massimo delle sue possibilità, ma tutto ciò che si sentì fu il lamento di uno scricciolo. 

Poi sentì la voce dell’amico. « Sonia, che c’è? Dove siamo? Dove sei? »

« Sono qui, non mi vedi? »

Solo allora Sonia si rese conto che c’era decisamente qualche problema con il loro aspetto, e c’era un motivo molto semplice se Dandel non riusciva a vederla. 

Lei era talmente piccola che una foglia di vite riusciva a reggere il suo peso senza inclinarsi neanche un po’; e Dandel non era Dandel, o meglio, forse si poteva dire che lo fosse, se avesse avuto vent’anni e se qualche fashion designer, a cui mancava qualche venerdì, gli avesse messo addosso un mantello coperto di toppe commerciali. 

Si stava guardando in giro, cercandola, senza riuscire a vederla. Aveva una strana creatura sulla spalla. Sembrava quasi una sorta di rettile, forse un drago, forse uno spettro, con enormi occhi gialli; questi erano puntati su Sonia, con tanta fissità che la loro espressione simpatica sembrava trasformarsi in uno sguardo di sfida. 

Poi tutte le voci tacquero, gli Wooloo e i tapiri e tutte le altre cose graziose scomparvero, e una ragazza si levò all’orizzonte — nel senso che, in maniera piuttosto letterale, la titanica figura si alzò da terra e torreggiò sopra Dandel in tutta la sua impossibile statura; il suo caschetto castano doveva essere grande quanto una casa, ma il suo aspetto era quello di un’adolescente, anche se dopo una cura troppo energica di integratori. Alle sue spalle c’era quello che sembrava un lupo, dalle spalle del quale si spandeva lentamente la nebbia. 

Sonia stava per gridare qualcosa, allarmata, vedendo che Dandel era in difficoltà di fronte a un simile colosso, ma in quel momento vide che non era sola sulla foglia di vite. Con orrore, riconobbe le fattezze di Agave, ma con fatica, perché i capelli e la pelle della Campionessa erano bruciati, così che la testa ustionata era quasi calva e gli occhi azzurri e lucidi splendevano in maniera mortifera sul viso simile a un tizzone.

La Campionessa parlò con un sibilo, mettendole sulla spalla una mano stranamente gelata. « Non è triste quando i tuoi amici sono migliori di te? »




NOTE:
* Quelli erano tempi più felici, come direbbe il nostro trisnonno, e si era soliti spegnere i cellulari quando si andava a letto, senza nemmeno il selfie della buonanotte. Tempi per bruti e vandali senza creanza, come parrebbe a un Capopalestra di nostra conoscenza.

   
 
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