Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Legar    17/05/2020    10 recensioni
Lei che, in un’altra vita, gli faceva girare la testa richiamandolo con l’incedere ritmico dei suoi passi aggraziati, lei che con il suo corpo gli prometteva il paradiso della carne e con le sue parole decideva di negarglielo. Lei, Helena, che non era stata mai sua. […]
Helena accorciò la distanza da lui, ma gli sembrava come sempre irraggiungibile, sebbene gli sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarla e carezzarle una gota con la nocca di un dito indegno.
Nella lunga notte della battaglia di Hogwarts il Barone Sanguinario ripensa a quella di secoli prima in cui commise il suo atroce delitto. L’arrivo della Dama Grigia apre un confronto tra due spiriti che si rivelano infine affini nelle loro sfumature di tenebra.
[Seconda classificata al contest “Una biblioteca in disordine” di Marika Ciarrocchi/Angel Cruelty sul forum di EFP.]
[Terza classificata al contest “Il citazionista 3” indetto da SherylHolmes sul forum di EFP, giudicato da fantaysytrash.]
[Settima classificata al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite) - Seconda edizione" indetto da BessieB sul forum di EFP.]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Corvonero, Helena Corvonero
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Time cannot erase'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il buio degli spiriti


In un momento indeterminato della battaglia il Barone Sanguinario scelse di ignorare la ressa di maghi e streghe per isolarsi nella deserta torre di Astronomia,[1] dove usava consumare il tempo della sua esistenza immortale,[2] trascinando con fracasso le sue catene. Non ritenendo che i cruenti scontri umani fossero affare dei fantasmi, si rinchiuse, come di consueto, nella solida prigione solitaria costruita sulle fondamenta del suo eterno tormento, anche mentre del sangue era versato nella notte di Hogwarts. Eppure il rumore noto, che produceva con i suoi movimenti, non riusciva a coprire il fragore degli incantesimi letali dei duelli e delle grida di dolore o di esultanza che si mescolavano confusamente in quelle ore. Finanche dal punto più alto del castello[3] non poteva non udire gli sviluppi della lotta tra i due fronti, ma lasciò che quegli avvenimenti facessero il loro corso senza il suo marginale intervento.

Si ritrovò a fissare il cielo scuro fuori, macchiato di rare stelle tremolanti. Era cupa quella notte funesta, ma illuminata concitatamente dai sortilegi prodotti da bacchette infaticabili, che furono posate solo al primo chiarore del mattino[4] – la conclusione della guerra in contrasto con gli animi lugubri di sforzi patiti e perdite subite, un nuovo inizio, di chiassosa celebrazione e speranza di rinascita, che tuttavia non lo vedeva coinvolto. Era buio ugualmente dentro di lui, per l’atrocità imperdonabile commessa nel passato, ma nessuna luce poteva arrivare a stemperare quelle tenebre, perché una densa ombra costituiva il suo spirito misero e non esisteva redenzione che potesse diluirla.

Solo lei avrebbe potuto. Lei che, in un’altra vita, gli faceva girare la testa richiamandolo con l’incedere ritmico dei suoi passi aggraziati, lei che con il suo corpo gli prometteva il paradiso della carne e con le sue parole decideva di negarglielo. Lei, Helena, che non era stata mai sua.

Non era nuovo a indugiare su ricordi che rinvigorivano sentimenti mai sopiti. Era la sola maniera che gli rimaneva per sentirla vicina, quando ogni altra gli era interdetta dalla distanza che lei gli aveva imposto sdegnosamente.

Anche il loro ultimo confronto, secoli prima, nella foresta in cui la dama si era rifugiata, era avvolto dalla tenebra, nera come la collera che aveva guidato la sua mano assassina e suicida. Allora l’inizio di un nuovo giorno aveva illuminato due cadaveri ormai pallidi e freddi sul suolo verde. Lui aveva studiato dall’esterno quel quadro di membra esangui, dopo essere tornato dall’oblio della morte in forma incorporea. Aveva osservato che, se lei non si fosse ostinata a respingere altezzosamente il futuro coniugale che intendeva offrirle, si sarebbe trovato disteso con lei solo sul loro talamo nuziale, mentre si prodigava in adorazione della sua sposa, sfogando la passione e il desiderio che aveva destato in lui. Invece l’alba era giunta segnando l’inizio di un’esistenza divisa come fantasmi, cancellando per sempre la possibilità di cominciare con il matrimonio una vita unita come marito e moglie. A quell’alba, che irradiava la vita mortale di luce caduca, nelle foglie cadute dagli alberi, nei fili d’erba strappati da passi pesanti, si contrapponeva la fitta oscurità che colmava il principio della sua immortalità. Ne erano seguite molte altre, identiche nella tragica assenza di lei.

Mentre scrutava pensoso il cielo plumbeo, avvertì una presenza avvicinarsi, più silenziosa di come avrebbe camminato un umano. Sperò fosse lei, mai stanco di consolarsi di illusioni, e quando osò voltarsi, l’attimo seguente, ne ebbe l’inaspettata conferma. Non si mosse, per il timore di turbare il fragile equilibrio che l’aveva portata da lui dopo così tanto tempo, e attese che fosse lei ad approcciarsi. Helena accorciò la distanza da lui, ma gli sembrava come sempre irraggiungibile, sebbene gli sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarla e carezzarle una gota con la nocca di un dito indegno. Con il suo viso attraente, i capelli lunghi fino alla vita e l’elegante mantello di una moda desueta,[5] lei gli ispirava il concetto stesso di bellezza. Però era la bellezza innaturale di un fiore che non appassisce pur privato del sole, di petali vecchi che serbano un artificioso fascino. Sapeva che sarebbe stato sufficiente scostare quel mantello per scoprire la singola ferita sul suo petto, che aveva sfregiato l’abito in cui era deceduta e congelato il suo aspetto giovanile, per mezzo dell’arma che lui aveva impugnato, deturpando il suo splendore.

Non riusciva a immaginare quale fosse il motivo per cui era lì, ma sul suo volto serio e negli occhi distaccati leggeva una torbida pena che non gli era estranea. Lei esitò, prima di rivolgerglisi, come indagando cautamente la capacità di comunicare con lui, assopita dopo averlo a lungo tenuto lontano.

«Non eravate presente alla battaglia.»[6] Il Barone continuò semplicemente a guardarla, curioso, aspettando che aggiungesse altre parole a quelle con cui aveva appena ammesso di averlo cercato.

Lei inspirò profondamente e la fame d’aria, insensata per un fantasma, era forse la ricerca del coraggio di aprirsi. «Un ragazzo», proseguì, «è venuto da me questa notte. Mi ha chiesto del diadema di mia madre; non ho bisogno di spiegarvi di cosa parlo.» Il diadema della fondatrice della Scuola poteva conferire saggezza e acume, qualità da lei ben apprezzate, perciò apprendere da voci di corridoio che numerose generazioni di studenti l’avessero cercato negli anni, invano, per garantirsi il successo scolastico, non era stato una sorpresa per lui. Ma non esisteva più uomo o donna mortale che conoscesse dove era stato perduto. A lui era stato svelato il suo destino da Corinna Corvonero[7] in persona, quando l’aveva implorato di portargli la figlia che glielo aveva sottratto, desiderosa di incontrarla un’ultima volta prima di morire. Era riuscito a scovarla, ma non a ricondurre a casa lei, o il diadema, e il segreto della sua collocazione era morto con Helena.

«Gli ho confidato il mio nome e raccontato la mia storia. Ma l’avevo già rivelata a un altro, anni fa.» Il fantasma di Serpeverde accolse quella confessione con stupore, pur celato sul suo volto impassibile. Non pensava che Helena potesse ammettere quel torto davanti ad altri, trattenuta dalla vergogna del furto commesso per la brama dell’oggetto magico e del suo potere. Tuttavia non sciolse il silenzio per commentare, temendo che rendere più tangibile la propria presenza potesse metterla in fuga da lui, come gli era sempre scappata dalle mani e dal cuore, interrompendo la narrazione di cui lo stava privilegiando.

«Ho capito solo in seguito di aver scioccamente messo a parte dei miei segreti qualcuno interessato solo ad avere per sé il diadema. Ma quando mi parlava, lui mi faceva sentire compresa.» Helena spostò gli occhi posati sulle proprie mani giunte dritti nei suoi. «Sapeva essere persuasivo, il mago che si faceva chiamare Lord Voldemort.»

Quel nome echeggiò nella sua mente, aggrappato alla sua terribile fama. Dunque non era vero che i fantasmi fossero del tutto estromessi dalle vicende terrene, se lei aveva interagito con l’uomo che aveva iniziato una guerra. Quale ruolo avesse rappresentato la donna per le sorti della comunità magica, dandogli accesso al diadema, e quale utilizzo ne fosse stato fatto erano interrogativi a cui non dava peso. Gli interessavano piuttosto le conseguenze di ciò su di lei. Continuava ad abitare quel mondo solo per lei, avrebbe potuto tutto andare distrutto e l’avrebbe comunque trovato incantevolmente florido, se almeno lei vi fosse rimasta.[8]

«Il desiderio di gloria che mi aveva spinta a fuggire con il diadema offuscava il senso di colpa per il tradimento compiuto ai danni della mia stessa madre. Ma è solo per stoltezza che ne ho tradito la memoria, quando ho permesso che la sua eredità finisse in mani perverse.»

Il Barone scorse nel suo sguardo affranto e nella postura ricurva frammenti del turbamento che la dama aveva vissuto, del rammarico che viveva, e, per l’infinito e immutato legame che lo trainava inevitabilmente verso di lei, provò a confortarla. «Helena,» disse, e pronunciare di nuovo quel nome a voce alta era dolce miele sulle sue labbra aride, «vostra madre sapeva perdonare. Non svelò mai di non avere più il diadema e in punto di morte non mi pregò di recuperarlo, ma di trovare voi. Pensate che vi farebbe una colpa del fatto che Lord Voldemort l’abbia ottenuto, sottraendo con l’inganno informazioni da voi?»

Se la donna fu toccata da quelle parole, non lo mostrò: la sua espressione non mutò nella colpevolezza che palesava e le labbra che si irrigidirono erano lo specchio della durezza con cui giudicava se stessa. «Dovrebbe! Io ho aiutato un mago oscuro nelle sue malefatte, gli ho fornito un mezzo per i suoi intenti di devastazione nel Mondo Magico», parlò con un tono che si fece più acuto, manifestando tutto il biasimo che provava per il suo comportamento disonorevole. «Perciò, vedete, voi portate ancora le catene», e le indicò con un cenno del capo, «come atto di contrizione per il vostro crimine, mentre i miei arti sono liberi, ma similmente intrisi di sangue innocente. La mia anima è fosca quanto la vostra.»

Così, infine, lei l’aveva riconosciuto per quello che era: un cavaliere dimenticato, dall’armatura arrugginita e la spada spezzata, caduto in un combattimento di sentimenti e impulsi ancestrali. Aveva peccato in un eccesso di furia, che aveva frantumato il suo autocontrollo e sporcato la sua condotta. Non negava la sua colpa, non cercava di affievolire il rimorso che lo attanagliava da allora, anzi lo aveva accettato volentieri per l’eternità, poiché implicava restare tra i vivi, con lei, e seguitare a rimirarla da lontano. Però non era l’unico essere perso in un mondo tetro. Lei c’era.

Eppure non avrebbe dovuto farne parte. I suoi sbagli non erano dello stesso tenore dei propri, incancellabili, ingiustificabili, fatali: lui aveva ucciso, le sue catene erano la penitenza di un omicida. Erano entrambi peccatori, ma solo uno di loro aveva commesso un sordido peccato mortale e meritava la tenebra sconfinata del rimpianto. Glielo disse.

Helena scosse la testa con un sorriso afflitto. «Io non merito quanto state facendo per me. Non potete accordarmi un’assoluzione, che a ben vedere non dovrei ricevere affatto.»

«Sì invece. Se consideraste voi stessa come lo faccio io, comprendereste che i vostri errori non vi rendono guasta. Siete un’anima in pena, ma mi apparite accesa di armonioso fulgore, come lo siete sempre stata.»

Una scintilla brillò per un istante nello sguardo della donna, ma era troppo debole perché accendesse un fuoco che riscaldasse la sua gelida afflizione, e si spense con la stessa rapidità con cui era comparsa, non lasciando neanche del fumo al suo posto a testimoniare che era esistita. «Vi ho cercato unicamente per ammettere che non ho ragione di sentirmi al di sopra di voi, perché non siete l’unico spirito perduto e improbo su questa terra. Ho ritenuto di dovervi almeno questo», gli concesse duramente, poi si voltò, dandogli le spalle.

Vederla allontanarsi sapeva di una spiacevole familiarità e lo agitò il pensiero che stesse riaccadendo, quando gli pareva che lei avesse compiuto un piccolo passo, materiale e immateriale, nella sua direzione. Nelle sue parole imploranti non si preoccupò di mascherare l’urgenza. «No, Helena, restate con me.» Adesso, domani, sempre. «Insieme noi…»

«Tacete», lo interruppe bruscamente lei. «Non è esistito e non esisterà mai un noi. Non vi donerò la pace che cercate né cercherò la mia in voi. Non la meritiamo. Non c’è luce per quelli come noi.»

Non era un’assoluzione che aveva sempre inseguito in lei, consapevole di aver compiuto un atto irrimediabile, ma una luce che ammorbidisse le sue ombre e rasserenasse le perturbazioni della sua interiorità. Invece lei gli aveva offerto la consapevolezza che erano meno distanti di quanto credeva, meno distinti di quanto si credesse; che qualunque fosse il vero destino delle anime, il loro sarebbe stato congiunto,[9] in un’infinità nera come la notte, e non c’era niente che lui potesse fare per porvi rimedio e guarire almeno quella di lei.

La dama procedette verso l’uscita della torre con aria definitiva, con tutto il tempo del mondo davanti a sé, trascinando in un attimo sospeso il loro ennesimo addio. Gli occhi mesti dell’uomo non smisero di accarezzare con amarezza il suo profilo fino a che non scomparve, inglobato nelle ombre polverose dei corridoi antichi del castello.

Tra loro, aveva sempre avuto lei tutto il potere, tranne quando lui aveva usato il proprio, meramente fisico, per assaltarla. Stavolta la donna l’aveva impiegato per provargli che non esisteva luce per due spiriti bui. Non c’era nelle loro vite corrotte, ma da quel momento se le sarebbe figurate almeno un po’ più vicine e connesse nelle loro imperfette similitudini, a percorrere diverse strade vuote e una strada sola. Per quel che dipendeva da lui, sempre e per sempre.[10]

 

 

 



[1] In Harry Potter e i Doni della Morte non è descritta una scena della battaglia ambientata nella Torre di Astronomia e io ho sfruttato la cosa, considerandola deserta, perché mi serviva un’ambientazione più tranquilla.

[2] Che il Barone Sanguinario trascorra il suo tempo nella Torre di Astronomia è Nick-Quasi-Senza-Testa a dirlo a Harry Potter in Harry Potter e il Principe Mezzosangue: “Oh, groaning and clanking up on the Astronomy Tower, it's a favourite pastime of his…”

[3] Dalla descrizione che viene fatta del Castello di Hogwarts, risulta che la Torre di Astronomia sia il punto più alto.

[4] La Battaglia di Hogwarts in Harry Potter e i Doni della Morte si combatte effettivamente durante la notte e all’alba, giusto per precisare che non ho modificato il canon per i miei fini, per quanto mi piacesse l’immagine del Barone contro il cielo notturno e io ne abbia sfruttato il simbolismo del buio.

[5] È la descrizione fisica che Harry Potter fa della Dama Grigia, quando la incontra in Harry Potter e i Doni della Morte.

[6] La Dama Grigia e il Barone Sanguinario sono vissuti ai tempi della fondazione di Hogwarts, parecchi secoli prima rispetto alle vicende narrate nella saga. Ho pensato che si dessero del “voi”, è la cosa più arcaica che mi è venuta in mente. Per lo stesso motivo, nel dialogo in questa storia spesso parlano come se venissero da un’altra epoca, per l’appunto.

[7] Priscilla Pecoranera, Priscilla/Cosetta Corvonero, sempre lei. Il suo nuovo nome è una delle poche cose che apprezzo della più recente traduzione della saga, scelto per mantenere l’allitterazione nei nomi dei fondatori, perciò ho preferito usare questo nella storia.

[8] Questo periodo è ispirato al romanzo Wuthering Heights, Emily Brontë: “If all else perished, and he remained, I should still continue to be.”

[9] L’ispirazione per questo passaggio è ancora da Wuthering Heights, Emily Brontë: “Whatever our souls are made of, his and mine are the same.”

[10] Sempre e per sempre è il titolo di una canzone di Francesco De Gregori. Anche una parte del periodo precedente è ispirata ad alcuni versi della stessa canzone: “E con le stesse scarpe camminare / Per diverse strade / O con diverse scarpe / Su una strada sola”.

   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Legar